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Autore: Gageta    08/10/2012    1 recensioni
Anno 1960.
Nella poco conosciuta cittadina di Snape, Inghilterra, nasce Sophie Stones.
All’apparenza una strega come tante altre, Sophie cresce insieme alla madre, aspettando il momento in cui potrà finalmente riunirsi a suo padre e fare ciò per cui è stata preparata fin da bambina: conquistare il mondo magico.
Tra magia, amicizie, amore e battaglie Sophie continuerà ad andare avanti per la via più buia finché qualcuno non la cambierà per sempre, riuscendo a smascherare il suo oscuro segreto.
«Non vi saranno altri Smistamenti alla scuola di Hogwarts» annunciò Voldemort. «Non vi saranno più Case. Lo stemma e i colori del mio nobile antenato, Salazar Serpeverde, basteranno per tutti, non è vero, Neville Paciock?»
«Non credo che siano tutti d’ accordo con voi su questo punto». […]
Sophie avanzava verso di lui, la folla che si faceva da parte per lasciarla passare. Aveva gli occhi arrossati come di chi aveva appena pianto molto e il viso stanco di chi non dormiva da giorni. Ma era tranquilla e determinata. Alzò lo sguardo verso di lui e lo guardò, fiera.
«Forse, prima di prendere decisioni affrettate, dovreste considerare alcune cose. Non credete… padre?»
Genere: Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Albus Silente, Nuovo personaggio, Severus Piton, Voldemort
Note: nessuna | Avvertimenti: Incompiuta | Contesto: Malandrini/I guerra magica, II guerra magica/Libri 5-7
Capitoli:
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Figlia della Notte

Capitolo III

Lezioni di volo

H

elena Stones entrò in casa, fradicia di pioggia. Strofinò per un buon minuto i piedi sullo zerbino, cercando di eliminare più fango possibile dalle scarpe. Era talmente stanca che si dimenticò persino di essere una strega. Imprecò ad alta voce e con un colpo veloce di bacchetta ebbe di nuovo ai piedi un paio decente di scarpe.

Chi l’avrebbe mai pensato che l’aria limpida della mattina si sarebbe presto trasformata in una tempesta? Eppure avrebbe dovuto aspettarselo, in fondo in Inghilterra il tempo poteva cambiare rapidamente. Avrebbe dovuto portare con sé un ombrello, si sarebbe sicuramente risparmiata un bel raffreddore, che, ne era sicura, non avrebbe tardato ad arrivare. Il fatto era che portarsi appresso un ombrello per tutto il giorno era abbastanza scomodo, soprattutto se facevi un lavoro come il suo. Sempre che si potesse chiamare lavoro ciò che la teneva impegnata per più di mezza giornata. Ormai si era arresa a chiamarlo così. E poi, che altro nome avrebbe potuto dargli?

Si tolse il mantello e lo appese sull’attaccapanni dell’ingresso. Prima di entrare in casa si era programmata mentalmente ogni movimento e spostamento che avrebbe dovuto fare, così per risparmiare tempo. Una volta entrata e aver assaporato il tiepido calore che alleggiava nell’aria, però, dimenticò totalmente tutti i suoi programmi e si lasciò cadere sul divano del salotto, chiudendo gli occhi.

Era stata una giornata piuttosto pesante. Forse “lavoro” non era il nome più adatto per definire ciò che faceva. Era forse più un obbligo, un dovere, un impegno. Sì, era un impegno. Aveva scelto lei quella vita, più di vent’anni prima, e ormai non poteva più fare niente per tirarsi indietro. E non voleva neanche tirarsi indietro. Il suo “impegno” era la sua vita.

Sospirò, ripensando agli eventi della giornata. Era stato un giorno pesante e ora si sentiva stanca. Una stanchezza che provava da molti anni e che alla fine aveva imparato ad accettare. Di certo non avrebbe mai voluto deluderlo. Il solo pensarlo le faceva venire i brividi.

Ma il problema non era lui, piuttosto erano loro. Un giorno o l’altro l’avrebbero fatta impazzire, ne era sicura.

Sempre con la mania del sangue puro, che non potevano allontanarsi prima di non aver rivendicato il loro diritto Purosangue.

Anche lei era Purosangue. Ma Helena non si considerava un Purosangue come loro. A lei il contatto con un qualunque Babbano o Mezzosangue, non faceva né caldo né freddo. Erano persone normali, persone uguali a lei, uguali a loro. Ma questo suo pensiero aveva sempre dovuto tenerlo per se. Nessuno nella sua famiglia avrebbe mai accettato che lo esprimesse ad alta voce, e neanche adesso, che della sua famiglia non era rimasto nient’altro che cenere, non si sarebbe mai neanche sognata di farlo. Il suo impegno le richiedeva questo, e anche molto altro.

La prima cosa era la sua vita, dedicare l’intera vita al suo impegno. Tutto, ogni suo movimento, ogni sua azione era per ciò. Non aveva mai avuto ripensamenti su quello. Aveva sempre pensato che la sua vita dovesse essere diversa da quella di una qualunque altra persona, e così era successo.

Anche il resto era per quell’impegno. Pure, anche se non le piaceva ammetterlo, Sophie. L’amore che provava per sua figlia era tutto ciò che le rimaneva di una vita ormai dimenticata. Un amore che i suoi genitori non le avevano mai dato e che l’aveva portata a prendere la sua decisione.

Aveva cercato di dare a Sophie tutto ciò di cui avesse bisogno e le aveva insegnato tutto ciò che le avevano chiesto di insegnarle. Ma per una cosa aveva fatto di testa sua. Le aveva insegnato ad amare e a essere amata. Sapeva che sua figlia non avrebbe mai negato la sua compagnia e sapeva che avrebbe fatto di tutto per lei, per sua madre. Il solo pensiero la fece sorridere. Sophie la teneva attaccata a un mondo che aveva provato a dimenticare, ma che in fondo non era mai riuscita ad abbandonare.

Il sorriso venne sostituito da una smorfia di disgusto al pensiero dell’orrore del mattino. Perché quello era stato un orrore, nient’altro.

“È stato inevitabile”. Quelle parole continuavano a rimbalzarle nella mente. La sua voce, gelida e distante, era l’unica cosa che le aveva sempre dato sicurezza, e che continuava a dargliela tuttora. Quello che faceva era per lui. Ormai era diventata una bambola nelle sue mani. Era lui a comandarla, a dirle cosa fare in ogni momento.

Le urla strazianti le tornarono in mente, i lamenti, le preghiere di essere risparmiati. Ma nessuno veniva risparmiato. O facevi come ti era chiesto, o morivi. Era questa la regola, una regola che doveva rispettare anche lei alla fine.

Si rigirò da una parte e schiacciò il viso contro il cuscino, incapace di scacciare il senso di disgusto che la opprimeva. Doveva pensare a qualcos’altro, dimenticare quella brutta giornata. In fondo lo aveva fatto molte volte, non sarebbe dovuto risultarle poi così difficile. Eppure, nonostante la sua esperienza, non ci riuscì.

Sospirò e chiuse gli occhi. Pensò all’unica persona che poteva farla sentire meglio, pensò a Sophie. Che cosa stava facendo in quel momento?

“No! Lascialo! Lascialo stare!”

Scosse la testa, non doveva pensarci.

“Siete dei vigliacchi! Tornate indietro!”

Sophie doveva essere a Hogwarts, magari era nella sua nuova Sala Comune a fare i compiti o passare il tempo con i suoi nuovi amici.

“Avada Kedavra”

Aprì gli occhi di scatto e si costrinse a tornare a respirare normalmente.

Che cosa le stava succedendo? Dopo anni e anni avrebbe dovuto dimenticare con un semplice sospiro e una bella doccia calda. Una doccia calda… sicuramente non le avrebbe fatto male.

Scosse la testa e si alzò dal divano. Prima di dirigersi verso il bagno, però, venne attirata dall’invitante porta aperta della cucina. Come a confermare il suo pensiero, il suo stomaco brontolò.

Una nuova idea si fece strada nella sua mente. Un bicchiere di latte caldo, una bella doccia, e poi avrebbe potuto lasciarsi accogliere dalle morbide coperte del letto.

Come idea non era male… «Accì!»

***

 

Ormai erano passate più di tre settimane dall’inizio della scuola. Quella mattina di fine settembre Sophie si svegliò di malumore.

Il giorno prima era rimasta sveglia fino a notte fonda per completare un tema piuttosto difficile che il professor Lumacorno aveva assegnato alla classe alla fine della precedente lezione: trenta centimetri di tema sulle proprietà del Bezoar. Ma Sophie e Severus, il quale di pozioni ne sapeva forse più di quelli del secondo anno, avevano voluto strafare ed erano arrivati fino a cinquanta centimetri esatti. La verità era che il tema aveva particolarmente incuriosito i due ragazzi, tanto che avevano fatto una lunga ricerca in biblioteca, consultando decine di libri sull’argomento. Rose, al contrario, si era limitata a un breve riassunto, copiato dai temi dei due amici, contestando apertamente il loro comportamento. “Se impiegate così tanto tempo per fare un tema di pozioni, quando avete intenzione di fare il resto dei compiti?”. Sophie l’aveva guardata stizzita e le aveva ricordato che lei, i compiti per le altre materie, li aveva già fatti, mentre Rose era impegnata a leggere un libro sul Quidditch, scelto accuratamente tra decine, dopo un pomeriggio intero passato in biblioteca.

La ragazza era particolarmente eccitata quella settimana, perché, il venerdì pomeriggio, ci sarebbe stata la prima lezione di volo su scopa con il professor Boris. Sophie e Severus erano poco attratti all’idea, ma non per questo Rose non si era risparmiata lunghi discorsi sulla corretta impugnatura del manico e sulla corretta postura da tenere sulla scopa.

Gli eventi della mattinata non contribuirono di certo a migliorare l’umore di Sophie. Per tutta la durata della lezione di Trasfigurazione, la McGranitt non fece altro che criticare i lavori dei Serpeverde che aveva dato di compito. Sophie si era arrabbiata a tal punto che, per sbaglio, aveva polverizzato il calice d’argento che dovevano colorare di giallo. Aveva così preso un brutto voto e i tre ragazzi di Grifondoro (a Black e Potter si era aggiunto, non si sapeva come, un ragazzino mingherlino di nome Peter Minus) non avevano potuto fare a meno di ricordarglielo ogni volta che la incontravano.

L’unica nota positiva della giornata fu, forse, solo quando il professor Lumacorno si complimentò con i due giovani Serpeverde per il compito, assegnando loro dieci punti di premio.

Tra una cosa e l’altra la giornata passò e arrivò il momento di dirigersi al campo di Quidditch.

Severus lasciò le due amiche Serpeverde nel Salone d’Ingresso per unirsi alla sua amica Grifondoro. Oramai Sophie non provava neanche più a criticare quel comportamento con Rose: sembrava che ogni volta che comparisse la rossa, Severus diventasse sordo a qualunque critica e si univa immediatamente a lei, qualche volta dimenticandosi anche di salutare.

Rose non fece altro che parlare per tutto il tragitto. Sophie si era abituata anche a questo: le chiacchiere di Rose la accompagnavano per quasi tutta la giornata, ovunque andasse, qualunque cosa facesse. Aveva però imparato a ignorarla, tanto che a volte Rose doveva addirittura scuoterla per ricevere nuovamente la sua attenzione.

A un certo punto Sophie pensò di tornare in Sala Comune e di darsi per malata: non aveva proprio voglia di umiliarsi davanti a tutti facendo una caduta epocale dalla scopa. Naturalmente Rose non glielo concesse e così Sophie si trovò ad essere trascinata per un braccio dall’amica per i prati di Hogwarts.

Entrarono nell’immenso (Sophie era la prima volta che ne vedeva uno, e lo trovò decisamente grande) campo di Quidditch. La cosa che forse la colpì di più furono gli immensi stendardi che pendevano dalle tribune. Erano quattro, una per ogni Casa, e ognuno era dotato dei colori principali che la rappresentavano: giallo e nero per Tassorosso, rosso e oro per Grifondoro, blu e bronzo per Corvonero, verde e argento per Serpeverde.

Si diressero verso il centro del campo, dove il professor Boris li aspettava pazientemente.

«Buon pomeriggio a tutti!» li salutò allegramente. Rivolse loro un caldo sorriso, indicando poi una fila di scope magiche che giacevano disposte ordinatamente una di fianco all’altra sul terreno umido.

«Penso che molti di voi siano contenti di essere qui, quest’oggi».

Molti ragazzi, compresa Rose, annuirono felici. Del canto suo, Sophie incrociò le braccia al petto e sbuffò annoiata.

«Per prima cosa, vi chiedo di disporvi ognuno di fianco a una scopa».

I ragazzi obbedirono. Sophie seguì, anche se a malincuore, Rose, e prese la scopa di fianco alla sua. Per sua enorme sfortuna, davanti a lei andò a sistemarsi niente di meno che Potter.

Appena la vide, il ragazzo sogghignò e tirò una gomitata a Black, di fianco a lui.

Sophie ignorò accuratamente entrambi e rivolse lo sguardo al professore, che stava prendendo posto accanto a una scopa.

«Chi di voi ha già volato?» chiese Boris. Molti ragazzi alzarono la mano, convinti, compreso Potter. Anche Rose alzò la mano e sorrise contenta a Sophie.

«Bene!» sorrise il professore. «Abbiamo una buona classe! Molto bene… Per chi non ha ancora avuto la fortuna di provare, niente paura! Siamo qui per imparare, no?»

Sophie annuì, poco convinta.

«Cominciamo. Per prima cosa… o forse era la seconda? Bè sì, insomma, per seconda cosa, tendete la mano sopra la scopa e ordinatele di volare fino alla vostra mano. Vi basta dire, SU! Forza, forza! Cominciate!» li incitò.

Potter non diede neanche il tempo al professore di finire la frase, che la scopa era già fremente nella sua mano. Anche Rose non ebbe difficoltà e poco dopo teneva già saldamente nella mano il legno liscio del manico.

Sophie tese la mano verso la sua scopa e dopo un attimo di esitazione disse «SU!». La scopa non si mosse di un centimetro. Sbuffò sonoramente e ripeté l’operazione. Niente. Provo più volte, finché la scopa non si mosse. Al posto di salire verso l’alto, però, rotolò nell’erba, andando a sbattere contro il piede di Rose, la quale sorrise e scosse la testa.

«Non sei abbastanza convinta!» esclamò con l’aria di chi la sapeva lunga. Sophie alzò gli occhi al cielo, irritata, e recuperò la sua scopa, rimettendola al suo posto. Tese nuovamente la mano e stava per ripetere il famoso «SU!» quando un lamento di dolore si levò da qualche parte nella massa di ragazzi. Sophie allungò il collo, insieme a molti altri ragazzi, e individuò una scopa sospesa a mezz’aria che dava violente bastonate in testa a un ragazzo dai capelli neri. Sophie inarcò un sopracciglio, stupita, mentre Piton cercava inutilmente di scacciare l’improvvisata arma.

In molti scoppiarono a ridere. Anche la Evans sorrise allo spiacevole incidente dell’amico.

Con sua grande fortuna il professore intervenne, prima che Severus potesse farsi veramente male.

Sophie scosse la testa e tornò a concentrarsi sul suo lavoro. Prima che potesse farlo, però, fu attirata dall’improvviso confabulare di Black e Potter. Con sua somma sorpresa, vide una bacchetta sparire velocemente dentro la tasca della divisa di uno dei due.

Fece finta di niente e ricominciò.

Alla fine riuscì nell’intento anche lei e fu finalmente il momento di cavalcare. Inutile dire che l’impresa si rivelò completamente inutile per Sophie. Un paio di volte rischiò di cadere dalla scopa, mentre una terza venne disarcionata; per fortuna, o forse per prontezza di riflessi, riuscì comunque a cadere su due piedi e ad evitare così di fare brutte figuracce.

Fu un sollievo, quando il professor Boris dichiarò ufficialmente conclusa la lezione. «Spero di rivedere qualcuno di voi in qualche squadra l’anno prossimo» si raccomandò poco prima di salutarli.

Sophie ignorò completamente l’ultimo commento e si diresse senza troppe cerimonie verso l’uscita del campo. Rose arrivò al suo fianco poco dopo, saltellando felice. «Hai visto come sono brava? Ora spero che la smetterai di ripetermi che sono un’ignorante fannullona!» esclamò compiaciuta.

Sophie si limitò ad annuire mentre si allontanavano verso il castello. Quando entrarono nell’atrio d’ingresso, però, furono bloccate da una strana piccola folla, che si era raggruppata al centro della stanza.

Rose, incuriosita, si fece largo tra gli studenti. Con sua somma sorpresa, al centro del cerchio stavano Potter, Black, la Evans e Piton. Sophie si affiancò all’amica e osservò in silenzio la scena che le si presentava davanti.

«Siete stati voi, ne sono certo!» stava dicendo Severus, puntando un dito accusatorio contro i due Grifondoro.

«E dai, Mocciosus, non te la sarai mica presa per un piccolo scherzo, eh?» ribatté Black con un sorrisetto furbo dipinto sulle labbra.

«A quanto pare, in questa scuola vanno di moda gli “innocui scherzi”» commentò sarcastica Sophie a bassa voce a Rose, la quale le sorrise complice.

«E smettetela di chiamarmi così!» esclamò Severus infuriato.

Lily lo afferrò per un braccio e cercò di allontanarlo dalla scena. «Lascia stare Severus, non ne vale la pena» disse calorosamente.

«Andiamo Severus, tesoruccio mio!» commentò James imitando la voce altezzosa della ragazza.

La rossa arrossì lievemente e rivolse al ragazzo uno sguardo carico di rabbia. Stava per ribattere alla presa in giro, quando la voce severa della McGranitt si fece udire al di sopra del chiacchiericcio degli studenti. «Che cosa sta succedendo qui?»

Black si limitò a scuotere la testa e a stringersi nelle spalle. «Niente di che professoressa…»

«… è solo che Mocciosus ci sta accusando di aver cercato di fargli del male» concluse Potter sogghignando.

«Ci vediamo in giro!» sorrisero i ragazzi, e si allontanarono verso la Sala Comune di Grifondoro.

A poco a poco la folla si disperse, sotto lo sguardo severo della professoressa di Trasfigurazione.

Sophie sospirò e si diresse verso i sotterranei.

«Non ho capito che cosa è successo…» mormorò Rose dopo un po’.

«È successo che Black e Potter si sono presi gioco di Severus». Rispose spazientita Sophie. «Li ho visti usare la bacchetta durante la lezione di volo. Sono stati loro a stregare la scopa di Severus» spiegò.

«E perché non lo hai detto subito?». Rose si fermò di  botto e la guardò stupita. «Severus è nostro amico, no?»

Sophie si strinse nelle spalle e riprese a camminare. «Se me lo avesse chiesto, lo avrei aiutato volentieri. A quanto pare, però, la Evans è più utile» concluse aspramente.

***

La mattina seguente il dormitorio delle ragazze del primo anno di Serpeverde rimase silenzioso fino a tarda mattinata.

Quando Rose si svegliò, rimase per un po’ a fissare la sommità del suo letto a baldacchino, pensierosa. Era ancora molto presto e, essendo sabato, le sue compagne stavano ancora dormendo. Il giorno prima si era divertita moltissimo: la lezione di volo era stata forse il momento più bello di tutta la giornata. Era riuscita a dimostrare a Sophie e a tutti coloro che la conoscevano, di essere brava in qualcosa e non, come tutti sostenevano, una fannullona incapace. Era fiera di essere brava in qualcosa dove invece Sophie era completamente negata. L’amica la sorpassava in tutte le materie. Erano due ragazze molto diverse: lei amava il Quidditch e Sophie amava studiare. Forse erano state le differenze tra loro a unirle. Forse Sophie non lo avrebbe mai ammesso, ma Rose sapeva che anche lei la considerava una sua amica.

Sospirando si sedette sul letto e aprì le tende lasciando entrare la fioca luce presente nel dormitorio. La stanza, infatti, benché fosse situata sotto terra, riluceva sempre di una fievole luce verdastra. Era evidentemente un modo per non lasciare nel buio più completo i dormitori degli studenti.

Quando si affacciò dal letto, Rose scoprì di non essere l’unica già sveglia. Il letto di Sophie era già rifatto e la ragazza se ne era già andata. La cosa sorprese non poco Rose, che dopo la giornata precedente aveva pensato che l’amica si sarebbe riposata un po’ più del solito. Si strinse nelle spalle e cominciò a vestirsi.

Trovò Sophie in Sala Grande a fare colazione. O meglio, a leggere. La ragazza era seduta in disparte da tutti gli altri ragazzi della casata e beveva una tazza di latte mentre leggeva quello che sembrava il loro libro di pozioni.

«Giorno!» trillò Rose.

Sophie non si diede neanche la pena di alzare lo sguardo, limitandosi a un lieve grugnito in risposta.

«Come mai già sveglia a quest’ora?» chiese curiosa Rose, mentre allungava la mano verso una fetta di torta dall’aria invitante.

«Sto cercando il modo migliore di preparare un Distillato della Morte Vivente, così che possa ucciderti senza destare sospetti» ribatté Sophie stizzita. Poco dopo tornò a leggere come se nulla fosse successo.

Rose ridacchiò alla battuta dell’amica e addentò la sua colazione. «Che si fa oggi?» mormorò tra un boccone e l’altro.

Lo stormo di gufi con la posta del mattino salvò probabilmente Rose da qualche altra parola malefica da parte della ragazza. Le due non fecero molto caso a quell’usuale evento, dato che nessuna delle due non aveva nessuno da cui ricevere qualche lettera, o meglio, nessuno che avesse qualcosa da dire loro in quel momento.

Naturalmente però le cose accadono quando meno te le aspetti, e quel mattino Rose ricevette posta per lei. Guardò il gufo che le atterrò davanti stupita, prima di rendersi conto che le stava porgendo la zampa, dove teneva stretta una lettera allegata a una copia della Gazzetta del Profeta. Slegò con cura la posta dall’animale per poi dargli un biscotto in segno di ringraziamento.

Afferrò la busta di pergamena e se la rigirò tra le mani pensierosa. L’indirizzo recava scritto:

Dounby Rose,

Hogwarts, Scozia

Corrugò la fronte e la aprì. Riconobbe subito la piccola e ordinata grafia della madre.

Vorrei che tu leggessi questo articolo, Rose.

È con mio grande dispiacere che ti dico che la scorsa mattina la famiglia Robert (la famiglia che abitava l’ultima casa della nostra via, ricordi?) è stata assassinata.

Ricordi la bambina con cui giocavi qualche estate fa? Ebbene, non hanno risparmiato neanche lei. Forse te lo sto dicendo in modo molto duro, però non so come dirtelo meglio. Io e tuo padre siamo molto scossi da ciò che è successo. Domani si svolgeranno i funerali.

Ti prego, stai attenta. Non cacciarti in guai più grossi di te e sii ragionevole.

Con affetto,

Mamma.

Rose rilesse la lettera più volte, incredula, fino a quando la consapevolezza di quel che era realmente accaduto non le piovve addosso. Senza che se ne accorgesse, le lacrime presero a scivolargli giù per le guance. Ripiegò con cura la lettera, mentre i volti della famiglia Robert le scorrevano davanti agli occhi. Ricordava perfettamente il signor Robert, un uomo sulla quarantina con uno spesso paio di occhiali e il sorriso perennemente stampato in faccia. Lui e sua moglie avevano avuto una figlia, qualche anno prima: si chiamava Alyssa, ed era una bambina bellissima. Al pensiero di quello che era successo, le si strinse il cuore. Come avevano potuto? Doveva essere stato sicuramente qualcuno che conosceva i Robert, qualcuno che voleva avere qualcosa da loro. Per qualche oscura ragione le venne da pensare al fatto che il signor Robert fosse un impiegato abbastanza importante al Ministero.

Con gli occhi lucidi alzò lo sguardo verso il giornale, con tutta l’intenzione di leggere l’articolo dell’assassinio, ma qualcuno ci aveva già pensato prima di lei.

Sophie aveva momentaneamente abbandonato il libro e stava fissando con un’espressione atterrita sul volto la prima pagina della Gazzetta.

Rose si chinò in avanti, cercando di capire cosa aveva appena turbato l’amica.

Ciò che riuscì a scorgere fu solo un’immagine, grande quasi come metà pagina. Ritraeva una casa di periferia, molto simile alla sua a dire il vero, mezza distrutta, ma la cosa più inquietante era sicuramente ciò che stava al di sopra della casa: un enorme teschio dalla cui bocca usciva un serpente riluceva sinistramente stagliandosi contro il cielo nuvoloso. La scritta recitava: “Setta di assassini uccide intera famiglia in mattinata”.

 

Angolo autrice:

Mamma! Sono proprio in ritardo, eh? Caspita… perdonatemi, vi prego!!!

Sabato non ho potuto pubblicare perché ero fuori casa e il capitolo non era ancora del tutto pronto.

Ieri invece era tutto pronto, ma all’ultimo minuto, chissà perché, il computer ha cominciato a fare le i capricci e non sono riuscita a collegarmi a internet.

Spero di essermi rifatta con questo capitolo. Che ne dite?

Grazie a tutti coloro che hanno recensito gli scorsi capitoli e un ringraziamento anche a chi ha inserito questa storia tra le preferite/seguite/ricordate.

L’appuntamento per il prossimo capitolo è venerdì o sabato, a seconda di come andrà la settimana, e naturalmente a seconda di come si comporterà il mio computer :) (per la storia non dovrebbero esserci problemi, la prima scena è già pronta!)

Un saluto e un abbraccio a tutti,

Gageta98

 

P.S. un’occhiatina non ce la dareste?: http://www.facebook.com/Gageta98

   
 
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