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Autore: ScratchThePage    07/10/2012    0 recensioni
Nel continente di Shara va Poul vige una legge che si attua ogni venti anni: una persona viene scelta come Osservatore, cioè colui che deve andare a controllare l'operato delle famiglie che governano i vari Stati. Il problema è che non è sempre facile tollerare le varie manie di questi potenti o di imporsi sulle loro abitudini, se sono da correggere; cose che Milos, il nuovo Osservatore, scoprirà ben presto.
Genere: Commedia | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Avevano imboccato la salita che portava al palazzo da parecchio tempo. Milos era rimasto esterrefatto da quanto fosse lunga: certo, tutti sapevano che il colle della reggia era alto, ma lui non avrebbe mai pensato così tanto! Era sicuro di aver visto appena metà delle statue degli antenati degli Altheir attuali, che torreggiavano su di lui dai lati della strada. Era uno spettacolo un po’inquietante, dato che le sculture auree erano colossali e ti fissavano con loro autorevoli occhi di rubino. Aveva cercato di sfuggire a quella visuale guardando il paesaggio della capitale, che sarebbe dovuta apparire in tutta la sua maestosità alla sua sinistra… se solo non ci fossero state delle gigantesche guglie d’avorio alternate alle statue.
Decise di continuare a leggere gli appunti degli altri Osservatori. Fortunatamente, oltre all’antica usanza di amputare le mani, non aveva trovato nient’altro di pericoloso, solo qualche innocua cena a base di alimenti non ben specificati e preparata solo e solamente per l’ospite. Aveva anche visto una nota che parlava di un certo allevamento di coccodrilli, ma era sparita dopo tre Osservatori.
Improvvisamente una voce interruppe le sue letture:”Sua sacralità è pregato di fermarsi.”
Milos si girò e tirò un sospiro di sollievo quando vide che erano arrivati alla fine di quella salita interminabile: ora a dividerli dall’entrata del palazzo c’era solo un enorme cancello dorato ricolmo di figure di libri e di piccoli globi e due guardie. Una si era avvicinata al carretto producendo un certo rumore con la sua armatura color avorio. Un lungo mantello rosso gli sventolava dietro le spalle, mentre con la mano destra teneva una lunga lancia appuntita.
“E perché mai?” chiese Neev, molto probabilmente stupito da quell’ordine.
“Sul carretto state trasportando un estraneo e preferirei accertarmi di persona che non sia un malvivente.”
“E’ l’Osservatore idiota. Se no sbaglio eravate state avvisati del suo arrivo.”
A quelle parole la faccia della guardia diventò più bianca della sua armatura. Questo non è un buon segno. Pensò Milos, soprattutto quando l’uomo si avvicinò a Neev e gli sussurrò qualcosa all’orecchio.
“Cooosa?!”, gridò il sacerdote quando l’altro finì di parlare,”Stai scherzando, spero.”
La guardia scosse sconsolata la testa.
“Neev, cos’è successo?” domandò Milos, sicuro di aver di fronte il primo problema di tutti quelli che avrebbe incontrato durante il suo soggiorno.
“Niente di cui devi preoccuparti solo… un contrattempo.” Gli rispose con fare sbrigativo il suo collega, prima di ordinare ai due uomini di aprire il cancello.
Questi obbedirono e poco dopo Neev fece ripartire il carretto.
“Me ne occupo io.” Disse quando passò davanti alla guardia, facendo venire un brivido lungo la schiena di Milos. La situazione inizia a non piacermi…c’è qualcosa di strano nell’aria.
Arrivarono al centro di un immenso piazzale circondato da siepi piene di fiori rossi e a strapiombo sulla città. Al centro c’era l’ennesima statua colossale, solo che questa era decisamente più antica di tutte le altre.
“Gleigodana” disse Milos, continuando ad ammirare la precisione con cui era stata scolpita: sembrava quasi una persona tramutata in oro e poi issata su quel piedistallo.
“Già, il capostipite della famiglia degli Altheir. Primogenito del grande Gleigos.” Confermò Neev facendo frenare il carretto.
“Secondo le antiche leggende, però, è il secondogenito.”
Il sacerdote con la tunica rossa si girò verso il suo collega e, dopo avergli lanciato un’occhiataccia gli sibilò:”Ma da che parte stai? Se non sbaglio sei nato anche tu ad Altheira.”
Milos non riuscì a trattenere un sorriso: sin dall’inizio della nascita delle famiglie gli Altheir, i Savahl e i Virbero, le tre stirpi discendenti dal Dio della Sapienza e della Mente, si contendevano la primigenia del loro capostipite, anche se le antiche leggende spiegavano chiaramente qual’era l’ordine di nascita.
Questo fatto, però, non era estraneo alle altre famiglie con un dio in comune: ognuna voleva dimostrare di essere più importante dell’altra e non accettava l’idea di discendere da qualcuno che non fosse il primogenito. Fortunatamente non c’erano mai state delle guerre per questo motivo, data la distanza che intercorreva tra una famiglia “cugina” e un’altra.
“Certo, solo che io rispetto ciò che dicono le antiche leggende, che siamo riusciti a tramandare solo grazie al dono che ci ha fatto Gleigos…”
“Ho capito, ho capito. Per favore scendi dal carretto che ti accompagno dentro.” Lo interruppe.
Milos obbedì e, riuscendo miracolosamente a non fare fuoriuscire una quantità esagerata di vino, si mise in piedi. Si stiracchiò: aveva tutti gli arti indolenziti e le ossa doloranti. Sembrava quasi che una giornata di meritato riposo potesse fare al caso suo, ma sapeva benissimo che non sarebbe andata così: non appena avrebbe varcato la soglia del palazzo si sarebbe trovato di fronte la famiglia in tutto il suo splendore e avrebbe dovuto subire le presentazioni ufficiali.
Al solo pensiero gli venne un nodo allo stomaco: entrare là dentro avrebbe significato iniziare il suo lavoro da Osservatore e, quindi, doversi subire quell’oziosa e folle vita di corte di cui aveva spesso sentito parlare. Per non parlare del fatto che gli Altheir sarebbero stati molto sbrigativi con il dimostrare che erano migliorati dall’ultima volta.
Prese le sue sacche da carretto e, accidentalmente gettò lo sguardo sulla sua veste: era un fantastico capolavoro di macchie bordeaux ed emanava un terribile tanfo di vino. Sospirò, pensando alla bella figurina che avrebbe fatto presentandosi in quelle condizioni.
Stava per prendere anche la borsa con la torta di heirgut, quando Neev la prese al posto suo.
“Questa la prendo io, ti vedo parecchio in difficoltà.”
Milos lo ringraziò e poi lo seguì verso il palazzo. L’aveva spesso visto da lontano, ma trovarselo davanti era completamente diverso: il portone, smisuratamente alto, era al centro di una facciata d’avorio sottile e slanciata. Era decorato con quattro scene della famiglia Altheir, racchiuse in quattro riquadri dorati. Nel legno rosso erano incisi vari motivi ondeggiati, che in punto terminavano con due maniglie in rubino. Sopra ad esso c’era un architrave dorata e una cornice piena di strane figure dello stesso materiale.  Un piano con una scultura di Gleigos e una di Gleigodana lo sormontava, mentre due altissime torri racchiudevano l’intera facciata. Erano molto sottili ma non tanto da non essere salite. Una finestra triangolare di apriva poco sotto la cupola a cipolla striata di rosso, mentre  due serpenti si attorcigliavano attorno alle due costruzioni, anch’essi rossi. La facciata era a capanna con al centro ben tre rosoni divisi da una lavorazione aurea. La cima era piena di piccole guglie appuntite, come il resto dell’edificio squadrato che si estendeva alle sue spalle.
Inizialmente poteva sembrare un tipico palazzo rettangolare, almeno finché non si apriva in un’enorme quadriportico. Una scia di finestre di diverse dimensione percorreva tutta la superficie di avorio della reggia alternando decorazioni di rubino e d’oro.
Tutti sapevano che gli Altheir avevano un immenso giardino al certo dell’imponente struttura , che era in netto contrasto con l’esterno: una terra brulla e priva di arbusti circondava la zona, molto probabilmente lasciata a morire quando la famiglia aveva capito che, se volevano mantenere in uno stato decente il palazzo, dovevano risparmiare su qualcosa.
Milos, davanti a tutta quella magnificenza, si sentiva ancora più piccolo e indifeso, cosa che non l’avrebbe di certo aiutato ad affrontare i padroni di casa.
“Milos, vuoi restare tutto il giorno ad ammirare il nostro palazzo?”
La voce di Neev lo fece rinvenire dai suoi pensieri. Si avviò verso il gigantesco portone rosso e, dopo che il sacerdote ebbe bussato, attese assieme a lui che venisse aperto.
Aspettarono ben poco: due servi incredibilmente muscolosi spalancarono loro l’entrata. Lanciarono un’occhiata un po’ preoccupata quando videro Milos, ma Neev li tranquillizzò subito:”Non preoccupatevi, è tutto sotto controllo. Portate questa generosa offerta culinaria nelle cucine.”
I due uomini si guardarono un po’perplessi, chiedendosi forse perché entrambi dovevano fare il lavoro di uno solo.
“Ora.” Sibilò il sacerdote in rosso. A quel richiamo i servi si avviarono celermente lungo l’atrio, prima di sparire dalla vista.
Milos entrò dentro  il palazzo e restò subito turbato da una cosa: la famiglia non era là ad aspettarlo. Stava per chiedere una spiegazione a Neev, ma questo intuì subito la sua domanda.
“Come ti ho spiegato prima la mia famiglia ha avuto un contrattempo e, quindi, non può riceverti. Purtroppo il tutto è da rimandare a domani. Ti accompagnerò personalmente nella tua stanza.”, gli spiegò, prima di gettare un’occhiata alle vesti del collega,” in cui mi auguro ti farai un bagno e ti cambierai i vestiti. Però devi aspettare ancora una manciata di minuti. Devo risolvere una cosa.”
Milos cercò di fermarlo, ma invano: il sacerdote si era già avviato lungo l’immenso atrio lasciandolo solo. Sospirò e si guardò attorno: una serie di quadri percorreva tutta la stanza, incorniciati in oro, mente una fila di candelabri ornati con rubini pendeva dal soffitto. Sarei proprio curioso di sapere quanta gente sfamerebbero con tutto questo oro.
Decise di non pensarci troppo e appoggiò le borse a terra: aveva come la netta sensazione che i pochi minuti di Neev potessero essere parecchi. Abbassò lo sguardo e sobbalzò quando incrociò quello di una bambina. Aveva due occhi rosso rubino mentre una cascata di capelli biondo scuro gli ricadeva lungo la schiena. Indossava un’elegante vestitino porpora e avorio, pieno di pizzi che sbucavano da qualsiasi bordura. E questa qua da dove sbuca? Da quello che avevo capito la famiglia era troppo occupata per ricevermi.
“Quindi sei tu.” Disse la piccola, con un tono molto più saggio di quello che avrebbe dovuto avere per la sua età.
Milos la guardò perplesso: quello era sicuramente un modo strano per presentarsi.
“Scusami piccola, ma chi sarei io?” le domandò, sperando di estorcerle qualche informazione su quel “contrattempo” spesso citato da Neev.
“Quello che la mia famiglia non ha tanta voglia di vedere.”
Fantastico, incredibilmente fantastico. Ora so che non sono affatto il benvenuto. Scosse la testa: non voleva pensare a che cosa stesse pensando quella bambina sulle sue vesti e, soprattutto non voleva sapere cosa avrebbe riferito al resto della famiglia.
“Scusi, non volevo demoralizzarla ma… ero curiosa di vedere se l’Osservatore fosse così tremendo come lo descrive mio padre.”
Milos la guardò meglio. Aveva visto l’attuale governante di Altheira solo due volte nella sua vita, cioè quelle due volte che si era degnato di far visita all’Ordine dei Sapienti di Altheira, ma dovette ammettere che gli assomigliava parecchio: gli stessi capelli, lo stesso naso ben proporzionato e lo stesso taglio d’occhi. La caratteristica che, però, la connotava subito come la figlia del governante erano gli occhi: solo i diretti discendenti del capofamiglia avevano quel colore rosso rubino. Infatti Neev, essendo figlio dello zio dell’attuale padrone di casa, non aveva ereditato questo piccolo particolare connotativo. Al perché non aveva voglia di pensarci.
“Come ti chiami piccola?”
“Heir.”
Mente, nome tipico da discendente di una famiglia. Mi chiedo perché hanno sempre così poca fantasia. “E cosa ci fai qui? Ho sentito che la tua famiglia è molto occupata.”
“Volevo conoscerla. Inoltre i preparativi sono molto noiosi.”
I preparativi per che cosa? Avrebbe voluto chiederle, se Heir non gli avesse fatto cenno di abbassarsi. Milos le obbedì e si inginocchiò. La bambina si avvicinò al suo orecchio e gli sussurrò:” Sa io sono speciale.”
Il sacerdote si girò verso di lei e, fingendo di essere sorpreso, le disse:”Davvero, e come mai?”
La risposta la ricevette subito dopo, quando si vide fluttuare una delle sue sacche davanti ai suoi occhi.
Ora Milos era veramente sorpreso. Passò lo sguardo prima sulla sua borsa e poi sulla bambina, che lo stava fissando tranquillamente, per poi tornare alla borsa. Oh Gleigos, oh Gleigos. Questa è una Master…UNA MASTER! 
 Una voce interruppe i suoi pensieri:”Heir, cosa sta succedendo qua?”
La sacca cadde a terra, permettendo al sacerdote di vedere un vecchio che si stava avvicinando su di una sedia fluttuante. Aveva anche lui gli occhi rossi e, molto probabilmente, era il prozio della bambina.
“Oh Gleigos, oh Gleigos…” sussurrò, esterrefatto per ciò che stava vedendo.
“Niente, stavo solo…” cercò di giustificarsi Heir, invano.
“Chi è quello là?” gracchiò l’uomo puntando contro a Milos il suo bastone. Ora era vicinissimo, tanto che il sacerdote avrebbe potuto contare tutte le sue rughe.
Il vecchio inspirò e poi con un tono disgustato disse:”Sai di vino…sei un ubriacone! Come osi avvicinarti a mia nipote?!”
Iniziò anche a picchiare Milos con il suo bastone, nonostante le suppliche di Heir di lascialo in pace. L’Osservatore cercò di parare i colpi meglio che poteva e cercò di spiegare che non era quello che sembrava, ma tutto fu inutile. Fortunatamente un’anima pia gli allontanò l’irruento vecchietto.
“Zio, lascialo stare! Non è un ubriacone, è l’Osservatore!”
Fortunatamente Neev era tornato in tempo.
L’uomo si calmò e, dopo aver borbottato un:”Tanto è lo stesso.” Si allontanò ordinando ad Heir di seguirlo. Questa gli obbedì dopo aver salutato Milos con la mano.
“Scusami, scusami, sono terribilmente desolato… ma zio Ghalla è un po’ burbero…”
“L’ho notato…” gli rispose l’Osservatore con un filo di voce.
Come inizio era stato pessimo e non osava pensare che questo era solo il primo giorno della prima famiglia.
Riprese le sue sacche ma, non appena cercò di infilarsi la seconda, sentì un dolore pazzesco percorrergli tutte le giunture: quel vecchio aveva completato egregiamente il lavoro che aveva già fatto il carretto.
“Da a me le tue borse. Non puoi portarle in queste condizioni.”
  Milos gliele cedette volentieri. Non appena Neev se le caricò addosso, gli fece cenno di seguirlo. IL sacerdote obbedì prontamente, anche se le gambe gli dolevano.
Giunsero a metà del salone, quando decise di fare una domanda al suo collega:”Scusa Neev, ma Heir e zio Ghalla sono…”
“Master? Già. E’ una vera fortuna, oltre che un prestigio averne persino due nella nostra famiglia. Sai com’è, al giorno d’oggi non c’è ne sono così tanti.”
Milos annuì e continuò a seguire Neev.  
  
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