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Autore: jas_    10/10/2012    18 recensioni
«Allora, mi vuoi dire o no come mai ci hai messo così tanto a prendere una baguette? Nessuna conoscenza?» mi domandò Carmela, appoggiando le mani sui fianchi.
Alzai gli occhi al cielo, «no» brontolai.
Rimanemmo in silenzio alcuni secondi, «anzi, adesso che ci penso sì» mi corressi. «Non è che sia una conoscenza - precisai - diciamo che ho scoperto che la ragazza che lavora lì è del South Carolina.»
Carmela batté le mani entusiasta, risi lievemente chiedendomi se avesse davvero cinquant’anni quella donna perché a volte ne mostrava venti per come si comportava.
Si sedette nel posto accanto al mio scrutandomi seria, «e dimmi, è carina?»
Scoppiai a ridere piegandomi leggermente in avanti, «ma che c’entra! Non la conosco e non sono interessato!» esclamai, «però sì.»
«E cos’aspetti ad approfondire la conoscenza?»
La guardai sottecchi aspettando che scoppiasse a ridere da un momento all’altro o che mi dicesse “Harry sto scherzando!”, invece era estremamente seria.
«Tra dieci giorni me ne vado» constatai.
«E quindi? Dieci giorni sono più che sufficienti per innamorarsi!»
Genere: Commedia, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Harry Styles, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Harry e Lennon'
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Giorno 6
 

27 Dicembre

Lennon

 
«Lennon svegliati!» fu l’unica cosa che sentii prima che mio fratello mi saltasse addosso facendomi gridare di dolore.
«Joseph levati!» esclamai, cercando di levarmelo di dosso con uno strattone, ma lui aveva la presa maggiore di una piovra e nonostante i miei sforzi era impossibile smuoverlo.
«Perché non mi mostri un po’ di affetto?» domandò, corrucciato.
Risi, arruffandogli i capelli. Quando ci si metteva riusciva ad essere insopportabile, insistente e divertente allo stesso tempo. «Ecco la mia dimostrazione di affetto» dissi.
Joseph sbuffò prima di alzarsi dal letto e lasciarmi respirare, nonostante avesse solo dieci anni era davvero pesante, pensai.
«Cosa fai oggi?» mi domandò poi, cominciando a osservare ogni singolo oggetto presente nella mia camera, «esci col tuo ragazzo?»
Avvampai.
«Non è il mio ragazzo» dissi poi, irritata.
«Ma vi siete baciati?»
Quanto poteva essere rompiscatole mio fratello da 1 a 10?
«Non sono affari tuoi» borbottai stizzita.
Joseph si voltò verso di me e mi osservò per alcuni istanti, «vi siete baciati!» esclamò poi, puntandomi il dito contro.
Feci per ribattere ma ero troppo scioccata dall’intelligenza acuta di mio fratello – che ovviamente aveva preso da me – per pensare a qualcosa da dirgli.
Okay, ci eravamo baciati, ma Harry non era il mio ragazzo. Avrei desiderato che lo fosse, quale persona sana di mente non lo avrebbe voluto come ragazzo? Ma per cause di forza maggiore era praticamente impossibile.
Stentavo ancora a crederci che ci eravamo davvero baciati, o meglio, che io lo avevo baciato, cosa che rendeva il tutto ancora più surreale. Il fatto era che quella situazione era perfetta, e quando Harry se n’era uscito con il suo “non c’è niente che tu possa fare per farmi cambiare espressione” mi era venuto d’istinto baciarlo.
Non mi sarei mai aspettata che lui avrebbe ricambiato con così tanto trasporto, in realtà ero più preparata ad uno spintone da parte sua per levarmi di dosso, invece era stato così... Dolce.
Sorrisi al pensiero, nonostante fossi consapevole che Joseph mi stesse guardando come se fossi un alieno, ma la dura realtà mi colpì come un macigno: quello era l’ultimo giorno che l’avrei visto.
Sbuffai cambiando repentinamente umore e mi alzai dal letto, guardando Joseph di sottecchi.
«Che c’è?» domandò lui sulla difensiva.
«Ci tieni così tanto a vedere tua sorella nuda o hai intenzione di uscire?» chiesi, rude.
Lui fece una smorfia disgustata prima di affrettarsi ad andarsene.
Mi vestii, e con uno strano senso di malinconia trascinai i piedi fino in cucina, dove mio papà leggeva attentamente il giornale e mia mamma beveva la sua solita tazza di caffè.
«Buongiorno» mi salutò, esageratamente allegra.
«Buongiorno» bofonchiai, versando i cereali nella tazza.
«Tesoro, tutto bene?» domandò mio padre apprensivo come al solito, sospendendo la sua lettura.
Alzai le spalle mischiando i cereali nel latte, «insomma...»
«Hai preparato le valigie?» s’intromise mamma.
Mi arrestai stringendo il cucchiaio con così tanta forza che le nocche mi diventarono bianche, «no» dissi poi, a denti stretti.
«Qualcuno non è di buon umore!» Nonna fece il suo ingresso in cucina e sforzai un sorriso.
In quel momento il cellulare che avevo appoggiato sul tavolo vibrò e mi affrettai a prenderlo prima che qualcuno cominciasse a non farsi gli affari suoi.
«E’ Harry?» domandò subito Joseph, allungandosi verso il telefono per curiosare. Appunto.
Io mi avvicinai lo schermo al petto in modo da impedirgli di vedere ma papà seduto a capotavola aveva la vista di un falco.
«Sì» disse, contento.
Lo fulminai con lo sguardo e bloccai il cellulare mettendomelo in tasca, «avete finito?» brontolai.
«Lennon...» mi richiamò mia madre, con un tono di rimprovero.
«Lennon un bel niente!» alzai la voce, esasperata. «Non vi basta rovinarmi le vacanze? Dovete pure starmi così addosso?»
Mio padre mi guardava confuso, «cosa stai dicendo?»
«Ieri è arrivato qua Harry e non sapeva che domani saremmo partiti e ha litigato con Lennon poi però alla fine si sono baciati» s’intromise mio fratello.
«Joseph!» gridai, rossa fino alla punta dei capelli.
«Vi siete baciati?» domandò mia madre, sorpresa e allo stesso tempo divertita.
Alzai gli occhi al cielo, ovviamente aveva sentito solo la parte meno importante della frase. O meglio, non che fosse una cosa da niente l’aver baciato Harry ma a lei non doveva interessare quello, piuttosto doveva pensare al fatto che domani saremmo partiti e che io non l’avrei più rivisto.
«E quindi? Tanto adesso non lo vedrò mai più» brontolai, mettendomi a braccia conserte.
«Oh, tesoro...» disse mia nonna, dispiaciuta.
«Quindi è per questo che sei così suscettibile stamattina?» chiese mia madre.
Non le risposi, mi limitai a mangiare i cereali prima di perdere l’appetito. Perché doveva essere così irritante, schietta e dura? Non potevamo semplicemente sorvolare l’argomento?
«Io credo che qualcuno non voglia venire con noi a Saint Nazaire...» cantilenò allegra mia nonna.
Le avrei ficcato una mela in bocca, se fosse servito a farle chiudere quella boccaccia.
«Non credo sia possibile» ribatté mia madre decisa.
«Non essere così dura, Carla.»
Ecco perché amavo mio papà.
«Tecnicamente ho diciott’anni» farfugliai, continuando a guardare la mia tazza ormai vuota.
Sentii mia madre fulminarmi con lo sguardo, «si da il caso che finché vivi in questa casa devi attenerti alle regole.»
«Dai mamma sono solo un paio di giorni, cosa vuoi che possa fare? E poi vi ho sempre seguiti ovunque senza replicare, ti sto chiedendo un favore» tentai, «solo uno.»
Lei sembrò pensarci su per un attimo, forse Harry le piaceva abbastanza da mettere da parte le sue fisse e lasciarmi rimanere a casa.
«Non credo sia una buona idea» disse infine, «lasciarti a casa da sola con un ragazzo.»
Alzai gli occhi al cielo, «mamma stai tranquilla che se voglio fare certe cose ci sono infiniti posti e infiniti momenti adatti. Non bisogna avere per forza la casa libera» borbottai.
Lei strabuzzò gli occhi e sentii mia nonna ridacchiare, «se non ti fidi posso rimanere qua io a tenerla d’occhio» si offrì lei.
«Mamma non credo sia il caso...» intervenne mio padre.
Lei si strinse nelle spalle lanciandomi uno sguardo da “ho fatto quello che ho potuto”.
Sentivo gli occhi pizzicarmi dalle lacrime che minacciavano di uscire, non ero infuriata, di più.
Odiavo la mia famiglia, odiavo tutto in quel momento. Come potevano essere così insensibili e inamovibili? Non stavo mica chiedendo loro la luna, solo di non seguirli per una volta nella vita. Sapevo già che non mi sarei persa niente. Zia Hylda non mi stava poi così simpatica, le figlie nemmeno, avrei passato le giornate a passeggiare sulla spiaggia innevata con mio fratello. Come tutti gli anni.
Piuttosto che divertirmi a Parigi. Con Harry.
«Sembra che per voi farmi un piacere costi troppo» borbottai infuriata prima di alzarmi e chiudermi in camera accendendo lo stereo.
Mi buttai a peso morto sul letto con la faccia sul cuscino e smisi di trattenere le lacrime.
 

Harry

 
«Non è la fine del mondo» cercai di sdrammatizzare, osservando la Senna che scorreva indisturbata sotto i nostri piedi.
Lennon si voltò verso di me col naso leggermente rosso un po’ per il freddo e un po’ per tutte le volte che se l’era soffiato, «tu dici?»
Annuii convinto, nonostante non avessi idea di che cosa dire, «insomma, ci terremo in contatto» azzardai.
«Mi scriverai delle lettere?» rise lei.
Mi strinsi nelle spalle, «se è quello che vuoi, però ti avverto che la mia calligrafia fa un po’ schifo.»
«Allora direi di optare per le e-mail.»
«Già.»
Lennon sospirò, e si staccò dalla ringhiera del ponte su cui eravamo appoggiati stiracchiandosi leggermente. «Prima di andarmene voglio portarti in un posto in cui non sei ancora stato» mi disse, ritrovando il sorriso.
Acconsentii seguendola verso la strada, «dove?» domandai.
Lei non mi rispose, si limitò a prendermi per mano e sorridermi.
Sentii un brivido percorrermi tutto il corpo, era incredibile come quella ragazza fosse entrata nella mia vita e me l’avesse stravolta nel giro di sei giorni. Obiettivamente sapevo poco e niente su di lei, ma stavo talmente bene quando era al mio fianco che mi sembrava di conoscerla da una vita. E quando mi aveva baciato il pomeriggio precedente era stato come... Non avevo parole. Ero stato colto alla sprovvista ma allo stesso tempo avevo immediatamente capito che quello era ciò che volevo. Però, sapere che ad ogni minuto che passava si avvicinava sempre di più il momento in cui l’avrei dovuta salutare mi distruggeva il cuore. Soprattutto quando il tempo che avevamo a disposizione per stare insieme era improvvisamente diventato da cinque giorni a uno.
«Harry.»
La voce di Lennon mi distolse dai miei pensieri, «che c’è?» domandai.
Lei rise, «serve il biglietto.»
Mi ricomposi e lo presi dalla tasca del cappotto facendolo passare nell’obliteratore.
«A cosa stavi pensando?» mi chiese poi, mentre ci avvicinavamo al binario esatto.
A te.
«Niente» dissi, stringendomi nelle spalle.
Lennon mi guardò poco convinta per alcuni secondi poi si voltò in avanti e continuò a camminare. Avevo prestato poca attenzione alla linea della metro che avevamo preso e non avevo la minima idea di dove stessimo andando. Il posto in cui sbucammo non mi era per niente famigliare, le strade parigine erano tutte uguali.
Cominciammo a camminare sul marciapiede e notai che più avanzavamo più le vetrine dei negozi che superavamo erano... Spinte.
«Perché mi stai portando in una via piena di sexy shop?» chiesi divertito.
Lennon alzò gli occhi al cielo, «non lo riconosci proprio, quello?» mi indicò un mulino rosso che sorgeva imponente sopra un edificio.
«Ah» dissi, un po’ spiazzato.
Ero così concentrato ad osservare i negozi che non avevo prestato attenzione a ciò che mi si parava davanti: il Moulin Rouge.
Presi il telefono dalla tasca e scattai una foto.
«Forza vieni, non è qua che volevo portarti» disse Lennon, riprendendo a camminare.
Allungai il passo per raggiungerla, «e dove?»
«Dobbiamo andare da questa» spiegò, svoltando a sinistra.
Mi arrestai di scatto. Una ripida salita mi aspettava, cominciai ad essere stanco al solo pensiero.
«Dai non fare la femminuccia, vedrai che ne sarà valsa la pena» mi rassicurò lei, cominciando a camminare.
La osservai poco convinto ma quando capii che Lennon non mi avrebbe aspettato mi affrettai a seguirla per quella via stretta e ripida.
Camminammo in silenzio, io col fiato troppo corto per dire qualunque cosa e Lennon troppo distratta a guardarsi in giro. Quando alzai gli occhi dai miei piedi notai una piazza affollata di gente che si estendeva ai piedi di una chiesa bianca.
«Benvenuto a Montmartre!» esclamò Lennon voltandosi verso di me e allargando le braccia con fare teatrale.
Girai su me stesso notando che quel posto era pieno di pittori, mimi e altra gente che metteva in mostra le proprie abilità.
«Dove mi hai portato?» domandai confuso.
Lennon strabuzzò gli occhi, «stai scherzando spero.»
Scossi la testa sorridendo per la faccia che aveva fatto. Cosa c’era di così importante in quel posto oltre che una chiesa – di cui non avevo mai sentito parlare – e un po’ di artisti sparsi per strada?
«Qui ci ha vissuto gente del calibro di Picasso e Vincent Van Gogh!» esclamò lei, quasi inorridita.
Mi strinsi nelle spalle, non che non li conoscessi ma sinceramente poco mi importava del fatto che ci avessero vissuto lì. Il posto era carino, molto pittoresco con tutte quelle persone che vendevano quadri, si offrivano di farti dei ritratti, s’improvvisavano giocolieri eccetera.
«Interessante» ammisi, annuendo convinto.
Lennon sospirò sconsolata, «cosa devo fare con te, Styles?»
Sorrisi divertito, «che ne dici di farci fare un ritratto?»
Lei strabuzzò gli occhi, «sono quindici anni che vengo in sto posto e non mi sono mai fatta fare un ritratto.»
«E quindi? C’è sempre una prima volta» dissi, prendendola per mano e dirigendomi verso il tizio i cui ritratti erano più cari, e probabilmente – speravo – più belli.
Questo non appena mi vide cominciò la sua solita scenetta che probabilmente improvvisava con chiunque gli si avvicinasse. Risi.
«Vorremmo farci fare un ritratto» dissi, ignorando ciò che blaterava in francese e di cui capivo soltanto alcune parole ogni tanto.
Lui si rivelò parlare anche inglese – insieme a un’altra dozzina di lingue probabilmente – «certamente!» esclamò, indicandomi una sedia di fronte a dove si sedette lui.
Mi accomodai e osservai Lennon dondolarsi da un piede all’altro leggermente a disagio. Battei le mani sulle mie gambe facendole segno di sedersi, lei si avvicinò un po’ riluttante.
«Un po’ timida la tua ragazza» commentò il “pittore”, con un forte accento francese.
Lennon aprì bocca per ribattere ma io l’anticipai, «già» affermai divertito, guardandola di sottecchi.
«Ecco!» esclamò il tizio, «rimanete così, siete perfetti!»
Rimasi interdetto da quelle parole, dovevo rimanere immobile a guardare Lennon – non che mi desse fastidio – ma con un sorriso da ebete dipinto in faccia?
Dall’espressione di lei capii che la pensava allo stesso modo ma non obiettammo. Le feci una linguaccia che la fece ridere, il tizio che ci stava ritraendo ci lanciò un’occhiata truce. Probabilmente prendeva molto seriamente il suo lavoro, pensai.
Alcuni minuti dopo annunciò che aveva finito e finalmente potei tornare serio. Le guance mi facevano male per il tempo in cui ero rimasto con la faccia sorridente, osservai soddisfatto il ritratto. Era davvero bello.
Era in bianco e nero, io praticamente mi mangiavo Lennon con gli occhi mentre lei sorrideva un po’ a disagio. La guardavo davvero così? Mi ritrovai a pensare.
Ringraziai, porsi i soldi all’”artista” e diedi il ritratto a Lennon.
«Questo è per te» le dissi.
«No, l’hai pagato te. Tienilo tu.»
Alzai gli occhi al cielo, «e che c’entra? Sono un vero cavaliere, io ho già la nostra foto al Trocadero» ribattei.
Lennon fece per dire qualcosa ma probabilmente era a corto di frasi.
«Okay» sospirò rassegnata, prendendo il ritratto.
Sorrisi, felice di aver vinto. «Adesso cosa facciamo?» domandai poi, improvvisamente contagiato dall’atmosfera di quel posto.
«Non hai ancora visto la parte “clou”» mi avvertì lei, riprendendo a camminare verso la chiesa.
«Non vado a messa da anni» la avvertii.
Lennon rise, «non ti porto a messa, tranquillo, c’è qualcosa di molto meglio che ti aspetta.»
Quando fummo quasi in cima alla scalinata lei si arrestò e si tolse la sciarpa che portava al collo.
«Girati» mi ordinò.
La guardai confusa, «ma...»
Lennon mi fulminò con lo sguardo così obbedii, mi legò la sciarpa sugli occhi a mo’ di bandana e subito dopo sentii le sue dita esili intrecciarsi con le mie.
Avendo solo quattro dei miei cinque sensi “funzionanti” mi resi conto di come mi piacesse sentire la sua mano così piccola e morbida a contatto con la mia. Istintivamente le accarezzai il dorso col pollice ma non potei vedere la sua reazione. Sorrisi.
«Non è che mi vuoi buttare in un burrone?» domandai poi.
Sentii Lennon ridere, «no, è che devi vedere solo quando te lo dico io. Seguimi.»
Prima che potessi ribattere mi sentii trascinare, camminavo un po’ incerto, non sapendo dove stavo mettendo i piedi, e se fossi caduto avrei trascinato Lennon per terra con me.
«Attento c’è un gradino» mi avvertii, e io alzai il piede sinistro.
Andammo avanti così per alcuni minuti fino a quando non sentii Lennon lasciare la mia mano.
«Dove vai?» domandai, con una nota di panico nella voce.
Lei rise, «sono qua, vuoi che te la tolga questa sciarpa sì o no?»
In realtà non proprio, aveva un profumo inebriante. Profumava di lei.
Ma prima che potessi dire qualunque cosa Lennon me la levò, «tadan!» esclamò poi, contenta.
Dovetti strizzare gli occhi alcune volte per riabituarmi alla luce, ma quando misi a fuoco ciò che mi si parava davanti rimasi a bocca aperta.
«Non è lo stesso panorama che si vede dalla Tour Eiffel ma è già qualcosa» disse Lennon, appoggiandosi alla ringhiera.
Non dissi niente, rimasi incantato a guardare la città di Parigi che si estendeva ai nostri piedi.
«E’ stupendo» mormorai, continuando a guardarmi in giro.
Lennon annuì, «è un po’ nuvoloso altrimenti quando è bel tempo si distingue chiaramente la Tour Eiffel e anche Notre Dame» spiegò.
Mi voltai dall’altra e la chiesa del Sacro Cuore s’innalzava imponente sopra di noi, guardandomi un po’ in giro notai che c’era una funicolare che portava i turisti fino a lì.
«Tu mi hai fatto sudare sette camicie quando potevamo tranquillamente prendere quella?» domandai, fingendomi alterato.
Lennon sussultò dal tono della mia voce, «ecco...» era evidentemente a disagio.
«Sto scherzando!» la rassicurai, scoppiando a ridere.
Lei mi guardò con un’espressione corrucciata, probabilmente non sapeva nemmeno lei se ridere o meno. Istintivamente le misi un braccio intorno alle spalle e la attirai a me, abbracciandola.
«Grazie per tutto» le sussurrai poi, appoggiando il mento sulla sua testa.
Sentii la sua presa farsi più salda intorno ai miei fianchi per poi alzare la testa il minimo indispensabile per guardarmi negli occhi.
 «Non devi ringraziarmi.»
Sorrisi e le scostai un ciuffo di capelli dal viso, mi abbassai lentamente e le posai un casto bacio sulle labbra.
In quel momento le squillò il telefono, Lennon sbuffò scocciata prendendolo dalla tasca e alzò gli occhi al cielo quando lesse il mittente della chiamata.
«Pronto... Con Harry... Sì... No... Ok...» e riattaccò.
«Come sei loquace» la presi in giro.
«Era mia mamma» disse lei scocciata, «devo tornare a casa, sono quasi le sette di sera.»
«Di già?» domandai sorpreso, guardando l’orologio.
Lei annuì, «non sembra, eh? Con te il tempo passa che è una meraviglia» ammise, stringendosi nelle spalle un po’ imbarazzata.
Le sorrisi rassicurante, «lo stesso vale per me.»
La presi per mano e c’incamminammo verso la fermata della metropolitana.
Il viaggio verso casa fu piuttosto silenzioso, entrambi immersi nei nostri pensieri che, ci avrei scommesso, erano piuttosto simili.
Mi veniva l’angoscia a pensare che in pochi minuti l’avrei dovuta salutare e solo Dio sapeva quando l’avrei rivista. Mi voltai a guardare il suo profilo, aveva lo sguardo perso davanti a sé, chissà cosa le frullava nella mente, pensai.
Quando arrivammo alla nostra fermata ci alzammo di scatto, quasi come due automi, e scendemmo dalla metropolitana sempre in religioso silenzio.
«Mi sembra di andare al patibolo» cercai di sdrammatizzare.
«E’ molto peggio, credimi» borbottò lei.
«Dai, non dire così!»
Lennon si voltò verso di me con lo sguardo infuocato. «Cosa starebbe a significare “non dire così”? Harry, li ho pregati di lasciarmi qua stamattina, mi sembra di essere una ragazza responsabile e non ho mai recato grandi problemi ai miei. Okay, non sarò la figlia modello, insomma, li faccio arrabbiare anch’io ma non sono una mezza delinquente e se mi lasciassero a casa da sola per sei giorni al loro ritorno troverebbero l’appartamento intatto. Non ho intenzione di dare festini o altro, voglio solo stare qua con te» sospirò infine, rassegnata.
Mi fermai e la costrinsi a guardarmi negli occhi, «lo so, lo so» mormorai, «ma credo che più che altro non ti lasciano perché gliel’hai detto oggi, e voi partite domani.»
«Perché non mi hai mandato un’e-mail dicendomi che saresti arrivato così avrei dato loro un mese di preavviso?» domandò lei, con sarcasmo e rabbia allo stesso tempo.
Non potei fare a meno di sorriderle e accarezzarle la guancia, Lennon si appoggiò al dorso della mia mano e chiuse gli occhi, come se stesse trovando conforto in quel contatto.
«Non è la fine del mondo» la rassicurai, riprendendo a camminare.
Raggiungemmo in silenzio casa sua, e solo quando mi arrestai davanti al portone sentii salirmi il magone.
Prima che potessi dire o fare qualsiasi cosa Lennon mi prese il viso tra le mani e mi baciò con forza, quasi. Rimasi inizialmente spiazzato ma poi le appoggiai una mano sulla guancia e l’altra sulla schiena, avvicinandola ulteriormente a me.
Sarei rimasto così per sempre, sentire le sue labbra sulle mie era una sensazione così confortante, ma sapevo che sarebbe stato impossibile.
Mi staccai a malincuore, e vedere gli occhi di Lennon coperti da un velo di lacrime che minacciavano di uscire non fece altro che peggiorare la situazione.
«Ci rivedremo prima di quanto credi» tentai, nonostante quelle parole non convincessero nemmeno me.
Lei annuì, si alzò sulle punte dei piedi e mi baciò un’ultima volta, più dolcemente.
«Non dimenticarti di me» mi sussurrò, sulle mie labbra.
Strabuzzai gli occhi sorpreso dalle sue parole, come avrei potuto dimenticarmi di lei?
«Lennon, certe cose non devi nemmeno dirle. Ho il tuo numero di telefono, esiste internet, ci terremo in contatto» affermai, quasi severo.
Lei annuì poco convinta, la baciai un’ultima volta, cercando di imprimermi nella mente ogni sensazione e ogni brivido che mi provocava.
«Ciao, Harry» sussurrò, e prima che potessi dire qualunque cosa lei sparì in casa senza voltarsi.
Rimasi alcuni secondi ad osservare la porta chiusa e poi m’incamminai verso casa, sentendomi esattamente come sei giorni prima. Anzi, peggio.

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Eccomi qua, con il capitolo dell'addio çç
La fine è un po' deprimente, lo so, ma a me la parte prima piace abbastanza soprattutto perché adoro Montmartre. Se andate a Parigi vi consiglio vivamente di passarci, è meraviglioso quel posto *-*
Non vi dico nient'altro perché non vorrei spoilerarvi qualcosa, quindi per sta volta salta anche la gif con l'anticipazione uù
Vi ringrazio tantissimo per le recensioni al capitolo precedente e perché la storia ha raggiunto i 100 preferiti! Grazie di cuore <3
Jas

 

   
 
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