Figlia della Notte
Capitolo IV
Il Lumaclub
L |
entamente
la stagione estiva aveva lasciato il posto a quella invernale: le giornate
ventilate di novembre erano scivolate poco alla volta in quelle fredde di
dicembre. Le verdi colline che circondavano Hogwarts ora erano di un candido
bianco; il grande platano nei pressi della Foresta Proibita scuoteva di tanto
in tanto i propri rami, cercando di scrollarsi di dosso la bianca e fredda neve
che vi si depositava scendendo con estrema lentezza in grossi fiocchi.
Dentro
il castello, ormai, gli studenti e i professori avevano cominciato a girare
coperti. Ognuno girava imbacuccato a propria scelta: sciarpe, cappelli,
mantelli e guanti, tinti con i colori della propria Casa, erano di gran lunga
preferiti ai colori cupi come il nero, il grigio e tutte le loro tonalità. Nei
corridoi del castello faceva molto freddo e gli studenti raramente sostavano
più di qualche minuto in giro: solo nelle stanze chiuse, come le Sale Comuni, i
Dormitori, la Sala Grande, la biblioteca e le aule possedevano un
riscaldamento.
Nonostante
il freddo, però, tra tutti, insegnanti compresi, riluceva una certa allegria.
Il Natale si stava avvicinando e con esso anche le vacanze. C’era già chi
cominciava a fantasticare sui regali. Gli studenti dal terzo anno in su, erano
appena stati ad Hogsmeade e tornati dal piccolo paese, erano cominciati a
girare doni di ogni tipo. I più in voga erano forse gli scherzi di Zonko, che,
tra luci colorate, polveri brillanti e piccoli Babbi Natale, adornavano
felicemente le stanze.
In
una mattinata gelida e nuvolosa poco prima delle festività, due vispi occhi
azzurri osservavano affascinati il paesaggio di Hogwarts e dintorni, dietro al
vetro di una grande finestra.
Con
un sospiro, Albus Silente si staccò dalla vetrata e passò lo sguardo intorno a
sé. Si trovava nel suo ufficio, collocato su una delle innumerevoli torrette
del castello.
La
stanza era illuminata, oltre che dalla luce esterna, da alcune candele che
volteggiavano pigramente nell’aria a pochi metri da terra. In un angolo strani
strumenti d’argento giacevano silenziosi sopra un tavolino dalle gambe sottili;
al centro della stanza troneggiava un’enorme scrivania con zampe ad artiglio su
cui era posata in modo disordinato una massa di fogli ingialliti. Le pareti
circolari erano tappezzate di quadri che rappresentavano i precedenti presidi
di Hogwarts e che in quel momento riposavano tranquilli nei loro rispettivi
quadri. Poco più in là c’era un trespolo d’oro occupato da uno splendido
uccello rosso fuoco, anch’esso placidamente addormentato.
Il
preside si avvicinò alla scrivania e guardò la pila di fogli con aria stanca.
Si passò una mano sulla fronte, si sedette e inforcò gli occhiali. Iniziò poi a
prendere un fascicolo alla volta, e a scartarne uno dietro l’altro. Dovette
arrivare quasi fino in fondo alla pila prima di trovare ciò che cercava.
Osservò
attentamente le parole scritte in bella calligrafia sulla copertina azzurro
opaco del fascicoletto: Tom Orvoloson Riddle.
Silente
gettò un’occhiata al quadro oltre la scrivania. L’ex preside di Hogwarts,
Armando Dippet, sonnecchiava appoggiato alla cornice del suo quadro. Era stato
proprio lui, molti anni prima, a scrivere quelle tre semplici parole e a
classificare l’allora studente insieme a tutti gli altri.
Il
preside aveva impiegato mesi per trovare quel semplice fascicoletto, sepolto in
uno scaffale nell’immenso archivio della scuola. Naturalmente ogni fascicolo
era stato protetto con un incantesimo anti-appello e questo gli era costato un
faticoso lavoro in più. Non aveva neanche chiesto aiuto ad alcuno. Perché?
Perché semplicemente non poteva.
Lo
aprì ed estrasse delicatamente i fogli all’interno, avendo cura di non
rovinarli. Percorse velocemente con lo sguardo le pagine ingiallite dal tempo,
leggendo sprazzi di frasi qua e là. Sfogliò quei fogli per un buon quarto
d’ora, alla fine del quale ebbe la certezza di non aver scoperto niente di più
di quello che già non sapesse. Ore e ore di lavoro buttate via.
Chiuse
gli occhi e si accarezzò pensieroso la lunga barba argentea.
La
notizia dell’uccisione della famiglia Robert non era certo passata così com’era
arrivata. Ancora adesso, a più di due mesi di distanza, gli Auror stavano
indagando sui possibili assassini. I vicini avevano detto di aver sentito dei
rumori provenire dalla casa e di aver poi visto smaterializzarsi nel cortiletto
un gruppo di persone incappucciate. La cosa che inquietava sicuramente di più
era lo spaventoso simbolo che era comparso misteriosamente sopra la casa.
Dopo
l’assassinio della famiglia altre cose erano successe: in tutto il paese erano
state segnalate misteriose sparizioni, e tutte erano molto stranamente capitate
a maghi o streghe Mezzosangue o Nate Babbane.
Non
sapeva perché, ma qualcosa gli diceva che tutto quello avesse a che fare con
una persona in particolare.
Ricordava
bene i suoi anni da insegnante e ricordava altrettanto bene gli anni in cui era
stato insegnante di Tom Riddle. Pochi sapevano che quel ragazzo ora era
diventato un potente mago oscuro e che si faceva chiamare Lord Voldemort. Molti
erano stati ingannati dalla sua aura: il ragazzo, infatti, si era dimostrato
fin dall’inizio un ottimo studente, bravo in tutto, ma terribilmente attratto
dalle Arti Oscure.
Anni
prima Riddle era tornato, dopo un periodo di misteriosa assenza, e aveva
tentato di prendersi il posto di ministro. Ma qualcosa in lui era cambiato.
Aveva iniziato a proporre le sue idee, aveva creato intorno a se un gruppo di
seguaci. Il suo pensiero era stato chiaro fin da subito: allontanare tutti
coloro che avevano sangue Babbano nelle vene dalla comunità magica.
Naturalmente
aveva avuto subito l’appoggio delle più potenti famiglie Purosangue, che, anche
se in minoranza, avevano senz’altro molto più potere su tutti gli altri.
Ma
Silente sapeva che cosa Riddle voleva veramente, e forse lo aveva sempre
saputo, fin dal primo momento in cui aveva incrociato il suo sguardo con quello
di quel bambino lugubre e misterioso. Quando aveva visto in quegli occhi neri,
privi di ogni più piccola briciola di dolcezza, l’odio, per tutti quelli che
gli stavano intorno.
Era
stato lui, la causa di tutte quelle morti e sparizioni era solo lui, Tom
Riddle.
Silente
percorse ancora una volta con lo sguardo quel nome, sospirando. Di certo non
poteva cambiare il passato, ormai Riddle era diventato ciò che era diventato.
Non credeva ci fossero ancora possibilità per quell’uomo, se così poteva ancora
dirsi, di redimersi. L’oscurità lo aveva fatto suo e molto probabilmente lo
aveva fatto per sempre.
Si
alzò e tornò davanti alla finestra.
Un
pallido sole aveva fatto capolino dietro a una collina e ora illuminava con i
suoi raggi il paesaggio circostante, dipingendolo di rosa. In lontananza uno
stormo di gufi si stava avvicinando lentamente.
Un
solo pensiero passava per la testa del preside, e cioè che, in un modo o
nell’altro, avrebbe fatto del suo meglio per mettere fine a quella storia una
volta per tutte. Forse ci sarebbero voluti mesi, magari anni. Avrebbe dovuto
affrontare un altro mago oscuro, magari avrebbe dovuto anche ucciderlo questa
volta. Ma se questo era ciò che doveva fare lo avrebbe fatto, come meglio
poteva.
Albus Silente pensava
ciò, ma non poteva sapere quanto questi suoi pensieri sarebbero presto stati veri.
***
La
Sala Grande era, come ogni mattina, gremita di ragazzi pronti ad affrontare una
nuova giornata di duro lavoro. Il soffitto incantato quella mattina era di un
grigio cupo che sembrava prepararsi a rilasciare la sua tristezza attraverso
un’altra abbondante quantità di bianca neve.
«Buongiorno!»
salutò allegramente Sophie, sedendosi sulla panca al suo solito posto.
Rose
mugugnò qualcosa e si sedette al suo fianco afferrando una fetta di pane
tostato.
«Sei
pronta per il test di Lumacorno?» chiese Sophie con un sorrisetto furbo dipinto
sul volto.
In
tutta risposta, ricevette dall’amica, solo un sonoro sbadiglio, che esprimeva
tutto l’interessamento di Rose nei confronti della materia.
Sophie
gongolò all’espressione dell’amica e afferrò la brocca del succo di pompelmo
con l’intenzione di versarsene un po’ nel bicchiere quando una gomitata nelle
costole non gliela fece quasi cadere di mano. Sbuffando guardò verso il punto
che Rose le indicava con la mano.
La
sagoma nera di Severus era accostata alla parete di fianco all’ingresso della sala.
Non le fu difficile scorgere accanto a lui la chioma rosso fuoco della sua
amica Grifondoro.
Sophie
sospirò sonoramente e distolse lo sguardo, irritata. «La vuoi finire con questa
storia?» sbuffò amareggiata. «Non ci posso fare niente se Severus insiste sul
voler stare insieme alla Evans!» esclamò.
Era
da mesi che lei e Rose cercavano di convincere il loro compagno a staccarsi una
volta per tutte da Lily, ma non erano riuscite ad ottenere alcun risultato.
Severus trascorreva la maggior parte del suo tempo libero con lei e la
considerava la sua migliore amica. Anche Sophie e Rose erano sue amiche, ma con
loro trascorreva solo il tempo necessario per finire i compiti e rimaneva in
loro compagnia nella Sala Comune di Serpeverde, l’unico luogo della scuola dove
la rossa non potesse accedere. Sophie e Severus erano i migliori Serpeverde del
loro anno e anche grazie al loro aiuto Rose se la cavava abbastanza bene. Anche
la Evans se la cavava: forse per il fatto che fosse una Nata Babbana, ma il
professore di pozioni Lumacorno non faceva altro che lodarla.
«Buongiorno!».
Severus si sedette al loro fianco e addentò un biscotto, sul volto dipinto un
gran sorriso. Ma esso s’incrinò quasi subito, quando vide l’aria truce delle
due. Distolse lo sguardo e lo rivolse verso l’alto, attirato da un improvviso
rumore di ali.
Lo
stormo di gufi della posta fece il suo ingresso attraverso la vetrata laterale
della Sala, volteggiando poi sui quattro lunghi tavoli, alla ricerca del loro
destinatario, a cui dovevano assolutamente recapitare la posta. Uno
particolarmente vecchio raggiunse il tavolo dei Serpeverde e atterrò con
goffaggine di fianco al piatto di Sophie.
La
ragazza guardò il rapace particolarmente stupita. Lo esaminò attentamente e
slegò poi una lettera dalle zampe.
Scorse accigliata la
minuta calligrafia della madre e sempre più curiosa cominciò a leggere:
Ciao Sophie,
mi dispiace di non essere riuscita
a scriverti prima ma ho avuto alcune faccende da sbrigare.
Proprio per questo motivo, credo di
non poter farti tornare a casa per questo Natale. Mi dispiace, ma non posso
farti proprio tornare.
Dai il tuo nome per coloro che
resteranno per le vacanze. Non ti abbattere, vedrai che lì ad Hogwarts ti
divertirai.
Ho letto le tue precedenti lettere,
sappi che sono orgogliosa di te. Continua così.
Un bacio,
Helena
Rilesse
la lettera più volte finché non la seppe quasi a memoria.
«Chi te la manda?». Rose si sporse verso di
lei per leggere la lettera ma Sophie fu più veloce e si ritrasse.
«Niente
che ti riguardi» rispose Sophie, gelida. Piegò la lettera e la ripose nella
borsa dei libri.
Passò
tutta la mattinata pensando alla lettera e a ciò che sua madre avrebbe dovuto
fare di tanto importante da non poter occuparsi di lei per appena due
settimane.
«Si
può sapere cosa ti abbatte così tanto?» le bisbigliò Rose qualche ora dopo,
durante un test particolarmente difficile di pozioni.
Sophie
distolse per un attimo lo sguardo dalla sua pozione che si stava man mano
colorando di un viola brillante. Controllando che Lumacorno non le stesse
guardando, le bisbigliò in risposta:
«Lascia
perdere. Piuttosto, pensi di andare via per Natale?» domandò.
La
ragazza la guardò, stupita per la domanda, e allo stesso tempo indignata per
non aver ricevuto una risposta alla sua di domanda.
«Sì»
disse infine. «Penso che passerò il Natale insieme alla mia famiglia, come al
solito. Perché?» chiese incuriosita.
«Perché
io rimango qui» mormorò Sophie abbattuta.
Rose
rimase interdetta. «Ma non dovevi mica…?».
«Hem,
hem» tossicchiò Lumacorno da sopra la spalla delle due, che colte di sorpresa
sobbalzarono, spaventate. «Signorine! Per favore… se dovessi sentirvi ancora
parlare sarò costretto a farvi interrompere il vostro test e a mettervi un
brutto voto» le rimproverò pazientemente il professore. Le squadrò per qualche
secondo, poi ammiccò loro e ricominciò a girare per la classe, esaminando al di
sopra dei suoi baffoni da tricheco le pozioni dei suoi studenti.
Sophie
arrossì lievemente al rimprovero del professore e si zittì, seguita a ruota da
Rose.
«Ancora
dieci minuti!» annunciò Lumacorno.
Le
due ragazze non si scambiarono più parola. Quando il tempo a disposizione scadde,
gli studenti imbottigliarono le loro pozioni e si avvicinarono alla cattedra
per consegnarle al professore.
Sophie
e Rose si attardarono perché quest’ultima, all’ultimo momento, aveva avuto la
splendida idea di urtare il suo calderone e il suo contenuto si era rovesciato
per terra.
Sophie
riuscì comunque a recuperare un po’ di pozione e a imbottigliarla ugualmente.
Stringendo i denti per evitare di strozzare Rose, Sophie si diresse verso la
cattedra seguita dall’amica, che cominciò a porgerle le proprie scuse
incessantemente.
«Mi
scusi per il danno. La pozione però dovrebbe essere ancora buona» sussurrò
imbarazzata Rose.
Lumacorno
tuttavia la ignorò e si rivolse a Sophie. «Le faccio i miei complimenti,
signorina Stones! Credo proprio che lei abbia un talento naturale per le
pozioni» si complimentò gioviale. «Ah, e anche voi laggiù!».
Due
ragazzi che stavano uscendo dall’aula si fermarono di botto.
«Siete
tutti e tre invitati alla festa natalizia che ho personalmente organizzato. Si
terrà dopodomani sera, alle nove in punto nel mio ufficio. E naturalmente
potete invitare qualche amico!» disse ammiccando verso Rose.
Sophie
rivolse uno sguardo agli altri due ragazzi. Non si stupì di vedere davanti all’uscio
Severus e la Evans.
«Rose,
ti vada venire con me?» chiese, distogliendo lo sguardo. L’altra annuì, poi le
due uscirono dall’aula senza aggiungere una parola.
Due
giorni dopo Sophie scese, puntuale, nella Sala Comune, dove numerosi Serpeverde
parlavano tra loro o svolgevano i compiti per il giorno dopo.
Si
avvicinò al caminetto dove Rose la stava aspettando e si accorse indignata che
con lei c’era anche Severus. Squadrò un attimo quest’ultimo con aria critica: «Hai
deciso di unirti a noi questa sera?» chiese acida.
Severus
si morse il labbro e annuì, silenzioso. Sophie sbuffò e si diresse rapida verso
l’uscita della Sala, cominciando a chiacchierare animatamente con Rose.
Non
dovettero fare molta strada, l’ufficio di Lumacorno non era molto lontano dai
sotterranei. Quando entrarono, la prima cosa che notarono furono sicuramente le
decorazioni natalizie che occupavano l’intera stanza, colorandola di un rosso e
verde brillante. Sophie si accorse anche che la stanza era stata ingrandita: di
certo non poteva essere che il professore avesse un ufficio così grande. Si
chiese quali incantesimi avesse usato.
«Benvenuti
al Lumaclub» li accolse Lumacorno a braccia aperte. «Prego, prego. Accomodatevi
e godetevi la festa!» trillò contento. Dopodiché si girò verso i pochi invitati
e li presentò loro: «Questi due ragazzi sono tra i migliori del loro anno. E
non solo in pozioni, sia chiaro…» ammiccò verso Severus e Sophie e senza
degnare di uno sguardo Rose si allontanò, ricevendo altri ragazzi che stavano
facendo il loro ingresso in quel momento.
«Certo
che è proprio maleducato» mugugnò Rose. «Secondo me non si ricorda nemmeno qual
è il mio nome!» esclamò, incrociando le braccia al petto.
Sophie
si strinse nelle spalle e si avvicinò a una poltrona dall’aria comoda, poco
lontana dal caminetto.
Gli
invitati non erano molti. Vicino al tavolo del buffet si trovava un piccolo
gruppetto di Corvonero, che spiluccavano svogliatamente qualche pezzo di torta,
mentre dalla parte opposta qualche coppia accennava alcuni passi di danza su
una melodia lenta e monotona. Nonostante fosse quasi Natale, e gli studenti
fossero abbastanza contenti di questo per le vacanze imminenti, sembrava che in
quella stanza l’allegria fosse stata risucchiata tutta dai festoni, lasciando
agli studenti un’aria annoiata.
«Non
devono essere molto movimentate queste feste di Lumacorno…» mormorò Rose,
guardandosi intorno.
«Ma
guarda un po’ chi si rivede, Mocciosus!».
I
tre ragazzi si voltarono di scatto, posando lo sguardo sui due nuovi arrivati.
I
due Grifondoro si guardavano intorno con aria baldanzosa. Black sogghignò e
rivolse a Severus uno sguardo diabolico. Potter, invece, si infilò le mani in
tasca e guardò la scena con un sorriso ebete sul volto.
«Stai
alla larga da qui, Black» sibilò Sophie in risposta.
Dopo
il primo scherzo alla scopa, James Potter e Sirius Black non si erano fermati.
Sembravano aver preso Severus, che chissà perché loro apostrofavano Mocciosus,
di mira. Il fatto era che Severus ogni volta si arrabbiava, e i due erano
sempre più convinti a prenderlo in giro. Sophie aveva provato più volte a
dirgli di ignorarli, ma Severus sembrava non ascoltarla e ogni volta che Black,
Potter, o entrambi comparivano, s’inventava qualche scusa e spariva
improvvisamente alla vista. Il più delle volte, però, i due Grifondoro riuscivano
a fermarlo e gli facevano scherzi di ogni tipo.
Una
volta avevano aspettato che uscisse dalla biblioteca e appena il ragazzo aveva
messo piede fuori gli avevano rovesciato in testa una cesta di castagne appena
raccolte nel giardino della scuola. Un’altra volta, invece, durante una lezione
di Trasfigurazione, avevano incantato il ragno che dovevano trasfigurare, e lo
avevano fatto volare nei pantaloni di Severus che, colto di sorpresa, aveva
cominciato a saltellare sul posto, tentando inutilmente di far uscire
l’animale.
Altre
volte ancora spuntavano fuori a sorpresa dai corridoi e utilizzavano il
Serpeverde come cavia per provare i nuovi incantesimi che avevano imparato.
Sophie
sapeva che Severus, se avesse voluto, avrebbe potuto farsi rispettare di più. Tuttavia
il ragazzo non sembrava riuscirci: Black e Potter erano molto più veloci di lui
e ogni volta che provava anche solo ad afferrare la bacchetta si ritrovava già
in qualche situazione imbarazzante.
La
mano di Severus corse subito alla bacchetta nella veste ma Black, il quale notò
il brusco movimento del ragazzo, alzò le mani in segni di resa e ridacchiò:
«Ehi! Tranquilli… a Natale si è tutti un po’ più buoni, no?»
«Già»
annuì Potter. «Pensavamo di renderti un po’ più facile la vita, almeno fino alla
fine delle vacanze».
«Oh!
Ma che gentili…» commentò Sophie ironica. Dopodiché si alzò e puntò un dito
minaccioso contro i due. «Provate a fare una sola mossa falsa, e vi giuro che
ve la farò ricordare per tutta la vita!» sibilò.
«Aiuto!»
boccheggiò Potter guardando Sophie con aria subdolamente spaventata. «E cosa
mai potrebbe farci la signorina Stones di tanto vendicativo?»
Sophie
ridusse gli occhi a due fessure e sfilò la bacchetta dalla veste. «Vogliamo
fare una prova?»
In
quel momento, però, si sentì spingere di lato e la Evans la oltrepassò,
frapponendosi tra i litiganti.
«Lasciatelo
in pace! Non vi ha fatto nulla di male!» esclamò infuriata.
Sirius
esplose in una risata sonora e scambiò uno sguardo furbesco con James, che rise.
«Non
ci serve il tuo aiuto, Evans» disse Sophie, secca.
La
ragazza Grifondoro si girò verso di lei e la guardò truce. «Si da il caso che
io sia la sua migliore amica e che abbia tutto il diritto di aiutarlo!» ribatté
adirata. Le due ragazze si fissarono con odio reciproco, improvvisamente
dimentiche di ciò che le succedeva intorno.
Il
professor Lumacorno si fece strada tra il gruppetto che si era andato formatosi
intorno ai litiganti e cercò di placare gli animi. «Suvvia ragazzi, non c’è
bisogno di fare tutte queste sceneggiate. È Natale no? Divertiamoci!»
Il
gruppo si sciolse. James e Sirius si allontanarono ridendo mentre Sophie e Lily
non accennavano a muoversi. Severus, rosso in viso, le squadrò «Ehm… non
riuscite ad andare d’accordo?» chiese titubante.
Rose
lo guardò come se le avessero appena detto che le vacanze di Natale erano state
annullate.
Sophie
si girò lentamente verso il ragazzo e lo guardò, accigliata, mentre Lily lo
squadrava come se fosse la prima volta che lo vedeva.
«Stai
scherzando, spero…» mormorò Rose.
Severus
sembrò arrossire ancora di più mentre abbassava la testa, improvvisamente
pentito di ciò che aveva appena detto.
Sophie
sbuffò. Rimise la bacchetta al suo posto e fece un cenno a Rose. Insieme si
allontanarono verso il lato opposto della stanza.
Lily
osservò con apprensione il suo migliore amico. «Come credi che possa fare
amicizia con quella?» osservò. «Storce il naso ogni volta che passo. Anche se
volessi non ci riuscirei».
Severus
sospirò.
«No,
hai ragione. Non credo che riuscireste ad andare d’accordo» mormorò
tristemente.
Angolo autrice:
Salve a tutti!
Questa volta ho mantenuto la promessa… che ve ne pare? Ho controllato
più volte il testo (tanto che lo so quasi a memoria) e non mi sembra che ci
siano troppe ripetizioni ne errori.
Dunque… questo capitolo, lo ammetto, non è un granché. Non ci
sono novità eccezionali, a parte naturalmente i pensieri di Silente all’inizio (mica
lo messo tra i personaggi principali per niente XD). Per adesso (e cioè se
non cambierò idea), credo che non rivedremo Silente per un po’ di tempo.
Bene, non mi sembra di aver nient’altro da dire.
Vi saluto alla prossima,
Gageta98
Angolino
pubblicità:
Ok. Sta cosa me la sono inventata al
momento (e mi sto già pentendo di averla anche solo pensata).
Bè… *sprofonda sotto il tavolo per l’idea
totalmente priva di senso*
Ricordo come sempre la mia pagina
Facebook: http://www.facebook.com/Gageta98
In più, questa volta volevo dirvi che
mentre scrivo questa fanfiction mi diletto
con gli Esercizi di Stile, una raccolta di Drabble (che a volte sforano di un
po’) piuttosto strana (e se lo conoscete, sì, prendo spunto dall’omonimo libro).
Non so… se vi va fateci un giro.
D’accordo la finisco qui. Mi sento
davvero un’idiota. Bah… queste sono le idee che mi vengono ogni tanto.
*schiva i pomodori e si dilegua*