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Autore: silencio    11/10/2012    1 recensioni
Chi di voi conosce il principio di tutte le cose? Chi sa con certezza come e quando tutto ebbe inizio: l'universo, la terra, la vita umana? Se sapete rispondere, allora vi consiglio di passare oltre e non soffermarvi troppo a lungo sulle pagine che seguiranno: chi pensa di sapere, non ha bisogno d'ulteriore conoscenza, è già alla fine.
Se, invece, non trovate alcuna risposta, se credete nel mistero, nello sconosciuto, nelle possibilità, allora vi invito caldamente a proseguire nella lettura, ad immergervi in una possibilità tanto affascinante quanto oscura. Chi conosce il principio della vita ne conoscerà la fine ed il modo di vincerla.
Dal mistico Egitto, dalle sabbie del tempo, la morte stessa rivelerà al mondo la verità e, chi sarà in grado di comprendere, troverà la via per l'immortalità.
Bereshit, In principio....
Genere: Avventura, Mistero, Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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L’ultima testimonianza



Ogni uomo ha una storia ed ogni storia, per quanto misera, merita di essere ascoltata.
(Saigon oppio)



“21 giugno 2009
Siedo allo scrittoio, dopo quelle che mi sembrano state ore interminabili. Non ricordo una giornata più strana di questa in tutta la mia vita, dacché ho memoria. E dire che sono un archeologo, o per lo meno, a breve lo dovrei diventare a tutti gli effetti. Dovrei essere abituato alle “situazioni strane”.
Non che la vita di un archeologo, per giunta neolaureato, sia poi tanto diversa da quella di chiunque altro, semmai più soggetta alla precarietà –economica soprattutto- rispetto alla vita d’un comune impiegato. Quantomeno, tuttavia, ci si diverte. Io non lavoro, dico sempre: gioco.
Non lo si scambi, però, per pura sottovalutazione della professione di archeologo. è un lavoro serio e difficile, che necessita d’anni di conoscenza, di studio e, in alcuni casi, di lotte spietate. Tuttavia, chi intraprende questa strada lo fa per passione, amore per la storia e la ricerca, quindi come ogni cosa guidata dal sentimento, anche questo lavoro diviene un gioco, per l’appunto.
Ma tralascio queste divagazioni –in cui spesso per natura tendo a cadere- e procedo alla spiegazione dei fatti avvenuti e che tanto mi hanno stranito.
Verso le dieci di questa mattina mi trovavo, come tutta la settimana precedente, presso la KV64 lavorando assieme al resto dell’equipe del professor Hoxha. Un lavoro abbastanza minuzioso, a tratti noioso.
Io e Genevieve dovevamo scattare delle foto, quanto più precise possibile, dell’intera stanza e ricopiare i testi incisi sulla porta… o per lo meno i frammenti confusi iscritti qui e lì all’interno della tomba.
Ritengo opportuno descrivere, a questo punto, quell’insolita sepoltura.  
La datazione al C14 della mummia rinvenuta al suo interno fa risalire tutto ad un periodo che va dal 1300 al 1200 a.C. sul finire del Medio Regno, e le pochissime iscrizioni la confermano.
Fu realizzata per un sacerdote d’alto rango, il cui nome e origini rimasero per parecchio tempo avvolte nel mistero. L’analisi forense ha costatato un’origine presumibilmente mista, in parte egiziana in parte africana. Ma poco, oltre al sesso, l’età e la razza, è stato dedotto. Lo stato di deperimento è assai avanzato, come se gli imbalsamatori non avessero posto molta cura nel trattamento della salma. Non godeva di favori da parte del clero e del faraone.  
Quando, cinque anni fa aprirono la tomba, quel che videro provocò lo sconcerto di tutti. La mummia giaceva in terra, avvolta strettamente nelle bende rituali e nel sudario. Non v’era traccia di sarcofago n’è d’iscrizioni sacre, tipiche delle sepolture egizie e tanto importanti affinché  il defunto potesse superare la pesatura dell’anima e resuscitare dalla morte. Fu chiaro a tutti cos’era accaduto. Il sacerdote era stato condannato alla damnatio memoriae, la più crudele fra le maledizioni egizie. Ma il motivo resta ancora inspiegato.
Una secondo ispezione, più minuziosa, ha rivelato la presenza di iscrizioni sull’architrave e gli stipiti del varco d’accesso. Qualcuno aveva tentato di cancellarli ma, per qualche misteriosa ragione, s’era fermato, lasciando l’opera d’insabbiamento a metà. Dalle diciture sull’epistilio, riuscimmo tentoni a scoprire il nome dell’occupante e poche altre cose. Restavano ancora quelle sugli stipiti.
Io e la mia collega stavamo giusto lavorando su queste.
Stavo passando il pennello sopra le incisioni, delicatamente, così da rimuovere sabbie e polveri rendendo più leggibile il testo, quando accade l’inaspettato.
Gwen alle mie spalle scattava foto a ripetizione, da selezionare nel pomeriggio. Tutt’a un tratto la terra e le pareti cominciarono a tremare.
La collega ed io ci guardammo, visibilmente allarmati. Ricordo d’aver pensato: “cazzo, sono qui da nemmeno tre mesi e già sto per morire. Sfiga persecutrice!”
Abbandonammo immediatamente le nostre occupazioni e fuggimmo via, in tempo per evitare che una parte del soffitto ci crollasse addosso.
Facemmo in tempo. Una parete, quella destra, era venuta giù d’improvviso, sbriciolandosi come biscotto.
Il fragore prodotto, ha presto richiamato l’attenzione degli altri membri della equipe. Hoxha in testa al gruppo, è accorso in nostro soccorso. Fortunatamente eravamo intatti… lo restammo per poco.
Non so quale dio del cielo abbia protetto me e Gwen dalla collera del professore. Dio mio, non l’avevo mai visto tanto arrabbiato e preoccupato al tempo.
Volle sapere immediatamente cosa era accaduto e per quale motivazione. Io e la mia collega, ovviamente, non potemmo spiegargli nulla: non sapevamo noi perché era avvenuta quella frana!
Lasciati passare alcuni minuti così da far depositare il polverone e render l’aria quantomeno respirabile, siamo rientrati nel vano. Era necessario fare una constatazione dei danni subiti alla tomba. Ma quel che abbiamo visto ci ha lasciati di stucco…”

Adam Talib Rayan, specializzando 26enne in egittologia ad El Cairo, smise d’aggiornare il proprio diario elettronico, ancora sconvolto dal ricordo di quanto accaduto in giornata. Di rado potevano verificarsi simili situazioni. Anzi, mai accadevano se non nei libri di avventura. Prima una tomba anomala priva d’iscrizioni e dall’occupante sconosciuto, poi un crollo improvviso della parete ed in fine la scoperta sensazionale d’una stanza segreta e del suo contenuto. E la cosa assurda era che in ben dodici anni di duro, incessante e costoso lavoro, non avevano mai notato l’esistenza di quella stanza o quanto meno capito che la parete fosse finta. Nemmeno il georadar e le varie tecniche di prospezione geofisiche ne avevano indicata la presenza. Come diavolo era sfuggita una cosa del genere? In sole ventiquattro ore avevano ottenuto più dati che in una dodecade! Dopo tutto questo, Adam poteva tranquillamente scriverci su un romanzo che nemmeno Dan Brown ne sarebbe stato capace, ne era certo.
Fuori dalla tenda-laboratorio era calata la notte già da parecchio tempo. La luna brillava in una falce argentea nel cielo terso, levandosi in gran pompa alle spalle del Nilo. Il ventiseienne amava il vento notturno del suo paese, l’aria frizzantina dopo la canicola diurna lo aiutava a distendersi durante il lavoro, cullandolo e quasi ispirandolo con i suoi refoli pregni di aromi orientali. Nulla del genere si poteva trovare in Europa, dov’era cresciuto.
Braccia dietro la nuca, si schiacciò sbuffando contro lo schienale della sedia pieghevole che, vecchia e malandata, scricchiolò un po’. Fissava lo schermo nel notebook sul tavolino avanti a se, lasciando scorrere di quando in quando lo sguardo sul “tesoro” appena recuperato. Lo avevano ribattezzato “l’ultima testimonianza”, un nomignolo altisonante, da vero best seller, quasi inappropriato per un pugno di frammenti papiracei come quello. Cinque pezzi in tutto, rimanente parte d’un rotolo ben più lungo, ove stava narrata, probabilmente, la storia di Ati il sacerdote, legittimo proprietario della KV64, la cui mummia adesso riposava quieta in un magazzino del museo, non accessibile ai visitatori. Un cadavere sconosciuto aveva acquistato un nome, un’identità. Adesso Ati era tornato alla storia. E della sua storia, scritta di pugno dsi suo pugno, non restavano che vaghe tracce. Il resto, come tutto il suo mondo, era ormai polvere dimenticata.
Quel che però lasciava Adam sconcertato era il racconto. Sì perché, il testo sembrava terminare con una sorta di dichiarazione, o meglio, di testimonianza per nulla dissimile da un racconto di fantasia. Ati affermava d’essere custode d’un millenario ed importante segreto, legato al dio cui porgeva servizio: Osiride.
Adam aveva letto e riletto i geroglifici un centinaio di volte dacché aveva assunto il compito (impostogli dal professore, ovviamente e non certo preso di propria volontà) di tradurli. Non aveva alcun beneamato senso logico. Non ci capiva una mazza di quanto scritto. Aveva tradotto, e senza errori. Era persino riuscito a mettere i frammenti nell’ordine corretto. Ma ciò nonostante, quanto leggeva era assurdo.
Non che fosse sgrammaticato, ma appariva più il discorso di un pazzo o, forse è più corretto dire, d’un credulone.
Il giovane archeologo diede un’occhiata alla trascrizione computerizzata dei geroglifici, soffermandosi ancora una volta sulla parte finale, quella interessante e nonsense (come la definiva lui).
Rilesse ad alta voce la traduzione che ne aveva dato.
-“Ascoltate le parole di Ati, servo di Osiride. Egli dice: Io, sacerdote di Osiride… seimila anni… gli dei scesero sulla terra… i figli attraversarono il Grande Verde e crearono l’Egitto intero… isola sotto la Terra Rossa… celato per l’eternità… Io ho visto. Io sono nella verità… questo è segreto… tomba di Osiride-.
Sbuffò spazientito passando una mano fra i corti capelli scuri. Il tutto sembrava filar a dovere, il senso logico lo aveva. Ma non centrava nulla con i miti ancestrali di quelle terre. Mai aveva udito una cosa simile… ma forse, si disse, il professor Hoxha avrebbe saputo comprenderlo meglio di lui. Magari era solo una burla del povero Ati… sebbene non comprendesse cosa potesse averlo spinto a scrivere simili storie in procinto di morte.
-Diavolo Ati, vuoi prendermi per il culo?- si ritrovò ad inveire frustrato.
Stanco, decise di ritirarsi nella propria tenda. Avrebbe ripreso l’indomani sera, magari assieme al suo mentore.
Spense il pc, salvando tutti i dati in pendriver, conservò accuratamente i resti del papiro all’interno della tenda-laboratorio e si allontanò barcollante, deciso a gettarsi sulla propria branda il prima possibile.

Poco distante dalla tenda-laboratorio, una figura di nero ammantata osservava il giovane egittologo allontanarsi.
Bene, penso, non avrebbe avuto rogne quella notte e il lavoro sarebbe filato liscio. Cinque minuti, e il gioco era fatto. Alle sue spalle una guardia giaceva al suolo priva di conoscenza.




Note:
-La damnatio memoriae, per chi non lo sapesse era un tentativo all'antica di cancellare dalla storia l'esistenza d'una qualche persona. Questo atto, in uso presso egizi, romani fino anche al medioevo, era da considerarsi come una vera e propria maledizione, soprattutto se concerne l'Egitto dove, per poter vivere nell'aldilà e raggiungere la Duat, era necessario che il nome del defunto fosse scritto e di conseguenza ricordato (le parole, scritte ed orali, per gli egizi possedevamo potere magico). Questo in breve.
-Osiride (Wsir) credo non sia necessario descriverlo, è abbastanza noto. Dirò che, mitologicamente fu il primo sovrano d'egitto (secondo Manetone, che lo classifica come semidio), appartiene alla razza divina di cui è uno degli ultimi nati, sposo di Iside (Aset), padre di Horus (Herwr) e fratello di Seth (Set). Dio della resurrezione e dell'oltretomba.
-Il Grande Verde (Uadj-Wr) è il mare, precisamente il Mediterraneo.
-La Terra Rossa (Desheret) è il nome del deserto. 
   
 
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