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Autore: None to Blame    07/10/2012    4 recensioni
« Tu sarai un grande re, Artù Pendragon, principe di Camelot. Hai dimostrato il tuo valore in numerose situazioni, ma la tua preparazione è ancora incompleta. »
Merlino aveva un pessimo presentimento.
« Dovrai affrontare delle prove.. »
Artù emise un gemito di disappunto.
« .. altre?? »
« .. prove che ti guideranno alla scoperta di te stesso e verso ciò che veramente conta. »

*
Come una giornata di caccia può dare una scossa al destino dei nostri eroi. Un incontro nel bosco, qualche profezia e la promessa di un impegno: Artù e Merlino si ritroveranno con dodici prove da portare a termine.
Tra paludi maledette, mostri, domande senza risposta e bellissime donne, un viaggio alla scoperta di quello che giace nascosto nell'animo dell'uomo e del valore del Re.
[pre-slash o slash velato]
Genere: Angst, Avventura, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna, Slash | Personaggi: Merlino, Principe Artù
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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CAPITOLO I


 

PRIMA PROVA: La cavalla di Ymmddiried



 

La notte era scesa su Camelot, scivolando tra le strade e le botteghe chiuse, inciampando sui merli delle mura, impigliandosi tra i rami del bosco. Un gelido alito di vento si muoveva tra le fronde, le foglie come un mare irrequieto immerso nell'oscurità.

Poco lontano, in una piccola zona ben protetta dai secolari guardiani di legno, un flebile fuoco si rifletteva su due lucide spade conficcate nel terreno, appoggiandosi con tutto il proprio calore a due figure avvolte in pesanti coltri. Le fiamme giocavano con i fili bianchi della barba del più vecchio, spiegandosi nelle rughe della sua pelle e nella sua cupa espressione, le sopracciglia aggrottate. Di fronte a lui, dormiva sereno un giovane, la pelle luminosa carezzata dal fuoco, labbra dischiuse ed i capelli dorati che gli ricadevano sulle guance. Un viso di una bellezza straordinaria.


 

« Alaìnn »


 

Il ragazzo strizzò le palpebre, aprendo faticosamente gli occhi. Due enormi zaffiri catturarono la luce della notte.

« Va tutto bene, padre? »

Il vecchio deglutì, grattandosi il mento.

« Se le cose non dovessero andare come previsto, non fare nulla di azzardato. »

« Aspetto questo giorno da anni, padre. Uther capirà. »

« Uther non si lascerà convincere. Promettimi che non prenderai alcuna iniziativa. »

« Ma.. »

« Promettimelo, Alaìnn »

Il giovane, che si era puntellato sui gomiti per guardare bene suo padre negli occhi, abbassò il capo in avanti, socchiudendo gli occhi.

« Non farò nulla di avventato. »

Si abbandonò sulla dura terra, voltando le spalle al padre.

Il vecchio poteva udire il sogno di suo figlio che si incrinava.

Ora tutto dipendeva solo da Uther Pendragon.


 


 


 


 


 


 


 

Il sole aveva fatto capolino dietro la finestra da quasi un'ora e Merlino si sentiva brioso e pieno di energie – come c'era da aspettarsi.

Trangugiò la sua colazione tanto velocemente che Gaius nemmeno si accorse che il figlioccio si era seduto a tavola e sparì dalla stanza prima che potesse augurargli una buona giornata.

Giovani” fu il commento del cerusico mentre puliva le stoviglie.

Mentre la corte ancora sonnecchiava, nelle cucine il lavoro era frenetico. Il mago, facendosi spazio tra le cuoche e gli aiutanti, riuscì a trovare qualcosa per il principe – un paio di uova e qualche pezzo di carne – e si dileguò prima che qualcuno notasse la salsiccia che stava rosicchiando golosamente.

Scartando un Sir Leon affamato da una parte ed una affaccendata Gwen dall'altra, riuscì a raggiungere le stanze del principe.

Artù ancora dormiva della grossa, spalmato poco signorilmente per tutta la larghezza del materasso, la bocca spalancata ed un rivolo di bava che inzuppava il cuscino.

Il giovane poggiò il vassoio e spalancò le tende, aprendo la finestra.

« È una splendida mattina, sire! »

Il principe mugugnò seccato e si tirò le lenzuola fin sopra la testa. Merlino, quindi, ai piedi del letto, tirò le coperte dalla parte opposta.

« Smettila immediatamente! »

« Dovete alzarvi! »

« Chi sei tu per dirmi cosa devo fare? »

Il mago tirò con più forza ed il principe rispose con egual vigore. Al momento giusto, Merlino mollò la presa e si godette l'espressione sgomenta di Artù, che perse l'equilibrio e cadde indietro, steso sul pavimento.

Il servitore si concesse una risata.

Qualcuno bussò alla porta ed entrò proprio mentre il principe si dirigeva rabbiosamente verso Merlino con un boccale d'argento come arma contundente. La guardia appena entrata si limitò a fissare la scena – Merlino riparato dietro una delle colonne del baldacchino ed il principe mezzo nudo che lo colpiva, i muscoli tesi nello sforzo – con aria impassibile.

« Sire, Vostro padre Vi attende nella sala del trono. »

I due riacquistarono un po' di contegno e la guardia si affrettò a motivare la convocazione del Re.

« Sono arrivati degli ospiti a Camelot, di nobile stirpe. Chiedono udienza al Re e alla Corte. »

« Chi sono? »

« Il Conte Dùr e suo figlio, sire. »

Artù reagì con perplessità e congedò la guardia.

Merlino, certo del fatto che non corresse più pericoli, uscì dal nascondiglio ed aprì l'armadio, cercando le vesti adatte.

« Chi è questo Dùr? »

« Un nobile decaduto con un misero territorio a nord e non abbastanza soldi per gestirlo. »

« Chiederà un aiuto economico a Uther? »

« Probabile. Mio padre glielo negherà. Non c'è motivo per cui debba fare elemosina a qualcuno di così poco influente nel campo politico. »

« Sarebbe comunque una buona azione e il Re potrebbe acquistarne prestigio. »

« Non è sul prestigio che si fondano i regni, Merlino, ma sulle alleanze. Dùr non ha che un magro esercito con pezzi d'antiquariato come armamenti. Inoltre- ahi! »

Merlino stava avendo delle difficoltà con i lacci della blusa ed i peli del petto del suo padrone.

« Scusate, sire. Però davvero gli fareste questo torto? »

Artù sbuffò e si liberò delle incapaci mani del servitore, provvedendo egli stesso a legarsi la camicia – non riuscì meglio del mago, ma almeno sapeva come non procurarsi inutili dolori.

« È una decisione che dovrà prendere il Re. »

E con questo, Merlino comprese che il discorso era chiuso.

Provvide a fornire al principe gli stivali e lo seguì mentre usciva dalla stanza.


 


 


 


 


 

Uther Pendragon splendeva d'opulenza sul suo trono mentre ascoltava svogliatamente le parole di quella figura rattrappita e lercia china dinanzi a lui, le mani sporche e la chioma incolta. Dietro al Conte, in ginocchio e con la fronte sul freddo marmo del pavimento, stava suo figlio, i capelli dorati come leggeri fili d'oro.

« .. ed abbiamo passato la notte nella foresta, prima di ricevere udienza da Voi, Maestà. »

« E quale motivo vi ha spinti ad affrontare un simile viaggio? »

Dùr inspirò, prima di rispondere.

« Vostra Altezza, Voi sapete che la mia è una contea povera. Le guerre pregresse ci hanno prosciugato di ogni bene e ricchezza ed a stento riesco a mantenere l'esercito. La mia attuale condizione non mi permette neanche di viaggiare al sicuro con delle guardie. »

Fece una pausa, pesando bene le parole.

« Il problema è mio figlio, Alaìnn. »

Il nominato sollevò la testa, contrariato, ma un cenno del padre lo calmò.

« Un grande male lo accompagna fin dalla nascita: la bellezza. E, sapete, la bellezza porta con sé anche la superbia. Egli, seppur apprezzato e desiderato da molte, non ha mai ritenuto alcuna dama degna di fargli da consorte. Invano ho organizzato incontri con le giovani di nobile stirpe delle terre vicine, Alaìnn le disdegna tutte. Costringerlo non posso, ché è l'unico affetto che mi resta, ma voi sapete bene quanto un matrimonio è importante. Una buona unione avrebbe portato denaro, sicurezza e solidità e tanta speranza per il popolo. Ma mio figlio non intende sposarsi.. »

Uther sentì il bisogno di intervenire.

« Se vostro figlio non vuole, dovrete farlo sposare contro la sua volontà. Il bene del regno viene prima di ogni altra cosa e se voi avete trovato una donna bella, aggraziata e conveniente, allora lui non potrà che accettare. »

« Voi non capite, sire. Egli è innamorato di un'altra. »

Il Re ridacchiò, compatendo quell'umile nobile.

« Una popolana, vero? Non c'è spazio per l'amore nella politica. È ora che il ragazzo lo capisca. »

« Lei è una principessa. »

Uther fissava perplesso il suo ospite.

« Qual è il problema, dunque? »

Il Conte inspirò e chiuse gli occhi.

« È Cairde, la figlia di Ymddiried. »

Un mormorio si diffuse fra gli astanti. Quel nome popolava molte leggende, quelle che narravano di regni caduti in disgrazia, di follie umane e maledizioni, le storie che i genitori non raccontavano ai figli.

Il Re guardò Gaius, facendogli cenno di ovviare ad ogni suo dubbio – non ricordava la storia di quelle terre.

Il medico avanzò di qualche passo con aria greve.

« Si narrano molte storie sul Re Ymddiried. Il suo castello sorge sul Llyn Gywilydd, il Lago della Vergogna, e nessuno vi entra ormai da decenni. Ai tempi d'oro, Saibhir era una città di grandi fortune ed opportunità, invidiata da molti.. »

Il Re tagliò corto.

« Sì, me lo ricordo, Gaius. Continua. »

« Ymddiried aveva preso come moglie una giovane sarta, contro il volere di chiunque, a corte. Un anno dopo, la donna mise al mondo una bellissima bambina, Pella. La sorte della regina, però, fu misera: venne giustiziata per adulterio. Il Re, distrutto per il tradimento, lasciò marcire il regno. La sua sola fonte di gioia era Pella, che diventava sempre più graziosa. Lui, però, iniziava a manifestare i sintomi di una qualche deformazione mentale: parlava con le colonne del castello, si graffiava le gambe con utensili da cucina e riceveva ospiti completamente svestito. »

Gaius fece una pausa. Arrivava al punto più orrido del racconto – quello che molti cantastorie omettevano.

« Un giorno, il Re, in un attimo di maggiore insania, si.. beh, suppongo si confuse. La sua mente era offuscata dalla pazzia e.. »

Uther lo richiamò all'ordine.

« Gaius, arriva al punto. »

« Ymddiried si accoppiò con sua figlia. »

La folla sussurrò parole di sdegno, Morgana si portò una mano alla bocca e Gwen sobbalzò scandalizzata, mentre Artù e Merlino sospirarono abbassando il capo. Dùr e Alaìnn, che conoscevano la vicenda, si limitarono ad annuire. Uther aveva sperato di ricordare male quella storia, ma invano.

Gaius continuò.

« Dalla loro unione nacque un'altra fanciulla, figlia di suo nonno e sua sorella. Non c'è bisogno che vi dica che ciò portò scompiglio nel popolo e nella corte. Quella bambina, frutto incestuoso, non poteva sopravvivere, né potevano restare impuniti i due sciagurati genitori. Pella, che non poteva più sopportare gli sguardi e i sussurri della gente, si tolse la vita. Qualcuno mandò a chiamare uno stregone perché punisse il Re e purificasse la bambina delle sue origini. Quello che accadde, però, fu che il mago lanciò una maledizione sul Re, ma che essa rimbalzò sulla figlia, che si trasformò in una puledra. Il regno cadde in miseria ed il popolo si spostò in terre vicine, chiedendo asilo ad altri sovrani. Ymddiried fu costretto a guardare la rovina del regno e della sua famiglia. »

Uther sospirò, lasciandosi cadere sul trono. Molti sovrani prendevano la storia di quel re come monito, esempio da non seguire. Mai lasciarsi prendere dalla pazzia, mai cedere all'irrazionalità.

Dùr annuì al cerusico.

« Siete stato davvero esaustivo. Non avrei saputo esprimermi meglio. »

Uther parve riprendersi.

« Fatemi capire, Dùr. Vostro figlio si è innamorato di una giumenta? »

« Oh, no, sire. Sono accadute altre cose dal tempo della maledizione dello stregone. Il Re, distrutto, cercò in lungo e in largo qualcuno che potesse annullare il maleficio, ma, dopo anni di ricerche, trovò un solo rimedio fornitogli dalle driadi: un unguento speciale. Spalmando l'animale con quella lozione, Cairde avrebbe ripreso le sue sembianze umane per un intera giornata. È stato mentre lei era sotto l'effetto di tale pozione che mio figlio l'ha notata. Era in missione in terre lontane ed ha potuto vedere quella bellezza, innamorandosene perdutamente. Da allora, non va che dichiarando che la sola che egli potrà sposare è Cairde. »

« È figlia di uno scandalo. »

« È figlia della sventura, sire. Ed è figlia di un re abbastanza ricco ed influente. E per Alaìnn è la felicità. »

Il Re scrutò sospettoso l'ospite. Aveva capito dove voleva andare a parare, ma non gli concesse la possibilità di esporre la questione.

« Qualunque cosa vogliate chiedermi, Dùr, non posso concedervela. Ymddiried si è macchiato due volte: quando ha ceduto alla passione dell'insania e quando ha chiesto aiuto alla stregoneria. Per rispetto alle leggi di Camelot, non posso in alcun modo aiutarvi. »

Artù si sentì in dovere di ribattere.

« Padre, non c'è nulla di disonorevole nel concedere aiuto a chi lo chiede. O, almeno, sta' a sentire cosa vuole! »

« La questione è chiusa, Artù. Conte Dur, Alaìnn, posso solo fornirvi di viveri per il viaggio e sarò felice di aiutarvi economicamente – entro certi limiti – ma non c'è altro che possa fare. »

Congedò gli ospiti con un cenno, ordinando alle guardie di scortarli nelle migliori stanze delle quali si potesse disporre. Mentre tutti uscivano, Merlino rimase ad assistere al vivace diverbio tra Artù e suo padre.

« Non vedo perché tu voglia aiutarli. Non ci guadagneremmo niente. »

« Non sai nemmeno cosa volevano! »

Uther perse la pazienza.

« Volevano la ragazza! Dùr sa che non avrebbe potuto mandare il suo prezioso figlio a prelevarla nelle lontane Terre dell'Est, né tanto meno ad affrontare i pericoli del castello! »

« Ma di quali pericoli parli! È un castello! »

« Credi forse che Ymddiried lascerebbe sua figlia alla mercé di chicchessia? C'è qualcosa a guardia di quella ragazza, qualcosa che ha portato alla morte qualunque pretendente! Dùr era qui per chiedere un aiuto fisico: un cavaliere da mandare in missione. E non ho intenzione di perdere uomini per queste sciocchezze. La questione è chiusa. »

Artù fece per ribattere, ma lo sguardo del padre non ammetteva repliche.

Uscì dalla sala, seguito a ruota dal giovane mago.

Il principe procedeva a passo spedito per i corridoi, senza dire una parola, e Merlino, stupito da quel comportamento fuori dal comune, a stento riusciva a stargli dietro. Si fermarono davanti alla porta di una delle stanze del secondo piano – il servitore non era mai stato in quell'ala del castello.

Artù bussò alla porta ed entrò senza attendere una risposta.

Era la sala che Uther aveva destinato ad ospitare il conte e suo figlio.

« Principe! Cosa.. »

« Vi aiuterò. »

Il cuore di Merlino perse un battito.

« COSA? »

L'espressione di Dùr tradì un'immensa sorpresa. Alaìnn andò incontro ad Artù, stringendogli le mani, il bel viso illuminato dalla gioia.

« Artù Pendragon, vi sarò per sempre debitore. Come avete convinto vostro padre? »

« Non l'ho fatto. Lui è convinto che voi siate qui per cercare qualcuno da mandare a Saibhir. »

« È quello che speriamo, infatti. Mio padre ha paura di mandarmi da solo, perché non sono un abile combattente e teme per la mia vita. »

Dùr annuì, come se avessero fatto quel discorso decine di volte.

« Se non sarà il guardiano di Cairde ad ucciderti, saranno il viaggio ed i banditi. »

Artù si avvicinò al vecchio, che appariva stanco, seduto sul letto.

« Io, invece, posso cavarmela. Sono il migliore cavaliere di Camelot e.. »

« Non vi servirà la spada contro Shìl. »

Merlino si voltò a guardare Alaìnn.

« Che intendete? Chi è Shìl? »

Il ragazzo si grattò la nuca.

« È l'indovino che Ymddiried ha posto a guardia di Cairde. »

Artù scoppiò a ridere.

« Un indovino! Sarà una bazzecola.. »

« No, affatto! Egli sottopone ogni pretendente ad una prova d'astuzia o di saggezza. Sbaglia la domanda e finirai in pasto ai pipistrelli. Non è facile. Molti hanno tentato e nessuno ci è riuscito. Si dice che dopo la domanda di Shìl vi siano altre prove da affrontare, ma nessuno ha mai superato il blocco dell'indovino. »

Il mago deglutì e pensò che, in qualche modo, doveva convincere Artù a rinunciare. Aveva già in mente un bel discorsetto, quando il principe accettò con gioia e, congedandosi dagli ospiti, trascinò il servitore fuori dalla stanza.

Merlino riuscì a liberarsi della stretta di Artù e, all'altezza delle stanze del principe, gli gridò sbigottito.

« Che vi è venuto in mente?? »

« Sstt! Sta' zitto, Merlino! »

« Andrete a morire per “una buona azione”?? »

Il principe gli fece ancora cenno di tacere e lo spinse dietro la porta.

« Merlino, mi sorprendi. Di solito sei tu a farmi notare queste cose. »

« Ma che.. »

« Questa è la prima prova. »

Il mago tacque, fissando il padrone con un'aria che man mano diventava sempre più distesa.

« Pensavo avessimo convenuto col fatto che era un'allucinazione. »

Artù alzò le spalle e si diresse verso la finestra.

« Il Piccolo Canuto aveva detto che avrei trovato le prove ad attendermi sul mio cammino. E, comunque, anche se non fosse vero, non potrei ignorare una richiesta d'aiuto. »

« Ma se stamani dicevate che sarebbe stato inutile aiutare Dùr! »

« Era una situazione diversa, si parlava di dargli dei soldi. Invece questo è un atto da cavaliere e, in quanto cavaliere, devo portarlo a termine. »

Merlino si spalmò la mano sulla faccia. Aveva un brutto presentimento.

Stava per replicare, ma notò lo sguardo luminoso di Artù, perso al di là del vetro, pieno di promesse e di sfide – scoprire i propri limiti, conoscere il valore di un Re e sbirciare il futuro dell'uomo.

Ed il mago si arrese alle sue stesse debolezze.

« Preparo i cavalli »

« Tu non devi venire »

« Scherzate? E come pensate di cavarvela? »

Il principe gli sorrise. Il Destino chiamava entrambi.


 


 


 


 


 


 


 


 


 

« Questi fagioli sono ottimi. »

« Grazie, sire. »

Alla luce di un fuocherello, Artù e Merlino mangiavano da scodelle fumanti, mentre fruscii poco amichevoli si rincorrevano al buio.

Erano in viaggio da due giorni. Merlino, dopo una lunga discussione, era riuscito a convincere Gaius a snocciolare ogni dettaglio su Ymddiried e su quello che li attendeva. In biblioteca, spulciando polverosi volumi, aveva trovato una mappa – sbiadita, ma ancora leggibile. Saibhir si trovava ad est, nella valle di Llais, fra il Llyn Gywilydd ed il Gosod, uno dei monti più imponenti della zona. Cinque giorni di galoppo ininterrotto sarebbero stati sufficienti. Avrebbero attraversato, però, luoghi impervii e ricchi di pericoli – avevano già affrontato due bande di briganti. Tuttavia, la risolutezza forniva loro uno scudo più impenetrabile del ferro.

A detta di Gaius, non c'era modo di aggirare Shìl, né con la violenza né con la magia. Bisognava rispondere correttamente alla domanda.


 

« Ma che genere di domande pone? »

« Dipende da chi gli sta dinanzi. In genere, anche se la domanda è banale, c'è sempre un significato nascosto. Fa' attenzione, quindi. »

« E dopo? »

« Non so aiutarti, Merlino. Davvero non so aiutarti. »


 

Il mago era tanto irrequieto da aver trascorso quasi in totale silenzio le due giornate di viaggio. Artù, però, comprendendo lo stato d'animo del servo, non se la sentì di rigirare il coltello nella piaga e decise di lasciarlo stare. Non era stato lui ad imporgli di seguirlo, ma avrebbe dovuto prevedere che Merlino si sarebbe offerto.

« Puoi ancora tornare indietro. Non devi seguirmi fino alla fine. »

Il mago recuperò le scodelle e si diede da fare per pulirle.

« No, non devo. »

Artù si lasciò sfuggire un caldo sorrido. Quel ragazzetto pelle e ossa era qualcosa di sorprendente.

E di incredibilmente prezioso.


 


 


 


 


 


 


 


 

Uther Pendragon camminava avanti e indietro davanti al suo scranno, livido di rabbia.

Il Conte Dùr e Alaìnn, in ginocchio davanti a lui, si profondevano in scuse e difese.

« Ha acconsentito da solo a partire! L'abbiamo anche informato di ogni pericolo.. »

« Mio figlio non si lancerebbe in imprese sciocche e suicide! »

Afferrò la giubba di Dùr, sollevandolo all'altezza dei suoi occhi, il volto iracondo e potenzialmente vendicativo.

« Se gli accade qualcosa, Conte, vi giuro che avrò le vostre teste. »

Alaìnn ebbe un secondo motivo per sperare nella buona riuscita dell'impresa.


 


 


 


 


 


 


 


 

Gaius si era sbagliato. Ci erano voluti sei giorni di cammino per arrivare nella valle di Llais.

Man mano che si addentravano nelle terre che un tempo erano sotto il controllo di Ymddiried, più rada si faceva la vegetazione e la fauna, al punto che l'ultimo giorno, finiti i viveri di scorta, avevano cenato con solo qualche fungo - « Ma che roba è? » « Funghi. E fareste bene a farveli piacere o resterete digiuno » « Sempre meglio del ratto » .

Il terreno era freddo e morto, gli alberi spenti e non un uccello cantava. Persino i loro cavalli percepivano che nella natura di quei luoghi c'era qualcosa di sbagliato.

Quella mattina, dopo sole due ore di marcia, avevano iniziato a scorgere un'enorme distesa d'acqua, che pareva contenuta nella valle come un catino contiene l'acqua del bagno.

« Quello dev'essere il lago della Vergogna »

« Sproniamo i cavalli. Dobbiamo arrivarci in meno di un'ora. »

Quando arrivarono sulle sponde del lago, notarono, sotto un'imponente montagna, che chiudeva il lago da una parte – il Gosod – un grandioso castello nero.

La reggia di Ymddiried era letteralmente incastonata nella roccia. Il suo fianco sinistro era scavato nella montagna al punto che ci si poteva chiedere se il castello fosse parte della montagna o la montagna del castello.

« Ha un che di inquietante, non trovate? »

« Io trovo che tu sia troppo timoroso. Trova, invece, un modo per attraversare il lago. Non è possibile aggirarlo. »

Merlino non riuscì a rilevare la presenza di imbarcazioni o qualcosa che potesse sostituirle.

« Temo che dovremo attraversarlo a nuoto. »

L'occhiata che il principe gli lanciò fu impagabile. Il mago si schermò con l'evidenza.

« Non possiamo starcene qui, no? Dovremmo impiegarci poco, sire. Non temete. »

Il principe non poté far altro che arrendersi ai fatti.

Smontò da cavallo ed iniziò a liberarsi di ogni peso inutile – armatura, cotta, mantello..

« Fareste bene a lasciare qui anche la spada. »

« Devi star scherzando. Come pensi che affronteremo quello che ci attende? »

« Si tratta di una prova d'intelligenza e arguzia, perciò non ci servono lame con cui fare a pezzi qualcuno. »

Ma Artù non volle sentir ragioni. L'avrebbe portata sopra la testa con una mano, mentre l'altro braccio l'usava per nuotare.

Fu meno complicato del previsto. Le acque, immobili come la morte, avevano i fondali bassi, perciò non dovettero faticare molto per raggiungere la riva opposta.

Il primo a potersi concedere il piacere di toccare la terraferma e di riposarsi fu, ovviamente, il principe. Si abbandonò sull'erba e tentò di controllare il respiro, gli occhi chiusi ed il cuore impazzito. Pochi minuti dopo, fu affiancato da Merlino, distrutto e quanto mai incline ad addormentarsi e non svegliarsi mai più.

Artù spalancò le palpebre, il senso del dovere che gli infondeva nuovo vigore e si ritrovò di fronte al più insolito spettacolo della sua vita.

Se da lontano il castello era sembrato particolare, da vicino pareva quasi incredibile. Si aveva l'impressione che la montagna l'inglobasse nelle sue spire, ma ciò che più strabiliava erano i flebili bagliori che il sole creava sbattendo contro le mura. Il materiale col quale era stato costruito il castello sembrava cristallo nero.

« Onice »

Merlino si era ripreso e guardava nella stessa direzione di Artù, abbagliato dallo splendore di quella costruzione.

« Onice? »

« Sì, onice nero, un tipo di minerale. »

« Ed è saggio costruirci un castello? »

« Ne è solo ricoperto. Guardate là » indicò un punto in cui l'onice crepato lasciava intravedere un altro materiale « Pietra sotto e un sottile strato di onice sopra. Sapete, per l'estetica. »

« Effettivamente, dà un'impressione particolare. »

Il mago si ravvivò i capelli, bagnati e appiccicati alla testa.

« Beh, entriamo? »

Artù lo guardò con l'espressione “Secondo te, chi comanda qui?” – espressione che Merlino ignorò mentre precedeva il principe e raggiungeva l'immensa porta – nera, anch'essa, come l'intero edificio.

Data la mancanza di guardie o qualunque altra persona potesse annunciare il loro arrivo e farli entrare, i due dapprima picchiettarono le nocche contro il legno – operazione inutile, nemmeno loro udirono un rumore – e poi iniziarono a spingere, a cercare un modo per spalancare quelle mastodontiche fette di legno.

Dopo circa venti minuti, Merlino si era arreso e lanciava occhiate nei dintorni nella speranza di trovare una qualche entrata secondaria.

« Merlino, spingi anche tu! »

« È inutile, questa porta non si aprirà. »

« Se non ti dai da fare, ci scommetto che non si apre! »

Sulla nuca del mago si espanse un fastidioso formicolio e la sua attenzione fu come calamitata da un'insenatura nella roccia, sul fianco del castello che penetrava la montagna.

« Artù »

Il principe era paonazzo, la bocca storta in smorfie di concentrazione e tutto il corpo volto a spingere contro una porta che non si sarebbe aperta.

« Artù! »

Infine, si accasciò al suolo, sfinito per lo sforzo. Annaspando, si arrese al servitore.

« Non si apre »

« L'entrata è là »

Merlino indicò la fessura che il brivido sulla schiena gli aveva suggerito – magia.

« Come fai a saperlo? »

« Possiamo sempre provarci »

Artù si ricompose e, lisciandosi la giubba ancora umida, precedette il servitore, rifilandogli un'occhiata sospettosa.

Più si avvicinavano, più Merlino percepiva la presenza prepotente di un qualcosa di malefico, una sensazione minacciosa che permeava l'aria. Se l'era aspettato – si trattava, in fondo, di un castello che conteneva una maledizione – ma sentirlo sulla propria pelle gli faceva venir voglia di scappare via, lontano da quel luogo.

La fenditura era abbastanza larga da permettere il comodo passaggio di un uomo, ma si presentava fredda e priva di luce.

« Ci servirà una torcia »

« Non ne abbiamo »

« Ricordo perfettamente di averti visto.. »

« .. agganciare una torcia alle selle, che al momento si trovano sui cavalli che abbiamo lasciato dall'altra parte del lago. »

Artù spalancò la bocca, come per dire qualcosa, ma si accorse che non c'era alcun commento da fare, quindi si voltò e penetrò nell'ombra.

Avanzando nel buio, persero la cognizione del tempo – camminarono per quanto? Molte ore? Giorni? - calpestandosi i piedi a vicenda e tastando continuamente la fredda pietra.

« Merlino, se crepiamo qui dentro giuro che ti ammazzo. »

« State già perdendo le speranze? »

Artù non aveva perso né speranza né determinazione, ma la situazione gli infondeva un'inquietudine tale da offuscargli la ragione. Merlino, dal canto suo, si sentiva oppresso, al punto che stentava a respirare. Tuttavia, per il bene della missione – e del suo Principe – procedeva con una ferrea forza d'animo.

« Una luce! »

Come il grido di un naufrago tra i flutti, il luminoso puntolino che gli occhi scorgevano in lontananza restituì ai loro cuori qualunque vigore avessero perduto durante il tragitto.

Camminarono sempre più velocemente, senza accorgersi di star correndo. La promessa di una via d'uscita si faceva sempre più vicina e vi arrivarono lasciandosi sfuggire un gran sospiro. La luce li investì in pieno, ma ciò che i due sentirono fu solo una calda sensazione di sollievo.

Almeno finché non aprirono gli occhi.

Quando Merlino socchiuse le palpebre, permettendo alla vista di abituarsi alla luce, comprese d'istinto la fonte di quel sentore d'oppressione che l'aveva accompagnato da quando aveva toccato la riva del lago.

Erano sbucati in un'enorme cavità nella montagna, una grotta illuminata da innumerevoli torce, calda e accogliente – ma insostenibilmente pesante. Su una roccia, sedeva – come se quello fosse il suo scranno abituale – un vecchio con una logora tunica che doveva esser stata verde, la barba grigia tanto lunga da sfiorargli le caviglie e non un capello sulla lucida testa. Il volto era accartocciato e spiegazzato, sembrava recare segni di tempi antichi e dimenticati – o non ancora avvenuti. Aveva le mani abbandonate in grembo e fissava gli intrusi con occhi neri come pece e vivi, incandescenti al fuoco delle fiammelle, per niente sorpreso di trovarseli dinanzi, in una caverna dimenticata dal sole e dall'uomo.

« Vi aspettavo »

Artù si ricompose e, sbigottito, fissò il vecchio.

« Tu sei Shìl? »

Il vecchio annuì lentamente, lisciandosi la barba. Inclinò la testa verso Merlino, scrutandolo con sospetto.

« Tu puoi andartene »

Il mago scosse la testa e l'indovino abbassò le palpebre, scrollando le spalle. Ogni suo movimento sembrava diluito nel tempo, come se non avesse mai avuto fretta o come se non desse peso all'inesorabile ciclo della vita.

« Come preferisci »

Si voltò con straordinaria lentezza verso il principe, inspirando profondamente.

« Tu, figlio del Paradosso e del Rancore »

La perplessità sul volto di Artù era evidente, ma il principe ebbe il buonsenso di non rispondergli a tono.

« Hai superato la prima prova »

« Quale prova? »

« Il Passo del Giusto non ti ha indebolito e ciò predispone a tuo favore »

Merlino si guardò alle spalle, fissando il corridoio dal quale erano appena usciti.

« Intendi questo? È questo il Passo del Giusto? »

Shìl annuì.

« Sei pronto per la prossima prova? »

Artù avanzò di un passo, sollevando il capo. Non era una battaglia, non un duello, ma la tecnica era la stessa – studia l'avversario, isolati dal resto, sii insensibile al dolore e alle distrazioni, pensa solo all'attacco, vigile per la difesa, mente sgombra, niente paura.

« Sono pronto »

Sotto il folto crine, sul volto dell'indovino si poteva scorgere un sorrisetto.

« Ho una domanda per te »

Merlino non era un guerriero e sapeva che Artù non avrebbe potuto gestire una simile situazione. Solo chi rispondeva in maniera errata alla domanda veniva punito – la testimonianza erano i tanti scudieri sopravvissuti ai cavalieri che accompagnavano e dei quali narravano la terribile disgrazia.

Anche stavolta, lui l'avrebbe protetto. Era ciò che doveva fare.

« Se un uomo viene ucciso, a chi dai la colpa: alla spada che l'ha trafitto, al fabbro che l'ha forgiata o all'uomo che l'ha impugnata? »

Per un momento, i due si sentirono spiazzati. Il mago fissava l'indovino con sospetto. Gaius gli aveva raccomandato di non fidarsi delle domande banali. Cosa c'era dietro?

Il sollievo di Artù, invece, era evidente. Diede la risposta prima che Merlino potesse intervenire.

« All'uomo »

Shìl chinò la testa in avanti, con disappunto, e serrò le palpebre.

Sollevò un mano di scatto – movimento veloce, considerata la sua lentezza durante il colloquio – e fece un cenno. Dall'alto, una nube di pipistrelli calò svolazzando, fermandosi a poche spanne sopra di loro, una minaccia incombente.

« Hai sbagliato, giovane cieco, e perderai la vita »

Artù portò la mano all'elsa dell'arma, cercando di difendersi.

« Come potrei aver.. È l'uomo che uccide l'altro uomo! »

« Sei sopravvissuto al Passo del Giusto, conservando ogni tua abilità, ma in te non c'è giustizia, solo un'idiozia cieca. »

« Perché dici che ho sbagliato? »

« Non io. Tu dici che hai sbagliato. »

Il principe rimase senza parole. Non capiva, pensava che fosse un trucco. Merlino si frappose fra il vecchio ed il padrone.

« Shìl, concedigli una seconda possibilità. »

L'indovino lo fissò.

« Egli perpetuerà nell'errore finché qualcuno non gli sfilerà la benda che lo rende cieco e lo monderà dei suoi peccati originali, le sue origini che ne hanno forgiato la personalità. Egli è figlio del Rancore e del Paradosso. E mai sarà Re se non comprenderà ciò che la verità cela. »

Merlino, investito da quel fiume di parole e confuso dallo stridere dei pipistrelli, non ne comprese il senso. Era preoccupato e determinato a salvare Artù – Artù che aveva ben udito il discorso dell'indovino.

« D'accordo, allora risponderò io! »

Gli animali sparirono nell'oscurità della caverna ed il vecchio riprese il suo contegno misterioso e vetusto.

« Molto bene. Ma se sbagli, morirete entrambi. »

Il principe parve ridestarsi e prese il servitore per le spalle.

« È una questione che non ti riguarda, Merlino. Non voglio che paghi per i miei fallimenti. »

Il ragazzo gli rifilò il consueto sorriso luminoso.

« Forse non avete capito bene qual è il mio ruolo. Ora, lasciatemi lavorare. »

Artù si impose di avere fiducia in quello scricciolo buono a nulla. Arretrò di qualche passo e rimase in osservazione, col cuore in gola ed un opprimente senso di colpa che gli bruciava nel petto.

« La domanda è la stessa, Signore del Fato. »

La voce di Shìl risuonò cupa.

« Se un uomo viene ucciso, a chi dai la colpa: alla spada che l'ha trafitto, al fabbro che l'ha forgiata o all'uomo che l'ha impugnata? »

Merlino inspirò profondamente, si riempì i polmoni di determinazione e chiuse gli occhi. Sentiva la presenza di Artù alle sue spalle, percepiva la fede che riponeva in lui.

« All'uomo »

Il principe emise un gemito di sbigottimento. Stava quasi per inveire contro il servitore, ma si interruppe quando lanciò un'occhiata all'indovino.

Il suo volto rattrappito era sorridente.

« Hai dimostrato saggezza, Padre della Speranza, e guiderai il tuo Re verso strade di giustizia ed equità. »

Merlino chinò la testa con riverenza. Artù era ancora senza parole. Si limitò a fissare il vecchio mentre indicava una porta alle sue spalle – nessuno l'aveva notata.

« La principessa Cairde è spesso infelice. La solitudine è la sua maledizione. Portatela in salvo. Ymddiried vi darà l'unguento che ella necessita e tanto oro quanto ne abbisogna il vostro desiderio. Quella è l'entrata del castello. Il Re vi sta aspettando. »

Con infinita flemma, Shìl si alzò dal suo sedile di pietra e si avvicinò ad Artù. Il principe, aria stupita dipinta in viso, fece per allontanarsi, ma lo sguardo caldo del vecchio glielo impedì. L'indovino si fermò a pochi palmi da lui. Gli poggiò una mano raggrinzita sulla fronte, il pollice sulla punta del naso.

« Che il coraggio non diventi imprudenza, che la saggezza non si tramuti in codardia, che l'amore cancelli il rancore e che la lealtà illumini il tuo cuore. »

Le dita scesero ed andarono a posarsi sul suo petto.

« Che tu diventi un luogo vuoto in cui ogni speranza possa prendere corpo. Sii forte e sii debole, scaltro e stolto. Che tu sia la luce e l'ombra, due facce della medaglia. Ricorda che il tuo futuro è narrato tra le vicende dei Grandi. E grande sarà il tuo Destino. »

Shìl chiuse le palpebre.

« Y gallech fod gobaith »

Artù scrutò il vecchio, senza reagire. Poteva essere magia, poteva essere una preghiera. D'un tratto, si accorse che non gli importava.

L'indovino riaprì gli occhi e sorrise ad Artù. Lanciando un'ultima occhiata a Merlino, tornò a sedersi sul suo scranno roccioso, facendo cenno ai due di proseguire per la loro strada.

Con passo malfermo, Merlino ed Artù raggiunsero la porta – un'anonima porta marrone con una maniglia in ottone – e l'aprirono. Prima di richiuderla osservarono per un'ultima volta Shìl, che dava loro le spalle, la testa inclinata in avanti, la figura fragile.

Valicarono l'uscio e si richiusero la porta alle spalle con un sospiro.

Dopo aver trascorso tanto tempo nella caverna, furono abbagliati dalla salubre atmosfera di quella che, a tutti gli effetti, sembrava una ricca sala del castello.

C'era oro ovunque, incastonato nelle colonne, splendeva sul corrimano delle scale, arricchiva il prezioso trono al centro della sala.

Merlino respirò profondamente e fu felice di constatare che l'essenza dell'indovino non lo opprimeva più.

« Ci siamo, eh? »

Artù si guardava intorno un po' spaesato.

« Qui non c'è nessuno »

« Non ci aspettavamo mica di trovarci qualcuno. Dobbiamo cercarli. »

Un improvviso scalpiccio li fece sobbalzare.

Dalla sommità della scalinata, scendeva un magnifico cavallo. Aveva il manto candido come neve, lucido e puro e la coda e la criniera, soffici e lucenti, avevano il colore dell'oro. Scese i gradini agilmente, fermandosi di fronte ad Artù. Gli occhi dell'animale, chiari ed espressivi, si conficcarono nel volto del principe. La giumenta gli sfiorò col muso la spalla e lui lanciò uno sguardo d'aiuto al servitore. Merlino alzò le spalle.

« Shìl diceva che il Re ci avrebbe dato.. »

« ..l'Unguento delle Driadi, che permette a Cairde di riacquistare la sua forma umana. »

La voce proveniva da dietro una delle colonne.

Era Ymddiried, un volto ancora giovane e lo sguardo pieno di dolore. I due ospiti si ricomposero e provvidero ad inchinarsi dinanzi al sovrano, ma furono invitati a rialzarsi.

« Non voglio cerimonie. Non sono più Re da tanto tempo. »

« Voi siete ancora il padrone di queste terre. »

« Ma non ho un popolo. Svanito nel nulla, colpito dalla mia stessa follia. E mia figlia.. »

Si avvicinò al cavallo, sfiorandone il collo.

« ..lei soffre con me, in solitudine. Coloro che l'avvicinano restano intrappolati nella maledizione. Lo stesso Shìl - che molti credono erroneamente al mio servizio - è parte del maleficio che ci pesa sulle spalle. Io non posso fuggire, ma Cairde merita una nuova vita. »

Sospirò, estraendo dalla tasca un vasetto in vetro.

« Voi siete stati gli unici che hanno potuto aggirare la maledizione. E voi siete gli unici col potere di strappare mia figlia da questa condanna immeritata. Tenete » porse ad Artù il contenitore « spalmate con quest'unguento il suo muso. Lei riacquisterà la sua forma umana per un intero giorno. Esso ha la proprietà di non esaurirsi mai, se non lo usate più di sette volte ogni ciclo lunare. Vi consegno mia figlia, la principessa Cairde, e la sua dote. »

Artù prese l'unguento e provvide a chiarificare alcuni punti.

« Non sono io che chiedo vostra figlia. È un giovane conte di nome Alaìnn, nobile ma inadatto a certe missioni. »

« Egli ama mia figlia? »

« Più di se stesso. »

« Allora gliela cedo con piacere. Che questo Alaìnn tratti Cairde con rispetto. »

Artù si inchinò.

« Un'ultima cosa, Artù Pendragon. Abbandonate i vostri cavalli lì dove li avete lasciati. Servitevi di Cairde per tornare a Camelot. »

« Non potrei mai. Sarebbe un insulto.. »

« Ella è frutto di magia – magia oscura, certo, ma sempre magia. Percorre molte leghe in pochi istanti. Prima di sera, sarete a casa. »

Il principe ed il servitore accettarono e si inchinarono, mentre il sovrano accarezzava per un'ultima volta la figlia, le metteva attorno al collo una borsa ricolma di preziosi e spariva dietro una delle colonne.

I due si ricomposero e si lanciarono un'occhiata. Erano indecisi su come salire in groppa al cavallo – e non volevano caricarla troppo, insomma, era una donna! – ma Cairde pensò loro di sollevarli da questo peso. Si chinò in avanti le zampe anteriori piegate in modo da agevolare la monta. Artù salì per primo ed aiutò Merlino a posizionarsi dietro. Senza sella né briglie, il cavallo partì al galoppo, le porte del castello che si aprirono autonomamente e le zampe della giumenta, forti e magiche, che si muovevano sulla superficie del lago come su del terreno.

Nonostante l'evidente imbarazzo che prendeva i due – in coppia su un solo cavallo, il principe ed il suo servitore! – la celerità del viaggio fu per entrambi fonte di enorme piacere. Il paesaggio scivolava veloce ai loro lati e quasi non sembravano toccare terra. Se glielo avessero chiesto, Merlino avrebbe risposto che stava volando – il vento fra i capelli, l'aria graffiava la faccia, Artù rideva, felice, incredulo, non c'erano limiti, non un ostacolo, non esisteva l'impossibile, sì, stava volando.

Arrivarono alle porte di Camelot al tramonto.

« Merlino, faresti meglio a scendere »

« Faremmo meglio a scendere entrambi »

Artù dovette dar ragione al servitore e, nonostante quelle che sembrarono proteste da parte della cavalla, i due smontarono, liberandola anche dal peso della borsa.

Oltrepassarono le porte accompagnati dalle guardie, Cairde che li seguiva docilmente.

Uther vide la scena da una delle finestre. Fu un attimo e si ritrovò fuori, a sgridare il figlio che credeva perduto.

« Padre »

« Hai disobbedito ai miei ordini e per questo sarai punito. Per un mese, la caccia ti sarà preclusa e.. »

Si interruppe non appena notò il magnifico animale che Merlino teneva per la criniera. L'espressione incredula e la bocca spalancata. Artù si affrettò a spiegare, omettendo qualche particolare, di come fossero riusciti a trovare il castello e la principessa e di quanto il padre di lei fosse felice di cederla a qualcuno.

Non ebbe la possibilità di finire di parlare. Suo padre, il volto rigato dall'orgoglio, gli aveva cinto le spalle e lo aveva stretto a sé.

« Cairde! »

Alaìnn correva lungo le scale, solo una vestaglia blu a coprirgli lo statuario corpo nudo. Con le lacrime agli occhi, raggiunse la giumenta e se la strinse al petto. Merlino, tossicchiando, gli passò il barattolo d'unguento.

« Spalmane un po' sul suo muso. Non più di sette volte al mese, però. »

Il giovane gli sorrise, svitando il tappo della lozione ed intingendovi le dita. La sua operazione fu assistita da molti – per la precisione, Merlino, Artù e suo padre, che si erano staccati, tre guardie e Gwen.

Alaìnn passò le dita sporche di impasto nero sul manto candido del cavallo.

La visione che ne seguì andò oltre i limiti dell'immaginazione umana. Fu tutto un vortice di bianco e luce, oro e suoni, profumi lontani e pressione che non lasciava respiro.

Dove qualche istante prima c'era una cavalla dal pelo bianco, ora stava la più bella fanciulla che occhio umano abbia mai visto. Nuda e leggiadra, Cairde si osservava le mani delicate. La pelle liscia e d'un candore marmoreo, labbra piene color del sole che cala ed morbidi riccioli d'oro a coprirle il seno. Sollevò il bellissimo volto e guardò Alaìnn con occhi d'un verde che era foresta ed erba, smeraldo e acqua.

« Alaìnn »

Il giovane le prese le mani, portandosele alle labbra.

« Ti ricordi di me, Cairde? »

La principessa sorrise.

« Non ti ho mai dimenticato »

Si abbracciarono, dimentichi di ogni cosa, del tempo e del luogo.

Erano solo loro due. Ed era solo amore.


 


 


 


 


 


 


 


 

Merlino non si era mai ubriacato. Aveva bevuto, sì, ma mai tanto da perdere il senno. Non riusciva a comprendere quanto fosse difficile per un ubriaco articolare frasi di senso compiuto.

Perciò osservava perplesso il principe che, dopo i festeggiamenti, steso prono sul letto, cercava di dire qualcosa.

« Forse dovreste dormire »

« No no no no, non dormo! Io – hic! – io non dormo. »

Il mago alzò gli occhi al cielo, raccogliendo dal pavimento gli indumenti che Artù aveva gettato a destra e a manca.

« Come desiderate, sire »

« Mer.. Merlino! »

Il principe si era sollevato sulle braccia e fissava il servitore con occhi arrossati ed un'espressione che doveva essere seria.

« Perché la tua andava bene? »

« La mia cosa? »

« La tua risposta! Io gli ho detto “All'uomo!” e lui – puff! Pipistrelli! »

Merlino scosse la testa.

« Anche se ve lo spiegassi, ora non sareste in grado di capire. »

« Io non sono scemo! »

« Siete solo ubriaco »

Artù ponderò la considerazione per qualche istante e poi annuì vivacemente, come se il mago avesse snocciolato una grande perla di saggezza. Quindi, esaurite le forze, si lasciò cadere sui cuscini ed iniziò a russare.

Merlino si avvicinò al letto, rimboccandogli le coperte con cura e sistemandogli i cuscini.

« Siete anche un asino »

Ridacchiò ed uscì dalla stanza.


 


 


 


 


 


 

« Parlava della magia, Gaius »

Il vecchio cerusico ascoltava tutta la storia con trepidante interesse.

« La spada era la magia ed aveva ritenuto sbagliata la risposta di Artù perché sapeva che lui crede nel fatto che è la magia la minaccia. La stregoneria – che è solo uno strumento – Uther ed Artù la condanna come se fosse il male. »

« Mentre in realtà è solo la spada »

« Per questo, data da Artù, la risposta era sbagliata. Perché non era ciò che lui applicava nella realtà. Io, invece, capisco quello che lui ancora non vede. »

Gaius si fece pensieroso.

« Questa prova è stata difficile »

« Ce ne attendono molte altre, Gaius. E Artù non desisterà. Per lui è una possibilità in più per sapere se è degno di governare. »

« Devi fare attenzione »

Merlino sorrise.

« Ma per chi mi avete preso? »

Il medico gli dette una pacca sulla spalla. Era solo l'inizio. E questa missione verso chissà cosa si rivelava più complicata del previsto.

Gaius non fece altri commenti. Merlino conosceva i suoi limiti e, purtroppo, aveva avuto la sfortuna di conoscere il proprio Destino.

Avrebbe seguito Artù fino alla morte. Questo era ciò che il Fato aveva scelto per lui.


 


 






NdA


Non è mia abitudine scrivere così tanto. Chiedo perdono!

Spero che il primo capitolo abbia la vostra approvazione! 

Accetto critiche costruttive e distruttive!


 

   
 
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