-Settimo Capitolo-
La verità è che l'amore mi ha bruciato
quand'ero piccolo l'amore mi ha scottato
e me ne stavo seduto sul mio prato a guardare le stelle nel cielo
la verità è che l'amore mi ha bruciato
quand'ero piccolo l'amore mi ha scottato
E ora sono seduto sul mio prato a guardare una rosa che cresce
La verità è che io non ho amato
quand'ero piccolo io non ho amato
E ora starò da solo a guardare l'aria del mare senza più tornare
e fermerò il tempo e lo spazio e con lo sguardo attento guarderò lontano niente
La
porta automatica del pub si
aprì, mentre Edward aspettava in piedi di fronte ad essa.
Immediatamente un
odore di fumo ed alcool, gli invase il naso e non riuscì
neanche a tossire lui,
amante tanto di entrambi i vizi. Lanciò uno sguardo al
locale, visionando un
po’ la situazione: la stanza principale era ingombrata da una
massa di persone
che continuava fino al salone accanto, la sala giochi. Avrebbe avuto da
fare,
quella sera.
Fissò per un momento l’orologio sulla parete che segnava le undici e mezzo. Era in ritardo e pregava che non ci fosse il suo capo, il quale non gli avrebbe lasciato di certo passare questo piccolo dettaglio. Subito Connor gli porse un saluto fuggente, mentre indicava la gente che aspettava davanti al tavolo, con aria piuttosto impaziente. Abilmente il ragazzo afferrò il suo grembiule nero e lo indossò legandoselo in vita e raggiunse velocemente una donna, con un gruppo di amici dietro. Edward sapeva come fare nel suo lavoro e quali clienti scegliere in situazioni come queste; doveva riuscire a capire quale era la ragazza più spazientita, ma anche quella che aveva un numeroso gruppo di compagni con se e che se avesse avuto un buon servizio, ne avrebbe sicuramente parlato con i propri conoscenti. E quella ragazza, era una di quel genere.
<< Buonasera bellezza. >> esclamò sorridendo Edward, guardandola negli occhi. Questo bastò per farla calmare, ma ancora sul suo volto vi era un’ombra scocciata.
<<
Finalmente qualcuno è arrivato! >> disse
seccata ad alta voce, muovendo
le sue carnose labbra in una smorfia terribile. <<
E’ da mezz’ora che
stiamo aspettando, si può sapere perché
è così incapace l’altro barista?
>> Edward fece un mezzo sorriso, preparando dei bicchieri.
<< Cosa vuoi? >> chiese, manovrando le
bottiglie
destramente.
<<
Due Cubalibre per i miei amici e un Vodkalemon per me. >>
Il ragazzo non
poté notare quanto fosse volgare la
donna, nei suoi pantaloni lucidi stretti e quella maglietta scollata
viola. Tuttavia
annuì, voltandosi a prendere altre due bottiglie negli
scaffali dietro a se.
Versò il liquido trasparente nei bicchieri, sotto lo sguardo
ammirato della
ragazza.
<< Sei davvero bravo, sai? >>
esclamò, richiamando lo sguardo della ragazza.
Vide che sorrideva, sbattendo le ciglia e spostando il peso da un piede
all’altro. Ora sembrava essersi rilassata.
<<
Solo questione di esercizio. >> tagliò corto
lui. In effetti egli muoveva
le mani in modo rapidissimo, rendendo quel semplice preparare dei
cocktail, una
vera e propria danza.
Ci furono altri secondi di silenzio tra i due, mentre la musica da
discoteca pulsava dalle grandi casse ai lati della stanza. Le luci ad
intermittenza stordivano un po’,
rendendo difficile il lavoro che stava svolgendo l’uomo.
<<
Grazie … >> disse infine la donna, porgendo un
sorriso accattivante al
barista davanti a se. Edward gli porse i tre bicchieri, mettendoci
dentro due
pezzi di ghiaccio. Sorrise, divertito dal cambiamento rapido di
atteggiamento
della ragazza. << Ah, senti, a che ora stacchi
… tu? >> concluse,
sistemando meglio la sua maglietta. Edward corrugò la fronte
un po’ interdetto
e divertito.
<<
Non so neanche il tuo nome. >> gridò a causa
della forte musica, per
farsi sentire dalla ragazza. Lei fece spallucce, sorridendo.
<< Erika. Mi chiamo Erika. >>
La ragazza, che doveva avere
circa una ventina di anni, restava in piedi, in mano quei bicchieri. La
guardò
attentamente, come immerso in profondi pensieri: fissò quei
grandi occhi neri,
del tutto coperti da un trucco pesante. Poi annuì,
stringendo la bocca in un
mezzo sorriso.
<<
Va bene … Quando stacco ti cerco. >> prese i
soldi per le bevande e passò
all’altro cliente. Non avrebbe potuto mai rinunciare ad una
donna, giusto?
Connor gli passò accanto,
prendendo una bottiglia e sussurrandogli
all’orecchio:
<< Come fai? >>. Il suo
sguardo era ammirato, anche se una leggera punta di invidia brillava
negli
occhi. Edward sorrise, un po’ fiero e prose un drink ad un
ragazzo.
La
sera scivolò velocemente sulle
spalle di tutta la gente in quel pub. Fu un lavoro quasi inarrestabile
per
Edward e Connor, che prepararono aperitivi e drink, ininterrottamente.
Passarono
di cliente in cliente, velocemente e con successo. La stanchezza si
fece
sentire in quelle ore, inoltre, specialmente per il primo, che aveva
avuto una
giornata abbastanza impegnativa alla centrale.
Solo verso le due del mattino i
due potettero riprendere fiato, accasciandosi stancamente sulle sedie
esterne del
pub, ancora pieno di gente che saltava al ricco ipnotico delle canzoni.
Fortunatamente gli altri due ragazzi erano venuti a sostituire i due
baristi,
permettendo loro una pausa di ripresa. Edward si appoggiò
allo schienale,
seguito da Connor. Tirò fuori una sigaretta e ne porse
un’altra all’amico,
accendendo entrambe.
<<
Non ce la faccio più … >> si
lamentò Conn, chiudendo gli occhi e
mettendosi una mano sulla faccia.
<< Un po’ di nicotina ti farà bene,
allora. >> commentò
Edward, con la cicca in bocca. Lasciò distendere le gambe
lunghe e si strinse
nel cappotto, notando
solo allora quanto
la temperatura stesse abbassando di giorno in giorno. Fece entrare il
sapore
del tabacco sulla lingua, rilassandolo.
In
effetti aveva notato anche lui, quanto quella sera il collega fosse
molto
distratto e pensieroso, quasi … preoccupato.
<<
Questo lavoro mi ammazza! Ti giuro, con l’occupazione in
fabbrica, più la sera
questo, penso che prima o poi morirò …
>> sbuffò,
con una smorfia in volto.
<< E allora cosa ci fai ancora qui?
>> chiese, un po’
infastidito dai discorsi lamentosi del collega. << Lascia
questo
maledetto lavoro, se ti sembra troppo stancante. >> Lui
ne aveva provati
molti di lavori e questo era il più rispettoso e coerente
con il rapporto
fatica-guadagno.
<< No, è solo che …
>> si tolse la sigaretta dalla bocca, scuotendo la testa.
<< Quei
soldi mi servono … Per me, per Miriam …
>> Edward alzò gli occhi al
cielo, drizzandosi sulla schiena.
<< Vedi? E’ per colpa la tua convivenza del cazzo, Conn. Ti prende un sacco di soldi e ti toglie la tua libertà. Io te l’ho sempre detto di non fare la grande scelta, con la tua Miriam. >> esclamò, arrabbiato e pronunciando la parola Miriam un po’ schifato. Il suo progetto di vita era molto semplice: solo, senza moglie, senza figli, per lui questo voleva dire libertà. Opposto a ciò che stava vivendo l’altro.
Connor, abituato a i commenti contrari dell’amico, non si offese, rimanendo per un istante in silenzio.
<<
Non è
solo per quello … >> cercò di
spiegare lui, ma Edward lo interruppe.
<< E poi quella donna è solo
un’idiota patentata, Conn. Salvati
finché sei in tempo. >> esclamò,
con aria arrogante. << Mi hai
detto che state passando un periodo di crisi, no? Perfetto!
È la volta giusta
che te la togli di casa, quella sanguisuga. >> Era ben
chiaro a Connor
che al suo amico non piacesse molto la sua compagna. Edward si
voltò ad
osservarlo, notando che ancora non rispondeva, e per la prima volta
vide gli
occhi rossi di lacrime dell’amico. Corrugò la
fronte, sorpreso: aveva un’aria
terribilmente triste, e quelle leggeri rughe sulla fronte, quella sera,
sembravano ancor più evidenti, dimostrando benissimo i suoi
trentatre
anni.
<< Ehi, amico, che ti
prende? >> chiese, sporgendosi dalla
sedia per incontrare il suo sguardo. Lui rimase impassibile,
continuando a
fissare quel punto davanti a se.
<< Miriam è incinta.
>> esclamò, bloccando il respiro del
ragazzo.
<<
Merda. >> esclamò, stizzito. <<
La situazione si complica, così.
>> commentò, rimettendosi comodo sulla sedia.
Restò qualche istante in
silenzio, per poi aggiungere. << Da quanto lo sa?
>>
<< Da
pochi giorni; è alla terza settimana, ora. >>
Edward annuì con fare
serio, senza incontrare lo sguardo dell’amico.
<< E volete tenere il
bambino? >>
<<
Certo, non
potremmo mai … >> rispose impacciato, ma
Edward lo bloccò, annuendo,
comprensivo. Ci
furono secondi di
silenzio, durante i quali il ragazzo rifletté.
<<
Non lo avevate
progettato … quindi?
>> chiese, con una smorfia sulle labbra.
<< No … >> scosse la testa,
perso nel vuoto. << No.
>>
<<
Sei proprio in un grande merdaio. Sì, amico.
>> esclamò, con un
sorrisetto. Quell’altro non fece altrettanto. Si
schiarì la gola, togliendosi
dalla bocca la cicca. << E allora, quel momento di crisi,
la tua storia
con quella
… quella … come si
chiamava? >>
<<
Samantha. >>
dichiarò lui, facendo un respiro di rimpianto.
<< Giusto, Samantha. Insomma, tutto
cancellato? >>
<< Penso di sì, dovrò farlo
… per mio figlio almeno.
>> concluse con aria triste, pronunciando la parola figlio
con
freddezza e preoccupazione. Samantha era la donna che Conn stava
frequentando,
nascondendolo alla sua compagna.
<< Ehi, non essere così
giù, anche se hai un figlio puoi
frequentare altre donne! >> lanciò
un’occhiata divertita all’amico,
facendolo per la prima volta sorridere.
<< No,
Edward … >> fece, dopo un po’ di
silenzio. << Penso che non si
possa fare. Finisce … qui. >>
Il ragazzo cercava delle parole opportune per rispondere all’amico, ma non ne trovò, restando zitto per altri minuti. Continuava a fissare quel volto così scuro e triste dell’uomo. In effetti, però, Conn se l’era andata a cercare: Edward gliel’aveva sempre detto di lasciare quella stupida donna. Oltre ad essere davvero insopportabile, pretendeva di spendere metà dello stipendio di Conn nei suoi bisogni minimi –come amava chiamarli lei-, mantenuta dal compagno.
Conn fece un grosso
respiro, mettendosi la sigaretta in bocca
e alzandosi dalla sedia. Gettò il mozzicone per
terra e rivolse un mezzo
sospiro al collega.
<< Vado a
casa, si è fatto tardi. Ci pensi te a …
>>
<<
Sì, non ti preoccupare, finisco io. >>
Alzò la testa a mo’ di saluto e
osservò la figura di Conn farsi sempre più
piccola, finché scomparire dalla
via.
Decise di alzarsi anche lui, dando l’ultima
boccata di fumo, ma una voce
lo richiamò dalle spalle.
<<
Ehi, ehm … barista! >>
Edward
si voltò di scatto,
scoprendo quella ragazza di poco fa – se non sbagliava si
chiamava Erika – a
qualche metro di distanza. Osservò la donna, di corporatura
esile, nei suoi
pantaloni aderenti. Era carina, nel complesso. Gli fece cenno di venire
ed il
ragazzo si ricordò dell’appuntamento che si erano
dati. Si alzò e la raggiunse
velocemente, sorridendogli.
La ragazza
gli prese la mano e notò solo allora che non si trattava di
una donna, bensì
solo di una ragazzina. Sbuffò dentro di se; ciò a
lui non interessava.
Erika gli fece un sorriso e lo
portò dentro il pub. Alzò gli occhi verso la
ragazza e ringraziò per non essere
il suo amico quasi-padre, in quel momento.
La
ragazza prese un drink insieme
ad Edward, alzandolo in alto.
<< A chi brindiamo? >> chiese.
<<
Ad un mio amico, che è nella merda fino al collo.
>>
<<
Okay. >> I bicchieri si sfiorarono facendo un rumore
acuto e entrambi
fecero scivolare il liquido lungo le gole, sorridenti e ancora contenti
di non
essere nella situazione dell’amico.
Uscì dal pub che erano ormai le quattro del mattino, l’alba che si stava alzando in quel momento. Era iniziato a piovere e Edward correva per raggiungere la macchina velocemente, coprendosi nel suo giubbetto di pelle. Correva fuggendo da quella ragazza che aveva lasciato lì da sola, senza spiegazione, senza neanche svegliarla. Correva, ancora sulla pelle il suo profumo e in bocca il suo alito che odorava di alcool. Non era la prima volta che lasciava le ragazze così, né sarebbe stata l’ultima.
Entrò
in macchina, chiudendo
la porta dell’auto velocemente, cerando di non far entrare
nessuna goccia
d’acqua. Fece un respiro, lasciando cadere la testa sul
sedile ma, ad un
tratto, qualcosa attirò la sua attenzione. C’era
una sciarpa sul sedile. La
riconobbe immediatamente: era quella di Isabella, probabilmente
l’aveva
lasciata lì per sbaglio. Restò ad osservarla,
concentrato, guardando quelle
sfumature di colore rosso e bianco, sul tessuto. Avvicinò la
mano al foulard,
lentamente. Senza accorgersene la prese in mano e
l’avvicinò al suo naso. Non
seppe perché lo stava facendo, ma lo fece e basta.
Si portò la stoffa a
contatto col naso e con la bocca, inspirando bene: il profumo di
biancospino e
di fresco lo deliziò. Il profumo migliore che avesse mai
sentito, anche se
… aspetta,
–in effetti- gli
ricordava qualcosa … un profumo che
vagamente aveva odorato, una volta. Affondo il suo volto nel foulard,
chiudendo
gli occhi, estasiato. Poi li riaprì, irrigidì il
corpo e allontanò bruscamente quella
stoffa da se. Cosa diavolo stava facendo? Era meglio tornare a casa, la
stanchezza iniziava davvero a farsi sentire.
***
La
sveglia segnava le quattro in
punto del mattino e Isabella era ancora seduta sul letto, le braccia
che
stringevano le gambe. Si dondolava annoiata, chiudendo di tanto in
tanto gli
occhi, sperando in un colpo di sonno improvviso. Questo però
sembrava non
venire.
Quella
sera la ragazza non riusciva a dormire ed era molto strano per una come
lei,
che riusciva ad addormentarsi ovunque. Ricordava ancora la prima volta
che andò
in discoteca, addormentandosi annoiata sotto le casse rumorose della
stanza.
Era dalle undici che tentava di prendere sonno, ma esso sembrava essere
lontano mille miglia da lei. Quando Bella non dormiva era per qualcosa
di
serio, quasi
sempre. Solo che quando
avveniva, ad ella era ben chiaro la causa di ciò, cosa che
quella sera non era
in grado di capire.
Osservava
la pioggia sbattere sulla finestra trasparente e poi scivolare
raggiungendo la
fine del vetro. A lei piaceva la pioggia, le ricordava anche il mare,
una cosa
che adorava perdutamente. Amo la pioggia, lava
via le memorie dal
marciapiede della Vita * , insomma, come poteva non dargli
ragione?
Sbuffò, distendendosi sul materasso prendendo
la foto che teneva gelosamente custodita sotto il letto. La
fissò e subito sul
volto comparve un dolce sorriso. Perché ancora non ci aveva
pensato prima? La
foto era l’unica cosa che avrebbe potuta calmarla. Era
impensabile la quantità
di ricordi che quella piccola rappresentazione riusciva a ricordarle.
Se la
posò sulle labbra, dando un bacio a quella piccola figura
nell’immagine.
<<
Dove sei? >> chiese,
rivolgendosi al bimbo con occhi tristi. Sospirò,
mettendosela vicino al petto e
chiudendo gli occhi.
Guardavi felice l’immagine riflessa nello specchio, muovendoti da una parte a l’altra, agitando il tuo vestito color panna. Era il tuo preferito e la mamma lo aveva messo in valigia a posta proprio per la prima cena, in crociera. Andavi pazza per il tuo abito, anche se non lo ammettevi, e tutte le persone si fermavano a guardarti e tu ascoltavi i commenti. Facevi finta di non sentirli, ma in realtà eri lì, tesa con l’orecchio ad origliare quelle parole piacevoli, che ti riempivano d’orgoglio.
La
sarta te lo aveva cucito apposta, solo per te. Per la crociera.
Come ti piaceva quella parola,
eh? Sì, l’amavi, infondo avevi sempre desiderato
andare su una barca, ti
ricordi?
Ti specchi ancora, fino ad annoiarti. Così esci dalla
cabina, non
avverti neanche i tuoi genitori, lo fai e basta senza pensarci troppo e
inizi a
correre lungo il corridoio. È rivestito da una parete in
legno e il pavimento è
ricoperto da una moket rossa. L’adori: passi le tue dita
paffute avanti in
dietro, mentre il tessuto sotto la tua pelle ti fa il solletico.
Corri ed esci dall’edificio interno, spingendo la pesante
porta
d’entrata. Vai sul pontile e stringi le tue dita attorno alla
ringhiera. Ti
sporgi e cerchi di guardare il mare azzurro: ha detto la mamma che nel
mare ci
sono delle sirene e che se guardi meglio le puoi vedere. Affiorano
dall’acqua e
salutano le persone che le osservano; chi le vede –sono molto
rare- sarà
fortunato per tutta la vita. Così tu sei lì,
ingenua bambina, con gli occhi
puntati sul blu profondo. Alzi
i
piedini, grandezza ventinove, mentre i tuoi capelli bruni ti cadono
sulle
guance. Ti piace proprio il mare, pensi, è così
bello per te. Quando fissi le
acque i tuoi occhi brillano e le tue gote arrossiscono, emozionata. E
ancora di
più ti pare bello stare sulla cima della nave a guardare
quel blu, mentre il
vento ti accarezza il volto.
<<
Dice mio papà che non ci si deve sporgere così
tanto. >> Senti una voce
acuta che viene dalle tue spalle, un po’ arrogante, e ti
volti. C’è un bambino
rossiccio, con una bella camicetta bianca e dei pantaloni che gli
stanno troppo
lunghi.
<<
Lo hai mai fatto? >> chiedi tu, muovendo la testa,
osservandolo meglio.
Il bambino resta immobile con una smorfia sulle labbra. Arrossisce, poi
stringe
i pugni.
<< No.
>> risponde sincero. Tu gli fai cenno di avvicinarsi, e
gli prendi la
mano per portarlo ancora più vicino a te. Non sei timida,
non lo sei mai
stata.
<< Devi alzare i piedi
e stringere forte alla ringhiera, per non cadere. >> Gli
fai vedere,
decisa a fare provare a quel bambino sconosciuto la bellezza di questa
sensazione. << E’ semplice. >>
<< Non lo posso fare.
>>
<<
Perché? >>
<<
Perché mio papà non vuole. E nemmeno mia mamma,
penso, anche se non gliel’ho
mai chiesto. Ma loro sono sempre molto d’accordo tra loro,
specialmente per
darmi le punizioni. >>
<< Non ti daranno
una punizione, se guardi il mare. >> replichi tu,
corrugando la fronte.
Il rossiccio ci pensa un pochino, abbassando lo sguardo. Poi lo rialza
e ti
chiede:
<< Sicura? >>
<< Sì. Te lo
prometto! >> esclami sorridente, facendoti un gesto
simbolico sul petto.
Il bambino ti guarda un po’, poi mette le mani sulla
ringhiera e alzandosi in
punta dei piedi, sorride. L’aria fresca gli scompiglia i
capelli e i suoi occhi
si chiudono e si aprono, infastiditi dalla corrente del vento.
<< Hai paura? >> chiedi, guardando la
faccia un po’
preoccupata del bimbo. Lui scuote la testa in modo energico,
orgoglioso.
<< Hai visto come è bello il mare? Mia mamma
dice che lì ci vivono delle
sirene. >> esclami, indicando l’acqua. Il rosso
ti guarda curioso.
<< Cosa sono
le sirene? >>
<< Sono delle donne bellissime, metà donna e
metà pesce. Vivono
nei mari e chi le vede sarà felice per tutta la vita.
>> Il bambino
spalanca gli occhi, entusiasta.
<< Davvero? E tu l’hai mai vista
una? >>
<<
No, sono molto rare le sirene. E
poi
sono belle, bellissime. >> Parli con sicurezza, contenta
di avere una cosa
tutta tua, che quello sconosciuto non sa. Ti senti importante,
raccontandolo.
Lui ci riflette un po’ su, continuando a guardare
l’oceano ammirato,
attento ad ogni minimo movimento spumeggiante dell’acqua.
<< Io un giorno vedrò una sirena.
La prenderò, ci innamoreremo e
poi la sposerò. >> dice convinto. Te lo guardi
con una smorfia.
<< No, è impossibile. Loro
non possono vivere senza l’acqua! >> esclami,
ovvia.
<< Vorrà dire che le comprerò una
… una … piscina, così lei
potrebbe vivere là! >> risponde, speranzoso.
Ma tu vuoi distruggergli
i sogni, ti
sembra una cosa stupida
pensare queste cose.
<< No, è inutile, non potrai sposarla mai.
>> rispondi,
stizzita.
<<
Non è vero! >> corruga la fronte, spazientito.
<< Un giorno te la
porterò a far vedere, così ti ricrederai!
>>
<<
C’è caso che tu non la veda neanche. Sono
rarissime. >> dici, convinta e
un po’ innervosita. Passano un po’ di secondi,
durante i quali tutte e due
siete concentrati a vedere il mare.
<<
L’ho vista! >>
urla tutt’ad un tratto, saltellando. Ti guarda contento, con
gli occhi verdi
spalancati. << Ti giuro, l’ho vista!
Lì, guarda, lì, l’hai vista?
C’era
una sirena! L’hai
vista anche tu, vero?
Si vedeva benissimo! >> Fissi i
suoi occhi luccicanti. Lui l’hai vista.
Tu no, come hai fatto a non
notarla? Ma non lo puoi dirglielo, no; non puoi fargli passare questa.
Poi
davvero se la sposa!
<<
Ehm … sì, anch’io! Ehm …
C’era anche la sua amica, hai visto? >> chiedi,
convinta che questo lo spiazzerà. Il bambino rimane un
po’ interdetto, ma poi
annuisce convinto.
<<
Ehm … Sì, certo … >>
appoggia il mento sulla ringhiera. << Aspetta,
ma quella … un’altra, guarda, ce
n’è un’altra, vedi? Laggiù!
No, peccato, ormai
è già sparita … >>
<<
No, no, l’ho vista! >> rispondi beffarda.
<< Guarda!! Anche là, lì
proprio in quel punto, una sirena! Vedi? >> indichi
l’orizzonte, a
caso.
<<
Sì, sì che la vedo >> dice,
mentendo. << Anche lì, un’altra! Ha
la
coda arancione, vedi? >>
<<
Sì, è vero! >> rispondi, bugiarda.
<< Anche quella! E lì c’è
la sua
mamma, te ne sei accorto? >> Il bambino non ti poteva
rispondere di no,
come aveva fatto prima, doveva ottenere quella piccola vittoria.
<< Sì … e guarda là!
>>
Tu
e quel bambino avete
continuato a parlare per minuti, che piano a piano sono diventate ore.
Il tempo
è scivolato su di voi come una lenta carezza,
così lieve che neanche vi siete
accorti del suo passaggio.
Avete
visto molte sirene –o almeno così entrambi
sostenete- e vi
siete divertiti a inventare le storie
legate a quelle figure. Vi siete lasciati dopo un po’,
accorgendovi solo allora
di non sapere l’uno il nome dell’altro.
<<
Pronto? Sì, cercavo il
dottore psicologo dell’orfanatrofio? Sì,
buongiorno dottore, sono Bella Swan.
Scusi l’ora così
mattutina, ma stanotte ho sognato … ed ho fatto un sogno
particolare e forse …
qualcosa si è ricomposto nella mia memoria perduta, penso.
>>
<<
Ma è normale che tuo
padre ci metta così tanto? >> chiese Edward,
guardando Bella. Lei sorrise
per la smorfia che era comparsa sulla bocca del ragazzo e
annuì, alzando gli
occhi.
<< E diciamo che questa volta si sta impegnando: in
genere è
ancora più lento! >> esclamò,
togliendo il caffè dai fuochi. << E’
peggio delle donne, te lo posso garantire. >>
Edward guardava seduto
sulla sedia la figura della ragazza muoversi velocemente, prendendo le
tazzine
e i cucchiaini dai vari cassetti e sportelli. Aveva la chioma bruna
legata in
una crocchia che aveva lasciato qualche ciuffo fuori, distrattamente.
<< E
dovessi vedere prima delle cene importanti …
>> aggiunse,
sospirando. Edward sorrise a quel volto così grazioso,
invitandola a sedere.
Lei versò il liquido bollente sulle tazzine e porse un
cucchiaino al ragazzo
accanto a se. Non lo negava, la sua presenza le faceva soggezione.
Qualche
volte affondava nei suoi occhi verdi smeraldo, senza ascoltare le
parole che
uscivano da quelle labbra perfette. Adorava il suo sguardo ed il suo sorriso:
quella punta del labbro che saliva, i denti bianchi che sfoderava.
Bellissimo.
E
anche Edward, anche se non lo avrebbe ammesso, molto spesso restava
quasi stordito da Bella. Era così affascinante e apprezzava
molti suoi lati del
carattere, così tanto familiare. Si conoscevano appena, ma
era come se entrambi
provassero una rispettiva simpatia l’uno nei confronti
dell’altro.
<< Uh,scusa, non te l’ho chiesto, vuoi lo
zucchero? >>
chiese ad un tratto, lei. Edward annuì, ma mentre faceva per
alzarsi, Bella lo
superò avvicinandosi alla cucina. Allungò la
mano, aprendo uno sportello, e
distese le dita nel tentativo di afferrare il pacco di zucchero. Il
ragazzo
notò la difficoltà, così si
alzò dalla sedia, le si avvicinò rapidamente e prese quel
sacco bianco.
In
quel gesto, le dita affusolate della ragazza sfiorarono quelle magre
del
ragazzo, attirando i loro sguardi. Qualcosa tamburellò sotto
la pelle di
entrambi e tutti e due si guardarono, sbattendo le ciglia. Sentirono un
singhiozzo, un gemito che si fece sentire all’interno dei
loro petti.
Quel contatto dette i brividi ad entrambi, ma quelli non erano semplici
brividi, sembravano come degli … avvertimenti.
Erano
a poca distanza l’uno dal naso dell’altro, le mani
che si toccavano quasi.
Edward fissava Isabella intensamente, come ipnotizzato da qualcosa e
non capì
come aveva fatto fino ad allora a non notare i suoi occhi bellissimi, bruni. Non
seppe perché restò
qualche secondo a fissarla, -si pentì, successivamente- ma
era curioso, forse
voleva risentire quel profumo buonissimo, quell’odore di
biancospino, così
fresco e delizioso.
Fu Bella la prima ad
allontanarsi, il volto leggermente rosso, biascicando: <<
Grazie …
>> Edward restò qualche secondo interdetto, un
po’ frastornato: cosa
stava facendo? Era come se improvvisamente qualcosa gli avesse fatto
girare la
testa. Scosse il capo, come per riprendersi e si rimise al tavolo,
accompagnato
da Isabella.
<< Quanti cucchiaini vuoi? >> chiese lei,
cercando di
togliere quell’imbarazzo venutosi a creare.
<< Due andranno
benissimo, grazie. >> Gli porse la tazzina e bevvero
insieme il caffè.
<< Grazie ancora per la sciarpa! Non so come ho fatto a
lasciarla
lì! >> esclamò, dopo un sorso di
quel liquido. Edward sorrise, annuendo.
Si guardò un po’ in giro notando i libri
sparpagliati sul tavolo.
<< Stai
studiando? >> chiese, interessato. Lei annuì,
interdetta da quella luce
negli occhi di Edward, che gli era appena spuntata.
<< Purtroppo. Non ci capisco niente.
>> esclamò, mogia.
<< Cos’è, scusa? >>
<<
Matematica. >> Edward drizzò la schiena,
inclinando la testa. <<
Tieni, se vuoi. >> disse lei, spingendogli il libro di
trecento pagine
sotto gli occhi. Lui la guardò, un po’
imbarazzato, come se si vergognasse a
fare ciò quello che avrebbe fatto.
<<
Non ti torna un problema? >> chiese, osservando
attentamente il
foglio.
<< Questo, non riesco
proprio a capirlo! >> fece, con una punta di fastidio,
indicando il
numero dell’esercizio.
Edward
strinse gli occhi, prendendo un lapis e accucciandosi, per vedere
meglio.
Corrugò la fronte.
<< Ma è
sul grafico dei logaritmi? Sono … Semplici. >>
guardò Bella come se fosse un imbecille. << Scusami, ma se
è
Aveva
parlato con sicurezza e tranquillità, tanto al punto che Bella si
sentì quasi un’idiota.
Rispose un po’
tentennante, così Edward prese fiato ed iniziò a
discutere.
Bella ascoltò con pazienza le spiegazioni successive di
Edward, che si
risultò un ottimo insegnate, il più bravo che
avesse mai conosciuto, in
matematica. Riusciva
a concludere ogni
esercizio, problema, calcolo con semplicità, come poteva
bere un bicchier d’acqua.
La ragazza restò attenta ai suoi chiarimenti, guardando
ammirata l’espressione
seria, mai vista sul volto del ventenne.
Corrugava la fronte, le guance si colorivano un pochino, i
suoi occhi
iniziavano a brillare, ma fermi.
Gli porse tutti gli esercizi che non le tornavano, mentre lui seguiva le sue
difficoltà. Lei
ascoltava attentamente, affascinata dalla
bravura di quel ragazzo, che leggeva e risolveva sui fogli tutti i
disegni
aritmetici e geometrici, accompagnati da spiegazione curate e semplici.
<<
Hai capito? >> chiese dopo un discorso durato circa dieci
minuti, con un
sorriso sulle labbra.
<< Più
o meno. >> rispose, imbarazzata. Edward
sospirò, cercando di non farsi
sentire, non voleva umiliarla. << No, ma molto meglio di
prima, davvero,
grazie. Miracoli non puoi fare con me e la matematica. >>
Edward rise,
porgendo il libro alla ragazza. Bella guardò il volto
dell’uomo, curiosa.
<< Sei bravissimo. Come
fai? >> chiese, ammirata.
<<
Cosa? >> chiese, interdetto. Non gli piaceva ricevere i
complimenti,
capì.
<< Insomma, hai risolto tutto velocemente, come se non
fosse
niente e … Poi vedevo come ti brillavano gli occhi quando
… >>
<<
Non mi brillavano gli occhi.
>> protestò.
<<
Oh, sì che ti brillavano! >>
dichiarò, sorridente. << Edward,
davvero, sei molto bravo. Ti piace la matematica, vero?
>> chiese, sporgendosi
dalla sedia. Il ragazzo si irrigidì, un po’
infastidito. Non voleva quelle
domande, riaprivano ferite troppo dolorose; quelle della sua unica
passione,
svanita in frantumi alla morte del padre.
<< Sì,
cioè no … E’ solo che …
>> abbassò
lo sguardo.
<<
Dovresti fare qualcosa. Hai mai pensato ad una università di
matematica?
>> chiese, naturale. Edward trattenne il fiato, immobile.
Era da anni che
non ci pensava all’università.
Non ci aveva mai
riflettuto? Pf, era stato anni a sognare
l’università di matematica di New York,
un posto finalmente dove si sarebbe trovato a suo agio, dove sarebbe
stato
circondato dai calcoli, la sua vita.
<<
No, no! Università … Non ce la farei …
>> rispose, cupo. Era stupido
pensare ad uno studio, non avrebbe mai potuto farlo, lui.
<<
Ma ti piace, si vede! Risolvi calcoli lunghissimi come se nulla fosse!
Hai un
talento, davvero, perché non hai continuato gli studi?
>> chiese lei,
scrutando il viso dell’uomo.
Si mise un
ciuffo dietro l’orecchio.
<<
Non avevo voglia. >> rispose secco, nervoso. Si
alzò dalla sedia, dando
alla ragazza le spalle. Gli era salita, tutt’improvvisamente,
una fastidiosa
sensazione. Bella non riusciva a percepirla, però, e
continuava a fargli troppo
invadenti, per i gusti del ragazzo.
<< Dimmi per cosa, davvero. Era per
l’insegnante che avevi al
liceo? Forse non si rendeva bene conto, di chi aveva davanti. Sai
anch’io …
>> continuava a parlare, cercando di capire. Edward
irrigidì il corpo,
cercando di non essere sgarbato.
<<
No, Bella. Non è per quello. Problemi familiari.
>> esclamò gelido.
Odiava quelle domande, odiava quella voce in quel momento, odiava
Bella, in
quell’istante.
<< Ah,
ehm … Scusa, problemi economici, forse …
Scusa, non ho capito, però potresti
appellarti
ad una assistenza … >>
<<
Cazzo, Bella, non sono affari tuoi, va bene?! >>
Si
girò di scatto, guardando in cagnesco la donna davanti a se,
stringendo i
pugni, con la mascella tesa. Bella sobbalzò, restando
immobile, osservando quel
volto che in meno di pochi secondi
era
mutato diventando tirato, con gli occhi freddi. Perchè
quella reazione così aggressiva? Restò qualche
secondo in
silenzio, senza togliere lo sguardo da quegli occhi verdi, quasi
impaurita.
Cosa aveva fatto di sbagliato?
Poi Edward chinò il capo,
scuotendo la testa, passandosi una mano nei capelli. Sbuffò,
sentendosi
improvvisamente in colpa.
<<
Scusa, Bella, io non … >> alzò lo
sguardo, con occhi pentiti, ma Isabella
lo interruppe, fredda.
<< No, niente. Hai ragione. >>
Si
alzò e raggiunse le scale velocemente, nascondendo il viso
al ragazzo.
*Woody Allen
***
Hola, carissime! Come state? Rinizio scuola?
Eccomi qui con il settimo capitolo. Sto rabbrividendo: settimo capitolo, come ho fatto mandarla avanti questa ff? :))
Prima di tutto mi scuso per il leggero ritardo con cui ho postato - un giorno- , ma spero di avervi abbastanza -almeno un pochino, pochino ...?- soddisfatte con questo capitolo. Personalmente mi piace di più rispetto a quello scorso, ma siete voi a giudicare!
Il prossimo aggiornamento spero sia in orario e vedremo i progressi della nostra coppietta...
Non vi sto ad annoiare, facendovi il riassunto del testo, tanto lo sapete già! Ditemi cosa ne pensate -compreso "fa schifo", "Non lo leggerò mai più...", "datti all'ippica ..."-
Un grosso bacio a tutti e alla prossima!!
hiphicosty