-Come non
vieni da me?-
Alzai gli
occhi al soffitto scocciato; -Bìa, te l’ho detto, non posso. Non incominciare
con una sceneggiata da fidanzatina rompicazzo.-
Se c’era
una cosa che proprio non sopportavo, era che una ragazza mi stesse addosso e mi
tempestasse di domande. Se tolleravo Bìa e non
l’avevo ancora –non ripetutamente almeno- mandata a cagare era perché a letto
faceva delle performance impeccabili.
Diedi
un’occhiata all’orologio, ticchettando nervosamente con le dita sul tavolo: le
quattro. Ero già in ritardo per le ripetizioni a casa della Puccio. Non che mi
importasse arrivare puntuale, anzi, meno stavo con quella pazza isterica meglio
era, ma nemmeno la prospettiva di ascoltare le lagne eterne di Bìa mi entusiasmava.
-Stronzo.
Potevi almeno avvisarmi prima, mi sono tenuta libera per te.-
Dovetti
fare appello a tutta la mia poca pazienza per risponderle quasi gentilmente, -Lo so, scusa, è una cosa venuta fuori
all’improvviso.-
Cazzata.
Lo sapevo da due giorni che sarei dovuto andare dalla Puccio, semplicemente non
avevo avuto né la voglia né il tempo di avvisarla di quel cambio di programma.
Certo che
perdere un pomeriggio di sesso sfrenato con Bìa per
dare ripetizioni a quell’acida della Puccio…
Sbuffai,
inchinandomi per sistemarmi le scarpe dopo essermele infilate, -Senti ti chiamo
più tardi se riesco, ok?- Magari potevamo vederci il giorno dopo, si sarebbe
trattato di rimandare e basta.
-Non fare
promesse che poi non mantieni.-
Schioccai
la lingua divertito; mi conosceva fin troppo bene. -Ok, diciamo che c’è una
remota possibilità che io ti faccia uno squillo più tardi. Con l’addebito. Se
mi ricordo e se ne ho voglia.-
Che era
come dirle di non aspettarsi niente, perché le possibilità che io me ne ricordassi
e che ne avessi voglia erano nulle.
In
risposta mi arrivò un sospiro rassegnato, -Ecco, questo è già più da te.-
Sorrisi,
-Vado, non vorrei che quella stronza trovasse il modo di lamentarsi con la prof
di matematica pure per questo.-
Un
ritardo di dieci minuti per
-D’accordo,
buon divertimento allora.- Ridacchiò
maliziosa. Decisamente troppo maliziosa.
Avrei
potuto snocciolarle almeno dieci buoni motivi per cui passare un pomeriggio in
casa della Puccio non sarebbe stato divertente, ma decisi semplicemente di
chiudere la chiamata per evitare di incoraggiare la conversazione e di
permettere alla sua parte più logorroica di manifestarsi nuovamente.
Meglio
che credesse che andassi dalla Puccio per fare altro piuttosto che stare ad
ascoltare ancora le sue inutili chiacchiere.
Quando
suonai al campanello della casa di fronte, guardai nuovamente l’orologio
affranto.
Almeno
due ore di ripetizioni, due ore d’Inferno. Avrei contato i minuti.
Ad
aprirmi fu lei, ovviamente, i capelli raccolti in un’alta coda di cavallo, il
naso arricciato in una smorfia quasi schifata e le braccia incrociate al petto.
-Entra.-
Mi ordinò, facendosi da parte.
Simpatica come sempre.
Entrai
controvoglia e l’occhio mi cadde distrattamente sul corridoio alle sue spalle,
dove si affacciavano in tutto quattro stanze; mi chiesi involontariamente quale
di quelle fosse la sua.
-In
sala.-
La sua
voce insopportabile mi riportò con lo sguardo alla mia sinistra.
Aveva
intenzione di andare avanti a parlare come un cazzo di robottino?
-Qualcosa
da bere?-
-No.-
Non
sprecai nemmeno fiato per ringraziarla, era inutile assecondare quei finti
convenevoli.
-Ok,
bene, allora iniziamo.-
Si
diresse a passo spedito verso il centro della sala, prima di bloccarsi e fare
una smorfia.
-Se per
te va bene.- Aggiunse, non particolarmente convinta.
Scrollai
le spalle, -Certo.-
Ho alternative?
Prima
iniziavamo e prima me ne sarei andato di lì.
Spostò la
sedia per appoggiarci sopra un ginocchio ed osservò il tavolo con aria
pensierosa: aveva già preparato una serie di libri, almeno una decina di penne,
due delle quali erano appoggiate su un quaderno nuovo, una pila di fogli, due
calcolatrici, due righelli, quattro matite e tre gomme.
La cosa
che mi inquietava maggiormente era che le gomme erano disposte in ordine di
grandezza, i righelli perfettamente
allineati, così come le matite e le penne. Non mi sarei sorpreso di trovare i
libri in ordine alfabetico.
Carino. Avrà anche le mutande
disposte in ordine cromatico nel cassetto della biancheria?
Ero
ufficialmente entrato nel piccolo e personale mondo di Alice
-Ok, uhm…-
Afferrò un libro ed iniziò a sfogliarlo nervosamente, -Da cosa iniziamo?-
Aggrottai
la fronte stranito, -Da quello che non hai capito…?- Proposi in tono ovvio.
Cioè, non
solo dovevo spiegarle quello che il suo cervello bacato non aveva afferrato,
dovevo pure indovinare quali argomenti per lei fossero poco chiari!
Rimise il
libro sul tavolo e si morse il labbro, -Ehm…facciamo…- Indicò la copertina
lucida e plastificata con l’indice, -Le disequazioni fratte?-
Ma perché
caspita lo domandava a me?! Sembrava che non sapesse nemmeno di cosa stesse
parlando.
-Basta
che ti decidi Puccio, non ho tutto il pomeriggio.-
Mi
riservò un’occhiata glaciale e omicida, prima di prendere una penna ed aprirla
con rabbia. Per un attimo pensai quasi che volesse infilzarla nella mia mano…
-Vaffanculo.-
Mi rispose semplicemente, passandomi –tirandomi
addosso piuttosto – il libro che aveva in mano.
Lo aprii
e le lanciai un’occhiata divertita, ghignando. Se non altro ci sarebbe stato da
divertirsi.
Mai
pensiero fu più sbagliato. Dare ripetizioni alla Puccio era esasperante e
inutile, era come parlare ad un poppante dell’asilo – che probabilmente sarebbe
stato persino più intelligente –, ad ogni cosa che dicevo mi guardava con un’aria
a metà fra lo smarrito e l’irritato, come se la sua ignoranza fosse colpa mia!
-Tu lo
spieghi male.- Mi aveva accusato un paio di volte, con un broncio infantile
dipinto in volto.
-Te l’ho
spiegato due volte e pure con parole semplici, sei tu che non ci capisci
comunque un cazzo!-
Due ore
dopo sembrava aver finalmente capito
il procedimento delle equazioni, riusciva a risolverle lentamente e – mi passai
disperato una mano fra i capelli – contando di nascosto con le dita come i
bambini, ma ci riusciva ed era già un enorme
passo in avanti.
Alle sei
e mezza, mentre cercavo senza successo di fare entrare in quella testolina
qualcos’altro, arrivò sua madre, che ci salutò gentile e sorridente prima di
sparire lungo il corridoio.
-Sei una
pessima allieva.- Tempo sprecato ad insegnarle cose che, ero quasi certo,
avrebbe dimenticato il giorno dopo.
-E tu un
pessimo insegnante.- Mi riprese lei, punta sul vivo.
-Non sono
io l’ignorante fra i due.- Poteva stizzirsi quanto voleva, le cose stavano
così.
-Io non sono ignorante! La matematica è
l’unica materia in cui ho qualche lacuna.- Alzò il mento e si diede un’aria da
grande intellettuale. Peccato che non le calzasse proprio…
-Qualche?! Ragazza mia, tu te la devi
ristudiare tutta, partendo dalle tabelline.- Trattenni a stento una risata al
pensiero di vederla contare ancora con le dita per studiarle.
–Ma come hai fatto ad essere promossa l’anno
scorso?- Senza un minimo di nozioni di base, aggiunsi mentalmente.
Promuovevano alla cazzo nella sua scuola?
Senza accertarsi delle capacità degli studenti? Aveva un prof rincoglionito? O
pervertito e, quindi, particolarmente propenso a mandare avanti ragazze fra
un’occhiata alla scollatura e l’altra?
-Di sicuro non bigiando e fumando in classe.-
Fu la sua risposta acida.
Curioso. Per sapere delle bigiate e del fumo
doveva avermi osservato o essersi informata su di me. A chi aveva chiesto, Mel? Ero stato argomento
delle loro sciocche conversazioni?
Alzai un sopracciglio e mi sporsi leggermente
verso di lei per replicare a tono, quando sua madre ci raggiunse nuovamente in
sala per chiedermi se volessi restare per cena.
Vediamo…altre due ore
con
Non se ne parlava proprio. Quel pomeriggio con
lei mi sarebbe bastato a vita, non ne potevo più della sua vocetta petulante e
del suo modo di criticare qualsiasi cosa le dicessi.
-No, grazie, magari un’altra volta.- Quando sua figlia diventerà magicamente
sopportabile.
Non persi ulteriore tempo in quella casa,
approfittai di quel momento per andarmene senza pensarci due volte.
Fu difficile non mettersi a fare un ridicolo
balletto esultante sul pianerottolo, uno di quelli che solitamente faceva
Andrea quando –raramente – riusciva a segnare un goal alla Play.
Mi ero liberato di quella seccatura alle sei e
mezza, ergo, la serata non era andata ancora a puttane.
Rientrai
in casa mia e mi connessi su facebook per inviare un
messaggio ai miei amici e metterci d’accordo sull’orario di uscita quella sera,
poi corsi in bagno a farmi una doccia.
Al mio
ritorno trovai la loro risposta: alle dieci alla fermata della metropolitana
Loreto.
Se c’era
una cosa che credevo di aver imparato, era che bere troppo e rientrare tardi la
sera se il giorno dopo c’era scuola era una pessima
idea.
Me ne
sarei dovuto ricordare quando, dando un’occhiata all’orologio che segnava le due
e mezza, avevo alzato le spalle e pensato “fra poco vado”. Le ultime parole
famose.
Il giorno
seguente a scuola ero uno straccio, ringhiavo parole sconnesse a chiunque si
avvicinasse e appoggiavo la fronte su qualsiasi superficie liscia capitasse a
tiro.
Mi ero
addormentato sul banco durante l’ora di Storia, di Diritto e di Geografia, che
se non altro rispetto al solito erano servite a qualcosa.
La mia
sceneggiata alla “sto malissimo, oggi non vado a scuola” aveva quasi convinto
ed intenerito mia madre, non fosse stato per l’intervento di Rossella che, dopo
avermi buttato lo zaino in faccia, mi aveva strillato contro: “La prossima
volta impari a rientrare tardi! Vai a scuola o ti ci mando io a calci idiota! E
non provare nemmeno a bigiare perché chiamo in segreteria per accertarmi della
tua presenza, capito?! Ti faccio fare una figura di merda con tutti i tuoi
compagni e ti mando il bidello in classe a controllarti per conto della mammina.”
Porca troia.
Con mia
madre e con Glenda avrei potuto farla franca facilmente, ma Rossella conosceva
troppo bene i miei punti deboli.
Che razza
di mostro avevo per sorella?
Se non
altro ne era valsa la pena, con la mia amica Karolina
mi ero divertito la sera precedente, e anche parecchio. Certo non era come
farsi Bìa, ma in sua assenza era una buona sostituta.
La
settimana proseguì comunque abbastanza bene, Puccio e
stanchezza dovuta alle uscite a parte.
Il lunedì
pomeriggio lo passai a cazzeggiare a casa di Andre;
schifezze da mangiare, Pc e Playstation.
-Noooo!-
Andre si portò teatralmente una mano fra i capelli.
-Cosa?-
Mi sporsi disinteressato a guardare lo schermo del computer oltre la sua
spalla.
-Guarda
chi cazzo mi ha aggiunto! Io la ignoro…-
Lolita Sanz.
Non
riuscii a trattenermi e scoppiai a ridere di gusto, -Ma dai, non fare lo
stronzo, accettala!- A parte l’inconveniente da lui raccontato la volta scorsa,
la ragazza meritava e tanto.
-Ma ‘sti cazzi, che vada ad imbrattare qualcun altro con il suo sangre de mierda!-
Mi
sedetti sulla sedia accanto, scrollando le spalle, -Non avrà mica sempre le
mestruazioni, le passeranno prima o poi.-
Inorridì,
-‘Frega un cazzo. Ormai non riuscirei a vederla in
altro modo, mi tornerebbe sempre in mente quell’episodio, come per Pannolino!-
Schioccò le dita, contento di aver trovato un metodo di paragone.
Sgranai
gli occhi e congiunsi le mani, -No, Pannolino, me n’ero dimenticato!-
Pannolino
era un nostro compagno di classe in prima che si era, come dire, pisciato
letteralmente addosso durante un’interrogazione. Aveva cambiato scuola qualche
giorno dopo, dopo esser stato ribattezzato Pannolino.
Appoggiai
le braccia sulle gambe e gli lanciai un’occhiata scettica dal basso, -Beh c’è
comunque differenza fra Pannolino e una gnocca pronta
a dartela.-
Andre
scosse la testa irremovibile e cliccò sul tasto “Ignora”, -Se la può tenere.-
Affermò, aggiungendo fra sé e sé, -Incrostata di sangue…-
Feci una
smorfia a metà fra il divertito e il nauseato, -Che coglione.-
Lui
scrollò le spalle e mosse la freccetta del mouse fino ad arrivare in alto,
sulla classica barra bianca di Facebook.
Non
riuscii a fermarlo in tempo semplicemente perché non avevo previsto quali
fossero le sue intenzioni, lo intuii troppo tardi.
-Vediamo una cosa...-
In un battito di ciglia, batté sui tasti e scrisse
un nome sul motore di ricerca; il risultato che venne fuori fu decisamente un
bel colpo...fra le gambe.
Porca puttana...
Alice Puccio, 4 amici in
comune.
Nell'immagine del profilo era sdraiata sulla
spiaggia, gli occhiali da sole calati sul naso, appoggiata sui gomiti, le
caviglie incrociate in aria e il mare alle sue spalle.
Seguii avidamente con lo sguardo la linea delle
sue gambe, del suo culo e della sua schiena, fino ad arrivare alle spalle e
alle braccia che nascondevano -purtroppo- il seno coperto solo dal misero pezzo
di sopra del bikini.
Deglutii a vuoto, decisamente accaldato.
'Sti cazzi. Ma era
possibile eccitarsi così tanto solo vedendo una foto? Per giunta nemmeno così
porno.
E poi...merda, era quella nanerottola rompicazzo della Puccio, come
cazzo faceva ad essere così arrapante?
-Minchia!- sbottò Andre
sgranando gli occhi, -Questa è da sega davanti al pc!-
Sì, beh, non l'avrei mai detto davanti a lui, ma
era proprio quello che stavo pensando.
-Ma non dire stronzate va!- la mia voce uscì
flebile, strozzata, incrinata. Non ero credibile per niente.
-Certo...- fece roteare gli occhi per la stanza,
-Dillo magari quando non stai per venire solo a guardarla.-
Non potei dargli completamente torto. Forse facevo più bella figura a stare
zitto, visto che parlando mi sarei nuovamente tradito.
-Esci e
piantala di fare il coglione.- Mi sforzai di assumere un tono serio, calmo,
lucido e di non sembrare minimamente infastidito.
-Aspetta,
aspetta…guarda questa!- Rise, scorrendo le altre sue foto, -Qui sembra che stia
facendo un…-
Mi
schiaffai una mano in fronte, rassegnato, dando comunque un’occhiata alla foto
in questione di sfuggita; stava semplicemente ridendo –come non aveva mai riso
a scuola-…e aveva la bocca aperta. Un brivido mi attraversò la schiena
violentemente al pensiero della Puccio che…
Che…cosa? Che cazzo vado a
pensare?
-“Sono
Alice Puccio e me lo prendo tutto in bocca.”- La
scimmiottò quella testa di cazzo del mio amico, ridendo soddisfatto.
Mi
sfregai le mani sulla stoffa dei jeans nervoso; non era normale che il mio
respiro ed il mio battito fossero così irregolari, non era normale che sentissi
affluire il sangue così pericolosamente verso il basso.
Cioè,
sarebbe stato normale alla vista di qualsiasi altra ragazza, ma
E sentire
i commenti di Andre non mi aiutava di certo a non
pensare a cosa effettivamente avrebbe potuto fare
-Finiscila
Andre.- Ci stupimmo entrambi della nota stonante e
quasi cattiva presente nella mia
voce. Se lui stava ridendo, io ero livido in volto.
-Oh,
tutto bene?- Mi domandò perplesso e un po’ intimorito, prima di fare come gli
avevo caldamente consigliato di fare.
-Benissimo.-
Mi alzai di colpo, innervosito. Non capivo nemmeno io perché mi fossi incazzato
così tanto per così poco. Non aveva avuto senso reagire così, sia per le frasi
di Andre che per la normale reazione del mio corpo alla vista di una ragazza mezza
nuda.
Andrea mi
stava ancora guardando, così, scrollai le spalle ed indicai l’unica cosa che
avrebbe avuto il potere di distrarlo, più di un paio di tette, -Partita alla
Play?-
Sbatté il
pugno sul tavolo e si mise in piedi esaltato, -‘Fanculo, sì! Ti spacco il culo stavolta, l’altra volta hai
avuto solo fortuna!-
Certo.
Che lo credesse pure, bastava solo che non ritornasse sull’argomento “Puccio”.
Inutile
dire che lo stracciai come sempre e quell’ennesima vittoria scacciò via
facilmente l’irritazione dovuta ad una sciocchezza del genere.
A far
tornare il mio malumore il giorno dopo, però, si mise
Se solo
fosse stata zitta e sorridente come nelle sue foto del profilo avrei quasi
potuto trovarla gradevole. Peccato –
o per fortuna?- che non fosse così, che straparlasse e rompesse continuamente
le scatole.
Bastava
un niente per farla scattare, si agitava anche per le cose più stupide e
insignificanti. Ma non c’era da sorprendersi, era in linea con il suo carattere
da psicopatica.
Mi
ritrovai ad avere a che fare con lei, purtroppo, anche durante la verifica di
Fisica.
Risolvevo
abbastanza velocemente e in piccolo i problemi sui margini di un foglio di
brutta, ricopiavo sul foglio di bella e li strappavo e accartocciavo per
lanciarli a Lele, che a sua volta, dopo aver copiato, li rimandava a me perché
potessi passarli ad Andrea.
Era
quello il nostro tacito accordo; io lo aiutavo con le materie scientifiche, lui
mi mandava le risposte durante le verifiche di storia e inglese.
Peccato
che fra il banco mio e di Andre ci fosse quello della
Puccio e che la soluzione al terzo problema finì
proprio ai suoi piedi.
Sbuffai e
mi sporsi esitante verso di lei, adocchiando velocemente la prof di matematica
seduta alla cattedra e china sul registro, -Puccio?-
Non
riuscivo a scorgerla bene in viso, i capelli lunghi mi coprivano la visuale, ma
fui abbastanza certo di vedere i suoi lineamenti tendersi in una smorfia.
Feci un
respiro profondo per cercare di calmarmi; stava volutamente facendo finta di
non sentirmi, era evidente, ma sbraitarle contro ed insultarla non sarebbe
stata una buona idea.
-Puccio?-
Ritentai, a fatica, con un tono di voce un filo più gentile.
-Non ti
passerò quell’inutile e sudicio pezzo di carta Latini.- Strinse con forza la
mano sulla biro e si chinò ancora di più sul suo foglio, nel chiaro intento di
farmi capire che non fosse minimamente disposta a collaborare.
Qualcuno doveva spiegarmi
come cazzo si faceva poi a non odiare un’acida del genere. Anche mettendoci la
buona volontà non si poteva proprio.
Diedi dei colpi sul banco con
la penna innervosito, prima di ritentare in un altro modo, -Se me lo passi, ti
lascio copiare.- Cercai di trattare, per quanto mi seccasse l’idea che lei
prendesse un bel voto grazie a me.
Visto quanto era scarsa in
matematica, dubitavo che in fisica riuscisse a risolvere qualcosa, quindi sarebbe
stato sicuramente vantaggioso per lei accettare.
Rise
malignamente, voltandosi verso di me solo per ringhiare fra i denti, -Non mi
interessa copiare, non sono come voi.-
Non…? Non
era come noi? Ma chi cazzo si credeva di essere?! Con quell’aria da maestrina
superiore...
Non sono come voi.
No che
non lo era, non scopava abbastanza e si vedeva.
-Dio Puccio, quanto sei stronza!- Era inutile cercare di
comportarsi bene, li tirava fuori lei gli insulti.
La vidi
sorridere compiaciuta per la mia risposta irritata, il fatto che l’avessi
appena offesa non sembrava toccarla minimamente.
Sospirai,
indeciso sul da farsi; alzarsi a prenderlo era fuori discussione, la prof mi
avrebbe sicuramente visto sgattaiolare verso la mia odiosa vicina di banco e,
se anche non mi avesse notato,
Dovevo
giocare d’anticipo. E fargliela pagare magari.
-Mi scusi
prof, ma
Mi sentivo
tanto un bambino delle elementari, il cocco della maestra che viene sfottuto da
tutti, e mi stetti non poco sul cazzo per quell’uscita.
Porca troia, sono sceso allo
stesso livello della Puccio.
Se non
altro la stronzetta si sarebbe presa un bel due,
niente poteva darmi più soddisfazione di quello, potevo passare pure sul mio
irritante comportamento.
-Non è
assolutamente vero!- Si difese lei, improvvisamente rossa in viso e agitata.
Non sorridi più, eh Puccio?
-Ah no? E
quello cos’è?- Mi passai la lingua sul labbro divertito ed indicai il foglietto
ai suoi piedi con il mento.
La prof
lo prese in fretta, prima ancora che
-Puccio!-
Fece lei con voce stridula, quasi non riuscisse a credere che la cocchina sempre attenta, presente e puntuale potesse fare
una cosa del genere.
-Non è
mio!-
Non fosse
stato fuori luogo sarei scoppiato a ridere nel vedere le diverse tonalità di
rosso che aveva assunto la sua pelle, era a chiazze.
A dir la
verità, dopo essermi portato con nonchalance una mano al viso, risi comunque,
anche se per poco.
-No,
infatti.-
Riportai
perplesso lo sguardo sulla prof, tutta intenta ad analizzare il foglietto che
aveva in mano, -Questa è la scrittura di Latini.-
Merda.
Quello
non era decisamente previsto.
Come
diavolo aveva fatto a riconoscerla? Ma non erano le prof quelle che dicevano
sempre che avevano decine di classi e facevano fatica a ricordarsi persino i
cognomi degli studenti?! Come aveva fatto a capire che quella fosse la mia
grafia? Erano solo dei cazzo di numeri poi!
-Latini, Puccio, vi ritiro il compito e vi beccate entrambi un due
sul registro.-
Vidi la
disperazione prendere possesso dei volti di Lele e Andre,
a cui ancora mancavano due problemi da ricopiare.
Io, dal
canto mio, mi limitai a consegnarle il foglio indifferente, poco mi importava
di un due sul registro, l’avrei recuperato in fretta.
Nel
vedere l’espressione sconvolta della Puccio, un
involontario sorriso spuntò sulle mie labbra, -Ben ti sta, Puccio.-
Così imparava a non fare quello che le chiedevo. Se avesse collaborato subito
avrebbe potuto copiare o avere comunque il suo sudato tre – dubitavo che la sua
verifica contenesse chissà quale dimostrazione di intelligenza, doveva aver al
massimo scritto nome, cognome e data in cima.
L’occhiataccia
che mi restituì in risposta non avrebbe fatto paura nemmeno ad un bambino, che
sarebbe di sicuro rimasto più turbato dalla vista di Topo Gigio.
-Anche tu
hai preso un due.-
Le frasi
così ovvie di quella ragazza mi strappavano sempre qualche smorfia, c’era da
dire che a volte riusciva ad essere comica se non altro.
-Sì, ma io un
due in fisica lo recupero come niente, per te, invece, che fai fatica a
prendere il sei nelle materie scientifiche, sarà una vera e propria impresa.-
Spiegai tranquillo.
Potrei quasi dire che mi dispiace Puccio,
non mi stessi pesantemente sulle palle.
Mi sembrò
di scorgere una lieve patina lucida sui suoi occhi, ma non ne fui certo. Ad
ogni modo non potevo di certo sorprendermi, era una ragazza. Quale altro modo
aveva di reagire alle provocazioni?
Storsi la
bocca in un ghigno compiaciuto e decisi di darle la stoccata finale, -Alla fine
vinco sempre io Puccio, te lo dicevo che non ti
conveniva metterti contro di me.- Feci spallucce.
Strinse le mani a pugno con
rabbia, per poi voltarsi dall’altra parte e spostarsi una ciocca di capelli
offesa. Era a dir poco ridicola.
-Puccio quanto fa 6x4?- Soffocai a stento una risata.
Sia che rispondesse o che si
rifiutasse di farlo avrebbe fatto la figura della stupida.
Optò saggiamente per la
seconda opzione, peccato che non fossi intenzionato a lasciar correre così la
cosa, proprio ora che avevo iniziato a divertirmi.
-Puccio? Puccio, Puccio, Puccio, Puccio…-
-Ho sentito!- Sbraitò, riservandomi l’ennesimo
sguardo di fuoco che avrebbe voluto mi incenerisse. O perlomeno intimorisse.
Illusa.
-Allora? Quanto fa?-
Conta
con le dita Puccio, forse puoi farcela.
-Fa vaffanquattro.- Fu la sua acida risposta. Si alzò
bruscamente, senza darmi altro tempo per continuare a sfotterla, e camminò fino
alla cattedra per poter chiedere di andare in bagno.
Ecco fatto, si era arresa in fretta. E con quella
risposta da bambina dell’asilo cosa aveva voluto dimostrare? Sorrisi e scossi
la testa; ne avevo avuto abbastanza, era una perdita di tempo dialogare con
lei.
Come
sempre, nell’intervallo, scendevo giù in cortile a fumare insieme ad Andrea e
Giulio. Non tanto perché mi andasse di sfilare sigarette al mio amico, quanto
per le ragazze che, dalle finestre del Natta - il liceo linguistico lì accanto
al nostro -, si affacciavano a parlarci.
Io e Andre ci stavamo lavorando da giorni una mora niente male,
ad occhio e croce una quarta di seno, o almeno da quello che avevamo potuto
constatare quando si era alzata ingenuamente sulle punte dei piedi sotto nostra
richiesta. Quando si parlava con una ragazza poggiata con le braccia al
davanzale c’era sempre questo inconveniente, si vedevano solo il viso e il
collo.
-E dai.- Andre si portò solennemente una mano al petto. –Sono reduce
da una tremenda verifica di fisica, me lo merito, no?-
Era da
giorni che cercavamo di convincerla a darci il suo numero -o in alternativa a
darci qualcos’altro – ma era decisamente un osso duro, più di molte altre sue
compagne di classe.
Mi voltai
verso Giulio e lui mormorò sarcastico, stando ben attento a non farsi sentire, -Com’era? “E non fare la preziosa, puttana”.-
L’avevo
detta una volta quella frase, scherzando su una ragazza più ubriaca di me in
discoteca e da allora Giù non faceva che citarla, neanche avessi detto chissà
quale perla.
Mi
lasciai sfuggire una risatina, giusto per assecondarlo, mentre Andre e la tizia ci guardavano perplessi.
-Siete
degli adorabili rompipalle, lo sapete?- Valentina –così ci aveva detto di
chiamarsi - alzò gli occhi al cielo e sorrise.
Storsi il
naso per quel “adorabili”, ma non dissi nulla; ormai era fatta. Ancora qualche
sciocca moina e poi avrebbe ceduto.
Quando rientrai
in classe, ero pienamente soddisfatto del nostro risultato; avevamo avuto il
numero di Valentina e adocchiato altre due tipe di una terza, affacciate alla
finestra del loro bagno delle ragazze.
Quando
rientrai in classe, però, ebbi anche un’altra spiacevole sorpresa.
Attorno
al mio banco c’era troppa gente per i miei gusti e quando ne compresi il
motivo, tutti fecero un rassicurante –per loro di sicuro - passo indietro.
-Porca
troia, che cazzo…?!- I miei occhiali da sole di Gucci, pagati un occhio della
testa l’estate scorsa, erano a terra letteralmente distrutti.
Non erano
semplicemente caduti, erano…a pezzi!
Sentii
l’ilarità dovuta alle tizie di prima svanire di secondo in secondo, sostituita
da una rabbia sempre più cieca.
-Chi
cazzo è stato?!- Alzai lo sguardo sui miei compagni di classe, tutti improvvisamente
impauriti ed intenti a guardarsi l’un l’altro, come a dire “Chi è stato abbia
le palle di farsi avanti, io non voglio finirci in mezzo”.
-Giuro
che lo ammazzo…- Mi rimisi in piedi e sondai i loro volti, uno ad uno,
stringendo le mani a pugno con così tanta forza da bloccare la circolazione e
far sbiancare le nocche.
Andrea e
Giulio non potevano essere stati, erano con me. Di Lele mi fidavo ciecamente,
di Ste e Antonio pure. Che fosse stato…?
Non ebbi
nemmeno il tempo di formulare il nome di Valenti che il mio sguardo incrociò
quello divertito e appagato della Puccio.
Ma certo,
che coglione, avrei dovuto pensarci subito, chi altri?
-Tu!-
Spalancai la bocca incredulo; quella brutta stronza!
-Chi…io?-
Si indicò e alzò le spalle, usando un tono di voce così infantile che per poco
non mi avventai su di lei dalla collera. In quel momento era solo il pensiero
che fosse una ragazza a trattenermi.
-Fai poco
la spiritosa.- Mi avvicinai a lei con l’intento di intimorirla, ma lei,
sorprendendomi, non indietreggiò di un passo, anzi, mi venne in contro
spavalda.
-Sei
stata tu! Hai anche solo
lontanamente idea di quanto siano costati questi occhiali?!- Indicai ciò che ne
restava furioso.
Fece
roteare gli occhi annoiata, -No. Quanto?- Ma mi stava
veramente sfidando? Non aveva capito quanto ero incazzato?
-300 euro carina, che ora tu,
prontamente, provvederai a risarcirmi.-
Nei suoi
occhi passò un lampo di sfida, -Stai scherzando spero!- Incrociò le braccia al
petto scandalizzata, -Non ci sono prove che sia stata io, potrebbe benissimo essere
stato qualcun altro, di sicuro ci sarà un sacco di gente in questa scuola che
ti odia.- Affermò sprezzante, lo sguardo assottigliato.
Ce n’erano di patetici
sfigati che mi odiavano, sì. Ma non pensai nemmeno per un attimo che potesse
essere stato qualcun altro, aveva scritto “colpevole” sulla fronte quella
psicopatica.
-L’unica stronza che avrebbe
potuto fare una cosa del genere indisturbata nella nostra classe sei tu.-
Nessuno delle altre classi
sapeva dove ero seduto, nessuno sapeva che per quell’anno quello sarebbe stato
il mio banco.
-Beh io non sono stata.- Alzò
le spalle indifferente, come per tirarsene fuori.
Feci un
passo in avanti, fino a trovarmi ad un palmo dal suo viso; quella vicinanza non
fece che ricordarmi le reazioni del mio corpo alla vista di quella sua
maledettissima foto in spiaggia. Mandai giù a vuoto e mi sforzai di rimanere
concentrato sul suo viso e di non far scorrere il mio sguardo sul suo corpo
come il giorno prima, -La cosa non finisce qui Puccio,
pagherai anche questo.- Soffiai minaccioso sulla sua pelle. La vidi socchiudere
appena gli occhi e schiudere la bocca per boccheggiare –e sillabare-, -Non.Sono.Stata.Io.- Fece un mezzo sorrisetto sicuro di sé,
-E comunque non mi fai paura Latini.-
Non ti conviene provocarmi Puccio, non sai quanto non ti conviene.
Buono a
sapersi. Perché non aveva ancora visto nulla di quello che avrebbe potuto davvero farle paura.
-Meglio così.- Ricambiai il sorriso, improvvisamente eccitato per
via di quella sfida nascosta nelle nostre parole. Le avevo già detto che non le
conveniva mettersi contro di me e ne aveva avuto prova durante l’ora di
fisica…evidentemente non era stato abbastanza, dovevo essere più convincente. E
lo sarei stato.
*Note dell’autrice*
Comincio con il dire che mi
vergogno da morire per le frasi dette o pensate da Lore&Co,
sono di un maschilismo e di una volgarità tremenda, scusatemi davvero. Se vi
hanno infastidito in qualche modo, non esitate a farmelo notare.
Ho cercato di mettercela tutta per
entrare nella testa di un ragazzo di
diciassette anni, decisamente stupido e immaturo per via dell’età.
Non è stato facile, se ci sono più
o meno riuscita (questo dovrete dirmelo voi XD) è merito dei due “adorabili”
fratelli (uno più piccolo e uno più grande, si compensano insomma) con cui sono
cresciuta; quando non sono sicura di una cosa mi rivolgo a loro senza problemi,
infatti molte delle frasi di Andrea sono alcune delle loro risposte! :D
Avrete notato poi che ho censurato
anche una parola mentre parlava Vergata, davanti al pc,
immaginerete da sole che cosa sembra che stia facendo Alice nella foto.
Ripeto che non è mia intenzione
offendere nessuno, solo cercare di essere il più verosimile possibile.
Poi, una cosa che volevo
rettificare; non scriverò TUTTI i capitolo di TLOLA (scusate abbrevio XD) dalla
parte di Lore, alcuni irrilevanti li salterò, scriverò solo i più importanti o
quelli richiesti, per non togliere tempo agli extra futuri
che ho iniziato a postare l’altro giorno.
Che altro dire? Spero che questo
capitolo vi sia piaciuto, sapete cosa succede dal prossimo, no? Vi dice
qualcosa il taglio di capelli, l’ascensore…? :D
Per quanto riguarda le risposte
alle recensioni…non mi stancherò mai di dirlo, piano piano
(moolto piano purtroppo) rispondo. Per mancanza di
tempo non posso fare altrimenti, mi spiace, l’attesa sarebbe ancora più lunga
:(
Alla prossima, un bacione!
Bec