Bouquet de Nerfs.
Spingere le labbra di lato, quasi mimando un bacio, scopre una porzione di interno guancia notevole per dilaniare la pelle a morsi. I canini sono lì apposta per strappare filamenti, i premolari per triturare quella carne rossoviolaceo pallido. La causa?
La causa è una telefonata.
« Ti ricordi il video di tre anni fa? Sì, quello. L’ho perso. Insomma, era in una chiavetta nel portafoglio e me lo hanno rubato. Per te potrà pur essere piacevole che degli sconosciuti si seghino su quel video; per me no. Mio fratello, i miei genitori. Sto monitorando i siti gratuiti più conosciuti. Teen e gay. Avevo diciassette anni, dovrebbe bastare per farlo oscurare o cancellare, no? Non preoccuparti. » Discorso frammentario ad un tono di voce troppo alto.
« Ermanno, perché me lo hai detto? » Non era la telefonata che Federico aspettava. Non il luogo, non il momento, non l’argomento.
Una domenica su una panchina, i fogli di giornale aperti sulle ginocchia avvolgevano due panini smangiucchiati e dilaniati, chiazzati di rosso pomodoro.
Il thermos per il caffè; è marzo e fa freddo, quel tipo di freddo che si blocca in gola e logora le ossa con l’umidità.
« Correttezza. » Risposta algida. Lontana dai gesti discreti e titubanti distribuiti con finta ilarità negli attimi del primo amore. Un amore prima rimpianto, poi negato. Sbagliato fin dall'inizio. Quindici e ventitré.
« Tu non sei mai stato corretto. » Gemette Federico. La recriminazione nei confronti di chi è cresciuto e ha bruciato degli idoli. Venti e ventotto.
« Tranquillo, risolverò tutto. » Anche l’impossibile.
E la chiamata si chiude, il cellulare finisce sul giornale accartocciato, le mani sulle ginocchia e la pelle sotto i denti.
Federico in cinque minuti sale a casa di sua madre, pranza nuovamente, si addormenta sul divano pensando che dovrebbe andare da un medico, ma le palpebre pesano e il cuore è vuoto come cantava Nico. The honesty that lies to you. My heart is empty but the songs I sing are filled with love for you.
Si risveglia che il sole è calato e la vecchia donna fischietta un’operetta. Si infila le scarpe da ginnastica, annoda il laccio dei pantaloni in felpa, pesca la lista della spesa dalle carte sparse per il tavolo.
Federico si ritrova ad far indossare alla nipotina la tutina imbottita gialla, lei lo guarda curiosa, si aggrappa al marsupio, gli tira la barbetta ispida che si è lasciato crescere.
Buffe figure avanzano per i corridoi della LIDL, come comparse ricoprono simboli: la casalinga, la zingara, il lavoratore al rientro, il giovane padre dai polpastrelli tagliati, il muratore. L’uomo senza idee con una bambina non sua nel marsupio.
Federico gonfia le guance, Beatrice ride sdentata. Le porte scorrevoli si aprono, le borse divise in modo da risultare bilanciate. La moto gialla di Lorenzo – Louensu, pensa Federico dando al nome l’intonazione genovese di suo padre quando si presentava, quel sovrapporsi di portoghese e francese, il trasformare la zeta in esse come i bolognesi – brilla sotto i lampioni arancioni. La strada è bagnata, la curva aperta e deserta. Le luci del palazzetto dello sport accese.
Lorenzo si toglie il casco e sporge per chiedere un bacio, si sposta come un granchio lateralmente, portandosi dietro il peso della moto. Aspetta.
Venti minuti: portare Bea dalla nonna dopo l’ultimo sorriso sdentato. Scendere. Tornare a casa.
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