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Autore: MaTiSsE    11/10/2012    11 recensioni
Londra, 1978.
Isabella Swan ha 17 anni. E' figlia di un diplomatico americano e di un' ex maestra d'asilo inglese, religiosa e moralista sino allo stremo. Frequenta con profitto una prestigiosa scuola privata ed i suoi amici fanno tutti parte di quella "Londra bene" che tanto piace a sua madre: eppure tollera poco l'etichetta dell'alta società cui appartiene e di nascosto ascolta i Sex Pistols.
La sua vita cambia il giorno in cui incontra Edward Cullen, un disadattato ragazzino della provincia inglese con un'unica passione: quella per la musica.
Perchè Edward, nonostante la vita burrascosa ed i mostri che si porta dietro, rappresenta tutto ciò che lei vorrebbe essere.
Rappresenta la ribellione, l'angoscia, quel desiderio di cambiare che si agita anche dentro di lei. E rappresenta quell'amore VERO che sta cercando da troppo tempo.
Genere: Malinconico, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Alice Cullen, Nuovo personaggio, Un po' tutti | Coppie: Bella/Edward
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessun libro/film
Capitoli:
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Salve a tutte voi, ragazze. Non vi nascondo che ritornare a scrivere qui, in questo fandom, tornare ad aggiornare MUB dopo così tanti mesi mi provoca un certo imbarazzo. Anzitutto, perché so di avervi deluse tutte molto e per questo, la prima cosa che mi sento di scrivervi è un immenso SCUSATEMI. Comunque, non voglio scocciarvi oltre e tutte le spiegazioni, al dettaglio, le troverete in basso, alla fine del capitolo. Per il resto, mi sembra quasi di trovarmi in un posto sconosciuto, visto che ormai non frequento più il fandom da tempo. È davvero strano!

Vi faccio soltanto un breve sunto, prima di leggere il capitolo, tanto per rinfrescarvi la memoria e farvi capire a che punto siamo: Edward e i White Riot sono stati ingaggiati dalla Noyse Records come musicisti a tempo pieno. Bella e Edward non si vedono più come un tempo ed entrambi risentono di questa cosa. Edward, nel frattempo, subisce le minacce di Frank – fratello di Marla, ex ragazza di Edward – affinché lasci Isabella e ritorni subito con la sorella, che soffre molto per la fine della loro storia d’amore.
Ci sentiamo giù, buona lettura :)
 
 













 

My Ugly Boy

 




By Agnes Dayle Efp
 

 






POV EDWARD





“Con chi mi stai tradendo?”
“Uh?”

Ero talmente sovrappensiero che la tazza di tè che tenevo tra le mani per poco non mi si rovesciò addosso, quando Bella parlò al mio indirizzo.
Mi guardò stralunata per qualche istante e poi ridacchiò.

“Beccato!” cinguettò, puntandomi l’indice contro.
“Che stai dicendo?!”
“Sto dicendo che ti ho scoperto: mi stavi tradendo col pensiero! Altrimenti non si spiega com’è che sei così assente. Lei chi è? E’ più bella di me?”

Aveva un’espressione così convinta e buffa allo stesso tempo che non riuscii a trattenermi dal ridere.

“Ti stavo tradendo con Brigitte Bardot, in effetti.”
“Ne ero certa. È più bella di me comunque, sì…”

Afferrai il tovagliolino di stoffa dal tavolo e glielo lanciai addosso ridendo; non si trattava proprio di un gesto da cavaliere, soprattutto considerando l’ambiente in cui ci trovavamo – una graziosa e fin troppo raffinata sala tè verso Westminster che Bella amava molto – ma tra di noi certe forme di affettazione non esistevano e Isabella rise con me dello scherzo. Era anche per questo che l’amavo: non aveva nulla delle ragazze piccate e fastidiosamente educate della sua scuola e del suo ceto sociale; non si scandalizzava per poco, sapeva ridere e far ridere.
E non mi rimproverava se mi mettevo a far casino in un posto elegante sul Tamigi come quello.
Era adorabile.

“Ma smettila! Nessuna è più bella di te” le risposi allora.
“Neanche la Bardot?”
“Neanche lei. E poi è troppo vecchia per me.”
“Oh beh, non sono così sicura che ti dispiacerebbe una donna più adulta. Lo chiamano fascino della maturità, voi ragazzini ne sembrate particolarmente attratti” puntualizzò infine socchiudendo gli occhi e annuendo con aria convinta.


Se soltanto sapessi, Bella, cosa mi preoccupa.
Se soltanto…



Deglutii a fatica.

 

“Lascia Isabella”

Udii di nuovo –  e senza alcun preavviso –  le parole di Frank, mentre la sua faccia schifosa mi tornava davanti rapidamente, con quel suo naso grosso e la bocca piegata in una smorfia insopportabile e irritante.

“Lascia Isabella o farà una brutta fine”

Focalizzai quell’ immagine ripugnante, riascoltai tutte le minacce che mi aveva fatto. Allo stesso modo, il nome del suo degno compare Royce King ritornò alle mie orecchie e al mio cervello, ossessionandomi come aveva fatto in tutta quella lunga settimana che era seguita al mio incontro con Frank. Li sognavo perfino di notte quei due, nelle poche ore di sonno che mi concedevo tra la musica, la mia famiglia e Isabella; li sentivo ridere, durante quegli incubi. Li vedevo afferrare la mia Bella per il polso e i fianchi rotondi, spingerla lontano mentre urlava il mio nome per essere salvata da chissà quali oscenità, allo stesso modo in cui gridava Rosalie quando io ed Emmett l’avevamo aiutata a liberarsi delle schifose attenzioni del suo ex fidanzato, una sera di qualche tempo prima a Camden.
Ma, nell’incubo, io non ci riuscivo a salvare il mio dolcissimo amore; annaspavo piuttosto, urlavo e prendevo a pugni l’aria, ma le gambe erano di piombo e non riuscivo a muovere un solo passo in più mentre il bel viso di Isabella, contratto per il terrore e la sofferenza, svaniva nella nebbia assieme a quello dei miei nemici. Continuavo a urlare e lei continuava a svanire mentre Frank rideva, Royce rideva e altre risate anonime, sguaiate e terrificanti mi raggiungevano per deridermi e mostrarmi che era una nullità, in realtà, poiché non sapevo come  proteggere la mia fidanzata.

Forse, era quella la verità: non valevo niente.
Sì, esatto, ero un buono a nulla. Chiunque altro, al posto mio, avrebbe risolto facilmente e in tutta fretta quella spiacevole situazione, mentre io… mi ero comportato come una pappamolla.
Come avevo potuto non fracassare di botte il bel faccino di Frank, quando ne avevo avuto l’occasione?
Come avevo potuto concedergli il lusso di minacciarmi e di pronunciare il nome immacolato della mia Isabella?
Come? In che modo ero stato così codardo?

Mi ero fatto guidare dalla paura, era quella la verità. Temevo che le avrebbe fatto del male – dopotutto King era il suo “capo”, aveva una squadra addestrata al suo servizio e non vedeva l’ora di farmi pagare i nostri conti in sospeso: Frank gli avrebbe offerto una buona occasione per vendicarsi – cosicché, in virtù quella paura, non mi ero ribellato.

La necessità di difendere Isabella era venuta prima di tutto, ma, a conti fatti, l’avevo difesa per davvero?
In realtà, sino a quel momento, non era accaduto nulla di grave di cui potessi lamentarmi. Non avevo ceduto alle minacce del mio nemico e non avevo quindi lasciato Isabella, come mi era stato così follemente “richiesto”, né ero tornato piangendo da Marla, supplicandola di accogliermi di nuovo tra le sue braccia. Di certo Frank era consapevole di tutto questo – se davvero era così bravo a spiarci conosceva ogni mossa mia e di Isabella – ma non mi aveva ancora punito in alcun modo.
Per fortuna.
Dunque, perché avevo così paura?
Forse Frank non avrebbe attuato i suoi piani, no?
Non lo sapevo, ma avevo un cattivo presentimento. O forse, ero semplicemente pessimista di natura. E facilmente impressionabile: per esempio, Isabella, il lunedì precedente, si era scottata col tè bollente e quando avevo visto le sue dita arrossate per poco non m’era preso un colpo, convinto che chissà quale malintenzionato l’avesse ferita. L’avevo torturata per un’ora intera, pregandola di dirmi la verità, di non nascondermi nulla nel caso qualcuno avesse cercato di importunarla o farle del male. Mi ero persuaso che si fosse trattato di un incidente domestico soltanto quando, fissandomi sbigottita per un minuto buono, mi aveva detto “stai impazzendo, sei esaurito. La musica ti sta facendo male, sul serio.”

Aveva ragione, ero stressato. Non di certo a causa della musica, comunque.
In ogni caso, la situazione stava procedendo bene, ma per quanto ancora la fortuna mi avrebbe assistito? No, non pensavo che le minacce di Frank fossero semplici parole nel vento: se conoscevo anche solo vagamente il tipo, aveva in mente qualcosa per punirmi di certo.
Cos’avrei dovuto fare? Parlarne con Jasper? Provocare una rissa senza precedenti, buttando al cesso anche il buon nome dei White Riot, proprio adesso che cominciava a decollare?
Già m’immaginavo la faccia sprezzante di Oliver mentre mi guardava disgustato, perché soltanto uno come me avrebbe potuto trascinare Bella in una situazione come quella!

Non avrebbe avuto tutti i torti.

Quanto tempo ancora mi restava, dunque, per trovare una soluzione plausibile a quell’impiccio?
Mi sembrava di essere in guerra.
Forse, lo ero per davvero.

 

Sospirai, stringendo di più la tazza tra le mani.


“…E poi Beth ha pianto perché la maestra non le ha assegnato il ruolo di principessa nella recita scolastica. Mamma si è indignata molto, dice che era una parte assolutamente tagliata per lei. Io mi son messa a ridere e poi, di nascosto, ho cercato di far ragionare mia sorella: non può assumere le stesse manie di protagonismo di Renèe! Edward, ma mi ascolti?”
“Cosa? Ah, certo, sì… Beth… Che dicevi, scusa?”

Bella si rabbuiò.

“Che ha deciso di frequentare un collegio in Svizzera e Renèe è d’accordo.”
“Che cosa?!” sobbalzai, quasi rovesciando la sedia. Bella mi guardò sconcertata, prima di tornare a bere il suo tè.

“Rilassati, stavo scherzando” mi ammonì con un gesto della mano. Mi guardai attorno imbarazzato, prima di tornare ad accomodarmi: troppi avventori della caffetteria mi stavano squadrando con disappunto.
“Perché mi dici scemenze? Mi hai fatto prendere un colpo!”
“Perché volevo la prova che non stessi ascoltando un accidenti di quel che avevo da dirti! E l’ho avuta, ovviamente…” concluse piuttosto offesa.
“Oh Bella, dai…”

Le allungai una mano: la ritrasse scocciata.
La mia bambina capricciosa!

“Dai cosa?” rispose seccata “Non ci vediamo quasi più, quando ci riusciamo è sempre tutto calcolato perché tu hai fretta… E ora non vuoi neppure più ascoltarmi quando ti parlo! Dì un po’, perché siamo fidanzati a questo punto?”
 
Ero sbigottito. Che andava dicendo?
E, soprattutto, cos’aveva capito?

“Bella, tu credi…?”
“Lo so che anche adesso la tua testa è in sala prove o su un palco, però almeno fingi di essere contento quando sei con me! Se adesso è così, e siamo ancora agli inizi, che faremo quando diventerai una star?”

Spalancai la bocca e per un po’ non pronunciai parola, troppo impegnato com’ero contemplare il bel visetto imbronciato della mia signorina perbene.

Credeva che mi annoiasse trascorrere il mio tempo con lei… Che sciocchezza bella e buona!
Con un colpetto di tosse, allora, mi schiarii la voce, tentando di mantenere una faccia seria: se fossi scoppiato a ridere in quel momento, qualunque fosse stato il motivo, Bella mi avrebbe picchiato con la borsetta prima di piantarmi definitivamente in asso. Quando mi sentii abbastanza sicuro, tornai a guardarla e aprii la bocca per parlare: Bella mi stava squadrando con cipiglio severo.

“Vieni qui” le ordinai.

Scosse la testa, offesa.

“Vieni, ti ho detto.”

Mi ubbidì riluttante.

“Che devo fare?”
“Siediti qui.”
“Qui dove?”
“Dove ti vuoi sedere? Sulle mie ginocchia, no?”

Le sue belle labbra disegnarono una “O” perfetta.
Si sporse poco in avanti, verso di me. Francamente, faticai nel non formulare pensieri impuri sulla sua scollatura, in quel momento.

“Edward” sussurrò, sconcertata “ma ti pare che possa sedermi sulle tue ginocchia in questo posto? Scandalizzeremo l’intero locale!”

Questa volta risi apertamente: per un attimo, uno soltanto, avevo dimenticato chi fosse Frank. E, meglio ancora, chi fosse Royce King.

“Sicura che non puoi? Guarda che io sono una rockstar e ho proprio voglia di dare un po’ di scandalo!” esclamai ridendo.
L’attirai verso di me cingendole i fianchi, costringendola ad accomodarsi sulle mie gambe. Nel locale, nello stesso istante, calò il silenzio. Poco dopo, si levò un brusio sostenuto dal tavolo in fondo alla sala, lì dove una combriccola di vecchiette stava sorseggiando con lentezza esasperante il proprio tè.
“Sei impazzito?” domandò a denti stretti; ovviamente, la domanda era retorica.
“Lo sono. Di te!” risposi col sorriso, addentando un biscotto al burro e dandole un bacio subito dopo. Si spazientì e le guance le si colorarono di rosso mentre la gente continuava a guardarci, scuotendo il capo con disapprovazione. Tuttavia, non si mosse dalle mie ginocchia e dieci minuti dopo si era rilassata completamente; mangiò i biscotti con gusto, assieme a me.

“Bella?”
“Mh?” rispose con la bocca ancora piena.
“Vorrei che ti fosse chiara una cosa.”
“Cosa?”

Chiamai a raccolta tutte le mie forze per aprir bocca: dopo quei pochi attimi di pace, lo spettro di Frank tornava all’attacco e parlare in quel momento equivaleva quasi a renderlo carne e ossa davanti a noi.

“Che non c’è niente, e sottintendo niente, che valga quanto te per me, sulla faccia della Terra. Quindi, non voglio più sentire parlare, neanche per scherzo, di lasciarci o scemenze di questo genere. Non ho la testa altrove” mentii “sono solo un po’ stanco, tutto qui. Faccio di tutto per ritagliarmi del tempo con te e d’accordo, lo so che i ritagli di tempo sembrano una cosa bruttissima, ma ti assicuro che per me sono preziosi, invece, proprio perché li passiamo insieme. Ti chiedo scusa e spero mi perdonerai. Ora, se ti va, puoi parlarmi e raccontarmi tutto quel che vuoi: ti assicuro un ascolto attento e interessato. Ma non rifilarmi mai più storie del genere su Beth, Bella, a meno che tu non voglia vedermi morto!”
 
Rise.
Isabella rise mentre ancora le briciole le sporcavano le labbra belle e rosse. Il cuore mi si strinse in una morsa e pure lo stomaco.
Avrebbe dovuto ridere sempre così.


“D’accordo, scusami. Sono solo una ragazzina permalosa, lo sai.”
“No, sei una ragazzina innamorata.”
“Ah sì? E di chi?” domandò maliziosa.
“Di me, ovviamente.”
“Quante arie, signor Cullen! Io neppure la conosco!”

Rise ancora. Mi abbracciò.
Il cameriere, dal fondo della sala, ci guardò male. Ancora un poco e sarebbe venuto a rimproverarci apertamente.
La pendola di fronte a noi batté le cinque: avevo ancora solo mezz’ora del mio prezioso tempo a disposizione da passare con la mia Bella.
Perché non potevo avere, viceversa, l’intera giornata?

Fare il musicista era stato il sogno di una vita, e adesso che era quasi realtà mi veniva voglia di mandare tutto all’aria, a volte. Dar vita alle proprie fantasie era molto meno piacevole di quanto ci si aspettasse, in effetti, soprattutto quando quelle fantasie ostacolavano le tue giornate perfette assieme all’unica persona di cui non ti saresti stancato mai.

E poi, cos’avrebbe fatto Isabella da sola, a casa, una volta che le avessi detto arrivederci?
E se qualcuno l’avesse importunata sulla strada del ritorno?
Adesso che era in pericolo, il mio compito era tenerla al riparo dai guai. Maledetto Frank!
C’era di nuovo lui nei miei pensieri e questa cosa cominciava ad irritarmi.
Avrei dovuto parlarne con Marla, sgridarla, rimettere in riga lei e quello psicopatico di suo fratello. Ecco cos’avrei dovuto fare.

“Bells?” la chiamai, allora.
“Sì?”
“Ti accompagno io a casa… Vuoi?”
“Non hai da tornare alla Noyse Records?”
“Ho da tornare prima da te, soltanto da te, sempre da te. Mi dispiace, davvero…”

Mi dispiace averti messo nei miei casini.

Le strofinai le labbra sul collo, chiusi le palpebre. Bella ridacchiò.

“Edward, che ti prende? Sembra che tu stia per andare in guerra!”

Non ci sto andando?

“E comunque” continuò “Ci stanno guardando tutti.”
“Ah sì? Salutameli questi tutti, allora”
“Edward?”
“Mh?”

Le lasciai un bacio sulla pelle bianca, socchiusi un occhio solo.

“Qualcosa non va?”

Sì. Frank. Royce. Me stesso.

“Sì. Il fatto che tu ti senta trascurata” mentii “ Non esiste, non va bene. Io ti amo”
“Ti amo anche io”
“Scusami, perdonami…”
“Edward, è tutto okay…”
“Ti proteggo io, giuro.”
“Ma da cosa?”
La sua voce aveva assunto un tono stridulo. Le stavo inequivocabilmente mettendo ansia.

Da cosa?
Che domanda è? Ti proteggo da Frank, è ovvio. Da Royce. E da me stesso.


“Dalla musica. Vieni sempre prima tu.”

Chiusi di nuovo gli occhi, poggiai la testa nell’incavo del suo collo. Isabella di nuovo ridacchiò, mi cinse le spalle con le proprie braccia e lasciò un bacio morbido sulla mia chioma arruffata. Si era dimenticata di nuovo degli altri. Presto ci avrebbero cacciati e denunciati per atti osceni in luogo pubblico, ne ero certo. Beh, almeno sarei andato in carcere assieme a lei, no?

“Ti perdono Mister Cullen.”
“Grazie. Ah, Bella?”
“Sì?”
“Beth non andrà in un collegio in Svizzera, vero?”
“Certo che no, credulone!” rise. Qualcun altro, in sala, tossicchiò irritato.

Forse il cameriere di prima? Ci guardava da un pezzo quello spilungone, che fastidio!

“E… Bella?” ripresi poco dopo.
“Sì?”
“Credi davvero che diventerò una rockstar famosa?”
 
Chissà perché le avevo fatto quella domanda. Lei comunque, per un po’ non rispose. Poi spezzettò un altro biscotto, ne diede una parte a me e la più piccola la tenne per sé e la mangiò con gusto prima di confidarmi:

“Sì, lo penso davvero.”

Sorrisi, grato e innamorato. Tutti gli uomini insicuri come me avrebbero dovuto avere diritto alla loro Isabella, per rinfrancare il proprio spirito e la propria autostima.

“Grazie” fu tutto ciò che riuscii a dirle, prima di baciarla. In realtà, avrei voluto dirle molto di più.


Grazie Isabella perché credi in me. Perché credi che diventerò una rockstar, che vincerò contro tua madre, che sarò il fidanzato perfetto. Se tu lo credi, posso crederlo anche io. E posso avere così tanta fiducia in me stesso da pensare e sperare che presto neanche Frank sarà più un problema per noi due.
 
 
 




 






POV ISABELLA
 







“E poi, oggi, l’Unione Sovietica ha dichiarato guerra agli Stati Uniti…”
“Ah sì? E come mai?”
 
Continuai a camminare indifferente lungo la Oxford Street, lasciandomi alle spalle il Centre Point1 mentre sistemavo libri e scartoffie in borsa; Angela, tuttavia, non era del mio stesso avviso. Si piantò in strada – e nel farlo si scontrò con qualche passante – prima di tirarmi per la manica della camicia.

“Oh, ma hai sentito che ti ho detto?!”
“Certo.”
“Certo, eh?”

Piazzò le mani sui fianchi. Alzò un sopracciglio mentre mi parlava, con aria dubbiosa.
“Angie, che c’è?”
“Isabella, ti ho appena detto che l’Unione Sovietica ha invaso l’America…”
“Oh…” avvampai, improvvisamente consapevole “Davvero?!”

“Dio, no Bella, sveglia!” si spazientì la mia amica, alzando gli occhi al cielo in un gesto esasperato. “Ma stai bene, sì?”
“Scusa, ma se non è vero perché me l’hai detto?”
“Sei troppo ingenua, scema, persa o cos’altro? Ho capito, da quando hai scoperto il sesso non riesci a pensare ad altro. Vero?”
“Ma che dici!” toccò a me, stavolta, alzare gli occhi al cielo. “Che c’entra adesso il sesso?”
“E allora perché non mi ascolti neanche? Ti ho detto apposta la prima stronzata che m’è passata per la testa per metterti alla prova e avevo ragione: non mi stavi neanche ascoltando!”

Riprese a camminare, l’aria offesa. Mi ritornò in mente la medesima scena, qualche giorno prima; i protagonisti, tuttavia, erano diversi: era Edward quello distratto, io la permalosa che lo rimproverava in una costosa sala da tè di Westminster.
Incredibile come le cose si ripetano senza che ce ne rendiamo conto.


“Angela, Angela, Angela! Aspetta! Ti prometto che ascolterò un intero disco di Bowie se ti fermi!”

La mia amica, che proseguiva spedita verso una destinazione a me ignota – le braccia dritte lungo i fianchi e le mani chiuse in pugni poco signorili – rallentò la sua andatura. Bowie era una specie di passe-partout, con lei.

“Devo valutare l’opportunità di perdonare questi tuoi atti di maleducazione” borbottò scocciata. Però mi porse il braccio per accompagnarla e a me venne da ridere.

“Dai, ti chiedo scusa! Ero solo sovrappensiero. Poi non c’ho creduto mica veramente! Se fosse stato vero, a quest’ora starei urlando per tutta Oxford Street… Dio, i sovietici nella mia madrepatria!” sbuffai facendomi aria con la mano.
“Va bene, allora sii sincera con me e ti perdono”
“Sincera in che senso?”
“Dimmi cosa ti turba, Isabella! Anzi, lascia indovinare me” commentò finalmente rilassata “sei scocciata perché Edward non c’è mai.”

Dapprima la guardai, silenziosa. Poi, annuii, incerta.

“Sì, un po’ sì. Non fraintendermi, sono davvero felice che il suo sogno si stia realizzando. È così orgoglioso di se stesso e lo sono anche io!”
“E’ una cosa molto bella, in effetti. Però…?”
“Però non lo vedo quasi più.”
“Lo so, hai visto no? Succede anche con Oliver. L’altra mattina ho sentito dire dalla Winson che se continua così chiamerà i suoi genitori. Che, detto per inciso, credo non sappiano ancora nulla di tutta questa storia.”
“Davvero?”

Ero sbalordita. Da una vita, ormai, non parlavo più con Oliver; si era ridotto in maniera esponenziale il tempo libero da passare col mio fidanzato, figuriamoci quello che potevo trascorrere con un semplice amico! Inoltre, da quando Edward faceva parte della mia vita, era innegabile che lo stesso Oliver avesse deciso di sparire, mimetizzarsi tra i volti anonimi di tutte le persone che incontravo sul mio cammino nell’arco della giornata. Non mi voleva più come amica, se non poteva avermi come ragazza? Non lo sapevo, ma di certo non potevo fingere per sempre che non provasse una qualche forma di sentimento – o risentimento? – nei miei confronti, altrimenti non avrei potuto spiegare diversamente quel suo strano modo di fare. Non capivo ancora se fosse un bene o un male, ma in certe occasioni Oliver mi mancava: lo conoscevo da ragazzino, gli volevo bene, per quanto indisponente potesse risultare a volte. Avrei preferito che le cose fossero andate in maniera differente tra noi.

“Già. Non vedi com’è conciato da sbattere? Arriva tardi, va via presto e ed è sempre di fretta, nelle ormai rare occasioni in cui riesce a venire a scuola. Non dorme la notte per fare tutti i compiti, ha delle occhiaie spaventose. Non so chi gli dia la forza per resistere: io, al posto suo, avrei mollato già da un pezzo.”
“Mollare la carriera musicale?” domandai sbalordita “Avresti tutto questo coraggio, se fossi al posto di Ol?!”
“Ma quale carriera musicale!” rispose Angie ridendo “Lascerei la scuola, piuttosto! Mi sembra ovvio! Tra l’altro, a cosa gli servirà il diploma una volta diventato ricco e famoso?” alzò le spalle, in una gesto estremamente naturale.
Certo, era un’evidenza innegabile: come avevo fatto a non capire che Angela si stava riferendo alla scuola? Non avrei neppure dovuto pensarci su due minuti.
“Oddio, ma ci pensi Bella?” riprese dopo pochi istanti la mia amica, esaltata “Quando i White Riot sfonderanno noi potremo vantarci in giro di conoscerli bene! Anzi, tu potrai addirittura dire di essere la ragazza del cantante! Ti invidieranno tutte, soprattutto quella stronzetta di Jessica che rompe sempre le scatole e pare che ha il mondo ai suoi piedi… E’ proprio vero che ride bene chi ride ultimo, lo diceva sempre la mia nonna!”

Angela costruiva castelli in aria con una velocità spaventosa; prese a sgambettare per tutta Oxford Street e batté le mani più volte, sotto lo sguardo sconcertato di alcune passanti, presa com’era dal suo momentaneo delirio di onnipotenza: a vederla, appariva davvero comica.
Per un attimo, guardandola, dimenticai i miei pensieri, l’assenza di Edward, il trascinarsi lento delle mie giornate, certe preoccupazioni che mi portavo dietro e risi di cuore. Ecco perché volevo bene ad Angela: soltanto lei aveva un simile potere su di me.

“Vedi che ti faccio sempre divertire?” commentò di lì a poco, come se mi avesse letto nel pensiero “Su, coraggio, togliti quell’espressione triste dal tuo bel faccino! Edward tornerà presto e potrai sbatt…”
“Angela!” gridai inorridita.

Alzò le mani.

“Okay, okay, come non detto!” ridacchiò “La smetto di fare la ragazzaccia maleducata… Tu però non me la conti ancora giusta. Sii sincera, non è solo perché tu ed Edward non state più insieme come un tempo, vero? Qualcosa ti preoccupa ancora. C’entra Marla?”

Alzai le spalle. Angela mi offrì di nuovo il braccio.

“No, Marla non c’entra, o almeno lo spero. E sono preoccupata perché vedo Edward preoccupato. Non lo so, non è solo questione di essere semplicemente distratto dal lavoro… L’altro giorno aveva una strana espressione, non mi ascoltava neppure quando parlavo…”
“Come hai fatto prima tu con me.”

Le lanciai un’occhiata irritata.

“Ho paura che qualcosa lo stia turbando e non voglia dirmelo soltanto per farmi stare tranquilla, per non farmi spaventare.”

Angela scoppiò in una grossa risata.

“Oddio, che film hai visto ultimamente, Bella? Sei facilmente impressionabile! Andiamo, sarà soltanto stanco o preso dalle prove e tutto il resto. Non c’è niente di tragico dietro e non ti nasconde nulla, rilassati!”
“Pensi che non conosca il mio fidanzato e non sappia riconoscere quando qualcosa non va?” replicai, un po’ offesa.
“No, non è questo. Sono sicura che tu conosca Edward meglio di chiunque altro, anche di sua madre” percepii una vaga nota di scherzo nelle sue parole, ma lasciai correre “Tuttavia a volte ci si può sbagliare. Si possono interpretare le cose nel modo errato, quando si è particolarmente fragili e sensibili. E tu lo sei, in questo momento in cui Ed è momentaneamente lontano. O mi sbaglio?”

“Mmmh, non lo so, può darsi.”
Ero titubante. Angie mi rispose con una risata: la invidiai per quel suo saper sempre essere così spensierata.

“Visto? Sei d’accordo con me.”
“D’accordo…Mh.”
“Lo ammetti? A volte fai troppi film. Hai preso da tua madre.”
“Angie!”
“E dai!”
“Okay, okay, mi sto preoccupando per nulla” acconsentii alla fine, sorridendo.
“Oh bene!” rispose la mia amica con un certo grado di soddisfazione “E adesso che ti ho tirato di bocca la verità, mi accompagnerai finalmente in quel negozio di vestiti da cerimonia? Oppure vuoi farmi andare in divisa scolastica al matrimonio di mia cugina Frances?”

Ridacchiai anche e tirai un grosso respiro.
Alla fine dei conti, chiacchierare con Angie mi metteva sempre di buon umore, anche se quel giorno aveva dovuto tirarmele di bocca a forza le parole. Forse, mi preoccupavo davvero per nulla: okay, Edward mi era parso sovrappensiero, lontano, quasi confuso. Aveva anche biascicato frasi strane, ma con questo?
Poteva anche essere semplicemente stanco, no? Magari aveva paura per il futuro, poteva temere che le cose col gruppo non sarebbero andate come lui e tutti gli altri alla Noyse Records pensavano e speravano.
Forse temeva di deludere sua madre – la silenziosa e buonissima Esme – o la sorellina terribile che aveva, quel diavoletto che di nome faceva Alice e che, ormai, anche io amavo alla follia.
Riponevano così tante speranze in lui, dopo la morte di Carlisle!
Certo, era solo questo il problema.

Alla fine sorrisi, finalmente tranquilla. Avevo proprio bisogno di parlare con Angela: mi permetteva di vedere tutto con più chiarezza e lucidità.

“Hai proprio ragione, che scema che sono! Mi faccio troppi problemi. È tutto okay, Edward sarà solo stanco. Appena passerà questo periodo di rodaggio, tornerà quello di sempre.”

Angela sorrise.

“Vedo che cominciamo a ragionare!”

Annuii, strizzandole l’occhio.

“Esatto! E adesso, che ne dici di andare? Sono proprio curiosa di vedere questo negozio di vestiti di cui mi hai parlato tanto!”
“Oh, devi proprio vederlo! Degli abiti carinissimi a prezzi stracciati!”
“Dovremo portarci Alice” meditai.

“Sì, dovremo” rispose a stento: tollerava ancora molto poco la sorella del mio ragazzo. Io la chiamavo “gelosia”, lei “scarsa simpatia” e io la lasciavo fare. Mi faceva tenerezza.
“Su, adesso sbrighiamoci” riprese di lì a poco “Altrimenti si farà troppo tardi e poi ti lamenterai di dover tornare a casa prima delle terribile Renèe Watson!”

Le tirai fuori la lingua, per scherzo, e lei rise prima di avviarsi lungo la strada trascinandomi per la manica del golfino.






Quando tornai a casa, quel pomeriggio, ero certa di trovarla ancora vuota; mamma era a Brighton, a trovare zia Esther – una vecchia sorella della nonna – assieme a quella povera vittima di Beth. Non che non volesse bene a zia Esther la mia bambina, per carità, solo che la tenera vecchietta amava molto poco la luce, il divertimento, la vita; passava tutta la giornata chiusa in un unico salotto della sua grande casa a parlare del marito morto ormai da venticinque anni, e pregare per lui, costringendo i visitatori a fare altrettanto. Mamma, di tanto in tanto, doveva comunque compiere il suo dovere da brava nipote, ma per Beth era una specie di condanna a morte quella, così come lo era stata per me anni prima, quando non avevo la scusa della scuola e dei compiti a salvarmi da un tale strazio.
Conoscendo il tenore di quelle visite, mia madre e mia sorella non sarebbero rincasate prima delle otto e mezza.

Charlie, viceversa, non doveva ancora essere tornato dal lavoro; quella mattina, infatti, mi aveva lasciato un biglietto attaccato al frigo, in cui specificava che avrebbe fatto tardi perché, con ogni probabilità, sarebbe stato trattenuto a cena fuori con alcuni colleghi.

Sospirai, salendo i gradini dell’ingresso: se almeno Edward avesse avuto un po’ di tempo da trascorrere con me quella sera, avremmo potuto approfittarne. Non era di certo un avvenimento frequente quello di avere casa Swan libera!
Ma, ovviamente, la fortuna mi remava contro: Edward non aveva più tempo per nulla, ormai e avrei trascorso quelle ore di libertà che mi restavano in solitudine, piuttosto che tra le braccia del mio fidanzato.

Chissà dove sei adesso, Edward…

Sospirai di nuovo e di lì a poco il sospiro si tramutò in uno sbuffo. E poi, lo sbuffo divenne un’esclamazione di stupore, quando mi resi conto che la chiave che avevo inserito nella toppa girava a vuoto: la porta d’ingresso era già aperta.

Dunque non ero sola!

Qualcuno, quindi, era entrato in casa e si era dimenticato di richiudere la porta?
Qualcuno chi?
Mamma? No, certo che no! Quello di lasciare aperta la porta d’ingresso non era un errore da Miss Renèe Swan di certo!

“Oh papà, sei così distratto!” commentai tra me e me, allora spalancando suddetta porta e adagiando la borsa all’ingresso. Per fortuna, ero rientrata prima di mamma: se avesse beccato lei quella distrazione paterna sarebbe scoppiato un putiferio. Altro che guerra tra Stati Uniti e Unione Sovietica!

Comunque, la mia espressione sbalordita di poco prima non mutò quando, entrando nel corridoio, trovai la casa completamente al buio.
Silenziosa.
Sembrava non ci fosse nessuno.
Che diamine andava combinando mio padre?!

“Papà?” chiamai allora, incerta. Il corridoio si stendeva scuro davanti a me, ma potevo scorgere facilmente il profilo delle grosse lampade di ottone lungo le pareti, grazie alla luce che proveniva dall’esterno.

Per un qualche strano motivo, non mi ero ancora chiusa la porta alle spalle.

In fondo al corridoio c’erano le scale che conducevano al piano superiore, anch’esse totalmente immerse nel buio.
Papà era di sopra?
Perché non mi rispondeva, non accendeva la luce, non guardava la tv? Perché?

“Papà?” alzai di più la voce, per farmi sentire, avanzando nel corridoio “Papà mi senti? Sono Bella, sono tornata!”

Uno scricchiolio, un rumore lieve di parquet.
Mi voltai di scatto: perché diavolo ero così nervosa?
E perché diavolo papà non mi rispondeva?

Forse non si tratta di tuo padre, Bella. Fai dietro front, torna all’ingresso. Forse sono i ladri, Bella, fatti furba!

Una vocina nel cervello mi diede l’allarme: la fronte mi s’imperlò di sudore e un brivido percorse la mia schiena nello stesso momento. Finalmente avevo capito: qualcosa non andava. E stavolta non era la mia fantasia a giocarmi brutti scherzi, no.

Angie, non mi sto inventando niente.
Nessun film mentale.
Vorrei che fossi qui, Angie, ho un tantino paura.

Arretrai di qualche passo, ma mi scontrai col mobile d’ingresso – quello su cui era poggiato il telefono – e sobbalzai. Udii un altro rumore, come uno scalpiccio alle mie spalle.

Allora, e soltanto allora, urlai con quanto fiato avevo in corpo. Non si trattava di una richiesta di aiuto, ma di un semplice grido: ero terrorizzata.
Tuttavia, non servì a niente quella mia reazione o, forse, peggiorò soltanto lo stato delle cose perché lo scalpiccio si fece più insistente, percepii la presenza di qualcuno al mio fianco e nel buio di quel corridoio riconobbi facilmente il palmo grande di una mano sconosciuta mentre mi tappava la bocca.

Non so a cosa pensai in quel momento.
A mio padre?
A mia madre?
A Beth?
Sì, a Beth. E a Edward. E a quant’ero stata ingenua: avrei dovuto scappare subito perché niente mi era parso normale o familiare, appena avevo varcato la soglia di casa.

Ero una stupida, stupida, stupida.


“Ciao, signorina Swan… Finalmente ci vediamo” mormorò una voce sinistra al mio orecchio. Avevo il fiato di quell’uomo sul collo e, senza neanche vederlo, seppi istantaneamente che doveva trattarsi di un essere viscido e disgustoso. Non era da solo: qualcuno accanto a lui rise, dopo aver ascoltato quella frase.
Non vedevo nulla: la casa mi sembrava ancora più buia, o forse era soltanto la notte che avanzava a rendermela tale? L’uomo che aveva parlato al mio orecchio mi afferrò le braccia e mi bloccò i polsi dietro la schiena con una mano sola; sudavo molto e respiravo appena.


Ho paura, ho paura.


“Aspettavo di conoscerti da un po’, lo sai?”

Spalancai gli occhi, mi divincolai. Non ci riuscii.

“E’ un’anguilla…” mormorò il compare del mio aguzzino.
Lui ridacchiò.

“Fra poco smetterà di fare la bimba capricciosa. Vero tesoro?”

Stupida, stupida, stupida Bella.

“Allora, che ne facciamo di lei?”
“Tu che ne dici?” rispose una terza voce.

Scalciai, senza successo.

“Sta’ buona, bambolina. È inutile che combatti. Sei sola in casa, vedi? Ci siamo solo noi. Mamma e papà non torneranno…”

Spalancai gli occhi.
Che diavolo ne sapevano loro dei miei genitori?
Chi erano loro, soprattutto?
Volevo vomitare.

“…E il tuo coraggioso Edward non è qui. Dovrai arrangiarti. Certo che è stato proprio un idiota… Eppure io l’avevo avvertito!”

Edward?
Edward!

Che cavolo c’entrava adesso Edward? E di cosa era stato avvertito?

Ero disperata, sconvolta, confusa.
Volevo soltanto tirarmi fuori da quella situazione, in qualunque modo possibile. Le risposte a tutte quelle domande le avrei poi cercate una volta che fossi riuscita a salvarmi.
Per reazione, allora, mugugnai, con la mano grande e viscida di quell’uomo a schiacciarmi la bocca. Mi agitai, scalciai, cercai di liberarmi ancora.
Il corridoio era sempre più buio, la casa vuota, nessuno poteva aiutarmi e non sapevo chi fossero gli uomini intorno a me. Però loro sembravano conoscermi bene, conoscevano la mia famiglia e perfino Edward.
Che cosa volevano da me?
Mi venne da piangere per il terrore e la rabbia: mi sembrava di non avere alcuna via d’uscita, intrappolata com’ero in una situazione dalla quale non sapevo come tirarmi fuori. Nella quale non sapevo neppure come mi ero ficcata, a dirla tutta.
Tutto ciò che avevo desiderato per quella serata, era tornare a casa, ascoltare un disco dei Beatles, rilassarmi e pensare al mio meraviglioso ragazzo così lontano da me, maledizione! Com’era possibile che la situazione si fosse capovolta e deformata in maniera tanto paradossale?


Metti in moto il cervello, Bella: reagisci!

Ancora intrappolata dal corpo grande dell’uomo che mi sovrastava e incapace di fare altro, cercai d’ingegnarmi per liberarmi e addentai voracemente, seppur con profondo disgusto, due delle cinque dita che l’uomo teneva premute sulla mia bocca.
Una mossa stupida, vero? D’altronde, c’erano altre persone con lui, non c’avrebbero messo niente a riacciuffarmi e farmi del male, seppure uno di loro fosse stato ko. Ma quella mi sembrava l’unica cosa sensata da fare al momento, e delle conseguenze mi sarei impicciata dopo.
Dopo aver smesso di urlare, per intenderci.

Urlai, infatti, una volta liberata. Urlai così forte che sovrastai anche le grida di dolore dell’uomo che tentava di tenermi prigioniera: l’avevo addentato in profondità. Urlai così forte da superare il suono dei clacson delle auto in strada, dei rintocchi di una campana lontana. Urlai così forte che sperai Edward potesse sentirmi ovunque si trovasse, persino a Camden.

“Maledizione!”
Le parole degli uomini che mi circondavano e che imprecavano contro di me furono allora l’ultima cosa che udii. L’ultima, perché di lì a poco ricevetti uno schiaffo così forte da non vedere altro al di là del buio che mi circondava, da non sentire altro se non il sapore del sangue che mi colava dal naso alla bocca. Non percepii altro, prima di perdere i sensi.

 
 
 




 











POV EDWARD








“E poi, dovreste fare qualche cover… Tipo dei Sex Pistols. Sarebbe perfetto per il prossimo live, una bella cover dei Sex, sì!”

Chris si sfregò le mani, soddisfatto. Eravamo nel suo studio da un’ora, puzzavamo tutti di fumo da chilometri di distanza perché non aveva smesso neppure per un attimo di accendere e spegnere sigari, e continuavamo a guardarci in faccia gli uni con gli altri, stancamente, strimpellando a turno una chitarra. Lui, Andy e Don chiacchieravano senza sosta, scegliendo le canzoni dei nostri prossimi live, la scaletta, il nostro vestiario e tutti gli altri dettagli, come se nessuno di noi del gruppo fosse stato lì presente e avesse potuto azzardare la propria opinione. Roger, che avrebbe dovuto farci da manager e da spalla, si limitava ad annuire gioiosamente ogni volta.

Un vero leccapiedi, complimenti.

Stanco di quella situazione, mi decisi a rispondere di slancio:

“Io non faccio nessuna cover.”
“Che cosa?”

Diverse paia d’occhi puntarono verso di me: quelli dei membri della casa discografica apparivano spalancati. Nessuno metteva mai in dubbio le decisioni di Chris Giggle.
Emmett, Jasper e Oliver, viceversa, mi rivolsero uno sguardo esterrefatto, ma orgoglioso e soddisfatto. Non vedevano l’ora che qualcuno si facesse valere con Chris ed io, in quanto leader della band, ne avevo tutte le buone ragioni.

“Mi avete sentito bene” continuai allora “Non farò nessuna cover. Non sono Sid Vicious né Johnny Rotten, ho una mia band e un mio stile. Al pubblico devono piacere le mie canzoni, non quelle degli altri. Non canterò Anarchy in the UK né nessun’altra canzone dei Sex, potete scordarvelo.”

Alzai appena lo sguardo, Jazz mi sorrise: se avesse potuto mi avrebbe perfino applaudito. Emmett mi fece l’occhiolino.

“Ma Edward…” azzardò allora Roger.
“Ho detto no” risposi senza guardarlo, accordando piuttosto la mia chitarra.

“Edward…” Chris mi fulminò con lo sguardo. Pronunciò solo il mio nome e non aggiunse altro. Io lo guardai, di rimando, e gli dissi molte cose senza parlare.

Niente Edward, Chris. Qui comando io.


Non proseguimmo nella nostra muta conversazione, comunque, perché di lì a poco la segretaria di Chris s’intrufolò nell’ufficio, chiedendo scusa per l’intrusione e biascicando che qualcuno mi desiderava al telefono.

“Qualcuno? E chi?”

Ero sinceramente sorpreso.

“Sua sorella, signor Cullen.”


Alice?
Alice aveva il numero della Noyse Records, certo, così da potermi raggiungere per qualsiasi evenienza. Ma cosa poteva essere accaduto di così urgente, adesso, da telefonarmi in tutta fretta alla casa discografica?

Anche Jasper mi parve un tantino sbalordito. Io, comunque, guardai Chris, che annuì senza problemi, e sgattaiolai velocemente fuori, verso la scrivania di Amy – la segretaria – dove avrei potuto rispondere alla chiamata di mia sorella.

La discussione, io e Mister Giggle, l’avremmo ripresa con più calma dopo.


“Alice? Che è successo?” domandai subito appena alzai il ricevitore. Mia sorella, tuttavia, non rispose subito.

Un minuto di silenzio.
Due.

Che c’è che non va?

“Alice?” ripetei.
“E-dward…”

Tremava. Anche attraverso il telefono, anche a quella distanza avrei potuto sentirlo. Tremava. Balbettava, sembrava incerta, impaurita. Non era la solita Alice che cinguettava dall’altro lato della cornetta quando telefonavo al pub dove lavorava assieme a nostra madre. Non era la mia solita sorellina.

“Oddio, Alice! Che succede? La mamma…”
“Mamma sta bene” rispose subito.
“E allora che c’è?”

Respirai piano e tentai di calmarmi: il fatto non fosse accaduto nulla di male ad Esme mi rincuorava già parecchio.

“E’ successo un…incidente.”
“Incidente? A chi?”

Brancolavo nel buio.

Un altro minuto di silenzio.
Che attesa snervante!


Isabella.”


Raggelai.
Avevo cantato vittoria troppo presto.


Bella, Bella, Isabella.
Che le era successo? L’ultima volta che l’avevo sentita stava benissimo!
Ed erano passati ormai quasi quindici giorni, non poteva essere… Non poteva c’entrare Frank, o King e tutta la loro combriccola. Erano minacce a vuoto, le loro, ne ero certo. Era passato troppo tempo, troppo…


“Che le è successo, dannazione? Parla!”


Gridai. Imprecai. Mi si rivoltò lo stomaco.


“Qualcuno l’ha aggredita” fu tutto ciò che mia sorella rispose, con voce lapidaria. Inerme.
Terrorizzata.

Qualcuno?
Senza nome?
Oh no, Alice, io lo so chi è stato.


Mi accasciai lungo la parete, senza pudore, e respirai appena mentre Alice continuava a chiamare il mio nome dall’altro lato della cornetta ed Amy mi faceva aria con alcune carte. Nessuno capiva quel che stava accadendo ma io sì.
E stava accadendo per davvero.

La guerra è cominciata.


Mi ero sbagliato, dunque. Ero stato un ingenuo, un illuso.
Quindici giorni non erano abbastanza per cantare vittoria.

La verità era che non era mai troppo tardi per Frank per attuare le sue minacce.

Adesso lo sapevo. E lo sapeva anche Isabella.


 













1.Centre Point: edificio in vetro, costruito nel 1967, lungo la New Oxford Street

 
 
 







 
Eccoci qui… Dopo otto? Nove mesi? Non lo so quanto tempo è passato, so soltanto che scrivere questo capitolo è stato un parto. Vederlo pubblicato mi sa quasi di vittoria, una vittoria con me stessa che faticavo ad ottenere anche se MAI, mai ho pensato di sospendere My Ugly Boy. Questa storia mi ha dato tanto, è merito suo se tante di voi mi conoscono, e per il bene che voglio ai miei Ed e Bella e a voi che mi avete sempre sostenuta, non avrei mai potuto abbandonarla. Ma non vi nascondo che tornare a parlare di questi due dopo mesi mi risulta strano e temo che il capitolo non sia assolutamente all’altezza delle vostre aspettative. Mi scuso anche di questo, così come mi scuso del ritardo immane con cui ho aggiornato.
Ragazze, perdonatemi anche se non ho mai inserito nessun avviso riguardo questa storia, ma c’è un motivo per questo: inserire avvisi come capitoli alle proprie storie, per quanto sia una pratica diffusa, è vietato dal regolamento di Efp. Più volte Erika l’ha ribadito, anche in fandom diversi da Twilight (vedi Lady Oscar), e non mi andava di contravvenire all’amministrazione. A tutto questo, devo sommare un certo mio grado di ingenuità: poiché più volte ho inserito il link del mio profilo Fb in questa storia, e poiché più volte, su quel profilo, ho lasciato annunci riguardo MUB, sono stata così sciocca nel pensare che più o meno a tutte fosse arrivata la voce riguardo l’evolversi di questa storia. Tuttavia, mi sbagliavo e vi chiedo scusa anche della mia ingenuità. Detto questo, mi sento oggi di lasciarvi di nuovo il link del mio profilo di Fb:
https://www.facebook.com/inOgniIoCheSei
E del gruppo che ho creato per le mie storie:
https://www.facebook.com/groups/265306233568958/
Si chiama In the Sky with Diamonds, ed è il posto in cui lascio spoiler, annunci, inserisco foto e quant’altro. È privato ma aperto a chiunque vorrà farne parte, ergo: sarete le benvenute :D
In questo modo potrete contattarmi ogni volta che vi pare e vi farò sapere tutto quel che c’è da sapere su MUB :)
Ora, veniamo al perché ho interrotto la storia per così tanto tempo. Dunque, a parte un fisiologico calo d’ispirazione – ogni volta che finisco di scrivere un capitolo nuovo mi sembra di aver scalato una montagna, penso succede anche a voi, se siete autrici – l’ultima voltai che postai mi demoralizzai un pochettino. Avevo ricevuto molte recensioni in cui le minacce che Frank aveva rivolto a Edward vi lasciavano perplesse; in molte mi dicevano che la storia stava scadendo nel cliché, nel banale, e che non eravamo negli anni ’20 col mafioso di turno che veniva a minacciare il protagonista. Ora, le critiche ci stanno e sono bene accette, ma mi dispiaceva vedere come la storia fosse stata già condannata e giudicata in modo così tanto veloce, senza neanche vedere come si sarebbero evoluti i fatti. Ecco, il giudizio sbrigativo mi aveva un po’ buttato a terra perché in MUB ho sempre speso molte energie e si può dire di tutto, di questa storia, ma non credo che scada nel cliché. O forse un giorno ci scadrà pure, ci può stare, ma diamole almeno il tempo di andare avanti e vedere come proseguono le cose prima di puntare il dito. In fondo sì, Frank è un po’ un tipo “mafioso”: è un delinquente, è cresciuto in una famiglia patriarcale, in una zona malfamata, penso che tutto sia dovuto a lui e alla sua sorellina verso la quale prova un inconcepibile senso di “protezione”.
Purtroppo, queste son cose che succedono ancora oggi, figuriamoci nel ’78!
Detto così sembra una scemenza, ma a suo tempo la cosa mi demoralizzò davvero; pensavo di mettere tanta energia in qualcosa che non stava andando come avrebbe dovuto, in qualcosa che non riuscivo a presentare come volevo e così lasciai perdere la storia per più tempo del previsto, nella speranza di ricaricarmi. Quando cercai di riprenderla, ancora non avevo voglia: passavo ore davanti a Word senza scrivere. Alla fine rinuncia ma avevo ancora voglia di dire, di scrivere qualcosa di mio, e allora passai nelle Originali romantiche. Così ho scoperto che le originali mi davano di più perché erano i MIEI personaggi a parlare, fantasticare, muoversi e agire. Edward e Bella li ho relegati in un angolo del mio cuore e nel frattempo ho continuato a fare altro, a lavorare, ho completato la mia prima originale, sono andata in Francia, ho visto Parigi, ho adottato un altro gattino. Tanto per raccontarvi qualcosa di mio ;)
Tutto questo finché Edward e Bella non sono tornati a bussare, perché in fondo erano sempre lì in attesa e io mi portavo dietro il senso di colpa per avervi lasciate così, in sospeso. Oggi sono tornati e si scusano con me: spero darete loro un’altra chance. Spero che mi capirete e darete anche a me un’altra possibilità.
Ora, non voglio mentirvi: non sarò sempre veloce negli aggiornamenti. I miei impegni si sono raddoppiati, l’ispirazione è ballerina per natura e a volte certi avvenimenti proprio non vogliono farsi scrivere. Ma ho aggiornato dopo 9 mesi, questo deve lasciarvi intendere che c’è la volontà e il piacere di farlo ancora, seppur con minore regolarità rispetto a prima. Se vorrete ancora seguirmi, anche dopo quest’appunto, vi sarò infinitamente grata. Di cuore, sul serio :)

Penso che questo sia il primo caso in cui le note dell’autore superano la lunghezza del capitolo :-p
Spero di essermi fatta intendere comunque (a volte, a dispetto di quanto sembra, non sono così brava con le parole) e spero davvero tanto che mi scuserete.
Vi mando una grande bacio, vi dico ancora grazie e vi saluto, al prossimo aggiornamento.

PS: risponderò il prima possibile a tutte le recensioni.
Matisse.
   
 
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