- A chi shippa tutto insieme a ogni cosa.
The (he)art of the streap VIDEO.
Sette.
Il
vuoto. Stavo cadendo nel vuoto e urlavo. Urlavo e nessuno mi sentiva.
Nell'impatto mi accorgevo di essere sopra qualcosa di morbido e bianco:
delle nuvole? Abiti da sposa?
C'era profumo di camomilla e quella era... Carta igienica.
- Inconscio del cazzo.
Sbottai, allontanando le coperte il più lontano
possibile per poter scendere dal letto. Per quale assurdo motivo avevo
fatto quel sogno? E cosa significava?
Volevo sbattere la testa contro lo spigolo della cucina. Non poteva
indicare il mio bisogno di andare in bagno perché non avevo
nessuno stimolo. Avevo sentito odore di camomilla: forse il mio
inconscio mi stava suggerendo di rilassarmi.
Prima o poi sarei diventata pazza o forse lo ero
già: c'era qualcosa di strano
nell'aria, me lo sentivo, qualcosa che avrebbe cambiato...
- Oddio il caffè!
Ero così stupida da non essermi accorta che quel qualcosa altro
non era che odore di caffè bruciato. Avevo sporcato il piano
cottura e non avevo tempo per pulirlo; quella giornata era iniziata
male e stava continuando peggio.
Prima di uscire di casa controllai la cartina appesa al frigo con il
percorso ideale che avevo disegnato e che avrei dovuto
intraprendere per evitare di incontrare Gerry; ormai sapevo
dov'era casa sua, quindi sfuggirgli sarebbe stato semplice,se
solo lui fosse stato così gentile da permettermelo.
Era
capitato di vederlo al supermercato o alla fermata della metro e
autobus e non volevo che accadesse di nuovo, anche perché
odiavo quel sorrisetto insopportabile che metteva su non appena mi
notava: gli avrei dato un cazzotto in pieno viso così da
fargli cadere quei denti perfetti. Non ero un tipo violento ma quello
tirava fuori il peggio di me.
Credevo
d'essere salva, un po' come quando giochi a mosca cieca o nascondino
durante l'intervallo alle scuole elementari: tu sei l'ultimo giocatore
e sei sul punto di liberare tutti, credi di essere invincibile, hai il
potere e l'illusione di aver fregato il tizio che ha fatto la conta;
sei lì, a un passo dalla libertà, quando lui ti
vede, tu lo vedi ed è una corsa a chi arriva primo
a gridare: UN DUE TRE LIBERA TUTTI, oppure:
-
Pensavi di sfuggirmi, vero?
Lui
era arrivato prima di me, perché io nella corsa ero sempre
stata una schiappa.
-
Ciao
“tizio-che-non-vorrei-incontrare-ma-che-non-faccio-altro-che-trovarmi-tra-i-piedi.”
Il
mio entusiasmo si tagliava con un grissino, avrei potuto fare
concorrenza a quella marca di tonno famosa; lui, dal canto suo, era
felice e sorridente come sempre. Evidentemente le cose gli andavano
bene o forse la botta in testa che aveva preso da piccolo gli aveva
causato più danni del previsto.
-
Dove vai di bello?
-
A fabbricare bombe di carta; è
martedì mattina dove vuoi che vada? Ho un lavoro a cui
pensare.
Io
lavoravo, io correvo a destra e a manca per evitarlo, io mi spaccavo la
schiena – metaforicamente parlando – per far
sposare la gente quando neanche credevo nell'amore e lui se ne stava
impalato al semaforo, a guardarmi come uno stoccafisso. Lavorava, se
quello poteva definirsi lavoro, la notte: perché la mattina
era in giro a rompere le scatole a me invece di dormire?
Mi
accorsi che stava parlando troppo tardi, non avevo neanche visto le sue
labbra muoversi; ero troppo intenta a offenderlo mentalmente. Qualsiasi
cosa mi avesse detto o chiesto non mi interessava, perciò
gli risposi con un secco “No”.
-
Ma la mia non era una domanda.
Il
suo sguardo confuso mi fece sorridere ma mi trattenni. - Beh. No: non
parlare, chiudi la bocca e sparisci.
-
Non mi stavi ascoltando!
-
Bravo Sherlock, vuoi la pipa e il cappello adesso?
Averlo
dietro mi metteva a disagio, sembrava fosse la mia ombra o il mio
mastino napoletano. Uh, avevo un cane e neanche lo sapevo.
-
Posso sapere cosa ho fatto di male per meritarmi il tuo
disprezzo?
Mi
fermai sentendo la sua domanda e lui mi venne addosso, poteva almeno
rispettare la distanza di sicurezza. Respirai lentamente,contando fino
a dieci. Non volevo sbranarlo, perché il cane era
lui e io non volevo apparire scortese, maleducata e pazza; quando fui
abbastanza calma da pensare di riuscire ad avere un dialogo decente con
lui mi voltai, trovando le sue labbra carnose appena dischiuse troppo
vicine e i suoi occhi azzurri e luminosi puntati nei miei.
Oltre
alla pazienza avevo bisogno di molto autocontrollo.
-
Da dove comincio? Mi hai umiliata davanti a persone che neanche
conoscevo facendomi salire su quel palco e mettendo le mie mani sul tuo
culo nudo, per non parlare della panna.
-
Ricordi anche tu? Quando mi hai strizzato la chiappa sinistra mentre
risucchiavi l'ombelico è stato il momento più
eccitante della serata e di solito non ricordo mai ciò che
accade nella “sedia bollente”.
-
Lo stai facendo di nuovo: mi stai mettendo in imbarazzo, mi stai
prendendo in giro. Lo hai sempre fatto. Io non ti conosco e ti odio;
perché mi perseguiti, mi mandi messaggi o mi chiami per la
carta igienica? Cosa vuoi, davvero, da me?
Aprì
la bocca e la richiuse più volte e mi sembrò un
pesce, forse stava pensando alla risposta più giusta da
darmi, anche se avrei preferito che andasse
via, lasciandomi in pace per sempre. Quando trovò
le parole secondo lui adatte, sorrise e parlò: - Voglio
conoscerti e poi devo farmi perdonare!
-
Tutto qui?
-
Se vuoi ti elenco qualche altro verbo che fa rima in 'are'.
Ogni
volta che lo ascoltavo parlare sapevo che un mio neurone tentava il
suicidio, quindi perché rischiare di diventare una demente
quando potevo scacciarlo come fosse una fastidiosissima mosca?
-
Io non voglio conoscerti, la mia vita era perfetta fino a prima che ti
incontrassi quindi, per favore, torna da dove sei venuto. Lasciami in
pace. - Aveva riaperto bocca per parlare, ma lo interruppi
prima di un altro suicidio – Shhhh, zitto. SHHH! Il tuo
blablabla mi fa venire il mal di testa; devi sparire! E se questo verbo
non ti è chiaro, cercherò tutti i
sinonimi esistenti per farti capire il concetto. Adesso io
andrò dritto e tu, ti farai mettere sotto da un autobus.
-
Dovrei morire perché non vuoi vedermi? Tu sei pazza e non
è colpa mia. Avevi la possibilità di divertirti
un po' con il sottoscritto senza preoccupazioni e l'hai sprecata:
stammi bene Acidella.
-
VAFFANCULO!
Forse
glielo urlai troppo tardi, ma lui mi sentì lo
stesso, insieme a una decina di persone che attraversavano l'incrocio
in quel momento.
Non
potevo credere di essermi liberata di lui: ce l'avevo fatta. Avevo
vinto. Arrivai a lavoro sorridente e felice dopo un mese circa di
depressione cronica; non vedevo l'ora di dirlo alle mie amiche, sapevo
che dopo un primo momento di isteria e parolacce mi avrebbero capita e
sarebbero state contente per me. Almeno lo speravo.
Li
guardavo da cinque minuti senza sapere cosa
dire e intanto sentivo le loro risatine alle mie
spalle; ero indecisa se strappare quei post-it fucsia con i cuori
disegnati e quelli azzurri con scritto 'Gerry
più Emily = Panna per sempre' oppure
strozzare le due streghe traditrici a mani nude e incollargli le dita
una per una.
-
Respira Em. Non farti venire un attacco isterico.
Avevo
capito che Giulia, tra le due, era la peggiore: combinava il guaio, ti
consolava e poi PEM ti
pugnalava di nuovo e ancora più a fondo; era
tremenda.
-
Cosa sono questi cosi? Cioè, so cosa sono ma cosa
significano?
Con
loro era meglio specificare sempre, in qualsiasi circostanza. Mina
cercò di rimanere seria mentre mi spiegava che, dopo il mio
resoconto sul piacevole incontro mattutino in cui avevo avuto quel
dolce scambio di battute con tizio-idiota, avevano iniziato a shipparci
insieme;
termine che sembrava appartenere al gergo di un delinquente, ma
poi capii il vero significato: “tifare” per una
coppia.
-
Oh dai, siete così carini insieme. Non fare quella faccia
Em, pensaci!- Mina si era avvicinata, porgendomi
il disegno di un cuore con dentro due iniziali.
-
Ci sto pensando e non vedo nessuna nave con stampata la sua faccia
pronta a entrare nel mio porto.
-
Questa cosa suona molto porno, ma
sono d'accordo con Mina; insomma lui ti manda messaggini, ti chiama, si
fa trovare nel tuo ufficio...
-
Cerca soprannomi carini con cui chiamarti, si auto invita a cena a casa
tua, ti prende in giro di continuo.
-
E, cosa molto importante, ti ha fatto assaggiare la sua pelle: se non
è amore questo.
Stavano
giocando a completa
la frase e
in più stavano rischiando di farmi innervosire. Ero
così stanca di ripetere sempre le stesse cose: "non ho tempo
da perdere", "non lo voglio vedere" ecc ecc; perciò le
lasciai parlare e sognare.
-
Pensatela come volete, costruite un modellino del Titanic, se
proprio non avete nulla da fare, ma se vedo altri post-it del
genere, vi mozzo le dita e ve le incollo alle orecchie.
Alzarono
le mani in segno di resa e mi sembrò di sentirle borbottare
un 'che c'entra il Titanic?'. Però ero troppo concentrata a
strappare in mille pezzi quei fogli e buttarli per prestare attenzione
a loro: quell'incubo era finalmente finito. Avevo vinto io, come sempre.
Niente
cappellino e occhiali per nascondermi, niente tragitto modificato:
tutto era tornato alla normalità, avevo riavuto la mia vita.
Quando il giorno dopo il litigio lo avevo visto alla fermata della
metro, avevo avuto paura che si avvicinasse e riprendesse a
parlarmi come era solito fare, ma no, mi aveva ignorata, si
era comportato come un perfetto estraneo e io avevo sentito i cori
dell'alleluia in lontananza.
Anche
il giorno dopo ancora lo avevo incontrato di sfuggita al supermercato,
era fermo al bancone surgelati a leggere le ultime offerte sui
prodotti; per un attimo avevo avuto l'istinto di chiedergli
perché mangiasse quelle schifezze invece di cucinare
qualcosa di buono e sano, ma, quando vidi una moretta tutta
tette e plastica avvicinarsi a lui con una bomboletta di panna spray e
strizzargli una natica, mi ero allontanata mordendomi la lingua. Ero
stata chiara con lui: doveva sparire dalla mia vita, quindi
perché avevo pensato di parlargli?
Come
una scema lo avevo detto a Giulia durante una delle nostre
chiacchierate a telefono e la sua risposta mi aveva lasciata basita,
credeva che fossi gelosa e che lui mi mancasse: stronzate. Tornare alla
mia vecchia vita era ciò di cui avevo più bisogno.
-
Emily, eccoti qui. Ho bisogno del tuo aiuto.
Carla
era entrata nel nostro ufficio con il suo solito savor faire, la coda
del suo coprispalle lungo arancione scuro svolazzava a destra e manca
mentre camminava e i suoi occhiali stile anni '60 penzolavano sul suo
collo. La guardai interrogativa e spaventata per quello che avrebbe
potuto chiedermi.
-
Questo è il nome della mia sposa e queste, – con
la penna scorse tutto il foglio che aveva poggiato sulla scrivania, -
sono le sue amiche che festeggeranno, insieme a lei, l'addio al
nubilato.
Diedi
un'occhiata alla lista, erano più o meno una ventina
– Vuoi che regali una bottiglia di vino alla sposa? Un
pene-cerchietto a ognuna delle invitate... Che devo farci?
Mi
piaceva Carla, era un buon capo; rispettava il nostro lavoro e ci
pagava bene al ventotto di ogni mese, ma una cosa che proprio
non sopportavo era la sua risata: grossa e un po' maligna.
-
No cara, devi portarle in quel locale dove vai spesso.
Mi
sembrava d'essere un enorme punto interrogativo, di che locale stava
parlando? - Emh, vuoi che le porti da Kamal a mangiare un
kebab?
Rise
di nuovo e immaginai la mia matita tra le sue labbra, come a
cucirgliele. - Il locale degli spogliarellisti! - Lo disse con una tale
ovvietà e naturalezza da farmi spalancare la bocca: io lo
frequentavo spesso?
IO?
QUEL
LOCALE?
Forse
stavo sognando o magari quello era un brutto scherzo organizzato da
Mina e Giulia.
-
Puoi... potresti spiegarti. Per favore?
All'improvviso
avevo perso la capacità della parola, la saliva mi si era
prosciugata e la lingua era come intorpidita; il mio cervello era
andato a farsi friggere come se tutto, in quell'istante, rifiutasse
quello che Carla mi stava dicendo: dovevo accompagnare quelle tizie al
Ladies Night.
-
Il locale è pieno zeppo, devi riuscire a farle entrare.-
Quella notizia era fantastica: se non c'erano tavoli
disponibili, non avrei avuto nessuna chance di procurarle i
biglietti di ingresso e quindi io non avrei messo più piede
là dentro, come avevo promesso a me stessa. - Tu conosci la
star del locale, me lo hanno detto Mina e Giulia, chiamalo e fatti fare
questo favore.
-
Ma io, cioè noi, lui. Non posso.
Il
suo sguardo mi incendiò: potevo piangere? Quella era la
vendetta del Karma, per un momento di felicità ne avevo
ventordici di tristezza; cosa avevo fatto di male nella mia vita
precedente?
Ucciso
o offeso qualcuno? Rubato, incendiato qualcosa; la mia vita era una
grossa grande palla di sterco puzzolente e io ero intrappolata
là dentro, morente per la puzza e per il peso sulle
spalle.
-
Vuoi che ti licenzi?- Negai senza aggiungere altro
e, afflitta, presi il cellulare per chiamare
l'idiota.
Riattaccai
più volte ancora prima che iniziasse a squillare. Non sapevo
che dire e come iniziare il discorso; cosa avrei detto non appena mi
avesse risposto. Soppressi un urlo tra le mani e strinsi i capelli
quasi fino a tirarmeli: stavo per avere un attacco di nervi. Respirai a
fondo e pigiai il tasto verde.
- Guarda
guarda chi sta chiamando. Che succede, Acidella, hai cambiato
idea e ne vuoi approfittare?
- Mi
serve un favore. È per il lavoro.
- E
perché dovrei farti un favore dopo il modo in cui mi hai
trattato?
Sarei
morta di ulcera perforata, ne ero convinta – Senti, non
è per me; è per il mio capo. - Volevo essere
convincente e nello stesso tempo non volevo che pensasse che avevo
bisogno di lui.
- Per
il tuo capo?-
La sua voce era strana e non riuscivo a capire bene tutte le parole;
sembrava stesse mangiando – Io
non lo conosco nemmeno, perché dovrei aiutarlo?
- E' una donna e per favore, non voglio essere licenziata.
Lo sentii sospirare – D'accordo,
dimmi.
Gli
feci un riassunto breve della situazione: avevo bisogno dei biglietti
di ingresso per una mia cliente; lui però non faceva che
ridere,rendendo il momento ancora più difficile da digerire.
Non capivo perché serviva la prenotazione o un biglietto per
entrare; io, quella volta, ero entrata senza problemi.
- Consideralo come il modo per sdebitarti. - Quella era la mia ultima
carta, poi sarei dovuta andare da Carla e ammettere la mia
sconfitta.
- Mi
devi dare il numero esatto, ti farò avere un pass e un
tavolo con tutti i posti a sedere accanto al palco; ogni invitata, se
arriverà in ritardo, dovrò dire ai buttafuori e
al botteghino che è lì per l'addio al
nubilato.
Sorrisi
soddisfatta – Le ragazze sono venti e grazie: mi hai salvato
la vita.
Sospirò di nuovo; forse avevo esagerato a chiamarlo, in
fondo non avevamo tutta quella confidenza anzi, non esisteva per
niente. - Il
pagamento sarà effettuato prima dell'ingresso, sempre al
botteghino. Il costo del biglietto sarebbe di venti euro più
cinque di prenotazione ma, solo perché è un
favore e perché sei tu, dì alla tua sposa di
portare quattrocento euro. Devo andare, ciao.
Riagganciai
sollevata e mi lasciai cadere sulla mia sedia girevole, il primo passo
era stato fatto e non era andata poi così tanto male, dovevo
avvertire Carla e poi mi sarei rilassata a casa, soddisfatta
per quell'estenuante giornata di lavoro.
-
Credi che io metterei mai piede in un locale del genere e poi, cara, io
non organizzo addii al nubilato.
Sentivo
la rabbia invadere il mio sangue, ribollirmi le vene ed ero a un passo
dal diventare l'incredibile Hulk: avrei voluto prenderla dai piedi e
sbatterla dovunque distruggendo il suo ufficio tanto perfetto quanto
pacchiano.
Lei
non voleva entrare in quel locale, per quale motivo avrei
dovuto farlo io? Era la sua sposa e neanche io mi occupavo di feste,
alcool e roba varia: il mio compito era quello di organizzare il giorno
perfetto di una donna e renderlo il più bello della sua vita.
-
Carla, io ti voglio bene, ma in questo momento ti odio. Non
voglio fare questa stupida festa in quel locale, ci sono entrata una
volta e mi è bastata; io mi occupo di
matrimoni, non di spogliarelli.
-
Per l'amor del cielo Emily, ti ho chiesto di
accompagnarle, non di salire su quel palco e ballare nuda
intorno a un palo.
Mi
arresi alla sua volontà e come un cucciolo abbandonato con
la coda tra le gambe tornai alla scrivania per raccattare le mie cose e
tornare a casa; altro che giornata lavorativa soddisfacente, quella
poteva aggiungersi alla lista : “ciò che mi
spingerà a suicidarmi”
Non
rivolsi parola a Carla per tutto il giorno perché ero
offesa, arrabbiata e ferita nell'orgoglio. In quei momenti mi sembrava
di tornare bambina, quando mia sorella Eléonore andava dai
miei genitori a dire che avevo finito il barattolo di marmellata;
smettevo di parlare con lei per giorni perché eravamo una
squadra e lei non poteva tradirmi in quel
modo, perché una squadra lavorava insieme e noi
dovevamo sconfiggere i cattivi e salvare il mondo.
Carla
mi aveva tradita e quindi non meritava la mia parola fino a quando non
avessi deciso io il contrario.
D'altro
canto però mi fece tornare a casa prima del previsto dato
che dovevo prepararmi per la festa e dovevo essere al locale prima del
tempo per avere il pass e pagare i biglietti.
Decisi
di indossare qualcosa di diverso rispetto ai soliti jeans o pantaloni
scuri che mettevo a lavoro. Contemplai il mio armadio per ben dieci
minuti, avevo ancora l'asciugamano in testa a tamponare i capelli
bagnati, e in meno di mezz'ora sarei dovuta essere al
Ladies Night: ancora ero in intimo a decidere cosa mettere. Prima che
il panico prendesse possesso di me, ebbi l'idea più geniale
della storia: andare a controllare il mini armadio che tenevo nel
ripostiglio e dove nascondevo gli abiti che Mina e Giulia mi
obbligavano a comprare; ne trovai uno rosa con dei disegni neri e un
fiocco di seta sotto il seno, lo abbinai con delle scarpe nere con il
tacco basso e una borsa rosa.
In
realtà non sapevo cosa stavo facendo: agghindarmi in quel
modo, truccarmi con cura e mettere il lucidalabbra non erano cose per
me; io andavo in jeans e scarpe da tennis anche agli appuntamenti in
banca perché non mi interessava apparire in un certo modo
agli occhi degli altri né il loro giudizio. Il fatto che,
quella sera, stessi dedicando più tempo del previsto alla
cura del mio corpo e ai dettagli insulsi come abbinare scarpe e borsa
al vestito, mi faceva pensare al peggio.
Arrivai
all'ora prevista nella mia tabella di marcia di fronte il Ladied Night
e, indecisa su come e quando entrare, chiamai Geremia per chiedergli
informazioni.
- Ho lasciato il pass per te al botteghino, quando
arriva la tua sposa ti fai dare il nome del tavolo e qualcuno vi
accompagnerà giù.
- Il pass è per me? Credevo servisse a
tutte per entrare. Che devo farci con il pass? Uh, sono una vip.
Lo sentii ridere e sorrisi anche io, tanto non poteva
vedermi - A dopo Emily e goditi lo spettacolo.
Sospirai rassegnata, scuotendo la testa, ritirai il
mio pass VIP mettendolo in borsa e poi aspettai che arrivasse la sposa
insieme alle sue care amiche.
Dopo un quarto d'ora in cui avevo maledetto me stessa per la mia
puntualità, il mio lavoro, il mio non saper dire no e
l'enorme idiozia nell'aver messo quelle scarpe che iniziavano a
tranciarmi le dita vidi arrivare una limousine rosa
shock che si fermò proprio
davanti alla porta nera d'ingresso. Sperai non fosse la
cliente di Carla perché dal colore di un'auto poteva capirsi
la personalità di una persona, ma le mie speranze
furono molto vane: dalla limo vennero fuori una quindicina di donne
urlanti e troppo colorate per i miei gusti.
- Tu devi essere – Non mi fece finire di parlare, quella cosa
agghindata come un lampadario dell'ottocento.
- Rachele ma puoi chiamarmi Rachi. Tu sei la sostituta di Carla, quella
che ci accompagna?
Io ero quella che le avrebbe spaccato il muso troppo rosso e rotto il
naso rifatto. Da quale fabbrica fallita della Mattel era uscita quella?
Di una cosa ero certa: Carla me l'avrebbe pagata di avermi assegnato il
compito di badare a Barbie, Teresa e le sue simpatiche amiche.
-
Oddio, sono emozionata: mi hanno detto che lo spettacolo di SpicyCock
è quello più entusiasmante.
-
Assolutamente no! Sono già venuta una volta qui –
Risero come tante galline starnazzanti e desiderai essere sorda
– Che scemotte! Stavo dicendo che mi ha subito colpita
Electric Fire, la star del locale.
-
ODDIO Sì. Ho saputo che molto spesso...
Mi
allontanai da loro con la scusa di bere – Un midori sour per
favore. - Poggiai i gomiti sul bancone in attesa che il barista mi
desse il mio cocktail e feci una rapida panoramica del locale: era
quasi pieno, le donne ai tavoli ordinavano champagne o spumante e
scalpitavano in attesa dell'inizio dello spettacolo; io invece speravo
finisse presto o che le ragazze si stancassero così da
andare a casa prima del previsto, ma loro non sembravano propense a
esaudire il mio desiderio nascosto.
Al
primo sorso del mio drink le luci si spensero e dovetti aspettare i
fari gialli che illuminavano il palco, per farmi strada e sedermi al
tavolo. Non ero psicologicamente pronta per sentire le urla di quelle
donne per minimo quattro ore, perciò decisi di bere per
attutire l'udito, dato che diventavo un po' sorda da brilla.
Finii
il mio midori e sette ragazzi circa, erano sul palco, vestiti in modo
elegante e aspettavano la base per iniziare a ballare e, ovviamente, a
spogliarsi.
Feci
cenno al barista di portarmi un altro drink e mi rilassai sulla sedia
per godermi lo spettacolo; alla prima nota di “Call me
maybe” rischiai di soffocare: si sarebbero esibiti su quella
canzone?
Era
un po' modificata rispetto all'originale, più veloce e
recitava più volte il ritornello mischiandosi alle strofe;
il risultato era abbastanza carino e azzeccato con il
momento, ma non avrei più cantato quella canzone
sotto la doccia o avrei pensato a quella roba lì che stavo
vedendo. A metà esibizione, quando indossavano solo i
pantaloni, scesero dal palco e ognuno di loro si avvicinò a
un tavolo a caso. Geremia mi sorrise malizioso e venne verso il nostro
tavolo: smisi di respirare per qualche attimo per timore di cosa
avrebbe fatto, ma si mise a cavalcioni sulle gambe della sposa
e ballò il ritornello in quel modo, lasciandosi toccare da
quella.
Salì
sul tavolo e sulle note finali della canzone, mentre ballava come un
idiota sexy e mimava “call me, maybe?” con la mano
destra si tolse i pantaloni neri, restando in mutande: un paio molto
corte e molto attillate con una cornetta del telefono stampata sul
davanti. Scoppiai a ridere mentre lui accettava, senza complimenti, i
soldi che le ragazze gli infilavano negli slip.
Quando
scese, prima di andare nelle quinte e cambiarsi, mi venne vicino tanto
che mi immobilizzai.
-
Quanto mi farai aspettare per un tuo apprezzamento?
Me
lo sussurrò, portando una ciocca dei miei capelli dietro
l'orecchio; tremai per un attimo ma gli risposi, almeno per mantenere
una certa facciata.
-
Vuoi che ti metta anche io una banconota nelle mutande?
Lo
provocai anche se sapevo di non essere capace di farlo, mi
voltai appena per vedere la sua espressione e mi ritrovai le sue labbra
non lontano dalle mie; erano così carnose e non riuscivo a
smettere di guardarle, dovevano essere morbide e belle da baciare.
Sgranai gli occhi per il pensiero appena fatto. Almeno non l'avevo
concretizzato. Il suo solito sorriso malizioso comparve sul volto e
tornai con i piedi per terra, guardandolo negli occhi.
-
Divertiti.
Mi
fece l'occhiolino e scomparve, mentre tutto nella sala tornava normale
e quelle arpie urlavano il bis a gran voce. Dovevo riprendermi prima di
continuare a guardare o sarei morta per overdose ormonale.
Ero
accaldata per i due drink che avevo bevuto, in più
la vicinanza di Geremia mi aveva destabilizzato e se non mi fossi
calmata, oltre che raffreddata, avrei combinato qualche mio solito
guaio. Lasciai scorrere dell'acqua fredda sui polsi e, guardandomi allo
specchio, feci dei lunghi e grandi respiri, mentre una nuova
canzone si sentiva in lontananza e io avevo paura a uscire.
-
Emily non fare la cagasotto e torna di là. Adesso.
Annuii
alla mia parte più coraggiosa e tornai al tavolo: le ragazze
erano in piedi a urlare e lanciare soldi sul palco a un ragazzo biondo
mezzo nudo. Lo guardai meglio perché mi sembrava di averlo
visto da qualche parte, oltre che in quel locale; aveva qualcosa di
familiare. Avrei chiesto il suo nome a Geremia.
Il
biondo ci diede le spalle e con un colpo secco tolse i pantaloni
restando nudo: il suo sedere, sodo e bello da guardare, era in bella
vista e ciò non fece che aumentare le urla di tutte in
quella sala; quando si voltò verso noi, teneva le mani
davanti ben attente a coprire i suoi gioielli di famiglia ma, per mia
sorpresa e piacere, tolse prima una e poi l'altra. Chiusi gli occhi
istintivamente: non volevo vederlo tutto, tutto nudo. Sentendo gli
applausi e le urla, mischiate alle risate, delle altre li riaprii e
sorrisi anche io: il biondo aveva una coppa, come quella che usavano i
ballerini, con disegnato uno smile: molto divertente.
Raccolse
tutti i soldi, mostrando il suo sedere dappertutto e poi scomparve
dietro le quinte.
-
SC è il mio preferito, ve l'avevo detto.
Uno
dei loro commenti attirò la mia attenzione: dove avevo
sentito quel nome? Mi sforzai di ricordare rischiando di farmi venire
il mal di testa e finalmente ebbi l'illuminazione: cercai nel
portafogli quel biglietto da visita e trovandolo, esultai.
L'idraulico!
Ecco dove avevo visto quel ragazzo biondo ed ecco come aveva fatto
Geremia a sapere dove abitassi; che stronzo e che bugiardo.
Non
ebbi il tempo di pensare ad altro, perché le luci
si abbassarono e una musica sensuale si sostituì a quella da
sottofondo, del fumo coprì tutta la visuale del palco e per
qualche secondo smisi di respirare per evitare di soffocare.
Geremia
era al centro del palco: il capo basso, le gambe incrociate, un braccio
in alto e l'altro in basso teneva in mano qualcosa; era vestito in modo
strano e non riuscivo a distinguere il colore perché quel
maledetto fumo mi annebbiava ancora la vista.
La
musica si fece più veloce e lui iniziò a ballare,
non l'avevo mai visto così concentrato e infervorato nel
fare qualcosa o forse ero io a guardarlo sotto una prospettiva diversa,
non sapevo quale però.
Delle
luci blu e gialle lo illuminarono meglio e solo allora mi accorsi
com'era vestito: indossava un completo da medico verde e sopra un
camice bianco, al collo aveva uno stetoscopio: quello che fino a poco
tempo prima aveva tenuto in mano. Si mosse verso i tavoli
posizionandosi al centro della passerella e tolse il camice bianco, le
ragazze del mio tavolo urlarono e si alzarono, intimai alla sposa di
sedersi prima che le rompessi la bottiglia di champagne in testa e
quella obbedì, abbastanza brilla da fare tutto quello che
volevo.
Geremia
continuava a ballare e la musica mi fece impazzire, era un mix troppo
eccitante da gestire; si tolse il pezzo di sopra del completo verde e
lo fece così lentamente da farmi desiderare di strapparlo
con le mie stesse mani. Era a petto nudo sulla passerella e tutte le
donne in sala erano in estasi, me compresa anche se cercavo di
mantenere una certa compostezza; fu quando le luci puntarono su di noi
che entrai nel panico.
-
Signore, credo che qualcuna di voi abbia bisogno di una visita.
Prima
che tutte lo assalissero si voltò verso il nostro tavolo ed
ebbi paura che mi chiamasse lassù un'altra volta. Per quanto
per un attimo avessi desiderato toccare i suoi pettorali e tracciare il
profilo di quei tatuaggi, non volevo essere al centro dell'attenzione
un'altra volta; con mia sorpresa fece cenno alla sposa di raggiungerlo
e quella quasi inciampò dalla fretta.
La
fece stendere su un lettino, uno di quelli ospedalieri e le
salì addosso, sedendosi a cavallo; mise lo stetoscopio alle
orecchie e poggiò l'altro capo sul cuore della sposa, non
smettendo di muoversi in modo compromettente: era una scena
imbarazzante e avrei voluto prendere per i capelli la tizia e
ricordarle che tra qualche giorno si sarebbe sposata e che quello non
era un comportamento consono a una futura moglie. La sala
scoppiò quando lui si alzò da quella posizione
tornando in passerella e si tolse i pantaloni, restando con un mini
perizoma a coprirgli il migliore amico in basso. Il suo sedere era
bello come ricordavo e la donna, intanto, non era più
distesa ma si era seduta su un trono; le ballò intorno e poi
le si posizionò davanti. La nostra visuale era migliore o
almeno così pensavo fin quando la finta Barbie gli
poggiò le mani sui fianchi e con due colpi secchi gli
slacciò il perizoma lasciandolo completamente nudo.
Credevo
che avesse anche lui uno smile come il biondo di prima, ma
quando lei tornò da noi aveva una faccia sconvolta, non
faceva altro che ripetere quanto fosse stato eccitante spogliarlo e
quanto fosse lungo il cobra di Eletric Fire.
-
Ecco perché lo chiamano così.
Non
riuscii a sopportare le loro risatine e i loro urletti isterici,
perciò mi alzai di nuovo. Volevo andare a casa: mi facevano
male i piedi, il vestito prudeva, mi bruciavano gli occhi e avevo
sonno.
Potevo
far scattare l'allarme antincendio o dire a Barbie, Teresa e company
che erano ricercate oppure che non erano più desiderate nel
locale. Potevo urlare che c'era un topo, qualsiasi altra scusa pur di
andarmene a casa e dormire.
Ordinai
una coca cola, poiché dopo lo spettacolino
appena visto non volevo ingerire alcol o avrei ceduto a ogni
tentazione, e mi sedetti su uno sgabello. Per fortuna ero lontana dai
tavoli e dal palco e grazie alla mia mezza cecità non vedevo
cosa succedeva là sopra.
-
Allora? - La sua voce mi fece sobbalzare, mi voltai a guardarlo: era
vestito in maniera normale, jeans e camicia azzurra che risaltava i
suoi occhi. - Non hai niente da dirmi?
-
Sai che vestito così sembri quasi un bravo ragazzo?
Si
sedette accanto a me, ordinando qualcosa di imbevibile – Lo
so che avresti voluto essere al posto della sposa di plastica.
-
Oh sì, mi hai proprio letto nel pensiero e questa notte non
dormirò perché l'invidia mi divorerà
l'animo.
Poggiai
il bicchiere vuoto, convinta d'aver vinto l'incontro, ma si
avvicinò ancora, la sua mano si posò su un mio
fianco e sussurrò al mio orecchio – Non dormirai
perché mi penserai nudo per tutta la notte e non
basterà neanche una doccia fredda per calmarti.
Lo
allontanai, scuotendo il capo con fare
rassegnato, e feci finta di nulla, non
rispondendo alla sua provocazione perché non volevo
che si montasse la testa e perché non sapevo che dirgli.
Bevve d'un sorso il suo drink e in quel momento arrivò
l'altro componente del famoso trio: il biondino, nonché
l'idraulico. La mia serata procedeva di bene in meglio.
-
Ehi Spicy, ti presento Emily.
Quello
mi guardò, mi sembrò fosse scocciato; si sedette
accanto a me e fece un segno al barista – Allora, per lo
spettacolo privato sono cinquanta, se vuoi toccare saliamo a cento se
vuoi il servizio completo devi sborsare...
-
Ehi, non sono qui per niente del genere, razza di maiale
pervertito.
Geremia
rise di gusto, si piegò addirittura in due ma lui non ci
fece caso e bevve un sorso di birra dalla bottiglia di Guinnes che il
barista gli aveva passato – Menomale, perché non
mi attizzi per nulla anzi questo coso rosa che hai addosso è
noioso.
Se
avevo pensato, per un secondo, che Mr Panna fosse il peggior maleducato
che avessi incontrato, quel tizio, Spicy, lo batteva in tutto e per
tutto. Era insolente, insopportabile, egocentrico e i suoi capelli
erano inguardabili.
-
Noioso è l'aggettivo che userei per il tuo spettacolino di
prima. Lo smile poi era fuori luogo, oltre che piccolo.
La
risata dell'idiota alla mia destra mi rimbombò nelle
orecchie: era bella, melodica e affascinante; non l'avevo mai visto e
sentito ridere, perché era sempre così
serio o impegnato a torturarmi e prendermi in giro da non avere il
tempo di scherzare. - Oddio, non posso farcela: Emily potrei farti una
statua.
-
Quando ho aggiustato le tubature di casa tua però hai
apprezzato tutto.
La
sua frase mi sorprese, ma io ero abituata a rispondere al suo
amico, perciò non ebbi paura – Perché
era tutto coperto, vuoi davvero continuare a stuzzicarmi? Non hai
capito che perderesti comunque?
La
buttai lì perché speravo che quel battibecco
finisse: ero davvero stanca e non volevo passare per la zitella acida
di turno. L'idiota alla mia destra si intromise, salvando il salvabile.
-
Ha ragione, è divertente litigare con lei ma non hai nessuna
speranza di vincere. - Lo ringraziai con lo sguardo e il suo sorriso mi
abbagliò. - Quindi, Emily ti presento Giovanni: mio collega,
mio coinquilino e mio amico. E' un bravo ragazzo, un po'
coglione, ma dopo averlo conosciuto bene lo si
apprezza.
-
Ciao Giovanni: suo collega, suo coinquilino e suo amico. Il fatto che
tu abbia messo l'amicizia all'ultimo posto dovrebbe suggerirmi
qualcosa? - Mi rivolsi direttamente a lui che scrollò le
spalle.
-
Solo che è un coglione. - Sorrisi a quello scambio
di effusioni e
guardai verso il palco: lo spettacolo era finito e sospirai sollevata
perché finalmente potevo andare a casa. - Vuoi qualcosa da
bere Emma?
- Mi chiamo Emily e no grazie, ho già bevuto abbastanza. -
Provai a sorridergli ma quel tipo non mi stava molto simpatico,
soprattutto se sbagliava il mio nome e mi stuzzicava in quel
modo.
I miei pensieri furono interrotti dall'arrivo di Riccardo, quel ragazzo
era così bello da farmi morire per autocombustione; mi
riconobbe subito tanto che mi salutò con un abbraccio.
Credevo che gli spogliarellisti avessero una memoria breve per le
ragazze, che queste frequentassero in troppe il loro letto e che non
avessero il tempo di memorizzare i loro volti; Riccardo invece mi
stupì ricordando anche il mio nome.
- E tu come la conosci? - Fu Giovanni a chiederglielo: lo sguardo fisso
davanti a sé, le mani strette alla bottiglia di birra e le
labbra tirate in una smorfia.
Lo sguardo che gli rivolse l'altro fu agghiacciante, tanto che mi
allontanai da entrambi avvicinandomi a Geremia – E
perché dovrei dirtelo?
Non sentii la risposta perché alla mia destra, Gerry,
richiamava la mia attenzione – Devi andare a casa?
- Io? Sì, solo quando quelle... - Guardai il tavolo della
sposa e mi accorsi che era vuoto: le avevo perse.
- Sono andate via qualche minuto fa – Mi
spiegò, guardandomi fisso negli occhi: erano
così azzurri da far concorrenza al cielo d'agosto. - Devi
andare a casa? - Ripeté ancora e io annuì
incapace di proferir parola; lui sorrise di nuovo. Perché
quella sera sembrava diverso dal solito? – Vuoi un
passaggio?
- Hai un mezzo di trasporto?
Ero sinceramente stupita da quella scoperta; lui rise e quella risata
era meravigliosa e io dovevo essere drogata per trovarlo nei modi in
cui l'avevo descritto fino a quel momento – Ovvio, non posso
certo muovermi a piedi, la notte, quando i mezzi di trasporto sono
fuori servizio.- Aspettò che gli rispondessi, ma non vedendo
una mia reazione mi stuzzicò – Allora, lo vuoi o
no?
- Sì, grazie.
******
Se
volete vedere l'abito rosa/noioso di Emily : (Aprite in un'altra
finestra) QUI.
Oddio,
se siete arrivate fino a qui meritate un regalo, aprite la porta di
casa, sarà sul tappetino. Cosa posso dire di questo lungo
capitolo?
Mi piace tanto la prima parte perché Emily è
divertente e perché
la sua amica sfiga è tornata a farsi viva.
Per il resto è tutto
un BLABLABLABLA BLAAAAAAA BLAAAAAAAAAA che palle BLAAAA. Lo so, avete
ragione.
Ok, sono seria.
Due piccoli flashback dal primo
capitolo, quando Emily è sul palco con Gerry.
Emiluccia torna al
locale e, per la prima volta, vediamo da vicino qualche spogliarello:
avete visto come è intraprendete Electric Fire? Ma che
bravo, anche
io vorrei essere al posto di Barbie sposa e farmi visitare da lui.
(Per la cronaca, non guarderò mai più un medico
allo stesso modo!)
Le musiche a cui mi sono ispirata sono : CALL
ME MAYBE
e OMG
L'idraulico:
è stato scoperto il mistero? Era uno del locale ed era
Giovannuzzo,
l'avevamo quindi già incontrato anche se per qualche
istante. E'
anche un coinquilino di Gerrimio (nuovo soprannome) insieme a
Riccardo.
Oddio, oddio... Emily cosa pensa su Geremia? E accetta
un suo passaggio? Cosa succederà adesso?
E' stato un piacere
leggere le vostre recensioni e grazie enorme a chi inserisce la
storia tra le varie categorie.
Un grazie enorme a ELLE
perché è una santa e non solo legge e corregge
tutto in anteprima
ma si sorbe le mie pippe mentali!
Per
chi volesse mettersi in contatto con me, lo può fare tramite
il mio
gruppo facebook.
Che
la panna sia con voi.
Alla prossima.