Fanfic su attori > Robert Downey Jr
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Autore: spikey    10/10/2012    5 recensioni
Lei è Gabriele: cantante, animatrice e ruvida individualista alla volta del successo Milanese. Lui il suo nuovo capo.
Lei è Eva: studente sul ciglio della laurea e resposabile della gestione delle dimore di lusso della Proto Organization. Lui il nuovo proprietario di un attico a cinque stelle in Piazza San Babila.
Loro lo odieranno, fino a non riuscirne a fare a meno.
“Piacere, sono Robert Downey Jr. e da oggi sono il socio maggioritario di questa baracca. E visto che mi piace essere sincero...il tuo primo colloquio di lavoro è stato un vero schifo”.
Genere: Introspettivo, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: Lemon | Avvertimenti: Tematiche delicate
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II CAPITOLO

 

 

 

 

Il sole era già alto quando la sveglia suonò nel piccolo loft milanese affacciato sui Navigli.

Francesca rotolò fino all’oggetto infernale e lo spense con un sonoro pugno.

“Cazzo...credo che la nostra sveglia sia l’unica che suona a quest’ora della domenica”. Si schermò gli occhi dalla luce che entrava prepotentemente dalle alte finestre in stile vittoriano, restaurate da poco.

Un braccio inerte di Claudia penzolò giù dal rialzo mansardato in cui dormiva: “Che ore sono?” piagnucolò poi.

“Le dieci...Abbiamo dormito quattro ore- Francesca calciò via le coperte- Comincio ad odiare questa vita”.

 

Sì, perchè una volta spenti i riflettori delle notti in discoteca, quando ad accendersi era il sole di tutti i giorni, Francis e Claude tornavano a vestire i panni di Francesca e Claudia, studentesse rispettivamente di giurisprudenza e marketing internazionale.

“Piantatela di lamentarvi, qui l’unica che oggi lavora davvero sono io” una voce roca e impastata le raggiunse da un angolo dell’open space che condividevano in tre: Claudia, Francesca e Gabriele...o meglio, Eva.

“Senti senti...è resuscitata Miss Simpatia- la rimbeccò Francesca- Ringrazia di averlo ancora, un lavoro. E se lo abbiamo tutte...non è di sicuro grazie al tuo caratteraccio”.

 

Eva sbuffò sonoramente, per poi voltare le spalle all’amica e coprirsi la faccia col piumone: erano ormai anni che le altre cercavano di smussare gli spigoli taglienti del suo carattere. Le volevano bene così com’era, ma non poteva aspettarsi lo stesso trattamento dal resto del mondo.

Di questo la ragazza non sembrava curarsene, e lo dimostrava la frase che aveva appeso al grosso frigorifero della cucina:

 

“Non essere triste a causa delle persone.

Moriranno tutti.”

 

Decisamente troppo sociopatico per un’animatrice-vocalist della movida Milanese.

 

Tra un mugugno e l’altro la chioma riccia riemerse dalle coperte e lo stesso fecero i ricordi della nottata. Si era concluso tutto con il vociare concitato delle altre ragazze, scioccate dalla rivelazione dell’inaspettato ospite

Noncurante del fatto che si trattasse di un VIP, Francesca aveva ignorato le moine del caso per rivolgersi al suo capo: “Cosa diavolo significa?!” aveva grugnito alterata.

Purtroppo dopo quattro anni di collaborazione il propietario del locale aveva venduto la sua quota societaria per dedicarsi ad altri progetti lavorativi; guardacaso la sua liquidazione era stata lautamente coperta dall’ingresso in scena di lui. L’altro. Robert Downey Jr.

Un VIP d’oltreoceano che avrebbe trattato il destino del loro locale come l’acquisto di un qualsiasi oggetto in commercio, fosse esso un orologio o un apribottiglie.

 

Nel caos più totale si era limitato a rimanere immobile, gli occhi scuri e penetranti conficcati in quelli di Eva (Gabriele per lui) che a stento respirava.

Non si era mossa dalla sua statuaria posizione, neppure quando l’uomo le si era avvicinato di un passo, scimmiottando la recita sensuale di lei.

L’alito di vodka le era entrato nei polmoni e non aveva potuto reagire: l’uomo aveva bevuto, ma era tutt’altro che ubriaco, lo rivelava l’espressione furente, a un passo dall’esplodere.

Eva aveva continuato a fissarlo, dentro quelle iridi di fuoco incastonate sugli zigomi spigolosi. Si era soffermata un attimo di troppo su quei lineamenti così magnetici, che era rimasta assordata dai battiti del proprio cuore.

“Sorpresa”. Fu l’ultimo sussurro, a fior di labbra, del suo carnefice, prima che questi se ne andasse senza salutare nessuno.

 

“Quel borioso egocentrico...Lo odio già”. Le lamentele di Francesca riportarono l’amica sulla Terra.

“Però resta incredibilmente sexy”. Claudia si sporse giù dal soppalco, appoggiata ai gomiti.

Eva la fulminò con lo sguardo: “No Cloud...lo sono Sherlock Holmes...o Tony Stark...Questo è solo un fottutissimo uomo reale, ex-tossicodipendente e come abbiamo visto, amante dell’alcool. Non confondiamo l’immaginazione con la vita vera”. Pronunciò l’ultima frase con un brivido lungo la schiena, forse più come monito a se stessa che alla sua Cloud.

 

Le aveva dato quel soprannome anni addietro, prima che Daniele lo francesizzasse in “Claude”.

Con la pronuncia inglese, Cloud suonava come l’abbreviazione del nome vero, Claudia, e assumeva il doppio significato di nuvola. D’altronde era così che spesso Eva vedeva la sua amica d’infanzia: una nuvola candida e allegra.

Francesca invece...era soltanto Fra. Breve, semplice, deciso. Come lei, del resto.

 

Fu quest’ultima a uscire per prima dal letto, per afferrare il proprio violino, appoggiato sul comò; l’attimo successivo sfiorò le corde con l’archetto, in procinto di accordarlo.

“Diamine, che mal di testa...” borbottò Eva imitando l’amica e alzandosi dal letto, per poi puntare dritta al bagno.

L’immagine riflessa nello specchio le diede solo la conferma di come si sentisse quella mattina: uno straccio sbattuto con tanto di occhiaie, pelle cinerea e capelli inguardabili. Con rassegnazione la ragazza li raccolse in uno stretto chignon, per poi fermare i ciuffi più crespi con un cerchietto grigio.

L’acqua del lavandino era ormai bollente quando ci tuffò il viso per cercare di riacquistare un po’ di colore.

 

Claudia fece capolino dalla porta: “Dove devi andare?” bofonchiò intenta a lavarsi i denti.

“Un cliente importante deve visitare la sua futura casa. O meglio, il suo futuro attico da cento milioni di euro”. Eva non perse tempo col trucco, non voleva arrivare tardi.

“Ma è Domenica!” ribattè l’altra.

“Sì, ma la Proto Organization non ha giorni di ferie. La Domenica l’ha inventata Dio, mentre la Proto è...”

“E’ l’inferno, lo so!” completò per lei la biondina.

Eva sorrise divertita; grazie all’amica e a un buon analgesico la giornata avrebbe preso una piega migliore. Tutti gli altri casini potevano aspettare.

 

 

Il jet lag era la cosa che odiava di più al mondo. Più dell’emicrania, della nausea e dello spesamento totale in cui Robert Downey Jr. si era trovato dopo i bagordi della sera prima.

La camera d’albergo era un vero schifo; almeno in quello rifletteva il suo stato d’animo.

Accanto al retrogusto di vodka e di sigaretta, qualcos’altro rese più amaro il risveglio dell’attore: erano secoli che non si incazzava così. Tuttavia quella Gabriele aveva toccato i tasti giusti per farlo esplodere, anche senza toccare nulla di fisico e tangibile.

Si era trattato più di qualcosa di impalpabile, qualcosa che sembrava fluttuare nei pochi centimetri di aria che li separavano; gli era bastato perdersi nel suo sguardo magnetico per andare su tutte le furie.

Era abituato a orde di fan urlanti, pronte a strapparsi i vestiti di dosso per lui, ma non era preparato a quell’aria strafottente, sbattuta su un così bel viso, come un trucco troppo pesante.

Era lui di solito lo stronzo maschilista, soprattutto quando non c’era Susan a tirare le fila del suo carattere irruento.

 

Come uno strillo lancinante il suo cellulare prese a suonare; ci volle qualche ritornello dell’odiosa musichetta prima che Robert si decidesse ad alzarsi. Nel bel mezzo della ricerca, un groviglio di camicie e pantaloni finì sul suo percorso come una trappola; Robert cadde con un tonfo sordo, schivando di un soffio il comò; poco male, il telefono era proprio lì sotto.

L’uomo rispose farfugliando un confuso: “Hello?”.

 

Era l’agenzia immobiliare. Lo contattava per confermare l’appuntamento delle 11 in punto. E al momento erano le...10 del mattino.

Aveva meno di un’ora per resuscitare, lavarsi, rendersi presentabile e recarsi al suo nuovo appartamento; o come lo avrebbe definito sua moglie, al suo “ultimo capriccio immobiliare”.

Fanculo. Resuscitare era l’unica cosa fondamentale. Per i restanti punti della lista, la decenza comune sarebbe andata a farsi fottere.

 

Più che un’azienda di marketing e design internazionale, quel gruppo sembrava un piccolo corteo di servi e governanti alla corte del Re Sole. Fu uno dei tanti pensieri polemici che Eva era solita tenersi per sè, per poi borbottarlo una volta rimasta sola.

Quello dove si trovava era un attico di cui non aveva tuttora individuato l’inizio e la fine, ancora totalmente privo di mobili e per questo apparentemente più immenso del reale.

Con lei vi erano un paio di architetti e progettisti, la curatrice dell’arredamento con il suo designer personale, l’addetta all’ufficio marketing con rispettivo assistente e lui: Alessandro Proto.

Già il fatto che i pesci grossi fossero scesi dall’Olimpo per quell’evento l’aveva insospettita; ora erano lì, in fila indiana, alcuni concentrati sulla punta delle proprie scarpe, altri sugli stucchi appena tinteggiati del soffitto, tutti comunque sull’attenti come al primo giorno di leva obbligatoria, mentre il “Generale Proto” sciorinava la sua ramanzina.

“Non sono qui per ripetervi che siamo i numeri uno sul mercato, che da voi esigo la perfezione e anche qualcosa di più”.

 

Eva abbassò lo sguardo sui suoi stivali di pelle grigia, in tinta con la gonna; per quell’evento aveva scelto una mìse semplice e sobria. Camicia bianca e longuette a vita alta, in tinta con gli stivali e il cerchietto grigio; aveva evitato la cravatta perchè insieme agli occhiali e alle lentiggini l’avrebbe fatta sembrare una scolaretta con la divisa del college.

Il discorso nel frattempo continuava: “Il cliente che sta per entrare da quella porta è uno dei più importanti nella storia di quest’azienda. Ora penserete che non vi ho detto di chi si tratta per motivi di privacy o simili...Beh, non è del tutto esatto- l’uomo fece una pausa per dare più enfasi a ciò che stava per dire- Noi siamo l’eccellenza con la “E” maiuscola, indipendentemente dal cliente, senza se e senza ma”.

 

Inutile dire che il suono del campanello fu incredibilmente d’effetto a quel punto del monologo.

Lo stesso Alessandro Proto andò ad aprire la porta; contro il briefing tenuto dal sommo-capo, Eva si allungò curiosa per scorgere il misterioso proprietario di casa...che poi tanto misterioso non era.

La ragazza trattenne a stento un grido di sorpresa e nel farsi da parte dietro al codazzo di ossequiosi dipendenti, si premette una mano sulla bocca. Non poteva essere!

 

“Mr Downey, questo è il mio team di fedelissimi”. Il diretto interessato buttò una fugace occhiata al gruppo di salme immobile in un angolo, accennando un saluto svogliato con la mano.

Alla vista dei ben noti occhiali da sole, con tanto di cappellino da baseball, Eva ebbe un tuffo al cuore e implorò di diventare improvvisamente invisibile. E cominciò a pensare di avere un karma molto nero da espiare.

 

Fortunatamente la voce civettuola e stridula dell’arredatrice sovrastò qualsiasi altra cosa: “Se siete d’accordo, potremmo iniziare il tour della casa”.

Un distratto Robert Downet Jr. fece cenno di assenso col capo, lasciando vagare lo sguardo tra pavimento e soffitto, ignorando lo sproloquio dell’attempata signora in tailleur beige.

Alessandro Proto si accostò al suo cliente dalle uova d’oro mentre i restanti si accodarono come un corteo religioso, di cui Eva era il terrorizzato fanalino di coda.

Passarono così la cucina, l’enorme salone su piani sfalsati che si affacciava sul terrazzo ancora in ristrutturazione, per poi finire nella zona notte; mentre l’istrionica curatrice del design illustrava come sarebbe stato con un mobile lì, il letto laggiù, la cassettiera contro quel muro...Eva scrutava ogni sigola mossa- o meglio, ogni singolo sbadiglio- di un annoiato Robert Downey Jr.

 

Sembrava un bambino in gita scolastica al museo delle scienze; come poteva essere così menefreghista e noncurante di tutto ciò che gli apparteneva?

La ragazza scosse la testa: di quel passo ancora un paio di mesi, poi il suo locale sarebbe andato a farsi benedire e con esso il proprio lavoro. Grandioso!

Con immenso rammarico dell’arredatrice i “soli” seicento metri quadri di appartamento- più cento di solarium- erano finiti, così il gruppo si apprestò ad uscire.

“Prima di salutarla, ci terrei a presentarle i membri del team che curerà la realizzazione della casa”. Alessandro Proto si gonfiò nell’elencare nomi che il blasonato attore si sarebbe dimenticato una volta abbandonata la futura dimora.

Non posò lo sguardo su nessuno di loro; solo per caso così non fu per Eva.

D’altra parte, benchè si fosse nascosta fino ad allora le era impossibile non spiccare sopra quel gruppo di vecchie salme impagliate.

 

“Lei è la mia assistente ai progetti di design- spiegò sempre il sommo capo- Curerà la parte attuativa del progetto. E’ la nostra stagista più giovane ma è molto esperta- si rivolse direttamente a lei- Eva, dopo lascia il tuo biglietto da visita al Signor Downey, così ti contatterà direttamente per qualsiasi evenienza” il cielo volle che il cellulare di Proto squillasse proprio allora.

Dal canto suo la ragazza era rimasta in silenzio senza accennare neanche un mezzo sorriso, con gli occhi fissi in un punto indefinito tra il mento brizzolato e il primo bottone del colletto di...lui.

Il resto del gruppo cominciò ad avviarsi verso l’uscita, mentre il sommo-capo discuteva al telefono con un piede già fuori dalla porta.

 

Erano rimasti solo loro due. E gli occhi scuri dell’attore cominciarono a farsi pesanti, anche dietro gli occhiali da sole.

“Ci conosciamo, per caso?” fu la domanda borbottata svogliatamente dall’uomo. Poi si tolse berretto e occhiali.

Un battito, due, tre e a Eva parve che il mondo si fosse capovolto; di nuovo quello sguardo inquisitore che tanto l’aveva confusa la notte precedente.

Robert stirò la bocca in un sorriso beffardo: “Sei un’attrice nata, devo dirlo. A stento ti ho riconosciuta”.

Un groppo in gola tolse il respiro alla ragazza: la Proto Organization era una vasca di squali del marketing, della finanza e dell’edilizia. E lei aveva nuotato nel sangue per avere quel posto, quella semplice, misera opportunità.

Ciò che il sommo-capo aveva detto con paroloni altisonanti era vero, almeno in parte.

Avrebbe curato lei la parte esecutiva dei lavori: per “esecutiva” si intendeva controllare le consegne dei fornitori, prendere appuntamento con idraulici, elettricisti e impiantisti, stare attenta che i facchini non smiccassero i mobili o non segnassero il parquet...in sostanza bassa manovalanza.

Ma era in dirittura d’arrivo con la laurea  in architettura degli interni e la sua tesi...verteva proprio su quel fottutissimo loft in Piazza San Babila.

 

Nessuno sul posto di lavoro sapeva del suo impiego notturno, un’azienda di tale prestigio non avrebbe tollerato nulla al di fuori dell’elegante perfezione, totalmente agli antipodi di locali notturni, minigonne e tacchi a spillo. Una parola storta a riguardo l’avrebbe sbattuta fuori. E in quel momento aveva di fronte una montagna di parole storte, che vestivano i panni di Robert Downey Jr.

Così, con un ultimo disperato colpo di genio, Eva improvvisò la sua migliore faccia d’angelo: “Non so di cosa stia parlando, Mr. Downey”.

 

L’uomo stava già per ribattere, quando un dubbio gli guizzò nella mente: e se i postumi della sbronza gli avessero dato alla testa? Cercando di concentrarsi, si avvicinò pericolosamente alla ragazza e focalizzò l’attnzione sui suoi lineamenti.

Era certo che fosse lei, senza ombra di dubbio...o quasi.

“Come hai detto che ti chiami?”.

L’altra abbassò ulteriormente lo sguardo: “Eva”. Punto. Calò un denso silenzio.

L’attore esitò qualche istante, scansionandola da capo a piedi: stessi occhi grigi, stesse labbra carnose, stesso ovale delicato.

Ma quelle lentiggini c’erano, la notte prima? E i capelli...non erano una massa riccia e voluminosa? Improvvisamente gli parvero diversi, così stirati sulla fronte. Anche l’altezza lo insospettiva; la sera prima avrebbe potuto affondarle il viso nel decolletè, ora lei lo superava di una spanna scarsa.

 

Improvvisamente il suo sguardo si illuminò, causando a Eva un improvviso giramento di testa. Non le restava che subire l’inevitabile sentenza.

“Sorella?”. Un’unica parola, lapidaria e inattesa la stordì.

Le parve di non aver capito: “Come scusi?”.

“Sorella!” ripetè perentorio Robert, con tono più deciso; ancora Eva faticava a stargli dietro. “Diavolo- l’uomo si innervosì- Hai una sorella?”.

La ragazza sgranò gli occhi, indecisa se urlare dalla gioia o svenire per la tensione: “Ehm...s-sì...sì” balbettò poi.

L’attore si battè una mano sulla fronte: “Ma certo! Gemelle?”.

Eva abbassò di nuovo lo sguardo; ora tremava e si limitò ad annuire lievemente. Non voleva rovinare quell’inaspettata piega degli eventi.

 

L’uomo si spremette le meningi per un’ultima conferma: “Gabriele, giusto?” l’altra annuì di nuovo.

Fu una liberazione: “Cavolo, ora si spiega tutto- Robert rise da solo- Che storia assurda...Da non crederci: prima la sorella carina ma stronza, poi la gemella un po’meno carina ma educata e remissiva. Decisamente non potevate essere la stessa persona- l’uomo parlò ad alta voce, più a se stesso che alla sua interlocutrice, noncurante di risultare sgarbato o peggio, cafone- Cristo, devo piantarla con la vodka!”.

 

Eva serrò le labbra, deglutendo l’arroganza di quelle parole con un groppo di saliva. Sempre con lo sguardo basso parlò: “Se ha bisogno di qualsiasi cosa, questo è il mio numero” il biglietto da visita le fu strappato di mano con altrettanta noncuranza.

“Sì, come vuoi tu...- Robert la liquidò con un piede già sulla soglia- Buona giornata”.

 

L’attimo dopo la ragazza era sola nell’infinito appartamento; le gambe le cedettero e lei si lasciò cadere in ginocchio sui giornali lasciati dagli imbianchini. Con un respiro profondo si liberò della tensione di poco prima. Per la frustrazione, la paura e la rabbia non sarebbe stato altrettanto facile.

 

   
 
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