The Avengers: “Progetto Klaine”
Uscire
fuori con suo padre, per Blaine, era sempre stato… complicato. Da bambino, adorava andare in giro con
lui, accoccolarsi tra le braccia forti di suo padre, o mostrare quanto fiero
lui fosse del suo papà; da adolescente, aveva attraversato un periodo di
ribellione, pertanto cercava di farsi vedere con il padre il meno possibile.
Ora invece, Blaine era riuscito a raggiungere un
equilibrio, era fiero di ciò che il padre faceva, ma al contempo non amava
uscire con lui: era vanesio, anche se lo faceva ridere, aveva sempre la battuta
pronta e attirava sempre l’attenzione su di sé. A volte, a Blaine
sembrava che fosse lui l’adulto della situazione, e non il suo padre
ultramiliardario e ultrafamoso conosciuto ai più con il nome di Iron man, all’epoca Tony Stark.
Blaine Stark uscì
da una caffetteria anonima di Los Angeles, seguito dal sorriso un po’
strafottente del padre, scuotendo la testa e sbuffando come un mantice.
«Che
c’è?» chiese il padre, facendo finta di non vedere le occhiate che tutti
rivolgevano loro, mentre salivano sull’auto guidata da Hogan.
«Devi
smetterla, papà!»
«Di
fare cosa?»
Blaine alzò gli occhi al cielo notando il
sorriso sbarazzino del padre. Dannazione, lo sapeva che non avrebbe dovuto
dirgli niente, che si sarebbe dovuto tappare quella boccaccia e andare a
parlarne con la madre.
«Ascolta,
se non glielo dici tu, sarò costretto a dirglielo io. Potrei sempre entrare nel
suo profilo Facebook e aggiungerti come suo amico…»
«Oddio,
non lo fare! Ti prego…» Blaine
si prese la testa tra le mani, lasciandosi sfuggire un lamento; sapeva che il
padre ne sarebbe stato capace.
«Vuoi
farlo tu?» chiese Tony alzando un sopracciglio.
«Assolutamente
no! È una cosa troppo inquietante… No, cercherò di
parlargli la prossima volta. E ancora no, questa volta non verrai anche tu a
rubarmi la scena e mettermi in imbarazzo!»
Blaine cercò di non far caso
all’espressione da cucciolo che aveva appena assunto suo padre – l’aveva
collaudata anni prima, per cercare di rabbonire sua madre, ma Pepper Potts era fin troppo
abituata a gestire Tony Stark per lasciarsi
abbindolare così facilmente – e che lui aveva ereditato.
Riportò
lo sguardo sulla strada, sovrappensiero. Qualche settimana prima, tornando da
un’uscita con il suo amico Wes, era entrato in quella
stessa caffetteria anonima da cui lui e il padre erano appena usciti; e in
quell’occasione, il suo sguardo aveva incrociato quello azzurro del ragazzo al
bancone che serviva il caffè. La sua carnagione chiara, il profilo scolpito, il
capelli castano chiari tirati su con la lacca e ormai sfatti dopo una giornata
di lavoro e le labbra rosse erano state sufficienti a Blaine
per infatuarsi di quel ragazzo – Kurt c’era
scritto sul cartellino che aveva attaccato al petto. Aveva passato tutto il
tempo a guardarlo a bocca aperta, mentre l’altro non l’aveva degnato che di uno
sguardo frettoloso quando gli aveva chiesto la sua ordinazione; e lui aveva balbettato, sotto lo sguardo stupefatto
di Wes e di mezzo locale.
Tutti
conoscevano Blaine Stark,
figlio di Tony; aveva ereditato dal padre la sua genialità e dalla madre il
grande dono di sopportare il padre; a soli sedici anni, era entrato
all’università, e da lì la sua strada era stata tutta in salita, lavorando
nell’impresa del padre e con il padre. Ormai c’erano due Iron
man che volavano nei cieli di Los Angeles (e non solo).
Perciò
era certo che Kurt lo avesse riconosciuto, ma non aveva dato alcun tipo di
cenno di adulazione o falsità da cui invece era solito essere circondato Blaine. E forse era anche per questo che Blaine era andato in fissa con questo ragazzo; lo
incuriosiva, voleva conoscerlo. Aveva iniziato a frequentare quella caffetteria
assiduamente, cercando il coraggio, che di solito non gli mancava, di rivolgere
la parola a quel ragazzo; ma niente, quando si ritrovava davanti a quegli occhi
di ghiaccio, si impappinava, iniziava a sudare freddo e si limitava a fare la
sua ordinazione, balbettando.
E
poi, Blaine aveva avuto la brutta idea di mettere il
padre al corrente della sua cotta per questo fantomatico Kurt. Ovviamente Tony
aveva dovuto vederlo, e lo aveva trascinato alla caffetteria, dove lo aveva
messo in imbarazzo davanti a tutti iniziando a parlare con Kurt, con quel suo
tono affascinante, chiedendogli cosa ne pensasse del figlio; Kurt aveva sorriso
timidamente – e Blaine si era sciolto come neve al
sole nel vedere per la prima volta il sorriso del ragazzo – ma non aveva
guardato Blaine, né suo padre, per più di qualche
secondo, prima di ritornare al suo lavoro, non rispondendo alla domanda di
Tony.
Blaine avrebbe voluto che una voragine si
aprisse sotto i suoi piedi e lo inghiottisse.
«Ascolta
figliolo, devi trovare il coraggio di parlargli, d’accordo? Prova a fare colpo
su di lui!» Il padre lo riportò con i piedi per terra. «Dopotutto, sei mio figlio,
no? Sei Iron man anche tu.»
Blaine fissò lo sguardo in quello del
padre, sovrappensiero. Aveva ragione, dannazione! Lui era l’unico, insieme a Pepper Potts, in grado di avere
una discussione con il padre e uscirne vittorioso – a volte – e aveva salvato
il mondo più volte insieme al padre e ai loro amici (ormai tra di loro non si
chiamavano più i Vendicatori, ma “gruppo dello Shawarma”).
Lo sapevano tutti, ma a Blaine non piaceva vantarsi.
A volte invidiava gli eroi dei fumetti, quelli che nascondevano la loro vera
identità; non avrebbe mai rinunciato all’armatura, a ciò che faceva, ma a volte
avrebbe preferito che nessuno lo conoscesse. Aveva solo vent’anni e tutti
sapevano chi lui fosse, quali fossero le sue preferenze sessuali e cosa avesse
fatto, ed era quasi impossibile per lui avere una vita normale.
«Già…» sussurrò, non accorgendosi dello sguardo preoccupato
del padre.
***
«Ehi,
Kurt!»
Kurt
fece un cenno alla sua collega per farle capire che stava ascoltando, ma non
distolse gli occhi dal cappuccino che stava preparando.
«Sono
tornati gli Stark, oggi! Mi sa che Blaine ha una cotta per te… Passa
il tempo a fissarti imbambolato!»
«Non
dire sciocchezze! E poi, figurati, vorranno solo farsi vedere... Si sa che le
persone di quel tipo sono piene di boria.» rispose Kurt con freddezza.
«Non
credi di stare generalizzando?»
Kurt
finalmente alzò lo sguardo sulla sua collega; aveva ragione, lui non conosceva
gli Stark, non sapeva com’erano veramente. Al di
fuori, sapeva che Tony Stark era vanesio e a volte
arrogante, ma nonostante tutto aveva salvato la situazione in diverse
occasioni. Il figlio invece gli era sempre sembrato molto più riservato del
padre, ma non si fidava. Pensava fosse tutto uno scherzo, perché insomma, come
poteva interessare veramente a Blaine Stark? Era solo un umile
commesso di Starbucks, dopotutto.
***
«Buongiorno.»
La voce metallica di Jarvis li accolse, non appena
entrati in casa. «Signore, la devo avvisare della presenza del signor Banner in
laboratorio. La signora Potts sta cercando di
spiegare l’uso di un tablet ai fratelli Asgardiani. Natasha Romanoff, Clint Barton e Steve Rogers sono nell’area adibita agli allenamenti.»
«Quand’è
che questa casa è diventata un luogo di ritrovo?» chiese Tony alzando gli occhi
al cielo e decidendo di passare a salutare per lo meno Pepper
– in realtà a controllare che Thor o Loki, dopo anni
ormai in buoni rapporti, non gli distruggessero niente – per poi andare in
laboratorio da Bruce.
Blaine si lasciò scappare un sorrisetto,
fiondandosi dritto nel seminterrato. Aveva bisogno di stare solo, i suoi
pensieri in macchina lo avevano intristito; e l’unico modo che Blaine aveva per rilassarsi, sin da quando era ragazzo ed
era riuscito a costruirsi la sua prima armatura tutto da solo, era quello di
farsi un volo in giro per la città.
«Jarvis, preparami la Mark VIII di papà, per favore.»
«Posso
sapere come mai questa scelta, signore?» gli rispose la voce metallica.
«Così,»
rispose con un’alzata di spalle Blaine, mentre uno dei
pannelli davanti a lui si sollevava, mostrando un’armatura di titanio
verniciata di blu.
***
Qualche
ora e qualche pensiero in meno dopo, Blaine si
ritrovava a volare sopra lo Starbucks di prima,
aspettando che Kurt uscisse. Aveva deciso che gli avrebbe parlato, doveva
farlo, o sarebbe impazzito. Non capiva come mai avesse questo desiderio
ancorato nel petto, era inspiegabile, ma gli sembrava quasi di conoscere Kurt,
come se lo avesse già incontrato prima, in un altro mondo, in un altro tempo.
Aveva visto così tante cose nella sua giovane vita, che ormai avrebbe potuto
credere praticamente a qualsiasi cosa.
«Jarvis, aiutami.»
«Cosa
stiamo cercando, signore?»
«Non
cosa. Chi. Si chiama Kurt, lavora in quello Starbucks.»
«Posso
entrare nei file del computer del loro datore di lavoro facilmente.» La voce
metallica si interruppe per circa venti secondi, prima di ricominciare a
parlare. «Kurt Hummel, vent’anni, nato a Lima, Ohio.
Studente di astronomia alla UCLA, ha una passione per la moda e stacca alle
nove.»
«Grazie
Jarvis.»
Pochi
minuti dopo, Blaine vide Kurt uscire dalla
caffetteria, usando la porta sul retro. Con un sorriso sul volto e facendosi
coraggio, Blaine atterrò davanti a lui, facendo
saltare dallo spavento il ragazzo di fronte.
«Cosa
diamine…?! Sei impazzito, per caso?» urlò Kurt,
quando il casco dell’armatura si aprì, rivelando gli occhioni
dorati di Blaine.
«Io… scusami, non volevo spaventarti.»
«Beh
è quello che hai fatto!»
Blaine rimase a fissare Kurt, senza sapere
che cosa dire, né come comportarsi. Un silenzio tombale scese tra di loro; Kurt
non si muoveva, Blaine non parlava. Rimanevano
immobili a guardarsi, Kurt con un’espressione un po’ torva in viso.
«Mi
stavi seguendo?» chiese Kurt con fare aggressivo.
«N-no…» mentì Blaine, spaventato
dal modo in cui stavano andando le cose. Ma il sopracciglio alzato di Kurt, lo
fece capitolare. «Ok, sì… stavo aspettando che tu
uscissi. Volevo solo fare quattro chiacchiere, magari parlare del tuo corso di
astronomia alla UCLA.»
«Pessima
mossa, signore,» disse la voce di Jarvis nei suoi
auricolari.
«Hai
fatto delle ricerche su di me?!» Il tono di voce di Kurt aveva raggiunto dei
livelli esorbitanti. Blaine si ritrovò a fare un
passo indietro, mentre Kurt gli veniva contro con un dito puntato.
«Tu… come osi?! Solo perché sei Iron
man, non significa che hai il diritto di violare la privacy altrui! Sei solo un
borioso figlio di papà elevato all’ennesima potenza, ecco cosa sei!»
Blaine abbassò gli occhi. Di certo non
aveva pensato che il loro incontro si sarebbe concluso in questo modo.
«E
ora vattene! Vola via, vai a provarci con qualcun altro! Anzi, sai che ti dico?
Me ne vado io!» Kurt lo superò, senza degnarlo di un altro sguardo, le guance
rosse per la rabbia e le mani strette a pugno, lasciando dietro di sé un Blaine attonito e deluso.
«Aspetta!»
gli urlò, ma l’altro ragazzo non si girò, continuando a camminare con passo
spedito verso la via principale.
***
«Tony,
la vuoi smettere? Clint non ha messo su nessuna pancetta. Nessuno ha messo su
pancetta,» disse Natasha, alzando gli occhi al cielo
e posando una mano sulla spalla del marito.
«Non
possiamo essere come quelli di una volta,» replicò Bruce con tono calmo.
«Parla
per te!»
Tony
incrociò le braccia sul tavolo, certo di aver avuto l’ultima parola, quando le
luci si spensero all’improvviso, mettendo tutti sull’attenti. Poi uno schermo
spuntò dal nulla e la voce familiare di Jarvis riempì
la casa, facendo tirare a tutti un sospiro di sollievo.
«Signore,
forse c’è una cosa che dovreste vedere.»
Il
video dell’incontro tra Blaine e Kurt che Jarvis aveva registrato venne proiettato sullo schermo,
sotto lo sguardo attento di tutti gli altri.
«Mi
piace il ragazzo…» disse Loki,
ricevendo un’occhiata indignata da parte del fratello.
«Chi
era quello?» chiese Steve con espressione stupita.
Tony,
con un’espressione indecifrabile, si ritrovò a spiegare a tutti cosa fosse
appena successo; non appena ebbe finito, si scambiò uno sguardo preoccupato con
Pepper. Sapevano quanto loro figlio a volte soffrisse
di avere tutta questa fama; quello che più desiderava era di trovare qualcuno
che lo amasse, non perché figlio di Iron man e Iron man stesso, ma perché amava il vero lui.
Proprio
in quel momento, Blaine, con ancora l’armatura
addosso, atterrò sul terrazzo della cucina; il casco si abbassò subito, rivelando i suoi occhi bassi e l’espressione
triste. Sentendosi osservato, sollevò lo sguardo e incrociò quelli degli altri
Vendicatori; gli bastò guardarli per un secondo soltanto per capire che
sapevano. Strinse i pugni e volò di nuovo via, mentre veniva invaso da una
strana rabbia.
«Blaine!» gridò Pepper, ma non
venne ascoltata.
«Dobbiamo
fare qualcosa…» decretò Thor.
***
La
mattina dopo, davanti alla porta della sua camera alla UCLA, Kurt trovò un
mazzo di gigli per terra, in un vaso. Stupito, li raccolse, mentre veniva
invaso da uno strano dubbio che gli venne confermato dal biglietto sotto il
vaso.
Scusami per aver fatto ricerche su di
te e averti seguito. Giuro che ho le migliori intenzioni. – B.S.
Inutile
dire che Kurt prese e accartocciò il biglietto, lasciando il vaso alla prima
ragazza che incrociò per il corridoio.
Lo
stesso si ripeté quel pomeriggio al lavoro. Questa volta c’erano di nuovo gigli
in un vaso ad attenderlo, e un biglietto; stavolta però la scritta era diversa.
Non so se hai trovato i fiori
stamattina davanti alla porta. Effettivamente potevo risparmiarmelo, quella era
davvero una mossa da stalker. Spero accetterai anche
questi. – B.S.
Questa
volta, Kurt accartocciò il bigliettino nelle sue mani sotto lo sguardo
perplesso della sua collega, e mise da parte i fiori. Lavorò tranquillamente
per tutto il giorno ma a volte, quando passava davanti al vaso, un odore fresco
di gigli gli colpiva le narici; quando fu il suo turno di andarsene, decise che
nonostante tutto poteva lasciarli lì. Avrebbero dato un tocco in più
all’ambiente.
Per
le settimane successive, Kurt continuò a ricevere fiori e bigliettini da parte
di Blaine. Ormai era diventata quasi un’abitudine,
una bella abitudine; conservava i bigliettini e i fiori, che si portava nella
sua stanza. Ma quello che adorava più di tutto, erano i bigliettini; in ognuno,
infatti, Blaine gli diceva cose di sé che nessuno
sapeva. Certo, erano piccole cose – come per esempio quale fosse il suo colore
preferito, o il modo in cui preferiva bere il caffè, o per quale film avesse
riso di più in assoluto – ma forse gli piacevano proprio perché erano
piccolezze.
Certamente,
Kurt aveva pensato che fosse tutto uno scherzo, era titubante e ci aveva messo
un po’ ad accettare questo fatto; ma poi gli tornava in mente lo sguardo
dispiaciuto di Blaine quando lo aveva liquidato
quella sera, o quello imbarazzato di quando si era presentato in caffetteria
con il padre. Forse aveva ragione la sua collega, forse era davvero prevenuto.
E pensare che era questo quello che gli aveva insegnato il suo Glee Club all’epoca delle superiori: mai giudicare qualcuno
dalle apparenze.
Avrebbe
voluto parlarne con lui, di persona, o per lo meno ringraziarlo per i fiori, ma
non sapeva come fare. Ovviamente tutti sapevano dove si trovava villa Stark, ma non poteva andarsene fino a Malibu
semplicemente per ringraziare Blaine: sarebbe morto
di imbarazzo! E glielo avrebbe detto di persona se Blaine
si fosse degnato di venire in caffetteria; invece sembrava essere sparito.
Circa
un mese dopo il loro litigio, Kurt stava camminando di tutta fretta verso casa,
attraversando il parco con uno dei mazzi di fiori di Blaine
stretto tra le mani. Ad un tratto, poco più avanti, la sua attenzione fu
catturata da una figura familiare: era Blaine, che
camminava di fianco a un ragazzo asiatico. Stava ridendo spontaneamente, senza
far caso alla gente che gli lanciava delle occhiate. Senza sapersi spiegare il
motivo, Kurt provò un improvviso moto di gelosia verso il ragazzo
sconosciuto di fianco a Blaine.
Devo essere impazzito, pensò Kurt, immobile in mezzo alla
strada, lo sguardo fisso su Blaine che sembrava non
averlo visto – per fortuna, perché era un disastro… e
oddio, ora pensava anche al suo aspetto fisico e al modo in cui l’avrebbe
trovato Blaine?
Hummel,
ti bastano dei fiori per farti capitolare?
Doveva
fare qualcosa; se avesse continuato ad andare dritto sarebbe passato proprio
affianco a Blaine, che si stava avvicinando sempre di
più. Così decise di tagliare, girando a destra, senza accorgersi dell’arrivo di
una ventina di ciclisti diretti proprio verso di lui.
Fu
un attimo. Kurt si immobilizzò, come un cervo colto sull’autostrada dai fari di
una macchina, congelato, il cervello che calcolava se fosse riuscito a
spostarsi in tempo o no. Qualcuno gridò «Attento!». E poi, Kurt si ritrovò per
terra, un dolore improvviso al fianco ma per fortuna ben lontano dalla strada e
dai ciclisti impazziti, mentre un peso caldo lo tratteneva a terra.
Kurt
alzò lo sguardo e non si stupì di trovarsi di fronte gli occhi grandi e dorati
di Blaine, nei quali riusciva a leggere un velo di
preoccupazione. Rimasero a fissarsi per degli istanti interminabili, mentre
intorno a loro tutti scoppiavano in un applauso.
Blaine fece finta di non vederli neanche,
alzandosi e porgendo una mano a Kurt, che la afferrò e si tirò in piedi. Il
ragazzo asiatico li raggiunse, lo sguardo fisso sulle loro mani ancora unite e
un sorrisetto sulle labbra. Quando Kurt riuscì a distogliere lo sguardo da Blaine, notò dov’era diretto lo sguardo dell’altro, così si
affrettò a lasciare la mano che stava stringendo.
«Grazie.»
«Figurati…» Blaine rimase
imbambolato a fissarlo; non lo vedeva da più di un mese e non si era nemmeno
reso conto di quanto gli fosse mancato vedere quei lineamenti, quegli occhi e
quelle labbra. «Uhm, lui è Wes, un mio amico.»
Kurt
non riuscì a trattenersi; fece uscire un sospiro di sollievo dalle labbra
nell’apprendere che quel ragazzo fosse solo un amico. Blaine
non si lasciò sfuggire niente, e lo fissò con una strana occhiata
interrogativa.
«Piacere,
Kurt.» Disse velocemente, stringendo la mano dell’altro ragazzo. Poi riportò lo
sguardo su Blaine, come se fosse incapace di
staccarsene, come se fossero due calamite che lo attiravano.
«Grazie
per i fiori,» gli uscì, tutto d’un fiato.
«I
fiori? Quali fiori?»
«Quelli!»
Kurt indicò il mazzo di fiori, ormai tutti sparpagliati, a terra; Blaine spostò il suo sguardo stupito sui fiori in
questione.
«Io… non ti ho mandato dei fiori,» spiegò a Kurt, i cui
occhi si spalancarono all’improvviso, delusi e feriti. «Avrei dovuto farlo?
Oddio volevi dei fiori? Pensavo non volessi vedermi più e –»
«No,
tu mi hai mandato i fiori…» Kurt si chinò e raccolse
il bigliettino per terra, porgendolo poi a Blaine.
È quasi un mese che ti mando fiori,
ma non mi sono ancora stancato. Questa volta ti dirò qual è la mia foto
preferita: ci sono io a sei anni, sulle spalle di Loki,
con tutti gli altri intorno a noi. Mi dicono sempre che è grazie a me se Loki si è unito definitivamente ai Vendicatori, perché non
è riuscito a resistere al mio faccino. – B.S.
Blaine sgranò gli occhi, sconvolto. Non era
stato lui a mandare i fiori a Kurt per un mese intero – così diceva il
biglietto – né a scrivergli quei biglietti; ma su quel foglietto di carta c’era
scritta una cosa della sua vita privata che nessuno sapeva. Nessuno a parte i
Vendicatori. Rialzò lo sguardo su Kurt e Wes – che
aveva capito tutto e stava facendo di
tutto per non scoppiare a ridere.
«Mi
dispiace Kurt, non sono stato io a mandarti i fiori e i biglietti. Ma so chi è
stato.»
«Chi?»
«Ehm,
mi sa che è meglio che io me ne vada,» si intromise Wes.
«Avete parecchie cose di cui parlare, mi sa.» E, dopo un saluto cortese a Kurt
e un sorrisetto a Blaine, si voltò e se ne andò.
Kurt
e Blaine rimasero a fissarsi per qualche istante,
finché Blaine si aprì in un sorrisetto imbarazzato e
spiegò tutto a Kurt.
***
«Quindi
vuoi dirmi che i tuoi genitori e… i Vendicatori mi
hanno mandato i fiori per tutto questo tempo?» chiese Kurt stupito, mentre
guardava le strade di Los Angeles scorrere al di fuori del finestrino.
Avevano
passeggiato per il parco per un po’, mentre Blaine
gli spiegava cosa doveva essere successo, finché si erano ritrovati davanti
alla macchina di Blaine; il ragazzo gli aveva chiesto
di salire con un sorriso cortese e caldo, e Kurt si era ritrovato ad accettare,
come uno stupido. E ora era in macchina con Blaine,
dopo essere stato in silenzio per circa dieci minuti ad assimilare tutto quello
che gli aveva detto Blaine, e non sapeva dove
stessero andando.
«Sì.»
«Ma
è tutto vero quello che c’è scritto nei biglietti?»
Blaine gemette. «Purtroppo sì… Non oso immaginare quante cose imbarazzanti ti abbiano detto…»
«Oh,
soltanto alcune… Dove stiamo andando?»
Blaine si sorprese per il brusco cambio di
argomento, ma sorrise. Aveva un’idea. «Che ne dici di andare a casa mia e dire
che abbiamo scoperto tutto?”
Kurt
arrossì, scambiandosi una veloce occhiata con Blaine,
che sorrise soddisfatto mentre riportava lo sguardo sulla strada, lasciando il
tempo a Kurt di valutare la proposta. Che cosa doveva fare? Accettare l’invito
di Blaine e andare a casa sua? E se gli fosse
successo qualcosa? E se lo avessero rapito per farlo diventare una cavia dei
loro esperimenti? Non voleva diventare come quel grosso affarone verde.
Tuttavia, Kurt sentiva di potersi fidare di Blaine, e
una parte di sé sentiva di conoscerlo. Inoltre, voleva davvero gustarsi la vittoria sui Vendicatori.
«Ok,
ci sto.»
***
«Sono
a casa!» urlò Blaine mettendo piede nella villa,
seguito da un Kurt attonito che si guardava attorno a bocca aperta. Casa sua
sarebbe entrata perfettamente in quell’ingresso.
«Buongiorno,
signore.» La voce metallica di Jarvis fece sussultare
Kurt dalla sorpresa.
«Non
preoccuparti, è solo Jarvis. Gestisce la casa,» gli
spiegò Blaine con un sorriso, avvicinandosi alle sue
spalle e aiutandolo galantemente a sfilarsi la giacca. Le sue mani sfiorarono
appena le spalle e le braccia di Kurt, ed entrambi rabbrividirono per quel contatto
tanto semplice.
«Jarvis, dove sono tutti?»
«In
palestra, signore.»
Blaine si fece coraggio, prese Kurt per
mano e lo guidò per la casa, giù per le scale e dentro un ascensore metallico
che li portò ancora più in profondità. Kurt stava per spaventarsi, ma la
stretta calda e delicata della mano di Blaine lo
rassicurava. Usciti dall’ascensore, si trovarono davanti a una porta chiusa,
con vicino un pannello; Blaine si chinò, allineando
l’occhio a uno strano obiettivo, poi posò la mano sul pannello e quello si
aprì, rivelando una palestra enorme piena di attrezzi.
Kurt
rimase a bocca aperta. La Vedova Nera stava esercitandosi nella lotta con Thor;
Capitan America, Loki e Iron
man stavano cercando di battere Hulk, che se la
rideva della grossa sbatacchiando l’uno e l’altro da una parte all’altra;
Occhio di falco stava lanciando pigramente le frecce contro un manichino,
centrando perfettamente i punti più strategici quasi senza guardare. Una
signora dai capelli biondo fragola, che Kurt immaginò essere la famosa Pepper Potts, la mamma di Blaine, e che assomigliava in modo inquietante a una sua
vecchia supplente del liceo, alzò lo sguardo dal libro che stava leggendo e
sorrise nel notare le loro mani intrecciate. Kurt lasciò andare la mano di Blaine.
«Ci
sono ospiti,» disse la voce fredda di Jarvis.
Tutti
si fermarono immediatamente. Il viso di Tony spuntò dal casco che si era appena
aperto, sorridendo in direzione del figlio.
«Finalmente
vi siete incrociati e avete scoperto dei fiori!»
«Già…» disse Blaine, guardando
tutti a uno a uno con sguardo a metà tra il severo e l’affettuoso. Kurt invece
aveva perso completamente l’uso della parola. «Perché lo avete fatto?»
«Credo
tu possa arrivarci da solo,» disse Pepper,
avvicinandosi a loro e lasciando un bacio sulla guancia di Blaine,
che arrossì.
Blaine fissò tutti, interdetto, finché un
sorriso di consapevolezza gli spuntò sulle labbra. «Grazie.» Abbracciò tutti
con un sorriso enorme.
«Shawarma per tutti?» propose Tony con espressione da
cucciolo.
«Perfetto!»
E
di colpo, tutti li superarono, avviandosi verso l’uscita della palestra e
riservando un sorriso e un colpetto sulla spalla a Kurt e Blaine.
Bruce, che era tornato in fretta e furia normale e si era infilato un paio di
pantaloni della tuta di nascosto dagli occhi di tutti, passò loro di fianco con
un occhiolino rivolto a Blaine e un sorriso per Kurt.
Rimasti
soli, Blaine riportò lo sguardo su Kurt, che aveva
gli occhi a palla e un’espressione persa in viso. Ridacchiò, sventolando una
mano di fronte al suo volto.
«Tutto
a posto?»
«Io…» Kurt si riscosse dal suo stato di torpore. «Sì, sto
bene. Non ho detto una parola, ma va bene.» Spostò lo sguardo sui vari tipi di
armi appesi alle pareti, e i suoi occhi si illuminarono all’improvviso.
«Quelli
sono sai!» si avvicinò alle armi in questione, seguito da Blaine.
«Già!
Li sai usare?» chiese Blaine, sorpreso dal ricevere
un cenno di assenso da Kurt, che lo guardò dritto negli occhi.
«Vuoi
-?»
«Posso
-?»
Scoppiarono
a ridere entrambi, imbarazzati per aver parlato contemporaneamente.
«Prima
tu,» disse Kurt.
«Volevo
chiederti se preferivi tornare a casa…»
Kurt
sorrise, scuotendo la testa. «No. Vorrei sapere come mai mi hanno mandato quei
bigliettini e i fiori.»
Di
colpo, Blaine abbassò lo sguardo, arrossendo; sembrò
pensarci un po’ su, passandosi la mano tra i capelli, spettinandoli un po’, ma
infine si decise a parlare.
«Essere
un supereroe è difficile. Certo, è fantastico, ma nella vita reale è
maledettamente complicato; non sai chi ti è veramente amico o chi vuole solo
approfittare della tua popolarità. In tutti questi anni, non ho mai avuto un
vero ragazzo, perché alla fine erano tutti interessati ai soldi, o alla fama…» Fece una pausa, alzando lo sguardo su Kurt. «Tu
invece mi sei sembrato diverso, fin da subito. Mi degnavi a malapena di
un’occhiata, ti limitavi a servirmi e tornavi al tuo lavoro; non sembravi
adularmi né altro. Avevo voglia di conoscerti, lo desideravo davvero tanto perché… beh, perché mi sei piaciuto fin da subito. Anche se
in quasi tutti i biglietti non miei ti chiedevo scusa, forse è meglio che te lo
dica di persona: scusami. Non volevo fare ricerche su di te, né seguir –»
Un
dito delicato si posò sulle labbra di Blaine, che
arrossì a quel gesto. Kurt sorrise, rimuovendo il dito.
«Sono
felice che lo abbiano fatto. Che abbiano mandato quei biglietti, e i fiori. Mi
dispiace di essere stato così sgarbato con te, anche perché pensavo davvero
tutte quelle cose che ti ho detto in quel vicolo,» spiegò Kurt imbarazzato,
distogliendo lo sguardo da Blaine e ridacchiando.
«E
ora hai cambiato idea?»
«Sì…» sussurrò Kurt, riportando gli occhi su Blaine.
«Allora
anche io sono felice che lo abbiano fatto.»
Continuarono
a sorridersi per un tempo interminabile, finché sentirono l’atmosfera cambiare
intorno a loro, farsi più calda e pesante. Kurt e Blaine
si attiravano come magneti, avvicinandosi sempre di più l’uno all’altro, i loro
occhi che continuavano a spostarsi sulle labbra dell’altro; Blaine
chiuse gli occhi, il cuore che batteva all’impazzata e un minuscolo angolo del
suo cervello che ringraziava le idee strambe del padre. Finché un rumore sordo,
come due oggetti metallici che si scontrano l’uno contro l’altro, attirò la sua
attenzione.
Aprì
gli occhi di scatto, tirandosi indietro e voltandosi il tanto che bastava per
notare uno dei sai per terra, ai piedi di suo padre, con ancora indosso
l’armatura, che sorrideva con occhi luccicanti. Blaine
riportò lo sguardo su Kurt, che aveva in mano l’altro dei sai e lo stava
facendo roteare con destrezza tra le dita.
Tony
scoppiò in una risata fragorosa. «Oh, mi piace questo ragazzo! Sei bravo con i
sai; dovresti unirti a noi!»
«Scusi,
signore, non mi piace essere osservato mentre sto per baciare qualcuno,»
replicò Kurt con un sorrisetto sulle labbra.
«Hai
ragione, scusami. Giuro di non intromettermi più.» Blaine
si chiese se era stato il solo a cogliere il sarcasmo nella voce del padre. «Volevo
solo dirvi che è arrivato da mangiare.» E poi, detto questo, sparì.
Blaine arrossì ancora di più, gemendo. «Scusalo… anzi, scusa tutti.»
«Non
preoccuparti. Devo loro un favore, dopotutto,» disse Kurt sorridendo.
«Ah
sì?»
«Sì.»
Kurt
si sporse in avanti, appoggiando le labbra su quelle di Blaine
e ancorandosi alle sue spalle. Blaine rilasciò un
sospiro, intrecciando le dita tra i capelli di Kurt e tirandoselo ancora più
vicino.
Nel
frattempo, fuori dalla palestra, Tony si girò verso gli altri.
«Progetto
Klaine terminato con successo,» informò gli altri. «E
ora, shawarma!»
NdA:
Allora,
non so cosa sia venuto fuori questa volta. Sapevo di poter affrontare il tema Heroes in 300 milioni di modi diversi, senza cadere in certe
americanate ma… jfidfgidghiadfgahi
scusate, io AMO The Avengers, i film della Marvel e
tutte queste cose, ma soprattutto AMO, ADORO, VENERO Robert Downey
jr. Vado addirittura alle premiere londinesi dei suoi film per vederlo, ed è l’attore che seguo da più tempo in
assoluto.
Perciò,
se unite questo, al prompt che ci è stato affidato e
ai centomila crossover su tumblr… beh, è venuto fuori
questo! =)
Ho
preso vagamente spunto da questo gifset in cui, appunto, Tony è il papà di Blaine. E da qui è nata questa storia che probabilmente non
sta né in cielo né in terra ma… dovevo scriverla *__*
Ovviamente
immagino sappiate chi sono i personaggi e i loro vari interpreti; in caso
contrario, chiedete pure! =)
Spero
vi sia piaciuta! =)
A
domani con la Skank/Nerd Klaine
Bel