Love your smile.
«É un pessima idea, lo sai vero?».
«Sarà la centesima volta che lo ripeti, in tre giorni. Se anche non ne
fossi stato consapevole, direi che l'ho capito».
«E lo stai comunque facendo. Quindi sono autorizzata a ripetertelo».
«Non cambierò idea, ormai sono in gioco».
«Non finirà bene».
«Buona giornata anche a te, Rachel».
Kurt chiuse velocemente la conversazione e passò attraverso le porte
scorrevoli dello stabilimento, cercando di apparire quanto più serio e
professionale possibile, nonostante fosse il suo primo giorno ed il suo primo
incarico.
In cuor suo sperò che nessuna delle parole dette dalla sua migliore amica
fosse vera – insomma, non stava facendo davvero nulla di male, era un fotografo
che prendeva servizio per la Calvin Klein.
Gli girò la testa. Stava prendendo servizio alla Calvin Klein. Lui, Kurt
Hummel. Si fermò per prendere un bel respiro: forse, dopotutto Rachel aveva
ragione – stava facendo un passo enorme senza avere alcuna certezza. In fondo
lui non era un professionista e anche se aveva studiato fotografia,
probabilmente non era adatto per un simile lavoro, considerato che la vera
ragione per cui ci stava andando era che -
«Hummel, giusto? La stavamo aspettando, da questa parte!».
In un attimo, il giovane fotografo perse il filo dei suoi incasinati
pensieri e si trovò trascinato da una donna lungo un corridoio: ora non poteva
più tirarsi indietro.
«Primo giorno, giusto? Niente panico: fa' il tuo lavoro e nessuno ti dirà
nulla. Se ti hanno preso vuol dire che ci sai fare».
Quelle parole avrebbero dovuto incoraggiarlo? Kurt deglutì e tentò di
rimanere calmo: certo, se l'avevano preso doveva esserci un motivo, ma da qui
ad essere all'altezza della situazione ne passava di acqua sotto i ponti!
«Questi sono i camerini dei modelli, lì in fondo c'è un bagno comune, sulla
destra trovi l'ala delle stanze dei fotografi – la tua è la 10 –; da questa
parte, invece, ci solo le stanze dove lavorerai. Al momento devi andare nella
4, già sono al lavoro» e la donna ancora anonima raggiunse a grandi passi la
stanza suddetta per poi gettarvi dentro un Kurt spaurito e spaesato.
Il ragazzo si voltò per dar voce alla prima delle decine di domande che
aveva, ma la donna aveva già chiuso la porta davanti al suo naso. Sospirò
lentamente, chiudendo gli occhi e tentando di farsi coraggio; poi si voltò,
giusto in tempo per trovarsi almeno cinque paia di occhi che lo fissavano.
Quale inizio migliore avrebbe potuto avere? L'istintiva voglia di darsela a
gambe levate fu soppressa con chissà quale forza, mentre fece qualche passo
avanti, in silenzio.
«Tu sei quello nuovo, giusto?», chiese un uomo bruno, con una cartellina in
mano.
«Kurt Hummel, signore», confermò il ragazzo, tendendogli la mano; questo la
strinse brevemente.
«Per ora resta a guardare come si fa, più tardi proverai degli scatti».
Kurt annuì col cuore in gola, mentre uno dei tre fotografi presenti nella
stanza riprese a scattare, dando indicazioni per pose diverse. Alzò lo sguardo
verso il modello e rimase qualche istante fermo ad ammirarlo: i capelli biondi
e corti, un viso pulito ma formato e degli occhi chiari che proprio in quel
momento trovarono i suoi. Era davvero bello.
Ci mise qualche istante di troppo a distogliere lo sguardo, così che
l'altro ragazzo sorrise appena e gli si avvicinò.
«Sono Sam», si presentò, fermando arbitrariamente il servizio fotografico
«E tu sembri parecchio... spaesato».
Kurt gli strinse la mano arrossendo appena. Avrebbe dovuto rispondere? E
per dire cosa?
«Io... sì, ma ci metto poco ad abituarmi», riuscì a rispondere sicuro.
Il modello sorrise, battendo una mano sulla sua spalla e tornando
velocemente davanti all'obiettivo, di nuovo calato nella parte. Kurt si sentì
immediatamente più rilassato, come se quel semplice gesto avesse rotto il
fatidico ghiaccio e adesso fosse già parte del gruppo.
«Sam sa sempre come mettere le persone a proprio agio», gli sussurrò una
ragazza e lui si trovò di nuovo a sorridere, d'accordo.
Forse dopotutto non sarebbe andata così male...
«Per oggi abbiamo finito, Evans», fece il fotografo professionalmente, per
poi rivolgersi al nuovo arrivato «Ti occupi tu del prossimo photoshoot,
d'accordo? Così vediamo di che pasta sei fatto!».
Kurt annuì, deciso, ma non poté fare a meno di notare una nota discordante
negli occhi del biondo – avrebbe voluto chiedergli per cosa fosse quando un
altro ragazzo entrò nella stanza, attirando l'attenzione di tutti. Hummel non
fu da meno e anzi, appena si rese conto di chi fosse, il cuore gli saltò in
gola.
«Kurt Hummel, ti presento Blaine Anderson», fece l'uomo avvicinando il
nuovo arrivato al modello.
«Piacere», sussurrò questi, ma Blaine non lo degnò di uno sguardo, puntando
invece i suoi occhi sull'altro.
«Spiegami perché devo lavorare con lui, Alex!», sbottò scocciato.
«Perché ora lui fa parte del nostro gruppo di fotografi», rispose secco
l'uomo, facendo poi un cenno di capo in direzione delle luci.
Blaine sbuffò e vi si avviò lentamente: certo, ora quel ragazzino faceva
parte della troupe, ma non capiva perché a fare da cavia doveva essere proprio
lui! Avevano Sam lì, che ci sapeva fare con i nuovi arrivati e invece spettava
a lui fargli da babysitter.
Si mise in posizione, aspettando irritato che l'altro fosse pronto e poi
prese in mano la situazione, senza dare tempo al ragazzo di indicargli come
muoversi, ma spostandosi da sé in pose ogni volta diverse. Kurt dal canto suo
scattava, senza sapere se intervenire o meno, fino a che non ne ebbe
abbastanza. Abbassò l'obiettivo e lo stette a guardare.
«Sono tutte... ottime pose, Blaine, ma-»
«Anderson».
Davvero? Gli stava davvero dicendo che doveva chiamarlo per cognome? Alzò
per un attimo lo sguardo e tornò a parlare.
«Anderson, ma sei freddo e senza voglia. Capisco di essere nuovo e
che la cosa ti secchi, ma qua si tratta di professionalità», disse serio –
certo, non era un fotografo esperto, ma quello pareva essere un affronto
personale e non l'avrebbe tollerato oltre.
Il modello non riusciva a credere a quello che aveva appena sentito: il
novellino gli stava dando delle lezioni su come posare? Era inconcepibile!
«Stammi a sentire, fino a prova contraria quello nuovo qua dentro sei tu e
nessuno ti ha autorizzato a dare lezioni a chi c'è già da tempo!», esclamò
risentito.
Kurt sorrise.
«Ecco, questo andava già meglio! Furioso, certo, ma almeno sei vivo! Credo
che se gli stilisti cercassero solo dei manichini su cui poggiare le loro
creazioni, non prenderebbero delle persone vive, ti pare? Non porti solo
l'abito, sei parte di esso. Una grande parte!».
Blaine rimase spiazzato. Per un attimo trattenne il fiato, colpito da
quelle parole. Kurt poté vedere l'ambra dei suoi occhi sciogliersi e seppe di
aver fatto centro. Era come immaginava, era sempre stato come immaginava.
«Prova... prova a camminare verso di me serio. Fai qualche passo – diciamo
cinque – poi voltati verso Sam e sorridi. Non è difficile».
Il modello non trovò modo di ribattere, ancora spiazzato dalle parole del
nuovo fotografo, ma fece qualche passo indietro ed eseguì i movimenti che gli
erano stati detti.
«Sorridi Blaine, sorridi! Pensa di aver visto un vecchio amico, qualcuno di
speciale e sorridigli come se fosse la cosa migliore al momento», lo incoraggiò
Kurt e l'altro ci provò con tutto se stesso. Ripensò alla Dalton, la vecchia
scuola dove aveva frequentato le superiori, ripensò ai Warblers, a Wes che era
stato il suo migliore amico e sorrise. Di un sorriso che nessuno lì aveva mai
visto, che apparteneva ad un Blaine che non si era fatto vedere da tanto tempo.
«Bellissimo...», si lasciò scappare Kurt mentre scattava. Perché a pensarci
era nato tutto con quel sorriso...
Il resto dei presenti era rimasto positivamente sorpreso dal modo in cui
Kurt aveva tirato fuori una parte di Blaine che nessuno aveva mai visto: non
era il primo a fargli notare che mancava passione e vitalità nei suoi scatti,
ma molti avevano fatto in modo che compensasse quel calore con una freddezza
che stupiva quasi in egual modo. Fino ad ora non si erano accorti di quanta
differenza facesse invece sul viso di Blaine.
«Sai... Io credo che per essere convincenti, ad una sfilata, bisogna
mostrare tutto se stesso. È come mettersi a nudo di fronte a chi osserva, ma
senza alcuna confessione verbale. Bastano gli occhi ed il viso. Il vestito che
porti addosso è solo parte del lavoro che devi fare... il resto lo fa il corpo
che lo indossa...».
Kurt non sapeva perché aveva detto quelle cose: le sentiva come vere. Alle
volte aveva visto modelle che davvero mostravano tutto di sé con un semplice
sguardo e avrebbe davvero voluto che anche Blaine provasse a farlo.
Dal canto suo il modello lo fissò per qualche istante interminabile per poi
andare via con una certa fretta, come se stesse scappando. Il fotografo lo
guardò preoccupato: probabilmente aveva esagerato e forse Anderson si era
offeso per le sue parole da “grande filosofo”?
Ma per il sorriso che aveva regalato alla macchina fotografica, ne ara
valsa la pena.
«Ben fatto, ragazzo», si sentì dire da Alex «Non era mai successo che
qualcuno riuscisse ad entrare così in contatto con Blaine».
«Pensa che se la sia presa?».
«Staremo a vedere. Sam, accompagnalo a fare una passeggiata, per stamattina
abbiamo finito».
Il biondo lanciò un sorriso a Kurt, facendogli strada fino a che non
uscirono dal palazzo.
«Caffè?», chiede cortese, ma l'altro scosse la testa.
«No, grazie. Ci sono andato... pesante, con Blaine intendo?».
Sam si accigliò un po', fermandosi e appoggiando la schiena contro il muro.
«Non è un tipo molto aperto. Non da quando lo conosco. Con me capita che si
confidi, ma credo di essere un'eccezione. Ha... ha avuto dei problemi con i
suoi genitori, credo. Sta di fatto che ha imparato a stare da solo e ci si
trova bene – o così dice».
«L'avevo immaginato...».
«Ma tu lo hai smosso, accidenti! Ne sono davvero impressionato! Da quanto lavori
in questo campo?».
Kurt arrossì. Per qualche istante entrò in panico.
«É il primo incarico. Il primo... primo», cercò di dire rimanendo calmo.
«Beh, complimenti! Hai occhio!» e gli diede una nuova pacca sulla spalla,
facendolo ridere.
«Spero che Blaine la pensi allo stesso modo. Per ora è certo che mi odia».
Sam sorrise, enigmatico e poi lo invitò a continuare quella passeggiata.
***
Checché ne dicesse Sam, dopo una settimana Kurt era ormai certo che Blaine
– Anderson, come ancora voleva che lo chiamasse – lo odiasse. Da quel giorno
aveva fatto in modo che non capitasse mai con lui e se succedeva, evitava di
rivolgergli la parola e dava l'impressione di non vedere l'ora di andare via.
Kurt aveva provato a parlargli, fosse anche chiedergli scusa, ma non aveva
ottenuto altro che rifiuti atoni, tanto che era arrivato al punto di desiderare
anche che lo prendesse a pugni piuttosto che gli riservasse quel comportamento
indifferente.
Quello che non sapeva era che per Blaine lui era tutt'altro che indifferente.
Il modello non aveva smesso di pensarlo da quando si erano parlati, perché lui
era stato il primo dopo tanto tempo che lo avesse smosso: si era creato
un'immagine, da quando lavorava lì, e a Kurt era bastato un attimo e poche
parole per farla crollare. Lo aveva fatto sorridere e aveva riportato alla
mente ricordi che credeva di aver perso.
E aveva fatto male ricordare, ma lo aveva fatto sentire improvvisamente
vivo. Lui, che aveva bandito gli affetti ed il calore umano dalla sua vita, ora
si sentiva improvvisamente fragile ed umano. Per questo tentava di tenersi
quanto più lontano possibile da lui, per paura che accadesse di nuovo, perché
non sapeva se fosse un bene...
Quella sera, mentre stava per andare via, si trovò a passare davanti il
camerino di Kurt e la vista del suo nome sulla porta gli riportò alla mente le
sue parole. Non seppe bene per quale motivo, ma si scoprì – dopo giorni che lo
evitava – a bussare alla sua porta.
«…Hummel?», chiamò, ma nessuno lo rispose «Hummel, sei dentro? Posso entrare?».
Quando gli rispose di nuovo solo il silenzio, il modello si decise ad
entrare. La stanza era vuota e – notò, dopo aver acceso la luce – anche molto
ordinata. Blaine girovagò prestando attenzione alle varie cose con cui l’aveva
arredata: un paio di soprammobili, dei fermacarte colorati con delle foto si sé
e – immaginò – la famiglia, ed altri
piccoli oggetti che rendevano l’ambiente particolare ed allegro. Pensandoci,
non si sarebbe aspettato nient’altro da un ragazzo come Kurt.
Stava per lasciare la stanza, facendo finta che non ci fosse mai entrato,
quando da un cassetto mezzo aperto, scorse una cartellina di carta, con sopra
scritta una sola lettera. B. Non dovette pensarci per più di qualche istante,
prima di decidersi ad aprirla, in barba a tutti i diritti sulla privacy.
Non appena ne vide il contenuto, desiderò non essere mai entrato in quella
stanza. Erano foto, una decina di foto che lo ritraevano – foto rubate, in
momenti in cui lui non si era accorto di avere un obiettivo puntato addosso, ma
soprattutto foto vecchie di almeno un mese, o forse anche due. Foto di prima
che Kurt cominciasse a lavorare con la Calvin Klein.
Blaine rimase fermo sul posto, le mani che stringevano le foto più per
bisogno di tenersi stretto a qualcosa che per altro. La testa girò lievemente,
mentre tentò di realizzare quello che stava succedendo. Kurt aveva delle sue
foto, foto che aveva scattato da solo e di cui lui non s’era accorto. Cos’era,
uno stalker? Per quale maledetto motivo aveva quelle
foto, perché era venuto a lavorare con loro, perché aveva detto proprio a lui
quelle parole?!
Le domande lo schiacciavano e gli parve di non poter più respirare.
Tremava, tremava di rabbia e –non lo avrebbe mai ammesso a se stesso – di
dolore. Nonostante tutto, nonostante lo evitasse e tentasse di dimenticarlo,
quella situazione faceva male.
«Anderson! Che cosa ci fai qui?».
La voce del fotografo lo fece sussultare e voltare di scatto, con ancora le
foto in mano. Fu la prima cosa che notò Kurt e capì immediatamente che stava
per succede un disastro.
«Ascolta… io posso spiegarti…».
«Non c’è nulla che tu possa
spiegare! Chi diavolo sei?! Perché sei qui, perché hai delle mie foto? Mi stai
spiando? Chi cazzo sei per fare una cosa del genere?».
«No, no! Ti sbagli! Non ti stavo spiando, non stavo facendo nulla del
genere… so che può sembrarlo, ma davvero, non è
così!» e Kurt avrebbe voluto fare un’uscita migliore di quella battuta da film
romantico di seconda classe, ma Blaine non gli diede tempo di dire nient’altro.
«Prendi la tua roba e sparisci! Se domani ti trovo di nuovo a lavoro, giuro
che ti denuncio! Non voglio vederti mai più!», gridò, lanciando via le foto e
lasciando la stanza.
A nulla valsero le grida di Kurt di tornare indietro: il modello corse via,
sotto la pioggia che cadeva e nascondeva vergognose lacrime. Perché nonostante tutto, lui aveva creduto
che Kurt fosse diverso, che quelle parole fossero sincere, che avesse capito di
lui qualcosa che gli altri non immaginavano neanche e che Sam aveva solo
intravisto.
Si era illuso che Kurt fosse diverso, invece era come tutti gli altri –
aveva scopiazzato quelle frasi ad affetto chissà da dove solo per far colpo su
di lui… ma in realtà neanche a lui fregava nulla.
***
Quella notte, Blaine non aveva dormito affatto e questo sarebbe davvero
stato un problema per il servizio fotografico che avrebbe dovuto fare nel
pomeriggio. Avrebbe tanto voluto annullare l’impegno e stendersi da qualche
parte, recuperare l’equilibrio che al momento definire precario sarebbe stato
dire poco.
Sperava almeno di non dover rivedere più Kur-
Hummel. Sì, era solo Hummel, uno sconosciuto che aveva tentato di ferirlo. Ma
non ci era riuscito, era ancora in piedi e sarebbe andato avanti come aveva
fatto fino ad ora.
Il modello entrò nel suo camerino in modo svogliato, ma non poté fare a
meno di non notare qualcosa di colorato a terra. Quando si abbasso per
prenderla, si accorse che era una delle sue foto… una di quelle foto? L’impulso di gettarla nel cassonetto fu forte, ma
prima che lo facesse, si accorse che il resto era scritto. Una calligrafia
sottile ed elegante riempiva tre quarti dello spazio.
Era firmata da Kurt.
“Sei andato via e non ho avuto il tempo di spiegarti come
stanno le cose… ma ci tengo davvero a farti sapere il perché di quelle foto.
Non dovrebbe importarmi, dopotutto, ma è così. Sono davvero un fotografo e
questo è era davvero il mio primo incarico
importante. Non ti ho mentito. Mai. Ma non sono stato sincero con te – e tu non
me ne hai dato occasione.
Vedi questa foto? È la prima che ti ho scattato. Non
l’avevo neanche fatto di proposito. C’era una sfilata ed ero andato a guardarla
con un paio di amici, senza alcun impegno. Ho cominciato a scattare foto
casuali al paesaggio e alla folla… e poi sei capitato tu. Non me ne sono
neanche accorto fino a che non le ho scaricare sul pc.
Guardati. È questo che intendevo il nostro primo giorno.
Non so che cosa ti avesse detto Sam – ora so che è Sam quello accanto a te – ma
hai un viso così rilassato ed un sorriso così bello che sono rimasto senza
fiato. Per non parlare dei tuoi occhi…
Mi sono informato – sì, ho fatto delle ricerche su di te
per sapere chi eri, puoi biasimarmi per questo. E quando ti ho visto… non lo
so, non ho idea del perché, ma dovevo conoscerti. Forse per la differenza così
abissale che vedevo nelle tue foto di lavoro rispetto alla mia, forse perché
sono completamente impazzito… Non lo so.
Volevo vederti e conoscerti, capire perché spegnevi e
nascondevi una parte di te quando posavi e mi sono lasciato trascinare dalla
cosa: sono stato alle tue sfilate , ho provato invano a catturare di nuovo
quello che avevo visto la prima volta. Alla fine ho deciso di farmi assumere.
Rachel mi aveva detto che sarebbe andata male, ma non le ho dato ascolto. Ci ho
messo mesi, ma sono entrato.
Guarda quella
foto, Blaine. Puoi biasimarmi per quello che ho fatto? Sei bellissimo: quando
sorridi in modo affettuoso i tuoi occhi si sciolgono e diventano lucidi ed il
tuo sorriso è meraviglioso. Volevo semplicemente che non ti privassi di quel
sorriso… io… mi spiace, mi spiace di tutto Blaine.
Davvero. Vorrei solo dirti
Kurt Hummel.
Blaine aveva gli occhi lucidi, mentre tornava a
guardare la foto su cui era scritta quella lettera. Sì, ricordava perfettamente
quella serata, circa tre mesi prima. Stava parlando con Sam, gli stava
raccontando di uno scherzo che Nick e Jeff – due suoi vecchi compagni di scuola
– avevano fatto al resto dei Warblers – il suo Glee Club. Era stata una delle
rare volte in cui guardare al passato non aveva fatto male.
Improvvisamente, seppe che cosa fare. Aveva
sbagliato ogni cosa! Aveva giudicato senza lasciar spiegare, aveva condannato
senza concedere difesa. Ma forse era ancora in tempo. Scattò dal suo camerino
fino alla reception.
«Julie, Hummel stamattina è venuto?», chiese col fiatone.
La ragazza lo guardò stranita.
«È uscito meno di un minuto fa. Ha dato le
dimissioni. Sembrava… triste».
Blaine non le diede tempo di dire altro e scattò
fuori, bloccandosi però quasi subito perché non sapeva se Kurt avesse svoltato
a destra o a sinistra. Era più di una settimana che staccavano tutti insieme e
non sapeva in che modo era solito raggiungere questo posto. Cercando di fare
mente locale ricordò che a più o meno mezzo chilometro di distanza doveva
esserci una delle entrate della metropolitana. Poteva essere quella la sua
meta.
Senza esserne del tutto sicuro, prese a correre
verso sinistra, badando appena alle persone che urtava nella corsa, intento
solo a cercarlo tra la perenne folla di quelle strade.
Quando lo vide, accanto ad altri, che aspettava
che il semaforo dei pedoni diventasse verde, quasi non gli parve vero.
«Hummel!», gridò, ma nella confusione – o almeno
sperava che fosse per quello – l’altro non lo sentì.
«Hummel!» disse di nuovo, stavolta quando gli fu
alle spalle e l’altro finalmente si voltò, rimanendo stupito, probabilmente,
dal fatto che fosse lì davanti a lui.
«Sei venuto a concludere la sfuriata di ieri,
Anderson?», gli chiese, recuperando la freddezza che lo stupore gli aveva fatto
perdere.
Il modello restò a guardarlo per qualche
istante, poi scosse la testa.
«Non avrei dovuto giudicarti… io… sembrava tutto
così chiaro…».
«Non sempre le cose evidenti sono quelle
esatte».
Kurt continuava a trattarlo con freddezza e
Blaine non sapeva per quanto avrebbe retto quella situazione.
«Ti sto dicendo che mi dispiace, accidenti! Tu
cosa avresti pensato al mio posto?».
Stavolta fu Kurt a restare qualche istante senza
parole.
«Ti avrei lasciato quanto meno spiegare il
perché!»
«E per questo ti sto chiedendo scusa! Ascolta…
non è facile per me… fidarmi. Preferisco essere solo piuttosto che perdere le
persone a cui mi lego o essere tradito da esse… quindi non puoi biasimarmi per
la scenata che ho fatto. Ma mi spiace, perché ho esagerato e perché in fondo… hai
ragione tu: non sorrido spesso, ma c’è un motivo se – Attento!».
Blaine non finì il discorso perché un pullman
passò velocemente davanti a loro, schizzando l’acqua della pozzanghera che si
era formata ai bordi del marciapiede. Il modello ebbe i riflessi abbastanza
rapidi da prendere l’altro per le spalle e farlo spostare, in modo da rivolgere
le proprie spalle all’acqua e non far bagnare Kurt.
Il fotografo non capì molto fino a che non si
vide il modello bagnato dalla testa ai piedi, mentre lui era perfettamente
asciutto. Ma quello che più lo lasciò interdetto fu il meraviglioso sorriso che
ora stava illuminando il volto di Blaine.
«Fino ad ora sei stato la prima persona – a
parte Sam – che ha provato a capirmi un po’ di più e ti devo un grazie per
questo. Davvero Kurt. Ci sono così tante cose nel mio passato che mi hanno
ferito – i miei genitori, innanzitutto – che è difficile per me avere ancora
qualcosa per cui valga la pena sorridere. Ma quando mi hai detto di farlo, il
primo giorno… mi sono trovato a pensare alla stessa cosa che mi aveva fatto
sorridere nella tua prima foto, ai miei vecchi amici… non lo facevo da così
tanto che li avevo dimenticati. Grazie».
«P-prego. Immagino fosse questo il mio scopo…
insomma, dirti di sorridere un po’ di più. Amo il tuo sorriso».
Una risata scappò dalle labbra di Blaine, mentre
il colorito di Kurt diventava rosso per l’improvvisa confessione.
«Suppongo che siamo partiti col piede sbagliato…
Che ne dici di ricominciare da capo?», chiese, porgendogli poi la mano.
Il fotografo piegò appena la testa curioso, con
un mezzo sorrisetto che saliva spontaneo sulle sue labbra.
«Scusami, ciao. Posso chiederti un’informazione:
sono nuovo qui…»
«Mi chiamo Blaine»
«Kurt. Sai dove posso trovare la sede della
Calvin Klein? Avrei delle dimissioni da ritirare…».
«Ti accompagno con piacere. Anche perché dovrei
cambiarmi», scherzò Blaine.
Poi, senza che l’altro se l’aspettasse, lo prese
per mano e cominciarono a ripercorrere i propri passi. Insieme.
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Wow! Rieccoci ancora una volta!
Stavolta è Alch che vi parla, e vi posso garantire che questo prompt (Photographer/Model) mi ha davvero messa in difficoltà… sono stata a pensarci su tutta la notte e stamattina è finalmente giunta una sottospecie di idea che lentamente si è sviluppata. Spero non sia così male e che possiate apprezzarla… Di mio, ho messo tutto quello che potevo :D
Ad
domani, con i Dalton!Klaine ♥
Alch