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Autore: Trick    09/10/2012    1 recensioni
La vita del dottor Archie Hopper trascorre nella monotonia come qualunque altra vita di qualunque altro abitante della cittadina di Storybrooke, ma da quando il piccolo Henry Mills è diventato il suo paziente prediletto, le cose hanno iniziato a prendere una piega ben più inaspettata. Nel frattempo, nel regno delle fiabe, Jiminy Cricket decide finalmente di fare la cosa giusta.
Una caccia a un burattino, un cruciverba incompleto, una mantella magica, l'assicurazione di una macchina rossa da pagare e i conti da fare con l'altra vita, con le altre scelte, quando la maledizione si spezza.
|Ruby/Archie|
Genere: Generale, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Archibald Hopper/Grillo Parlante, Cappuccetto Rosso/Ruby, Nuovo personaggio
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Storia di un Grillo, di una Volpe e di una ragazzina con il Cappuccio Rosso
Capitolo 2 - La volpe

*

Jiminy non aveva mai avuto dei figli, né era mai stato intenzionato ad averne. Qualcuno avrebbe potuto dire che aveva allevato Geppetto, sebbene in un modo un po' particolare, ma sarebbe stata una bugia: Jiminy era solo il suggeritore nascosto dietro le sue decisioni. Crescere un figlio era una questione ben più grossa e spinosa.
Ormai adulto e con i capelli ingrigiti, Geppetto non aveva più avuto bisogno dei suoi consigli e Jiminy si era lasciato vincere dalla tiepida intimità che può regalare un'amicizia di così lunga data. Trascorrevano intere serate seduti attorno al tavolo da lavoro dell'uomo, chiacchierando spensierati di tutto e di niente, e di tanto in tanto Geppetto scaldava un po' di latte di capra e vi inzuppava dentro il pane. A Jiminy le briciole della crosta erano sempre piaciute.
Quella mattina di ottobre, tuttavia, quando si erano svegliati e si erano ritrovati quel burattino scalmanato che scorrazzava davanti alle ceneri del camino, era mancato poco che non venisse un infarto ad entrambi.
Pinocchio, aveva detto di chiamarsi, e se i due vecchi amici non fossero stati tristemente avvezzi alle prodezze della magia, non ci avrebbero mai creduto.
«Non temere, Geppetto» lo aveva rassicurato Jiminy infinite volte. «Lo aiuterò a non farsi troppo male».
Il falegname aveva riso e si era aggiustato il ridicolo parrucchino biondo – quante volte Jiminy aveva tentato di convincerlo a disfarsene?
«Oh, lo so. Tu sei sempre stato bravo con i bambini».
E poi aveva perso Pinocchio. Non una, non due, non tre volte, no: quella era la quarta volta in cui quel burattino gli scappava sotto il naso in una sola settimana.
Jiminy svolazzava frenetico fra i tetti e i comignoli delle case del paesino, tenendo ben stretto il cappello e scrutando con attenzione in ogni vicolo. Poi riconobbe il suo berrettino a punta fra la folla e si gettò a tutta birra in discesa.
«Pinocchio!» strillò. «Pinocchio!».
Il burattino voltò incuriosito la testa e sorrise con innocenza.
«Ciao, Jiminy!» esclamò raggiante, allungando una piccola manina di legno per permettere all'insetto di appoggiarvisi sopra.
«Santo cielo, Pinocchio, avevi promesso che saresti andato a scuola. Cos'è successo? Che ne è stato del tuo abbecedario? E perché sei--».
«Bla bla bla» gli fece il verso una vocina fastidiosa.
Jiminy si girò e trasalì, sconcertato. Una grossa volpe senza coda lo stava fissando come se avesse voluto trasformarlo nella propria cena. I suoi occhi erano gialli e insidiosi e le antenne di Jiminy captarono svelte il pericolo. Poco dietro il primo animale, c'era un gatto dal pelo malconcio ma con la stessa espressione ferina della volpe. Gli mancava un occhio.
«Pinocchio, chi sono questi...?».
«Loro sono Fox e Cat, i miei nuovi amici» spiegò orgoglioso il burattino. «E lui è Jiminy. Jiminy Cricket».
Il minuscolo insetto era raggelato nel leggere l'espressione di stupore negli occhi feroci dei due animali trasformarsi prima in comprensione, e poi in incontenibile rabbia. Fare due più due fu troppo facile.
«Jiminy... Cricket?» sibilò minacciosa la volpe, avvicinandosi di qualche passo a Pinocchio. «Di', Cat, non ricordi anche tu un certo Jiminy?».
Il gatto soffiò.
«Sì...» riprese con più odio la volpe. «Me lo ricordo anch'io».
«Pinocchio, quello era il momento adatto per dire una bugia» tentò di sdrammatizzare Jiminy, prendendo rapidamente il volo e levandosi mezzo metro più in alto delle due creature.
Poi Fox spiccò un balzo incredibilmente veloce e cercò di afferrarlo fra le zampe. Pinocchio strillò spaventato, ma non poté far nulla per evitare che i due grossi animali iniziassero a inseguire per le vie del paesino il povero Jiminy. Cercò di non perderli di vista, ma erano troppo agili e riuscivano a scivolare fra la folla ben più facilmente di quanto le sue piccole gambe di legno non permettessero. In men che non si dica, le tre creature erano scomparse.
«Fermati!» gridava Fox. «Fermati, Jiminy! Fermati!».
«Sono la voce della coscienza, Fox!» ribatté col fiato corto l'insetto. «Non dovresti chiedere cose tanto assurde!».
«Vieni qui subito!».
Ma Jiminy si era già librato al di sopra di una grondaia arrugginita, diversi metri più in alto, in una ragionevole postazione sicura. Da lì, si sporse per scrutare meglio i due vecchi compagni di furto.
«Cosa vi è successo?» chiese, senza alcuna nota di rimprovero o scherno. Sembrava sinceramente dispiaciuto. «Perché siete... animali?».
«Ha parlato quello con le antenne!» aggiunse piccato Cat, iniziando a muoversi avanti e indietro come un leone in gabbia.
«Di chi vuoi che sia la colpa, eh?» urlò con accusa Fox. «Di te! Te che non mi hai fatto prendere quella stupida coperta! Malefica voleva indietro la sua coda e una coda è proprio ciò che si è presa! E ora scendi da lì, così posso mangiarti!».
«Ma naturalmente» la prese in giro Jiminy, appoggiandosi con tranquillità all'ombrello.
«E tu perché sei un grillo?» si informò Cat.
Jiminy parve stupito dalla domanda. Rimase in silenzio qualche istante e poi scosse appena la testolina.
«È una storia lunga che non credo possa mutare la situazione» tagliò corto. «Credo dovremmo cercare di risolvere le nostre divergenze in maniera civile».
«Ma col cavolo! Io ti--».
«Jiminy!» si levò la voce angelica di Pinocchio. «Jiminy Cricket, dove ti sei cacciato!?».
La bocca di Fox si aprì in un sogghigno malvagio. I suoi canini aguzzi fecero rabbrividire il piccolo grillo.
«Siamo qui, mio caro amico!» esclamò leziosa. «Vieni, Pinocchio, vieni!».
«No, Pinocchio!» strillò concitato Jiminy. «Torna a casa! Va' da Geppetto! Stai lontano dai guai!».
«Dai guai, eh?» fu il commento divertito di Fox. «È questo quello che fai, adesso? Tieni i burattini lontano dai guai? Proprio tu?».
Cat ridacchiò sfrontato. Pinocchio arrivò proprio in quel momento, leggermente trafelato dalla lunga corsa. Alzò gli occhietti verso la grondaia e aggrottò perplesso le sopracciglia. Poi guardò i due animali, e poi di nuovo l'insetto.
«Jiminy, cosa fai lassù?».
«Temo che il nostro amico non voglia venire con noi, tesoro» mormorò Fox, strusciandosi con malizia attorno alle gambe di legno del burattino. «Ma tu sì, non è vero? Vuoi venire con noi?».
«Dove?».
«Pinocchio, non dargli ascolto!».
Fox ringhiò verso di lui.
«Dovresti scendere per impedirglielo, non trovi?».
Jiminy deglutì a stento. Era nei guai, guai seri, guai tremendamente seri... doveva trovare Geppetto al più presto, ma come poteva abbandonare Pinocchio in barba a quei due lestofanti? Avrebbe potuto accorrere in suo aiuto? Oh, certo, e se lo sarebbero mangiato in pochi istanti. E che ne sarebbe stato, allora, del povero Pinocchio? Non sapeva come comportarsi... la sua unica speranza era riposta nell'assennatezza del burattino – e la più sincera parte di Jiminy si era già rassegnata al peggio.
«Dove andate?» chiese ingenuamente Pinocchio.
La scintilla perversa che attraversò gli occhiacci di Fox non avrebbe convinto nemmeno il più stolto dei bambini, ma Pinocchio era solo un burattino, e nemmeno di quelli più svegli.
«Nel Paese dei Balocchi».
A quel nome Jiminy cacciò un grido spaventato, ma nulla poté dire per impedire a Pinocchio di seguire l'ombra di quella dannata volpe senza coda.

*

Archie aveva sottovalutato la gravità della telefonate di Regina Mills e se ne era accorto solo quando Henry aveva iniziato a scrutarlo con la faccina seria e indagatrice. Sembrava fosse lui, quello intendo a studiare lo psichiatra.
Il ragazzino era seduto con le gambe a penzoloni sul divano dello studio del medico da quando sua madre lo aveva lasciato alle cure di Archie, quindici minuti prima, e non sembrava ancora intenzionato ad aprire la bocca.
«Tua madre ha detto che ti piacciono molto fiabe».
«Sono vere, dottor Hopper» affermò lui con candida sicurezza.
Il dottore gli rivolse un sorriso incoraggiante.
«Chiamami Archie, Henry».
«Sono vere lo stesso, Archie» riprese con decisione.
L'uomo annuì con espressione pensierosa, grattandosi distratto il mento.
«Cosa te lo fa pensare?».
«È nel libro».
«Libro?».
Henry fece un cenno con la testa, afferrò il proprio zainetto e ne estrasse un grosso tomo dall'aspetto piuttosto antico. La scritta "Once Upon A Time" troneggiava scintillante sulla copertina rigida. Archie avrebbe voluto darci un'occhiata, ma temeva che il bambino potesse tradurre la sua curiosità clinica come un'invasione personale. Gli era già capitato, in passato.
«È un libro di fiabe?» si limitò a chiedere.
«Ci siete tutti, qui dentro» spiegò Henry, accarezzandone con affetto il dorso. «È per colpa della maledizione della Regina Cattiva se non ricordate chi siete».
Archie aggrottò le sopracciglia.
«Chi... siamo?».
«Voi siete i personaggi delle fiabe e mia madre è la Regina Cattiva. È stata lei a gettare la maledizione sul regno incantato, e ora nessuno di voi ricorda chi era prima di finire a Storybrooke».
C'era qualcosa di vagamente inquietante nella naturalezza con cui Henry aveva affibbiato alla propria madre il ruolo della Regina Cattiva. Archie era abbastanza esperto da comprenderne i motivi, ma si era ormai reso conto che il lavoro che gli si prospettava davanti era molto più complesso di quanto non avesse immaginato. Nel corso degli anni si era ritrovato davanti i casi più assurdi, come il terrore della signora Lucas per i pleniluni e la mania di Marco per i burattini, ma non aveva mai sentito qualcuno distorcere la realtà in un modo tanto enigmatico. Qualunque cosa dalla quale Henry stesse tentando di fuggire era decisamente grande – e probabilmente era sua madre.
«E tu... a quale favola apparterresti?».
Henry parve spiazzato da quella domanda.
«Io non ci sono. Non vengo dal regno delle fiabe».
«Capisco. E la Regina cattiva è...».
«Mia madre».
Archie sfilò gli occhiali e iniziò a ripulirseli con cura. Iniziava seriamente a preoccuparsi per il piccolo Henry: la convinzione che la madre fosse la Regina Cattiva era il più negativo dei segnali. Rigettava la figura materna – e non era purtroppo un caso, vista la situazione – e aveva trovato nella Regina Cattiva la perfetta incarnazione della donna rigida e ferma che era il sindaco Mills. Come avrebbe potuto aiutarlo senza disturbare oltre il suo spettro emotivo?
«Come hai avuto quel libro, Henry?».
«Io...» balbettò incerto, distogliendo lo sguardo da Archie e mordicchiandosi nervoso l'interno della guancia. «L'ho trovato».
Il dottore sorrise gentile.
«Non dovresti dire le bugie. Sono le--».
«Il Grillo!» esclamò all'improvviso, scattando in piedi con un sorriso di puro trionfo. «Il Grillo Parlante!».
«C-come?».
«Tu!» riprese il bambino con foga, puntandogli l'indice sul petto. «Tu sei il Grillo Parlante!».
Ad Archie occorse qualche istante per comprendere fino all'ultima sillaba il senso delle parole del ragazzino. Strinse confuso le palpebre e poi arrangiò un mezzo sorriso sconcertato.
«Il... Grillo Parlante?» ripeté stupito. «Ma, Henry, il Grillo Parlante è... un grillo».
«A Storybrooke la magia non esiste».
Il dottore soppesò attentamente la folle convinzione di Henry. Il Grillo Parlante, gli aveva detto, e se solo non fosse stato un uomo tanto riguardoso nei confronti del prossimo e del proprio mestiere, avrebbe faticato a trattenersi dal ridere. Era davvero la fantasia più incredibile che avesse mai avuto modo di udire in tutta la sua carriera.
E dove mai sarebbe finito il suo Pinocchio?

*

«Pinocchio! Pinocchio!».
Jiminy non aveva la minima intenzione di arrendersi. Non avrebbe mai potuto lasciare il burattino nelle mani di Fox e Cat; non se lo sarebbe mai perdonato. Ma come avrebbe potuto tirarlo fuori da quel guaio? Se fosse tornato indietro alla ricerca di Geppetto, avrebbero rischiato di arrivare troppo tardi: Jiminy era tristemente a conoscenza di cosa fosse il Paese dei Balocchi e il solo pensiero che il povero Pinocchio vi si stesse per avventurare in compagnia di quei due manigoldi era inconcepibile. Doveva fare qualcosa, doveva trovare una soluzione e doveva farlo subito.
Fremente di ansia, non si accorse del gigantesco cestino che gli piombò sulla testa, facendolo capitolare nell'erba.
«Oh!» esclamò dolorosamente.
La giovane proprietaria del cestino non poteva avere più di vent'anni. Indossava un lungo mantello rosso calato sulla lunga chioma mora. Aveva un viso pallido e simmetrico, con gli zigomi alti e gli occhi verdi e allungati – Jiminy non si intendeva di donne, ma soltanto un cieco non l'avrebbe giudicata bella.
Dovette aver udito i sottili gemiti di Jiminy, perché si chinò curiosa sui ciuffi d'erba e iniziò a guardare a destra e sinistra.
«C'è... qualcuno?».
«S-sono qui, signorina» borbottò impacciato lui, rialzandosi sulle zampette anteriori e riafferrando il cappello che era volato a qualche passo da lui. «Qui, verde nel verde».
«Oh, cielo!» esclamò intimorita la giovane, con un piccolo saltello indietro. «Voi... parlate?».
Jiminy si librò in aria e si aggiustò con cura l'abito.
«Continuo a non capire come possano tutti stupirsene sempre» si schernì divertito. «Il mio nome è Jiminy Cricket».
«Parlate sul serio».
Il grillo chinò desolato le antenne.
«Sì...».
«Voi... parlate».
«Sì, e volo anche. Incredibile, non trovate?» continuò a scherzare l'insetto. Poi si alzò all'altezza del volto della giovane. «Avete per caso visto un burattino che seguiva una volpe e un gatto?».
La sconosciuta calò il cappuccio rosso con incredibile calma. Le sue labbra erano dischiuse in una muta esclamazione di sorpresa e Jiminy si chiese quanto altro tempo le sarebbe occorso prima di afferrare la gravità della situazione.
«Siate così gentile da darmi ascolto, signorina, io--».
«Li ho visti, in realtà» lo bloccò di nuovo. «Un ragazzino di legno con un vestito ridicolo che inseguiva due grossi animali. Parlanti».
Le antenne di Jiminy si drizzarono euforiche.
«Li avete visti!?».
«Sarebbe stato assurdo non notarli».
«Dove sono andati?».
«Hanno preso il sentiero che va a ovest» spiegò lei con una smorfia pensosa. «Non è una bella direzione, quella. Ricettacoli di ladri e malfattori e...».
«Temo di saperlo, sì» terminò laconico Jiminy. «Vi ringrazio, signorina. Vogliate perdonarmi, ma devo riportare a casa un discolo burattino».
Stava giusto per dirigersi verso la direzione mostratagli dalla giovane, quando la sua voce squillante lo bloccò improvvisamente.
«Ehi, fermatevi! Non potete andare da solo! È pericoloso!».
Jiminy si fermò a mezz'aria e la fissò sconcertato.
«Come dite?».
«Siete solo un grillo, non potete infilarvi all'Osteria del Gambero Rosso come se niente fosse» concluse spiccia lei, accelerando il passo e seguendo la sua scia. «E poi non voglio perdermi la scena. Un grillo, una volpe, un gatto e un burattino?» ridacchiò. «Adoro queste storie assurde!».
Jiminy tossicchiò nel dorso della zampetta.
«È una affare assai più serio di quanto appare».
«Tutte le cose serie nascondono un lato divertente» ribatté lei con un largo sorriso. «Un po' come voi. Sembrate tutto compito e assennato, ma siete anche terribilmente buffo».
Il grillo aprì la bocca per dire qualcosa, ma non riuscì a capire se avesse dovuto ritenersi indignato o onorato.
«Oh, fra l'altro: il mio nome è Red. Red Riding Hood».
Lui pensò fosse piuttosto ingiusto venire accusati di essere buffi da una ragazza così carina e con un nome altrettanto ridicolo.

*

«Non posso crederci...» brontolò Archie al bancone di Granny's, fissando sconvolto il cruciverba de Lo Specchio. Gli mancava una sola definizione. «Ruby?».
La ragazza sollevò lo sguardo dai piatti che stava sistemando, scrutò l'espressione tormentata del medico e poi esplose in una risata sfrenata.
«Non ci riesci nemmeno oggi?» lo prese in giro, appoggiandosi davanti a lui e arricciando una ciocca rossa attorno all'indice. «Dottore, stai perdendo i colpi».
«E Sidney Glass è stato rapito dagli alieni, questo è certo» rispose con un sorriso.
Ruby ridacchiò di nuovo e gli prese il giornale dalla mani. Lesse con aria attenta, poi spalancò la bocca e guardò Archie come se fosse lui, quello rapito dagli alieni.
«Madonna!» rispose scioccata. «Porca miseria, Archie! "La controversa diva di Erotica". Madonna, no? Come fai a sapere...?» aggrottò perplessa le sopracciglia e recitò: «"Massinissa"? Che razza di parola è?».
«Era il primo sovrano dell'antica Numidia. Corrisponde più o meno all'attuale Marocco».
Ruby lo scrutò con un sopracciglio inarcato e Archie si sentì avvampare. Chinò imbarazzato il capo, ma poi la ragazza appoggiò una mano sulla sua e ricominciò a ridere.
«Sei incredibile!» esclamò divertita. «Non sai chi è Madonna, ma...» s'interruppe e scosse il capo, liquidando la questione con un cenno della mano e un'occhiata affettuosa. «Sei incredibile, Archie» ripeté con tono gentile.
«E-ecco, suppongo che...» tentennò lui, grattandosi imbarazzato la nuca. «Ti prometto di ascoltare Madonna al più presto».
La ragazza serrò le labbra e trattenne a stento l'ennesima risata.
«No» scosse la testa. «Vai bene così. Tieni il tuo Massicoso».
Afferrò malamente uno strofinaccio e iniziò a lucidare distrattamente il bancone del bar. Non ce ne sarebbe stato bisogno, ma sembrava che la giovane nutrisse il bisogno di fare qualsiasi altra cosa. Teneva lo sguardo basso e la frangia gli ricadeva davanti agli occhi truccati, ma c'era un sorriso distante e dolce a incresparle le labbra. Archie rimase a studiarla con aria persa.
Ruby non era che una ragazzina e non c'era niente in lei che riportasse alla mente l'immagine di una giovane donna matura e organizzata. Era ribelle, testarda e nel corso degli anni aveva sviluppato una triste fama all'interno della noiosa comunità di Storybrooke. Archie non aveva mai dato peso a quei sciocchi pettegolezzi di strada. Ruby non era una ragazza cattiva: era solo curiosa.
Aveva appena terminato di bere il proprio caffè mattutino, quando sentì qualcuno picchiettargli con forza la spalla. Fu piuttosto stupito di ritrovarsi davanti il viso accigliato di Jeanette – a quell'ora avrebbe già dovuto essere in ufficio. Suo fratello Gideon, impagliato in un cappotto verde militare che gli ricadeva sulle spalle come una tenda bagnata, sembrava essere capitato da Granny's per un malaugurato scherzo del fato; tuttavia, sembrava piuttosto compiaciuto dalla possibilità di poter sbirciare Ruby pulire i tavolini del locale. Il suo sguardo furtivo indugiava sulle sue gambe nude e sulla curva delle minigonna scura. Archie si ritrovò a pensare che non sarebbe stata affatto una cattiva idea, se quella ragazza avesse smesso di ancheggiare con modi così provocanti. Era al corrente dell'effetto che faceva agli uomini o peccava solo di adolescenziale ingenuità?
Le unghie smaltate di viola di Jeanette iniziarono a tamburellare nervosamente sul bancone.
«Due caffè da portare via, Ruby» ordinò sgraziata. «Io e Gideon abbiamo fretta».
«Non dovreste già essere in ufficio?» si informò Archie.
«Avevo voglia di un caffè».
«Sì, ma--».
«Avevo voglia di un caffè» lo troncò di netto lei, sedendo sullo sgabello al suo fianco e accavallando le gambe.
L'orlo della gonna gli risalì quasi fino all'inguine, e Archie la trovò terribilmente volgare. I suoi occhi caddero di nuovo su Ruby, che armeggiava con movimenti esperti davanti alla caffettiera, e al modo sinuoso con cui i suoi fianchi ondeggiavano. Anche la sua gonna era molto, molto corta... molto più corta di quanto non sarebbe stato lecito immaginare, altrettanto volgare, eppure Archie non sarebbe mai stato in grado di fare un paragone fra le due donne.
Ruby appoggiò davanti a Jeanette i due grossi bicchieri di cartone e disse:
«Fanno tre dollari e novantacinque».
«Paga Archie» sentenziò spiccia l'altra, afferrando uno dei due caffè e porgendolo malamente al fratello.
«Paga Archie...» ripeté rassegnato il dottore, sistemando gli occhiali sul naso. «Naturale».
Ignorandolo spudoratamente, Jeanette sorseggiò un po' di caffè e fece una smorfia disgustata. Archie vide Ruby trattenere a stento la stizza.
«Se non è di tuo gusto, posso fartene un altro» sibilò a fatica, posando una mano sul bancone e schioccando minacciosa la lingua. «Nessun problema».
Il suo tono di voce pareva sottintendere tutta un'altra storia, ma Jeanette non se ne accorse.
«No, tesoro, non importa. Non credo riusciresti comunque a fare di meglio» buttò lì con un irritante sorrisetto lezioso. Archie fece per dire qualcosa, ma la donna proseguì: «C'è da pagare la rata della tua assicurazione, fra l'altro».
«Verrò in settimana, signorina Honestine» ringhiò fra i denti Ruby, portando una mano ai fianchi.
«Sono ottocento dollari» aggiunse Gideon, mentre soffiava sereno sul proprio caffè. «Non un dollaro in più, non un dollaro di meno».
Il viso di Ruby perse colore.
«O-ottocento... cosa?» balbettò in panico. «Ma è quasi il doppio rispetto all'anno scorso!».
«Le tariffe sono cambiate».
«Le vostre tariffe sono un furto!».
«Trovati un'altra compagnia assicurativa, tesoro» concluse con un occhiolino d'intesa Jeanette. «Oh, che sbadata. Non ce ne sono».
Gideon scoppiò in una risata priva di contegno, ma Archie scosse il capo e commentò:
«Andiamo, Jeanette: è una cifra irragionevole».
«Non è un mio problema» tagliò corto la donna. «Ci vediamo a casa».
Sistemò il bavero del cappotto e si diresse con passo superbo in direzione della porta, con Gideon che le trotterellava al seguito come un cagnolino. Archie rimase a fissarla con una sensazione di profondo imbarazzo nella pancia. Non aveva più il coraggio di alzare gli occhi su Ruby. La ragazza era rimasta paralizzata dall'altra parte del bancone e aveva iniziato a massaggiarsi debolmente una tempia.
«Ottocento dollari...» mormorò mesta. «E dove diavolo li trovo?».
«Mi dispiace» cercò di scusarsi Archie. «Jeanette a volte è così...».
«Stronza?».
Archie rimase interdetto.
«Stavo pensando a qualcosa come "sgradevole", ma temo che anche "stronza" possa calzare».
Ruby fece uno sbuffo sconsolato e si lasciò scivolare sul bancone, con la fronte appoggiata al finto marmo e le mani affondate fra i capelli. Archie deglutì a stento, poi fu colpito da un'idea improvvisa, istintiva, illogica.
«Te li presto io».
Lei alzò di colpo il viso e lo guardò come se lo vedesse per la prima volta.
«C-cosa?».
«Te li presto io, Ruby» ripeté con un sorriso gentile. «Ti prego».
«Io... io non... Archie, non posso accettare».
«Insisto».
Dopo qualche secondo in cui parve analizzare attentamente le possibilità che aveva davanti, Ruby cacciò un piccolo grido estasiato, girò di corsa attorno al bancone e gettò le braccia al collo di Archie. L'uomo ne rimase inebetito.
«Oh, cielo, Archie, grazie!» parlò in fretta, stringendolo in una morsa quasi soffocante. «Ti restituirò fino all'ultimo centesimo, te lo giuro! Oddio, sono così... grazie».
I capelli di Ruby profumavano di ciliegia e Archie non fu in grado di pensare ad altro per parecchi istanti. C'era qualcosa di sbagliato nel modo in cui si stava stringendo a lui, e qualunque cosa fosse, Archie era deciso a non ripensarci mai più. Le provocava sensazioni pericolose e lui, a certi sbalzi incontrollabili, era sempre stato poco avvezzo.
Quando gli occhi di Ruby incontrarono di nuovo i suoi, il cuore di Archie sembrò perdere un battito. I suoi occhi erano sempre stati così verdi? Lei sorrise con l'ardore di una ragazzina, si mordicchiò il labbro inferiore e tentennò appena prima di posargli un bacio leggero sulla guancia.
«Grazie, Archie».
Lui arrossì fino alle orecchie.
Che diavolo stava facendo?

*

«Un asino! Un asino!» ripeté incredula Red, mentre risaliva il piccolo sentiero che costeggiava la costa con aria allucinata. «Non posso crederci!».
«Tutta questa storia non ti ha aperto gli occhi sul potenziale della magia?» le domandò sbrigativo Jiminy, svolazzando a destra e a sinistra e tentando di aguzzare la vista fra gli anfratti della scogliera.
Red non rispose e Jiminy si fermò per poterla guardare in viso. Aveva il viso chino e un'improvvisa ombra scura aveva attraversato i suoi occhi.
«Perdonatemi» si affrettò a dire il grillo. «Non era mia intenzione mancarvi di rispetto. Sono così preoccupato per Pinocchio che mi è difficile concentrarmi su altro. Vi prego di scusarmi».
La ragazza scosse la testa e arrangiò un timido sorriso.
«Ma voi non avete detto nulla che non avreste dovuto dire» lo tranquillizzò Red. «Sono solo... suscettibile all'argomento, tutto qui. Coraggio, dobbiamo trovare il vostro burattino prima che finisca in guai più grossi di un paio di orecchie e una coda!».
Lei iniziò a correre lungo la riva, ma Jiminy era rimasto immobile.
«Che aspettate!?» lo incitò lei. «Non c'è tempo da perdere!».
Lui le si avvicinò e inclinò la testina con aria seria. Red non aveva mai visto un grillo del genere – come le sarebbe stato possibile farlo, d'altronde? - né probabilmente si era mai ritrovata a dare la caccia a un burattino trasformato in un asino a causa di una volpe e di un gatto parlanti, ma in quel momento trovò la situazione ancora più incredibile e assurda di quanto non avesse creduto. Gli occhi di Jiminy, o qualunque cosa fossero, lì sulla sua piccola faccetta verde, sembravano passarla da parte a parte.
«Qualunque cosa abbiate sepolto dietro il vostro sorriso scanzonato tornerà fuori, prima o poi» le confidò improvvisamente. Red trasalì. «Fidatevi di me. Torna sempre tutto indietro. Dovreste prepararvi a combatterlo con tutta la vostra tenacia. Affrontare se stessi è una battaglia feroce, ma doverosa».
«Cosa potete saperne, voi, di combattere contro noi stessi?» chiese piano lei, scuotendo il capo. Non c'era pena nel suo tono, né qualcosa in lei lasciava trapelare scherno o arroganza. Sembrava solo stanca. «Siete... un grillo».
«Non dovreste giudicare dalle apparenze».
Con un ultimo cenno del capo, Jiminy riprese a svolazzare davanti a lei e di tanto in tanto gridava il nome di Pinocchio. Red gli fu presto accanto a far eco ai suoi richiami agitati. Presto la costa di riempì delle loro voci – e forse fu solo un modo come un altro per lasciar perdere ricordi che ancora dolevano i cuori di entrambi.
Nonostante la lontananza, fu facile riconoscere i profili di Fox e Cat. Jiminy scattò come un piccolo fulmine non appena li vide. Le sue zampette torturavano nervosamente il manico dell'ombrellino e nella sua testa si era accesa una sola voce: "Fa' che stia bene, fa' che stia bene...".
«Pinocchio!».
Fox levò il muso e si girò lestamente verso di lui. Cat rizzò il pelo e soffiò un rauco avvertimento. Pinocchio era chino sulle ginocchia, con una grossa fune legata al collo di legno e il faccino spaurito e disorientato. Al sopraggiungere di Jiminy, il suo sguardo si riaccese di speranza.
«Jiminy!» strillò. «Jiminy, ti prego, aiutami! Vogliono vendermi al mercato! Vogliono portarmi via!».
«Non lo faranno» sentenziò con incredibile determinazione l'insetto, atterrando con grazia fra i sassi e appoggiando la punta dell'ombrello davanti a sé.
Red piombò di corsa dietro di lui, ansando un poco.
«L-lasciate andare il burattino» li minacciò con uno sguardo serio.
Cat parve perdere di colpo la propria baldanza, ma Fox rimase immobile, con gli occhiacci gialli fissi sul piccolo grillo e i denti aguzzi scoperti.
«No» ringhiò perfida. «A causa tua ho perso tutto, Jiminy».
«Dovresti pensare a cosa avresti potuto riavere... a cosa potresti ancora avere. Hai avuto la possibilità di cambiare vita, di cambiare forma, di--».
«Sono una volpe!» esclamò furiosa, piantando una zampa fra i sassi e chinando la testa in avanti. «Una dannata volpe! E tutto per causa tua!».
«Ed io sono un grillo, sì» rispose con estenuante pacatezza Jiminy. Red ammirò la sua capacità di mantenere la calma. «Ho finalmente trovato il mio posto nel mondo. Sono finalmente diventato la persona che ho sempre voluto essere. Perché ti è tanto difficile riuscire ad agire secondo coscienza, Fox? Come puoi non capire quanto di buono puoi--?».
«Chiudi la bocca!».
Con un balzo feroce, Fox si lanciò su di lui. Fu un gesto imprudente e sconsiderato: Red fu abbastanza lesta da frapporsi fra lei e Jiminy. La sua mano si infilò lesta nel cestino e quando ne riemerse le sue dita sottili stringevano l'impugnatura di un piccolo coltello. La lama scintillava pericolosamente alla luce del sole.
«No, Red, ferma!» gridò Jiminy, allarmato.
«Sta' lontana da lui» lo ignorò la ragazza, muovendo un passo in direzione di Fox. «Non osare toccare nessuno di loro o giuro che ti trasformo in una pelliccia».
«Jiminy...» pigolò Pinocchio. «Jiminy, aiutami...».
Le narici di Fox fremettero di rabbia. Alle sue spalle, Cat aveva chinato tremante il muso.
«Fox, forse dovremmo...».
«No, non dobbiamo» gli ordinò perentoria. Il suo sguardo rimase fermo sul viso di Red. Per un momento parve intenta ad annusare l'aria, poi la sua ira parve trasformarsi un sogghigno derisorio. «Tu non sei umana».
La giovane rimase impietrita e quel poco colore rimasto sul suo volto svanì di colpo. Jiminy non riuscì a capire il senso delle parole di Fox, ma si disse che non era il problema principale. Doveva liberare Pinocchio – e si ripromise di ripensare a Red più tardi.
«Lascia andare Pinocchio, Fox» la pregò con tono diplomatico. «Non assecondare il lato malvagio del tuo animo».
«Malvagio?» sussurrò malignamente la volpe. «Dimmi, Jiminy, hai una mezza idea della creatura con la quale stai girovagando?».
«Sta' zitta!» la fermò concitata Red, mostrandole il pugnale con sguardo di fuoco. I suoi occhi bruciavano quanto quelli di una belva furiosa e Jiminy ne rimase sconvolto. «Tu non sai niente!».
«No, ma posso sentirti. Di te parla ogni creatura dei boschi: sei l'assassina».
Red non fu in grado di sopportare oltre. Carica di cieca furia, brandì il pugnale verso Fox; la volpe fu agile a schivarlo e si appiattì sul terreno. Il suo muso era deformato in una maschera di insano odio, ma ancor più evidente era la paura che aveva iniziato ad attanagliarla. Arretrò di qualche passo, lasciando la presa sulla fune che legava Pinocchio e scambiò un'occhiata eloquente con Cat.
«Tornerò» sibilò astiosa. «Tornerò e farò a pezzi tutti e due».
Né Red né Jiminy cercarono di bloccare la loro fuga. Attesero che entrambi gli animali si fossero allontanati, poi Red si chinò e aiutò Pinocchio a liberarsi dai nodi. Il burattino le gettò le braccia al collo. La ragazza sgranò gli occhi, stupita.
«Grazie!» squittì in lacrime. «Non disubbidirò mai più, lo giuro! Sarà un burattino buono, lo giuro!».
Jiminy si schiarì nervosamente la voce.
«Me lo auguro. Spero che questa triste avventura possa esserti di lezione, Pinocchio».
«Non devo dare retta agli animali» annuì compito il burattino. «Solo ai grilli che parlano».
L'insetto roteò comicamente la testa e scosse il capo.
«Non era esattamente quello che intendevo, Pinocchio. Io--».
«Corriamo a casa, Jiminy!» lo interruppe eccitato lui, iniziando a correre verso la scogliera. «Torniamo dal babbo!».
«Pinocchio!» lo ammonì preoccupato Jiminy, librandosi ancora in aria e muovendo una zampetta con aria imperiosa. «Torna qui! Non correre! Ti farai male! E... basta, ci rinuncio» si fermò ed esalò un lungo sospiro. «Vi ringrazio, Red. Non sarei mai riuscito a salvarlo senza il vostro aiuto».
La giovane giaceva ancora sui sassi e si fissava le mani con espressione addolorata – quasi umiliata.
«Non credo» mormorò con un filo di voce. «Siete un grillo in gamba, Jiminy. Sono certa che avreste trovato da voi una soluzione intelligente».
«Sì, ma temo che Fox mi avrebbe comunque mangiato».
Red si lasciò andare ad un timido sorriso.
«Perché non venite con noi?» le suggerì con un velo di incertezza. «Geppetto sarebbe lieto di stringere la mano alla ragazza che ha salvato la vita di suo figlio».
«Non ho fatto niente...».
«La maggior parte della gente non avrebbe mai preso seriamente un grillo che parla di burattini animati, volpi e gatti... perciò, sì: temo che abbiate fatto tanto».
Lei serrò le labbra e iniziò a giocherellare nervosamente con un piccolo sasso grigio.
«Io... io n-non...».
«A me non interessa qualunque cosa voi siate» la aiutò lui. «Siete una persona dall'animo buono e gentile, e questo mi è sufficiente».
«Quella volpe non mentiva, Jiminy» sputò fuori Red, e sembrava proprio che ogni parola le fosse costato uno sforzo disumano. «Io sono davvero un'assassina».
«Ed io ero un ladro» le confidò tristemente. «Vi prego. Fidatevi di me. Qualunque sia il vostro segreto, vi giuro che non lo tradirò».
Red alzò gli occhi e scrutò insistentemente l'insetto. Il suo tono era sincero e lei non avrebbe mai dubitato della sua parola; era la sua determinazione a lasciarla perplessa. Avrebbe avuto il coraggio di starle accanto, se avesse saputo ciò che poteva davvero fare? Lui non era che un misero grillo, dopotutto e lei – quell'altra, quell'altra cosa che doveva controllare – avrebbe potuto ridurlo in briciole con una sola zampata. Eppure le parole le uscirono da sole dalle labbra. C'era qualcosa di confortante nella sua voce assennata, qualcosa di paterno, di giusto.
«Grazie, Jiminy».

*





Note: La storia di Pinocchio è ovviamente stravolta – di nuovo, Collodi, scusa. Nella versione della Disney è la Fata Turchina a dar vita al burattino, mentre nel romanzo Pinocchio prende vita da sé poiché il legno di cui è fatto è magico. Mi pare che nel film di Comencini, invece – non ne sono certa, sono secoli che non lo guardo – Geppetto si alzi una mattina con il ragazzino che gli scorrazza per la cucina. Ad ogni modo, questo è quanto. :)
P.s.
Anche il parrucchino biondo è un richiamo al romanzo.

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