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Autore: Ser Balzo    05/10/2012    3 recensioni
"Wolfgang lo ignorò. Non aveva alcuna voglia di arrendersi. Non aveva alcuna voglia di fare nulla. Voleva solo suonare. Suonare e basta."
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Il tenente colonnello Wolfgang Schlieben entrò nella casa, accompagnato dal cigolio della vecchia porta. In teoria non avrebbe dovuto essere lì. Il comando centrale aveva ordinato a tutte le truppe di ritirarsi nella città, e così avevano fatto i suoi uomini.

Lui era rimasto indietro. Aveva capito cosa fare quando l’aveva vista.

La sua vecchia casa, quella in cui abitava con Helen e i ragazzi prima che andassero via da Berlino. Prima che si trasferissero a Varsavia, appena conquistata dal glorioso esercito tedesco. Prima che lui andasse in Russia. Prima della neve, della fame, della morte che cavalcava per le vie di Stalingrado.

Prima della ritirata tallonati dagli infiniti e implacabili russi. Prima che sua moglie e i suoi figli venissero dilaniati da una bomba, in un attentato partigiano.

Wolfgang posò il berretto su un mobile all’ingresso. Era tutto come l’aveva lasciato. Non aveva venduto la casa: apparteneva alla sua famiglia da generazioni. Ci era cresciuto. E dalla sua porta era uscito per andare a iscriversi al partito.

Allora ero giovane e stupido.

Wolfgang si chiese se non avesse cominciato a disprezzare il nazionalsocialismo solo perchè la Germania stava perdendo la guerra. Probabile. Aveva fatto quello che aveva fatto, e basta. Non aveva voglia di trovarsi una scusa per essere un nazista.

Aveva visto troppa tristezza, troppa rabbia, troppa guerra. Aveva visto troppo. Ed ora era terribilmente stanco.

Si diresse al piano di sopra ed entrò in salotto. Gli stivali rimbombarono sul pavimento di legno.

Tutto era coperto da uno strato di polvere. La stanza era pervasa da un misto di abbandono e malinconia.

Ma fortunatamente, lui era ancora lì.

Wolfgang lo accarezzò. Il suo pianoforte.

Uno Steinbach a coda, di pregevole fattura: gli era costato moltissimo lasciarlo lì quando si era trasferito. Gli sembravano secoli fa.

Ma eccolo lì, in tutta la sua bellezza. Gli piaceva pensare che lo avesse aspettato per tutto questo tempo.

Si sedette sullo sgabello imbottito e accarezzò la tastiera. Il bianco dei tasti era quasi ingiallito, ma per Wolfgang non poteva esserci nulla di più bello. Li accarezzò con amore, poi ne premette uno.

Una nota riecheggiò nell’aria immobile, danzando fra il pulviscolo, pura e cristallina. Fece una piccola scala: lo strumento era ancora accordato. Un miracolo.

In quel momento una voce amplificata da un megafono fece irruzione nella stanza: un nervoso capitano lo informò in un tedesco stentato che la casa era circondata dai soldati dell’Armata Rossa, che ogni resistenza era inutile e che gli conveniva arrendersi, altrimenti avrebbero fatto saltare in aria la casa. A quanto pare dovevano averlo visto entrare.

Wolfgang sorrise. Per una volta dopo tanto, troppo tempo, sapeva cosa fare, e sapeva che era giusto farlo.

Mentre il russo ripeteva l’ultimatum, Wolfgang cominciò a suonare. Chopin, il preludio “gocce di pioggia”.

Ah, quanto lo adorava. L’aveva imparato a tredici anni, e non l’aveva più scordato.

Il russo s’interruppe, stupito da quella assai singolare risposta. Poi, ripresosi, diede un ultimo avvertimento.

Wolfgang lo ignorò. Non aveva alcuna voglia di arrendersi. Non aveva alcuna voglia di fare nulla. Voleva solo suonare. Suonare e basta.

Perchè la musica lavava via tutto lo schifo che gli era rimasto incagliato nell'anima.

I russi furono gentili, lo lasciarono finire. Forse tra loro c’era qualcuno che amava la buona musica.

Giunto alla fine, Wolfgang lasciò che l’ultima nota si spegnesse nel salotto polveroso. Una serenità incredibilmente potente si impossessò di lui.

Chiuse gli occhi ed espirò profondamente, mentre i cannoni russi facevano saltare in aria la sua amata casa, fondendolo in un’ardente, accecante fiammata con il suo amato pianoforte.

  
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