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Autore: _Bec_    10/10/2012    37 recensioni
"Tra l'odio e l'amore c'è la distanza di un bacio" dal punto di vista del protagonista maschile, Lorenzo Latini.
Per rivivere attraverso i suoi occhi la sua storia d'amore con Alice.
Può essere letta anche da chi non ha seguito la storia dal punto di vista femminile, ma consiglio comunque, se interessate, di leggere prima la storia originale.
Genere: Commedia, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo 3: Occhiali da sole e foto

 

 

 

 

-Come non vieni da me?-

Alzai gli occhi al soffitto scocciato; -Bìa, te l’ho detto, non posso. Non incominciare con una sceneggiata da fidanzatina rompicazzo.-

Se c’era una cosa che proprio non sopportavo, era che una ragazza mi stesse addosso e mi tempestasse di domande. Se tolleravo Bìa e non l’avevo ancora –non ripetutamente almeno- mandata a cagare era perché a letto faceva delle performance impeccabili.

Diedi un’occhiata all’orologio, ticchettando nervosamente con le dita sul tavolo: le quattro. Ero già in ritardo per le ripetizioni a casa della Puccio. Non che mi importasse arrivare puntuale, anzi, meno stavo con quella pazza isterica meglio era, ma nemmeno la prospettiva di ascoltare le lagne eterne di Bìa mi entusiasmava.

-Stronzo. Potevi almeno avvisarmi prima, mi sono tenuta libera per te.-

Dovetti fare appello a tutta la mia poca pazienza per risponderle quasi gentilmente, -Lo so, scusa, è una cosa venuta fuori all’improvviso.-

Cazzata. Lo sapevo da due giorni che sarei dovuto andare dalla Puccio, semplicemente non avevo avuto né la voglia né il tempo di avvisarla di quel cambio di programma.

Certo che perdere un pomeriggio di sesso sfrenato con Bìa per dare ripetizioni a quell’acida della Puccio…

Sbuffai, inchinandomi per sistemarmi le scarpe dopo essermele infilate, -Senti ti chiamo più tardi se riesco, ok?- Magari potevamo vederci il giorno dopo, si sarebbe trattato di rimandare e basta.

-Non fare promesse che poi non mantieni.-

Schioccai la lingua divertito; mi conosceva fin troppo bene. -Ok, diciamo che c’è una remota possibilità che io ti faccia uno squillo più tardi. Con l’addebito. Se mi ricordo e se ne ho voglia.-

Che era come dirle di non aspettarsi niente, perché le possibilità che io me ne ricordassi e che ne avessi voglia erano nulle.

In risposta mi arrivò un sospiro rassegnato, -Ecco, questo è già più da te.-

Sorrisi, -Vado, non vorrei che quella stronza trovasse il modo di lamentarsi con la prof di matematica pure per questo.-

Un ritardo di dieci minuti per la Puccio molto probabilmente sarebbe stato come un ritardo di tre ore.

-D’accordo, buon divertimento allora.- Ridacchiò maliziosa. Decisamente troppo maliziosa.

Avrei potuto snocciolarle almeno dieci buoni motivi per cui passare un pomeriggio in casa della Puccio non sarebbe stato divertente, ma decisi semplicemente di chiudere la chiamata per evitare di incoraggiare la conversazione e di permettere alla sua parte più logorroica di manifestarsi nuovamente.

Meglio che credesse che andassi dalla Puccio per fare altro piuttosto che stare ad ascoltare ancora le sue inutili chiacchiere.

Quando suonai al campanello della casa di fronte, guardai nuovamente l’orologio affranto.

Almeno due ore di ripetizioni, due ore d’Inferno. Avrei contato i minuti.

Ad aprirmi fu lei, ovviamente, i capelli raccolti in un’alta coda di cavallo, il naso arricciato in una smorfia quasi schifata e le braccia incrociate al petto.

-Entra.- Mi ordinò, facendosi da parte.

Simpatica come sempre.

Entrai controvoglia e l’occhio mi cadde distrattamente sul corridoio alle sue spalle, dove si affacciavano in tutto quattro stanze; mi chiesi involontariamente quale di quelle fosse la sua.

-In sala.-

La sua voce insopportabile mi riportò con lo sguardo alla mia sinistra.

Aveva intenzione di andare avanti a parlare come un cazzo di robottino?

-Qualcosa da bere?-

-No.-

Non sprecai nemmeno fiato per ringraziarla, era inutile assecondare quei finti convenevoli.

-Ok, bene, allora iniziamo.-

Si diresse a passo spedito verso il centro della sala, prima di bloccarsi e fare una smorfia.

-Se per te va bene.- Aggiunse, non particolarmente convinta.

Scrollai le spalle, -Certo.-

Ho alternative?

Prima iniziavamo e prima me ne sarei andato di lì.

Spostò la sedia per appoggiarci sopra un ginocchio ed osservò il tavolo con aria pensierosa: aveva già preparato una serie di libri, almeno una decina di penne, due delle quali erano appoggiate su un quaderno nuovo, una pila di fogli, due calcolatrici, due righelli, quattro matite e tre gomme.

La cosa che mi inquietava maggiormente era che le gomme erano disposte in ordine di grandezza, i righelli perfettamente allineati, così come le matite e le penne. Non mi sarei sorpreso di trovare i libri in ordine alfabetico.

Carino. Avrà anche le mutande disposte in ordine cromatico nel cassetto della biancheria?

Ero ufficialmente entrato nel piccolo e personale mondo di Alice La Psicopatica.

-Ok, uhm…- Afferrò un libro ed iniziò a sfogliarlo nervosamente, -Da cosa iniziamo?-

Aggrottai la fronte stranito, -Da quello che non hai capito…?- Proposi in tono ovvio.

Cioè, non solo dovevo spiegarle quello che il suo cervello bacato non aveva afferrato, dovevo pure indovinare quali argomenti per lei fossero poco chiari!

Rimise il libro sul tavolo e si morse il labbro, -Ehm…facciamo…- Indicò la copertina lucida e plastificata con l’indice, -Le disequazioni fratte?-

Ma perché caspita lo domandava a me?! Sembrava che non sapesse nemmeno di cosa stesse parlando.

-Basta che ti decidi Puccio, non ho tutto il pomeriggio.-

Mi riservò un’occhiata glaciale e omicida, prima di prendere una penna ed aprirla con rabbia. Per un attimo pensai quasi che volesse infilzarla nella mia mano…

-Vaffanculo.- Mi rispose semplicemente, passandomi –tirandomi addosso piuttosto – il libro che aveva in mano.

Lo aprii e le lanciai un’occhiata divertita, ghignando. Se non altro ci sarebbe stato da divertirsi.

 

********

 

Mai pensiero fu più sbagliato. Dare ripetizioni alla Puccio era esasperante e inutile, era come parlare ad un poppante dell’asilo – che probabilmente sarebbe stato persino più intelligente –, ad ogni cosa che dicevo mi guardava con un’aria a metà fra lo smarrito e l’irritato, come se la sua ignoranza fosse colpa mia!

-Tu lo spieghi male.- Mi aveva accusato un paio di volte, con un broncio infantile dipinto in volto.

-Te l’ho spiegato due volte e pure con parole semplici, sei tu che non ci capisci comunque un cazzo!-

Due ore dopo sembrava aver finalmente capito il procedimento delle equazioni, riusciva a risolverle lentamente e – mi passai disperato una mano fra i capelli – contando di nascosto con le dita come i bambini, ma ci riusciva ed era già un enorme passo in avanti.

Alle sei e mezza, mentre cercavo senza successo di fare entrare in quella testolina qualcos’altro, arrivò sua madre, che ci salutò gentile e sorridente prima di sparire lungo il corridoio.

-Sei una pessima allieva.- Tempo sprecato ad insegnarle cose che, ero quasi certo, avrebbe dimenticato il giorno dopo.

-E tu un pessimo insegnante.- Mi riprese lei, punta sul vivo.

-Non sono io l’ignorante fra i due.- Poteva stizzirsi quanto voleva, le cose stavano così.

-Io non sono ignorante! La matematica è l’unica materia in cui ho qualche lacuna.- Alzò il mento e si diede un’aria da grande intellettuale. Peccato che non le calzasse proprio…

-Qualche?! Ragazza mia, tu te la devi ristudiare tutta, partendo dalle tabelline.- Trattenni a stento una risata al pensiero di vederla contare ancora con le dita per studiarle.

–Ma come hai fatto ad essere promossa l’anno scorso?- Senza un minimo di nozioni di base, aggiunsi mentalmente.

Promuovevano alla cazzo nella sua scuola? Senza accertarsi delle capacità degli studenti? Aveva un prof rincoglionito? O pervertito e, quindi, particolarmente propenso a mandare avanti ragazze fra un’occhiata alla scollatura e l’altra?

-Di sicuro non bigiando e fumando in classe.- Fu la sua risposta acida.

Curioso. Per sapere delle bigiate e del fumo doveva avermi osservato o essersi informata su di me. A chi aveva chiesto, Mel? Ero stato argomento delle loro sciocche conversazioni?

Alzai un sopracciglio e mi sporsi leggermente verso di lei per replicare a tono, quando sua madre ci raggiunse nuovamente in sala per chiedermi se volessi restare per cena.

Vediamo…altre due ore con la Puccio? Anche no.

Non se ne parlava proprio. Quel pomeriggio con lei mi sarebbe bastato a vita, non ne potevo più della sua vocetta petulante e del suo modo di criticare qualsiasi cosa le dicessi.

-No, grazie, magari un’altra volta.- Quando sua figlia diventerà magicamente sopportabile.

Non persi ulteriore tempo in quella casa, approfittai di quel momento per andarmene senza pensarci due volte.

Fu difficile non mettersi a fare un ridicolo balletto esultante sul pianerottolo, uno di quelli che solitamente faceva Andrea quando –raramente – riusciva a segnare un goal alla Play.

Mi ero liberato di quella seccatura alle sei e mezza, ergo, la serata non era andata ancora a puttane.

Rientrai in casa mia e mi connessi su facebook per inviare un messaggio ai miei amici e metterci d’accordo sull’orario di uscita quella sera, poi corsi in bagno a farmi una doccia.

Al mio ritorno trovai la loro risposta: alle dieci alla fermata della metropolitana Loreto.

 

 

**********

 

Se c’era una cosa che credevo di aver imparato, era che bere troppo e rientrare tardi la sera se il giorno dopo c’era scuola era una pessima idea.

Me ne sarei dovuto ricordare quando, dando un’occhiata all’orologio che segnava le due e mezza, avevo alzato le spalle e pensato “fra poco vado”. Le ultime parole famose.

Il giorno seguente a scuola ero uno straccio, ringhiavo parole sconnesse a chiunque si avvicinasse e appoggiavo la fronte su qualsiasi superficie liscia capitasse a tiro.

Mi ero addormentato sul banco durante l’ora di Storia, di Diritto e di Geografia, che se non altro rispetto al solito erano servite a qualcosa.

La mia sceneggiata alla “sto malissimo, oggi non vado a scuola” aveva quasi convinto ed intenerito mia madre, non fosse stato per l’intervento di Rossella che, dopo avermi buttato lo zaino in faccia, mi aveva strillato contro: “La prossima volta impari a rientrare tardi! Vai a scuola o ti ci mando io a calci idiota! E non provare nemmeno a bigiare perché chiamo in segreteria per accertarmi della tua presenza, capito?! Ti faccio fare una figura di merda con tutti i tuoi compagni e ti mando il bidello in classe a controllarti per conto della mammina.”

Porca troia.

Con mia madre e con Glenda avrei potuto farla franca facilmente, ma Rossella conosceva troppo bene i miei punti deboli.

Che razza di mostro avevo per sorella?

Se non altro ne era valsa la pena, con la mia amica Karolina mi ero divertito la sera precedente, e anche parecchio. Certo non era come farsi Bìa, ma in sua assenza era una buona sostituta.

La settimana proseguì comunque abbastanza bene, Puccio e stanchezza dovuta alle uscite a parte.

Il lunedì pomeriggio lo passai a cazzeggiare a casa di Andre; schifezze da mangiare, Pc e Playstation.

-Noooo!- Andre si portò teatralmente una mano fra i capelli.

-Cosa?- Mi sporsi disinteressato a guardare lo schermo del computer oltre la sua spalla.

-Guarda chi cazzo mi ha aggiunto! Io la ignoro…-

Lolita Sanz.

Non riuscii a trattenermi e scoppiai a ridere di gusto, -Ma dai, non fare lo stronzo, accettala!- A parte l’inconveniente da lui raccontato la volta scorsa, la ragazza meritava e tanto.

-Ma ‘sti cazzi, che vada ad imbrattare qualcun altro con il suo sangre de mierda!-

Mi sedetti sulla sedia accanto, scrollando le spalle, -Non avrà mica sempre le mestruazioni, le passeranno prima o poi.-

Inorridì, -‘Frega un cazzo. Ormai non riuscirei a vederla in altro modo, mi tornerebbe sempre in mente quell’episodio, come per Pannolino!- Schioccò le dita, contento di aver trovato un metodo di paragone.

Sgranai gli occhi e congiunsi le mani, -No, Pannolino, me n’ero dimenticato!-

Pannolino era un nostro compagno di classe in prima che si era, come dire, pisciato letteralmente addosso durante un’interrogazione. Aveva cambiato scuola qualche giorno dopo, dopo esser stato ribattezzato Pannolino.

Appoggiai le braccia sulle gambe e gli lanciai un’occhiata scettica dal basso, -Beh c’è comunque differenza fra Pannolino e una gnocca pronta a dartela.-

Andre scosse la testa irremovibile e cliccò sul tasto “Ignora”, -Se la può tenere.- Affermò, aggiungendo fra sé e sé, -Incrostata di sangue…-

Feci una smorfia a metà fra il divertito e il nauseato, -Che coglione.-

Lui scrollò le spalle e mosse la freccetta del mouse fino ad arrivare in alto, sulla classica barra bianca di Facebook.

Non riuscii a fermarlo in tempo semplicemente perché non avevo previsto quali fossero le sue intenzioni, lo intuii troppo tardi.

-Vediamo una cosa...-
In un battito di ciglia, batté sui tasti e scrisse un nome sul motore di ricerca; il risultato che venne fuori fu decisamente un bel colpo...fra le gambe.
Porca puttana...
Alice Puccio, 4 amici in comune.
Nell'immagine del profilo era sdraiata sulla spiaggia, gli occhiali da sole calati sul naso, appoggiata sui gomiti, le caviglie incrociate in aria e il mare alle sue spalle.
Seguii avidamente con lo sguardo la linea delle sue gambe, del suo culo e della sua schiena, fino ad arrivare alle spalle e alle braccia che nascondevano -purtroppo- il seno coperto solo dal misero pezzo di sopra del bikini.
Deglutii a vuoto, decisamente accaldato.
'Sti cazzi. Ma era possibile eccitarsi così tanto solo vedendo una foto? Per giunta nemmeno così porno.
E poi...merda, era quella nanerottola rompicazzo della Puccio, come cazzo faceva ad essere così arrapante?
-Minchia!- sbottò Andre sgranando gli occhi, -Questa è da sega davanti al pc!-
Sì, beh, non l'avrei mai detto davanti a lui, ma era proprio quello che stavo pensando.
-Ma non dire stronzate va!- la mia voce uscì flebile, strozzata, incrinata. Non ero credibile per niente.
-Certo...- fece roteare gli occhi per la stanza, -Dillo magari quando non stai per venire solo a guardarla.-
Non potei dargli completamente torto. Forse facevo più bella figura a stare zitto, visto che parlando mi sarei nuovamente tradito.

-Esci e piantala di fare il coglione.- Mi sforzai di assumere un tono serio, calmo, lucido e di non sembrare minimamente infastidito.

-Aspetta, aspetta…guarda questa!- Rise, scorrendo le altre sue foto, -Qui sembra che stia facendo un…-

Mi schiaffai una mano in fronte, rassegnato, dando comunque un’occhiata alla foto in questione di sfuggita; stava semplicemente ridendo –come non aveva mai riso a scuola-…e aveva la bocca aperta. Un brivido mi attraversò la schiena violentemente al pensiero della Puccio che…

Che…cosa? Che cazzo vado a pensare?

-“Sono Alice Puccio e me lo prendo tutto in bocca.”- La scimmiottò quella testa di cazzo del mio amico, ridendo soddisfatto.

Mi sfregai le mani sulla stoffa dei jeans nervoso; non era normale che il mio respiro ed il mio battito fossero così irregolari, non era normale che sentissi affluire il sangue così pericolosamente verso il basso.

Cioè, sarebbe stato normale alla vista di qualsiasi altra ragazza, ma la Puccio…! Quell’acida di merda dalla voce irritante e stridula…

E sentire i commenti di Andre non mi aiutava di certo a non pensare a cosa effettivamente avrebbe potuto fare la Puccio con quella bocca…

-Finiscila Andre.- Ci stupimmo entrambi della nota stonante e quasi cattiva presente nella mia voce. Se lui stava ridendo, io ero livido in volto.

-Oh, tutto bene?- Mi domandò perplesso e un po’ intimorito, prima di fare come gli avevo caldamente consigliato di fare.

-Benissimo.- Mi alzai di colpo, innervosito. Non capivo nemmeno io perché mi fossi incazzato così tanto per così poco. Non aveva avuto senso reagire così, sia per le frasi di Andre che per la normale reazione del mio corpo alla vista di una ragazza mezza nuda.

Andrea mi stava ancora guardando, così, scrollai le spalle ed indicai l’unica cosa che avrebbe avuto il potere di distrarlo, più di un paio di tette, -Partita alla Play?-

Sbatté il pugno sul tavolo e si mise in piedi esaltato, -Fanculo, sì! Ti spacco il culo stavolta, l’altra volta hai avuto solo fortuna!-

Certo. Che lo credesse pure, bastava solo che non ritornasse sull’argomento “Puccio”.

Inutile dire che lo stracciai come sempre e quell’ennesima vittoria scacciò via facilmente l’irritazione dovuta ad una sciocchezza del genere.

A far tornare il mio malumore il giorno dopo, però, si mise la Puccio in carne e ossa con il suo starnazzare per tutto.

Se solo fosse stata zitta e sorridente come nelle sue foto del profilo avrei quasi potuto trovarla gradevole. Peccato – o per fortuna?- che non fosse così, che straparlasse e rompesse continuamente le scatole.

Bastava un niente per farla scattare, si agitava anche per le cose più stupide e insignificanti. Ma non c’era da sorprendersi, era in linea con il suo carattere da psicopatica.

Mi ritrovai ad avere a che fare con lei, purtroppo, anche durante la verifica di Fisica.

Risolvevo abbastanza velocemente e in piccolo i problemi sui margini di un foglio di brutta, ricopiavo sul foglio di bella e li strappavo e accartocciavo per lanciarli a Lele, che a sua volta, dopo aver copiato, li rimandava a me perché potessi passarli ad Andrea.

Era quello il nostro tacito accordo; io lo aiutavo con le materie scientifiche, lui mi mandava le risposte durante le verifiche di storia e inglese.

Peccato che fra il banco mio e di Andre ci fosse quello della Puccio e che la soluzione al terzo problema finì proprio ai suoi piedi.

Sbuffai e mi sporsi esitante verso di lei, adocchiando velocemente la prof di matematica seduta alla cattedra e china sul registro, -Puccio?-

Non riuscivo a scorgerla bene in viso, i capelli lunghi mi coprivano la visuale, ma fui abbastanza certo di vedere i suoi lineamenti tendersi in una smorfia.

Feci un respiro profondo per cercare di calmarmi; stava volutamente facendo finta di non sentirmi, era evidente, ma sbraitarle contro ed insultarla non sarebbe stata una buona idea.

-Puccio?- Ritentai, a fatica, con un tono di voce un filo più gentile.

-Non ti passerò quell’inutile e sudicio pezzo di carta Latini.- Strinse con forza la mano sulla biro e si chinò ancora di più sul suo foglio, nel chiaro intento di farmi capire che non fosse minimamente disposta a collaborare.

Qualcuno doveva spiegarmi come cazzo si faceva poi a non odiare un’acida del genere. Anche mettendoci la buona volontà non si poteva proprio.

Diedi dei colpi sul banco con la penna innervosito, prima di ritentare in un altro modo, -Se me lo passi, ti lascio copiare.- Cercai di trattare, per quanto mi seccasse l’idea che lei prendesse un bel voto grazie a me.

Visto quanto era scarsa in matematica, dubitavo che in fisica riuscisse a risolvere qualcosa, quindi sarebbe stato sicuramente vantaggioso per lei accettare.

Rise malignamente, voltandosi verso di me solo per ringhiare fra i denti, -Non mi interessa copiare, non sono come voi.-

Non…? Non era come noi? Ma chi cazzo si credeva di essere?! Con quell’aria da maestrina superiore...

Non sono come voi.

No che non lo era, non scopava abbastanza e si vedeva.

-Dio Puccio, quanto sei stronza!- Era inutile cercare di comportarsi bene, li tirava fuori lei gli insulti.

La vidi sorridere compiaciuta per la mia risposta irritata, il fatto che l’avessi appena offesa non sembrava toccarla minimamente.

Sospirai, indeciso sul da farsi; alzarsi a prenderlo era fuori discussione, la prof mi avrebbe sicuramente visto sgattaiolare verso la mia odiosa vicina di banco e, se anche non mi avesse notato, la Puccio avrebbe sicuramente fatto la spia, come per la storia della risposta scritta a matita sul banco.

Dovevo giocare d’anticipo. E fargliela pagare magari.

-Mi scusi prof, ma la Puccio continua a stressarmi per copiare.-

Mi sentivo tanto un bambino delle elementari, il cocco della maestra che viene sfottuto da tutti, e mi stetti non poco sul cazzo per quell’uscita.

Porca troia, sono sceso allo stesso livello della Puccio.

Se non altro la stronzetta si sarebbe presa un bel due, niente poteva darmi più soddisfazione di quello, potevo passare pure sul mio irritante comportamento.

-Non è assolutamente vero!- Si difese lei, improvvisamente rossa in viso e agitata.

Non sorridi più, eh Puccio?

-Ah no? E quello cos’è?- Mi passai la lingua sul labbro divertito ed indicai il foglietto ai suoi piedi con il mento.

La prof lo prese in fretta, prima ancora che la Puccio potesse realizzare che quel pezzo di carta l’aveva appena incastrata.

-Puccio!- Fece lei con voce stridula, quasi non riuscisse a credere che la cocchina sempre attenta, presente e puntuale potesse fare una cosa del genere.

-Non è mio!-

Non fosse stato fuori luogo sarei scoppiato a ridere nel vedere le diverse tonalità di rosso che aveva assunto la sua pelle, era a chiazze.

A dir la verità, dopo essermi portato con nonchalance una mano al viso, risi comunque, anche se per poco.

-No, infatti.-

Riportai perplesso lo sguardo sulla prof, tutta intenta ad analizzare il foglietto che aveva in mano, -Questa è la scrittura di Latini.-

Merda.

Quello non era decisamente previsto.

Come diavolo aveva fatto a riconoscerla? Ma non erano le prof quelle che dicevano sempre che avevano decine di classi e facevano fatica a ricordarsi persino i cognomi degli studenti?! Come aveva fatto a capire che quella fosse la mia grafia? Erano solo dei cazzo di numeri poi!

-Latini, Puccio, vi ritiro il compito e vi beccate entrambi un due sul registro.-

Vidi la disperazione prendere possesso dei volti di Lele e Andre, a cui ancora mancavano due problemi da ricopiare.

Io, dal canto mio, mi limitai a consegnarle il foglio indifferente, poco mi importava di un due sul registro, l’avrei recuperato in fretta.

Nel vedere l’espressione sconvolta della Puccio, un involontario sorriso spuntò sulle mie labbra, -Ben ti sta, Puccio.- Così imparava a non fare quello che le chiedevo. Se avesse collaborato subito avrebbe potuto copiare o avere comunque il suo sudato tre – dubitavo che la sua verifica contenesse chissà quale dimostrazione di intelligenza, doveva aver al massimo scritto nome, cognome e data in cima.

L’occhiataccia che mi restituì in risposta non avrebbe fatto paura nemmeno ad un bambino, che sarebbe di sicuro rimasto più turbato dalla vista di Topo Gigio.

-Anche tu hai preso un due.-

Le frasi così ovvie di quella ragazza mi strappavano sempre qualche smorfia, c’era da dire che a volte riusciva ad essere comica se non altro.

-Sì, ma io un due in fisica lo recupero come niente, per te, invece, che fai fatica a prendere il sei nelle materie scientifiche, sarà una vera e propria impresa.- Spiegai tranquillo.

Potrei quasi dire che mi dispiace Puccio, non mi stessi pesantemente sulle palle.

Mi sembrò di scorgere una lieve patina lucida sui suoi occhi, ma non ne fui certo. Ad ogni modo non potevo di certo sorprendermi, era una ragazza. Quale altro modo aveva di reagire alle provocazioni?

Storsi la bocca in un ghigno compiaciuto e decisi di darle la stoccata finale, -Alla fine vinco sempre io Puccio, te lo dicevo che non ti conveniva metterti contro di me.- Feci spallucce.

Strinse le mani a pugno con rabbia, per poi voltarsi dall’altra parte e spostarsi una ciocca di capelli offesa. Era a dir poco ridicola.

-Puccio quanto fa 6x4?- Soffocai a stento una risata.

Sia che rispondesse o che si rifiutasse di farlo avrebbe fatto la figura della stupida.

Optò saggiamente per la seconda opzione, peccato che non fossi intenzionato a lasciar correre così la cosa, proprio ora che avevo iniziato a divertirmi.

-Puccio? Puccio, Puccio, Puccio, Puccio…-

-Ho sentito!- Sbraitò, riservandomi l’ennesimo sguardo di fuoco che avrebbe voluto mi incenerisse. O perlomeno intimorisse. Illusa.

-Allora? Quanto fa?-

Conta con le dita Puccio, forse puoi farcela.

-Fa vaffanquattro.- Fu la sua acida risposta. Si alzò bruscamente, senza darmi altro tempo per continuare a sfotterla, e camminò fino alla cattedra per poter chiedere di andare in bagno.

Ecco fatto, si era arresa in fretta. E con quella risposta da bambina dell’asilo cosa aveva voluto dimostrare? Sorrisi e scossi la testa; ne avevo avuto abbastanza, era una perdita di tempo dialogare con lei.

 

 

***********

 

Come sempre, nell’intervallo, scendevo giù in cortile a fumare insieme ad Andrea e Giulio. Non tanto perché mi andasse di sfilare sigarette al mio amico, quanto per le ragazze che, dalle finestre del Natta - il liceo linguistico lì accanto al nostro -, si affacciavano a parlarci.

Io e Andre ci stavamo lavorando da giorni una mora niente male, ad occhio e croce una quarta di seno, o almeno da quello che avevamo potuto constatare quando si era alzata ingenuamente sulle punte dei piedi sotto nostra richiesta. Quando si parlava con una ragazza poggiata con le braccia al davanzale c’era sempre questo inconveniente, si vedevano solo il viso e il collo.

-E dai.- Andre si portò solennemente una mano al petto. –Sono reduce da una tremenda verifica di fisica, me lo merito, no?-

Era da giorni che cercavamo di convincerla a darci il suo numero -o in alternativa a darci qualcos’altro – ma era decisamente un osso duro, più di molte altre sue compagne di classe.

Mi voltai verso Giulio e lui mormorò sarcastico, stando ben attento a non farsi sentire, -Com’era? “E non fare la preziosa, puttana”.-

L’avevo detta una volta quella frase, scherzando su una ragazza più ubriaca di me in discoteca e da allora Giù non faceva che citarla, neanche avessi detto chissà quale perla.

Mi lasciai sfuggire una risatina, giusto per assecondarlo, mentre Andre e la tizia ci guardavano perplessi.

-Siete degli adorabili rompipalle, lo sapete?- Valentina –così ci aveva detto di chiamarsi - alzò gli occhi al cielo e sorrise.

Storsi il naso per quel “adorabili”, ma non dissi nulla; ormai era fatta. Ancora qualche sciocca moina e poi avrebbe ceduto.

Quando rientrai in classe, ero pienamente soddisfatto del nostro risultato; avevamo avuto il numero di Valentina e adocchiato altre due tipe di una terza, affacciate alla finestra del loro bagno delle ragazze.

Quando rientrai in classe, però, ebbi anche un’altra spiacevole sorpresa.

Attorno al mio banco c’era troppa gente per i miei gusti e quando ne compresi il motivo, tutti fecero un rassicurante –per loro di sicuro - passo indietro.

-Porca troia, che cazzo…?!- I miei occhiali da sole di Gucci, pagati un occhio della testa l’estate scorsa, erano a terra letteralmente distrutti.

Non erano semplicemente caduti, erano…a pezzi!

Sentii l’ilarità dovuta alle tizie di prima svanire di secondo in secondo, sostituita da una rabbia sempre più cieca.

-Chi cazzo è stato?!- Alzai lo sguardo sui miei compagni di classe, tutti improvvisamente impauriti ed intenti a guardarsi l’un l’altro, come a dire “Chi è stato abbia le palle di farsi avanti, io non voglio finirci in mezzo”.

-Giuro che lo ammazzo…- Mi rimisi in piedi e sondai i loro volti, uno ad uno, stringendo le mani a pugno con così tanta forza da bloccare la circolazione e far sbiancare le nocche.

Andrea e Giulio non potevano essere stati, erano con me. Di Lele mi fidavo ciecamente, di Ste e Antonio pure. Che fosse stato…?

Non ebbi nemmeno il tempo di formulare il nome di Valenti che il mio sguardo incrociò quello divertito e appagato della Puccio.

Ma certo, che coglione, avrei dovuto pensarci subito, chi altri?

-Tu!- Spalancai la bocca incredulo; quella brutta stronza!

-Chi…io?- Si indicò e alzò le spalle, usando un tono di voce così infantile che per poco non mi avventai su di lei dalla collera. In quel momento era solo il pensiero che fosse una ragazza a trattenermi.

-Fai poco la spiritosa.- Mi avvicinai a lei con l’intento di intimorirla, ma lei, sorprendendomi, non indietreggiò di un passo, anzi, mi venne in contro spavalda.

-Sei stata tu! Hai anche solo lontanamente idea di quanto siano costati questi occhiali?!- Indicai ciò che ne restava furioso.

Fece roteare gli occhi annoiata, -No. Quanto?- Ma mi stava veramente sfidando? Non aveva capito quanto ero incazzato?

-300 euro carina, che ora tu, prontamente, provvederai a risarcirmi.-

Nei suoi occhi passò un lampo di sfida, -Stai scherzando spero!- Incrociò le braccia al petto scandalizzata, -Non ci sono prove che sia stata io, potrebbe benissimo essere stato qualcun altro, di sicuro ci sarà un sacco di gente in questa scuola che ti odia.- Affermò sprezzante, lo sguardo assottigliato.

Ce n’erano di patetici sfigati che mi odiavano, sì. Ma non pensai nemmeno per un attimo che potesse essere stato qualcun altro, aveva scritto “colpevole” sulla fronte quella psicopatica.

-L’unica stronza che avrebbe potuto fare una cosa del genere indisturbata nella nostra classe sei tu.-

Nessuno delle altre classi sapeva dove ero seduto, nessuno sapeva che per quell’anno quello sarebbe stato il mio banco.

-Beh io non sono stata.- Alzò le spalle indifferente, come per tirarsene fuori.

Feci un passo in avanti, fino a trovarmi ad un palmo dal suo viso; quella vicinanza non fece che ricordarmi le reazioni del mio corpo alla vista di quella sua maledettissima foto in spiaggia. Mandai giù a vuoto e mi sforzai di rimanere concentrato sul suo viso e di non far scorrere il mio sguardo sul suo corpo come il giorno prima, -La cosa non finisce qui Puccio, pagherai anche questo.- Soffiai minaccioso sulla sua pelle. La vidi socchiudere appena gli occhi e schiudere la bocca per boccheggiare –e sillabare-, -Non.Sono.Stata.Io.- Fece un mezzo sorrisetto sicuro di sé, -E comunque non mi fai paura Latini.-

Non ti conviene provocarmi Puccio, non sai quanto non ti conviene.

Buono a sapersi. Perché non aveva ancora visto nulla di quello che avrebbe potuto davvero farle paura.

-Meglio così.- Ricambiai il sorriso, improvvisamente eccitato per via di quella sfida nascosta nelle nostre parole. Le avevo già detto che non le conveniva mettersi contro di me e ne aveva avuto prova durante l’ora di fisica…evidentemente non era stato abbastanza, dovevo essere più convincente. E lo sarei stato.

 

 

*Note dell’autrice*

 

Comincio con il dire che mi vergogno da morire per le frasi dette o pensate da Lore&Co, sono di un maschilismo e di una volgarità tremenda, scusatemi davvero. Se vi hanno infastidito in qualche modo, non esitate a farmelo notare.

Ho cercato di mettercela tutta per entrare nella testa di un ragazzo di diciassette anni, decisamente stupido e immaturo per via dell’età.

Non è stato facile, se ci sono più o meno riuscita (questo dovrete dirmelo voi XD) è merito dei due “adorabili” fratelli (uno più piccolo e uno più grande, si compensano insomma) con cui sono cresciuta; quando non sono sicura di una cosa mi rivolgo a loro senza problemi, infatti molte delle frasi di Andrea sono alcune delle loro risposte! :D

Avrete notato poi che ho censurato anche una parola mentre parlava Vergata, davanti al pc, immaginerete da sole che cosa sembra che stia facendo Alice nella foto.

Ripeto che non è mia intenzione offendere nessuno, solo cercare di essere il più verosimile possibile.

Poi, una cosa che volevo rettificare; non scriverò TUTTI i capitolo di TLOLA (scusate abbrevio XD) dalla parte di Lore, alcuni irrilevanti li salterò, scriverò solo i più importanti o quelli richiesti, per non togliere tempo agli extra futuri che ho iniziato a postare l’altro giorno.

Che altro dire? Spero che questo capitolo vi sia piaciuto, sapete cosa succede dal prossimo, no? Vi dice qualcosa il taglio di capelli, l’ascensore…? :D

Per quanto riguarda le risposte alle recensioni…non mi stancherò mai di dirlo, piano piano (moolto piano purtroppo) rispondo. Per mancanza di tempo non posso fare altrimenti, mi spiace, l’attesa sarebbe ancora più lunga :(

Alla prossima, un bacione!

Bec

   
 
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