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Autore: Medea00    10/10/2012    18 recensioni
Ecco la mia Klaine week, in stile Blame it on Blaine!
Ebbene sì: sono tutti spin off della mia prima fanfiction, e questa cosa mi ha emozionata molto. Ha superato le 150 preferite e dopo tanto tempo ancora c'è gente che la legge, la recensisce e che mi ringrazia per quella storia. Beh io ringrazio voi. E ho voluto ringraziarvi così. Spero che vi piaccia :)
Genere: Commedia, Fluff, Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Blaine Anderson, Kurt Hummel, Warblers/Usignoli | Coppie: Blaine/Kurt
Note: Lime, Missing Moments, Raccolta | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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I miei occhi lo fissavano luminosi. C’erano così tante cose del suo passato che non conoscevo, chissà quante mille cose, quali scheletri nell’armadio, quanti dettagli che non mi avrebbe mai rivelato se non sotto tortura… non so perché, ma quella cosa mi riempì di emozione: io volevo sapere tutto di Kurt.
---Blame it on Blaine, capitolo 12.









Ci sono dei giorni che ricorderò per tutta la vita.
Non è che debba capitare per forza qualcosa di straordinario; a volte, me li ricordo senza un motivo particolare, basta un dettaglio, un’immagine.
Ultimamente mi capitava di memorizzare ogni singolo momento passato assieme a Kurt. Era come un album di fotografie, che sfogliavo di volta in volta, come se vivessi un po’ al rallentatore.
Quel giorno era iniziato nella tranquillità più assoluta: sveglia alle sette, colazione a mensa un’oretta dopo, lezione con la Pitsbury che, incredibilmente, era meno acida del solito. Con meno acida, intendevo dire che ci aveva chiamato “piccoli mostriciattoli canterini” soltanto una dozzina di volte, invece della solita ventina. Forse, l’aver ritrovato il suo amato gatto Pannocchia l’aveva un po’ addolcita; io e Flint gliel’avevamo lasciato giusto sulla porta del suo ufficio, con tutti suoi undici chili e il suo soffiare frenetico, mentre la donna sembrava avesse appena assistito ad un miracolo.
Quella mattina non vidi Kurt nemmeno una volta, per colpa dei corsi separati e della mancanza di prove degli Warblers: il consiglio aveva decretato una sorta di lutto collettivo, in onore del mesiversario della morte del nostro piccolo Pavarotti.
Era un modo come un altro per avere un giorno di ferie, per passare un po’ di tempo con i propri amici, fidanzate, parenti; io salutai Flint, Ed, Colin e Nick subito dopo il suono della campanella, rifiutando la loro offerta di film Western e cibo spazzatura. Avevo un impegno più importante, e una promessa da mantenere.
Kurt mi aspettò all’entrata della scuola; come sempre, era bellissimo: gli occhi azzurri erano risaltati dalla morbida sciarpa che gli avvolgeva teneramente il collo, e il suo sorriso radioso ne fece scaturire automaticamente uno sul mio volto, uno di quelli che i miei amici definirebbero Kurt-sorriso e prenderebbero in giro per delle ore intere. Ma era una specie di reazione a catena, era più forte di me.
“Passato una bella giornata?” Mi chiese, porgendomi una mano che afferrai senza esitazione.
“Adesso sì.” Mi strinsi nelle spalle un po’ imbarazzato, ma sapevo bene che Kurt adorava quelle risposte; gli lasciai un piccolo bacio sull’angolo della bocca, prima di incamminarci verso l’enorme cortile della Dalton.
Assomigliava ad una sola di centro sportivo, con tanto di attrezzi per la ginnastica, spazio per la corsa, sabbia per il salto in lungo e molte altre discipline; in realtà io e Kurt ci venivamo davvero poco spesso in quella zona della scuola, di solito era più un posto per atleti che per Warblers, ma sapevamo bene che all’ora di pranzo non ci sarebbe stato praticamente nessuno.
Camminammo così, mano nella mano, parlando di tutto e un po’ di niente: di me, della sua famiglia, del compito di francese della settimana successiva, delle prove con il glee Club. Era esattamente quello che rendeva le mie giornate con Kurt assolutamente uniche: era la sensazione di intimità, di affetto, di complicità, che ci aveva unito sin dalla prima volta.
La tomba di Pavarotti si presentò davanti a noi come se non fosse passato nemmeno un giorno dalla prima volta che l’avevamo vista; la piccola lapide era leggermente ammuffita, ma il suo nome e le date incise delicatamente erano ancora ben visibili. Fu in quel momento, leggendo il giorno della sua scomparsa, che mi resi conto di aver baciato Kurt esattamente trenta giorni prima.
Era cambiato tutto da allora, ma allo stesso tempo era rimasto tutto uguale. Eravamo ancora l’uno il migliore amico dell’altro, e se possibile, adesso, lo eravamo ancora di più.
“Secondo te se la passa bene?”
Kurt mi rivolse un’occhiata cinica, parlando con una punta di sarcasmo nella voce: “Oh non saprei. Tu ti divertiresti a stare chiuso sottoterra?”
A volte dimenticavo quanto fosse scettico, ma ormai sapevo bene come prenderlo: “Almeno la sua bara è carina.”
“Vero”, confermò, sereno. Bastava così poco a farlo sorridere; oppure, forse, bastavo io.
Continuai a fissare quel piccolo strato di terra con una certa commozione, il chè era piuttosto stupido, considerando che si trattasse di un canarino; ma quel canarino aveva avvicinato me e Kurt. In un certo senso, era stato un po’ il nostro cupido.
Ciao, Pavarotti. Il piccolo dialogo mentale nato nella mia mente mi fece un po’ sorridere.
Spero che tu stia bene. Ti saluta Pannocchia, il tuo caro amico.
Era considerato scortese fare del sarcasmo con un defunto?
Volevo solo dirti... grazie.

“Ti va di camminare un altro po’?”
Per poco non mi accorsi della domanda di Kurt, e così un po’ esitante annuii, dando un’altra piccola stretta alla mia mano e dirigendomi verso le sbarre con cui i ragazzi facevano i sollevamenti, e anche qualche volteggio di ginnastica artistica. Erano davvero alte: certo, dovevano esserlo, per garantire la sicurezza a qualsiasi ragazzo, ma per un attimo rimasi quasi intimorito da quella semplicissima sbarra di metallo.
Quando notai il bagliore di divertimento negli occhi del mio ragazzo, intuii subito la scia dei suoi pensieri, e quasi mi arrabbiai.
“Ti stai chiedendo se ci arrivo senza saltare?”
“In verità mi stavo chiedendo se ci arrivi e basta”, scherzò trattenendo a stento una risata, e io lo guardai torvo, imboccandomi le maniche della divisa.
“Stai a vedere. Sono più agile di quello che pensi.”
“Oh, non ne dubito.”
“Osi sfidarmi, Hummel?”
“Devi riuscire a fare due giri interi.”
“Solo due? Una passeggiata.”
Lui mi incitò con un gesto della testa, indicando la sbarra e dicendo: “Su allora, prego, Juri Chechi.”
Ok, forse, mi ero lasciato trascinare un po’ dal mio orgoglio e dal mio amore per le sfide. Ma dopotutto, quanto poteva essere difficile roteare su quella sbarra?
Molto, realizzai, una volta che mi ritrovai con la schiena a terra. Guardare due edizioni delle olimpiadi evidentemente non aveva fatto di me un grande atleta.
“Blaine, stai bene?”
Kurt corse verso di me quasi subito, a metà tra lo scoppiare a ridere e l’essere mortificato, e io mi finsi offeso per qualche secondo, giusto per farlo preoccupare un po’ di più; però, nel momento in cui avvicinò il suo viso al mio per guardarmi negli occhi supplicando delle scuse, io mi voltai di scatto lasciandogli un bacio a stampo, facendolo restare senza fiato. Avrei voluto approfondire il contatto, ma l’effetto sorpresa fece sì che si staccò quasi subito, mordendosi il labbro inferiore con quel suo fare imbarazzato ed euforico allo stesso tempo: “Se questo era un modo per ammutolirmi ed evitare che ti prendessi in giro-“
“Direi che ha funzionato”, lo interruppi, con un ghigno soddisfatto che fu subito cancellato via da un abbraccio che mi fece accasciare completamente a terra.
“Non hai ancora vinto”, decretai, “Adesso devi farlo tu.”
Mi guardò confuso, inarcando un sopracciglio: “In che senso?”
“Nel senso che adesso tocca a te fare due giri sulla sbarra”, affermai. Sembrò piuttosto titubante, come se avesse paura di farlo, oppure, di farlo vedere a me.
“Kurt.” Accarezzai dolcemente una sua guancia, rivolgendogli un sorriso confortante: “Lo sai che non ti giudicherò in nessun modo, vero? Insomma, io sono finito con il sedere a terra.”
“Ok. E’ solo che... non ti impressionare.”
Impressionare?
Ma non feci in tempo a chiederlo che lui era già in piedi con entrambe le mani sulla sbarra, gli occhi fissi sul cielo sopra di lui; non lo avevo mai visto così concentrato per un esercizio fisico. Forse, aveva paura di farsi male?
No. A giudicare da come si sollevò senza problemi facendo perno sulle gambe per roteare su se stesso, intuii che non fosse proprio quello, il problema.
“Quanti giri dovevo fare? Due?”
Cominciò a volteggiare sulla sbarra sfoggiando un piccolo sorriso che poteva solo essere interpretato come un: “Ho fatto rimanere di stucco il mio ragazzo e la sua faccia in questo momento è troppo divertente.” In effetti, non mi capitava tutti i giorni di rimanere a bocca aperta, con gli occhi completamente sgranati.
“Kurt...” Non sapevo cosa dire. Cosa potevo mai dire? Avevo appena scoperto uno degli ennesimi talenti del mio fidanzato e, oh, dovetti fare ricorso a tutte le mie forze per non pensare alle implicazioni della sua agilità fisica.
“Sì beh, diciamo che di tanto in tanto mi tengo allenato.” Era seduto sulla sbarra tenendosi con le braccia, le gambe ciondolanti proprio vicino a me. Aveva il respiro leggermente affannato, le guance arrossate per lo sforzo, e in quel momento pensai di essere il ragazzo più fortunato del mondo.
“Kurt, potresti... potresti abbassarti?”
“Cosa, non dirmi che soffri di complessi di inferiorità?”
“Molto simpatico”, canzonai, “No, ecco, riesci a fare quella cosa di... di tenerti con le ginocchia e scendere con la testa verso il basso?”
“Intendi così?”
In meno di un secondo fece quanto richiesto, congiungendo le braccia al petto con una certa soddisfazione, mentre io, lentamente, sentivo il mio cuore morire battito dopo battito, e il mio stomaco roteare su se stesso, grosso modo come aveva appena fatto lui.
“Blaine, andiamo, non è niente di chè, davvero.”
Ma più lui parlava e mi guardava con quegli occhi azzurri, più io mi facevo in avanti, senza distogliere mai lo sguardo dal suo. Lo vidi deglutire per qualcosa; non mi ero certo accorto del fatto che lo stessi letteralmente mangiando con gli occhi.
“Te l’avrei detto prima, però voi Warblers siete sempre così sicuri di voi stessi, e onestamente date poco spazio all’auto affermazione, e poi-“
Non mi interessava sentire qualsiasi discorso su qualcosa che non fosse noi. Non mi interessava, perchè in quel momento tutto ciò che volevo fare era afferrare il suo viso capovolto con entrambe le mani e baciarlo in modo intenso e passionale, facendo scontrare le nostre lingue, accarezzandosi con lentezza, i brividi che mano a mano ci correvano lungo la schiena.
E solo dopo lungo tempo sentii Kurt scostarsi leggermente da me, con le labbra arrossate e semplicemente deliziose, incurvate in un sorriso un po’ timido: “Buon mesiversario, Blaine.”
I miei occhi si illuminarono per un breve secondo, e io quasi scoppiai a ridere di nuovo; davvero, in tutto quello, non lo avevamo ancora detto?
“Buon mesiversario, Kurt. Ora, hai intenzione di scendere, oppure devo salire a prenderti per darti un abbraccio come si deve?”
“Tanto non ci riusciresti.”
“Kurt.”
“Okay, okay.”
Lo aiutai a rimettere i piedi per terra, impiegandoci davvero pochissimo tempo, dal momento che lui fece quasi tutto da solo con un ampio balzo. Ancora non riuscivo a credere a quello che avevo visto e, a quanto pareva, ci stava ripensando anche Kurt, dal momento che scoppiò a ridere mormorando: “... Ti rendi conto che abbiamo appena fatto la versione gay del bacio di Spider-man?”
“Spider-man non è bello quanto te”, ribattei, e poi aggiunsi perplesso: “Aspetta, quindi sarei Mary Jane?”
“E io sarei un ragno? Oh aspetta, meglio ancora: un OGM con il patafix alle mani.”
Quando riuscimmo finalmente a smettere di ridere, ci scambiammo un altro bacio.
E pensai che fosse tutto perfetto. Perchè Kurt era perfetto. Perchè, anche se lui scherzava soltanto, io credevo fermamente che lui fosse il mio adorabile spider-man personale.
Dopotutto, anche se non lo avevo ancora realizzato, lui mi aveva salvato entrando nella mia vita. Con i suoi sorrisi, con la sua sicurezza. Mi avrebbe insegnato ad affrontare le mie paure, la mia famiglia, ad essere esattamente me stesso.
Ci sarebbe stato sempre.
E lui sarebbe stato per sempre il mio eroe.






***



Angolo di Fra:

Lo so. Tutti voi vi aspettavate la nerdata del secolo. Voglio dire, me lo aspettavo anche io dalla mia mente contorta. Ma proprio perchè era TROPPO ovvio mi son detta "no, facciamo qualcos'altro". E così ho fatto la cosa meno nerd che potessi fare. Spero che vi sia piaciuta. A me è piaciuta molto mentre la scrivevo, ora rileggendola mi viene da vomitare arcobaleni quindi direi che siamo ad un livello di romanticherie Klaine standard.
E poi, le VERE idee nerd le sto conservando tutte per il sequel di Headshot. ;)
A domani!
   
 
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