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Autore: nyctophilia    05/10/2012    1 recensioni
Voglio vivere verde. Verde come il giardino che mi immagino aprendo la finestra. Verde come le pelli della mia batteria. Verde come la California. Poi però mi sveglio, e tutto è nero. Nero come l’asfalto che soffoca il mio prato. Nero come i polmoni di mia madre. Nero come il cielo stamattina.
Genere: Generale, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Cammino sotto la pioggia battente perché devo rilassarmi.
Oggi è l’anniversario del suo funerale. E del mio.
Mi ricordo ancora mia madre, e quella luce che purtroppo aveva abbandonato quei suoi occhi verde acceso, per far spazio al puro e semplice dolore. Benché mio padre non fosse credente aveva deciso di commemorarlo nel modo più squallido e che puntualmente tutti usano, con un bel funerale.  Mi ricordo anche che fui costretta ad andarci, e la cosa non mi piaceva. Volevo ricordare mio padre per conto mio, e non in mezzo a tutta quella gente ipocrita.
C’erano tutti, perfino quei familiari, se così posso chiamarli, che se t’incontrano per strada ti salutano per inerzia, se sei fortunato.
Tutti passavano davanti a noi, con una finta aria messa a lutto. Tutti ci facevano le condoglianze, e io non potevo rifiutarle. Non potevo nemmeno muovermi, costretta lì dalla mia sedia a rotelle.
Fu un inferno.
E fu ancora peggiore vedere gli sguardi di commiserazione rivolti a me, la povera ragazzina che era stata violentata in un bosco. In realtà nessuno si interessava alla mia situazione. Tutti volevano solo sapere come era andata la storia. Tutti tranne Danilo.
Lui era passato a prendermi, tentando di non farmi pensare alla realtà; al fatto che mio padre non c’era più, che la mia vita non sarebbe più stata la stessa, che io non sarei più stata la stessa semplicemente perché io non sarei più stata nulla.
Era un peso enorme, per la bambina che viveva in me. Quella bambina ormai morta e sepolta.
 
Quando venne l’ora della cerimonia finsi (in modo pessimo) di avere un malore, ed io e Danilo andammo a casa mia.
Mi prese in braccio e mi posò sul letto. Mi chiese se volessi una coperta, se mi doveva accendere la tv o se preferivo leggere qualcosa. Se volevo del cibo o da bere.
Io gli chiesi solo di restare, e con un sorriso timido si sdraiò vicino a me.
Io rimasi lì a fissarlo, come al solito, e conclusi che qualcosa non andava. Il suo sguardo, il suo viso; qualcosa in lui era cambiato irrimediabilmente.
«cos’hai?» gli chiesi a bassa voce, perché in un certo senso mi vergognavo.
Sentivo di avere qualche colpa, ma non capivo dove avessi sbagliato.
«nulla..» mi disse un po’ distratto.
«credimi, non sono nata ieri; e poi conosco meglio te di me, quindi so quando qualcosa non va.» lui mi guardò dritto negli occhi, e ci si perse, benché sapessi che lui era già perso.
Poi mi abbracciò, ma anche questo era diverso.
Sembrava un addio.
«vuoi andartene da me, questo è il problema.» trattenevo a forza le lacrime. Perché anche lui doveva andarsene? Perché ora?
«io non voglio ferirti. La mia priorità è fare in modo che tu sia felice, che tu non stia mai male.»
Sciolsi l’abbraccio e piantai di nuovo i miei occhi nei suoi.
«non stai facendo in modo che io sia felice, ora, perché mi stai privando di una delle persone a cui tengo di più.» e mi girai, non senza fatica, per terminare il discorso. Anche per piangere, o ancor meglio per dormire e lasciare tutto così, ed avrei preferito che lui non vedesse.
Sentì le sue mani farsi strada tra le mie braccia, come se non riuscisse a vivere lontano da me, benché temessi il contrario.
Annusò prima i miei capelli, li scansò e quindi si mise a sfiorare il mio collo. Lo bacio con  delicatezza e mi soffiò nell’orecchio «non voglio perderti e non voglio perdermi.»
Forse credeva che stessi dormendo, o forse no, ma decisi di girarmi verso di lui.
Volevo sapere la verità, volevo vederla, e l’unico modo per farlo era guardarlo; non feci in tempo, e le mie condizioni fisiche non furono d’aiuto.
Danilo arrossì un po’, cosa che non gli vidi più fare, e poi mi baciò.
Con dolcezza, certo, ma allo stesso tempo con irruenza. Perché nella mia camera? E perché non prima? Perché ora?
Mi allontanai poco, per avere la possibilità di guardarlo negli occhi. Ora tutto era tornato normale, in lui, ma non in me.
«dormi.» mi sussurrò mentre mi diede un bacio sulla fronte. Io mi strinsi a lui, così forte che potevo soffocarlo.
Speravo di trovarlo lì, la mattina dopo. Speravo di trovarlo lì fino alla fine dei miei giorni. Ma lui non c’era. In fondo non c’era più stato.
 
 
I vestiti asciutti ed il sole battente mi riportano alla realtà. Avevo vagato più o meno senza meta, ed ora mi trovo qui, davanti alla casetta che conosco da cima a fondo. Suono al campanello che ancora non porta alcun nome. Aspetto ancora un po’, nella speranza che qualcuno si degni di aprire.
Dopo circa un quarto d’ora la testa di Danilo fece capolino dalla porta chiusa con la catenella scolorita, che prima sfoggiava un lucidissimo color verde mela. Mi guarda indeciso tra lo stupore e la felicità  di vedermi qui, ora. Poi si decide ad abbracciarmi, proprio come quel giorno, logorato da qualcosa che per lui è diventato un tabù. Sembra chiedere aiuto.
Chissà se si ricorda quel giorno, e chissà se si ricorda dove è finito il vecchio Danilo, perché io ne avevo bisogno più di qualsiasi altra cosa al mondo.
Poi noto una figura che pochi giorni fa speravo di essere, mentre Danilo la baciava nell’atrio della scuola e in chissà quali altri  posti, con chissà quanta gente intorno, indifferente a qualcosa che per me è inconcepibile. Errato. Impossibile.
Ha i vestiti un po’ ciancicati, i capelli in confusione ed il trucco sbafato. Mi allontano immediatamente da Danilo, e lo guardo. Ci vuole poco per leggerlo, ora che lo conosco come i palmi delle mie mani.
Poi sento qualcosa bagnare il mio viso, ed alzo gli occhi al cielo pensando sia ancora pioggia.
La sua mano asciuga quella lacrima, quell’unica lacrima che vuole scappare dai miei pensieri come io voglio scappare da questo posto, da questa vita, da questa gente.
E rimango qui, a guardare quella porta chiusa. Che ha chiuso a me, ma che in fondo ha chiuso a se stesso.

Nulla può salvarmi dalla mia autodistruzione. Ha decifrato il codice della mia personale bomba, ed ora le lancette rimbombano nella mia testa, monotone come una goccia d’acqua che logora la testa. I pensieri mi cadono addosso come un acquazzone, uno tsunami tutto mio, che si riversa e torna in risacca portando via con se quell’ultima cosa che mi era rimasta, dopo Beatrice.
Danilo.
   
 
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