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Autore: Francesca_c    12/10/2012    5 recensioni
Questa storia è ambientata in futuro lontano e tecnologico. La protagonista è una ragazza orfana che si prende cura della sorella minore da quando aveva 8 anni, età in cui i suoi genitori sono morti. Il padre è stato assassinato per una ragione sconosciuta e lei da tempo continua a fare degli incubi spaventosi che riguardano lui e la madre. Capirà, anche grazie all'aiuto dell'affascinante ragazzo legato in qualche modo al suo passato, che non tutto è come sembra, che potrebbe scoprire i segreti del suo mondo, e distruggerli...
Genere: Fantasy, Romantico, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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CAPITOLO 4
 
Mi guardavo intorno. Ero su una spiaggia deserta. Di preciso come ci ero arrivata non lo sapevo, ma avevo una strana sensazione. Come se il mio cuore avesse dovuto esplodere da un momento all’altro.
La tensione nella mia testa e nel mio corpo era insopportabile. Più mi agitavo e più cresceva.
Dopo qualche secondo,  notai che il cielo era incredibilmente vicino a me e avanzava sempre più per poi ritrarsi di nuovo. Una faccenda davvero bizzarra.
Però guardando attentamente mi resi finalmente conto che l’immensa distesa blu davanti a me non era il cielo. Era l’Oceano.
Appena lo capii fu tutto più chiaro, cominciai a correre verso il mare e una volta toccata l’acqua fui meravigliata di scoprire che la tensione era sparita.
Mi immersi completamente e cominciai a giocare con l’acqua. Anche lei giocava con me. Sentivo di essere completa quando l’Oceano mi accoglieva tra le sue onde. Dopo quei pochi minuti di sollievo, la tensione tornò a tormentarmi, insieme al terrore.
Uscii dall’acqua più in fretta possibile, come temendo di poterla infettare con le mie preoccupazioni.
Mi guardai nuovamente intorno e notai che a qualche chilometro di distanza si trovavano sette figure incappucciate. Avanzai verso di loro, malgrado il mio cervello non avesse ordinato alle gambe di muoversi.
Mi trovai in un lampo davanti alle figure e quando mi mostrarono i loro volti, scoprii di non essere affatto sorpresa di trovarli lì. Non conoscevo quelle quattro donne e quei tre uomini eppure sapevo di essermi dovuta immaginare che sarebbero arrivati. Prima o poi.
Formavano, con i corpi, una barriera a pochi metri da me, stando appiccicati gli uni agli altri. Di colpo si separarono e lasciarono che altre due figure, che però conoscevo bene, mi arrivassero davanti.
I miei genitori erano stati bendati e avevano ginocchia e polsi  legati. Le figure dietro di loro presero a sbendare mio padre e una di esse afferrò un coltello che le si era appena materializzato vicino.
Si avvicinò a papà e gli tagliò un piede, un’ altra figura seguì lo stesso procedimento.
Mio padre e io gridavamo come due dannati. Cercavo disperatamente di andare a salvarlo ma un ostacolo invisibile mi impediva di raggiungerlo. Le figure avevano privato mio padre della maggior parte degli arti e finalmente posero fine alla sua agonia, piantandogli il coltello nel cuore.
Urlavo solo io.
Intanto era arrivata una persona dietro di me che cercava inutilmente di calmarmi. Mi stringeva forte mentre io strillavo disperatamente. Gli assassini si stavano per occupare della mamma. Però fu diverso con lei.
La lasciarono bendata e il coltello la colpì solo una volta,  per toglierle la vita.
Poi ad un tratto, non capii più nulla. Piangevo e urlavo, urlavo e piangevo. Non percepivo più alcun legame con il mondo. Mi sembrava che fossi stata trasformata allo stato liquido, e travasata fino alla nausea.
La mia testa, il mio corpo e la mia anima non erano più legati tra loro.
Li sentivo distanti. Io mi sentivo spezzata, disintegrata.
Riuscii solo ad accorgermi che tutto intorno a me perdeva colore e forma, le immagini si facevano sfocate.
L’ultima cosa che vidi fu una bussola, il cui ago girava freneticamente. Poi si fermò di colpo.
Puntava a Sud.
 
La mia mente venne bruscamente riportata alla realtà alle 6. 27.
Non mi meravigliai di trovare del sangue sulle miei mani quella mattina.
Da troppo tempo non urlavo nel sonno. Quasi tre settimane. Non avevo ancora capito il motivo di questo radicale cambiamento, ma ero certa che non avrebbe avuto lunga vita.
Con quel sangue la mia testa mi stava lanciando un avvertimento. Del tipo:
Ti sto concedendo una tregua ma non metterti troppo comoda. I tuoi genitori sono morti, RICORDATELO.
Cercai di rallentare il battito cardiaco e riacquistare totalmente il controllo del mio corpo.
Mi sedetti sul letto facendo scivolare i piedi in cerca delle ciabatte. Mentre andavo ad aprire la finestra, sentii dei rumori provenienti dalla cucina. Li riconobbi immediatamente. Shelby stava preparando la colazione.
Alle 6.27
Si, l’avevo indubbiamente tenuta sveglia tutta la notte.  
A tal punto che aveva ritenuto saggio non addormentarsi affatto. Decisi di mangiare qualcosa prima di farmi la doccia. Arrivata in cucina trovai mia sorella immersa in una violenta lotta contro il pane che non riusciva a tagliare dritto.
<< Buongiorno. >>
<< Buongiorno. >> disse rivolgendomi un debole sorriso.
Sapevo che non era arrabbiata, dopotutto non poteva essere arrabbiata per una cosa che non controllavo, però sapevo anche che aveva sempre bisogno di un po’ di tempo per tornare sé stessa.
La situazione era difficile per entrambe, ma capiva che tra le due ero stata io quella che aveva sofferto di più. In qualunque circostanza. Quando ottenemmo la libertà di vivere senza nessun nostro parente pazzo a girarci intorno, io avevo solo tredici anni e occuparsi di una sorella a tredici anni, non era stato esattamente semplice. Il suo era una specie di modo per ringraziarmi: si occupava di me quando ne avevo più necessità.
Quindi quello che dovevo fare era aspettare che mi perdonasse senza che io le chiedessi scusa.
Era così tra noi, non c’era bisogno di parlare in questa circostanza, e ci andava benissimo così.
Le tolsi il pane dalle mani e preparai un panino ciascuno. 
Parlammo poco per tutta la colazione ma sentivo che cominciava a sciogliersi già.
<< Beh comunque ti voglio bene, sorellona. >>  disse ad un tratto.
 Le rivolsi un sorriso furbo prima di parlare.
<< Siamo sentimentali, eh? >>
Rise di gusto, contagiando anche me. E così seppi che anche quella volta era passato tutto.
Continuammo a ridere e a parlare con meno disagio per i successivi dieci minuti finché Shelby non si alzò.
Prima di andare a prepararsi mi tirò una ponderosa pacca sulla spalla per rimediare a quella dolce disattenzione che si era lasciata sfuggire.
Se ne andò lasciandomi a pensare che l’amavo con tutto l’amore possibile e che sarebbe stata l’unica persona, per il resto della mia vita, che avrebbe avuto un posto tanto speciale nel mio cuore.
 
Arrivai a scuola dopo una rilassante e lunga passeggiata in tuta e scarpe da ginnastica. Guardai l’orario del giorno sul Tablet. Mi ricordavo le prime due ore (educazione fisica e matematica) così sbirciai le ultime tre.
Progettazione, Architettura e Elettronica avanzata (O MIO DIO).
Arrivai in classe dieci minuti prima l’inizio della lezione. Ovviamente c’erano già ¾ dei miei compagni che parlavano tra di loro. Mentre mi dirigevo verso il banco la mia personale dose umana di buon umore mi bloccò il passaggio. Charlie mi mostrava il suo solito sorriso coinvolgente e mi abbracciava dall’altro del suo metro e settantrè. D’altra parte io, col mio metro e sessantacinque, alzavo la testa per ficcarla nell’incavo tra il suo collo e la spalla.  Avevo legato molto con Charlie nelle ultime tre settimane.
Praticamente da quando era iniziata la scuola. Era una forte ma dolce.
A differenza di come mi era sembrata il primo giorno, era una gran chiacchierona ma se cercavo qualcuno a cui confidare qualcosa,  lei era la persona giusta. Non che io raccontassi i fatti miei ai quattro venti.
Non le avevo mai parlato dei miei genitori e lei con il tempo aveva imparato a non chiederlo.
 Ci piacevano praticamente le stesse cose, leggere in particolar modo, e pensavamo anche le stesse cose.
Quando ebbe deciso che dieci minuti di abbraccio bastavano, mi lasciò e mi rivolse un altro sorriso.
<< Buongiorno! Allora? Pronta per questa leggerissima giornata di scuola? Ma dico, sono pazzi a metterci tre ore consecutive di progettazione,  architettura e elettronica?! >> appunto…
<< Ho pensato la stessa cosa anch’ io venendo a scuola. >>
Intanto erano arrivate Ellen e Delia, due ragazze con cui avevo fatto amicizia più tardi  ma a quanto pareva questo particolare non impedì a Ellen di saltarmi praticamente addosso.
Ellen era un’ esaltata,  impulsiva  in agitazione costante.
Ma queste caratteristiche non avevano affatto un’ influenza negativa sulla mia opinione di lei.
Mi riusciva a stampare un sorriso in faccia senza neanche dire niente.
Era una ragazza piuttosto bassa con capelli un po’ biondi, un po’ castani e occhi un po’ grigi, un po’ celesti e un po’ verdi.
Un paio di giorni prima glielo avevo chiesto, di che colore fossero i suoi occhi. Mi aveva risposto “per gli amici, verdi” ridendo come una pazza. Delia era la sua migliore amica. Bassa quanto lei ma con capelli ricci neri e occhi solamente verdi. Era tutto il contrario di Ellen. Più riservata e meno esaltata.
Anche lei era simpatica ma la conoscevo di meno.
<< Ciao! Come va? >> mi disse Delia scoccandomi due veloci baci sulle guance.
<< Alla grande, tu come… >>
<< Ehi ciao! >> non feci in tempo a terminare la domanda che mi ritrovai una grossa mano piazzata in testa che mi arruffava brillantemente i capelli.
<< Ciao Jeremy. >>  salutai con astio il proprietario della mano, che non avevo fatto fatica a riconoscere grazie al suo tipico saluto. Io e Jeremy avevamo stretto amicizia quasi subito,  era un tipo solare di quelli che sprizzano felicità da tutti i pori. Mi era parso immediatamente simpatico.
<< Senti sabato esco con un paio di miei amici, vuoi venire anche tu?  David,  Jill e Alice vengono. >>
<< Si, d’accordo. >>
<< Bene, ci si vede. >>
<< Disse portando via quel suo fondoschiena da dio… >>
Alice, dietro di me, guardava in un modo non del tutto casto, il fondoschiena di cui parlava.
<< Ma io dico, come fai tu a non sbavargli dietro! >> continuò lei.
<< Sei riuscita a dirgli quello che provi per lui? >>
<< Credi che se l’avessi fatto me ne starei qui ad usare la lingua per parlare? >>
Ad Alice piaceva Jeremy dalla Prima Media.
Si conoscevano da tempo ma lei non aveva mai avuto il coraggio di confidargli i suoi sentimenti e lui non l’aveva  mai vista come più di un’amica d’infanzia. Naturalmente tutto questo me lo aveva raccontato Jill, che a parer mio si faceva un po’ troppo gli affari degli altri. Ma comunque lei ed Alice erano amiche e credevo che lei avesse autorizzato in qualche modo Jill a parlarne. Non con lui, ovviamente.
Alice era una bellissima ragazza.  Aveva lunghi capelli ricci castani e degli occhi azzurro cielo. 
Era appena più bassa di Charlie, e di dieci centimetri più bassa di Jeremy.
Jeremy aveva occhi verdi e capelli scurissimi, un fisico slanciato e muscoloso.
<< GRACE ELISABETH PRIOR dimmi che ti sei portata un cambio per  rimediare a quella tuta orrenda. >>
Jill fece la sua entrata teatrale sottoponendomi alle occhiate divertite dei miei compagni mentre arrossivo come solo io sapevo fare.
<< La Rossa ha ragione Prior, non si viene a scuola in tuta >> Scott Jekins era appena entrato in classe.
E mi rivolgeva un sorrisetto crudele che gli avrei volentieri ficcato nelle orbite.
<< Poi potresti anche… che so, ficcarti una maglietta decente e metterti un po’ di trucco o .. >>
<< No Scott credo che non si sentirebbe abbastanza bella nemmeno vestita decentemente, con me come paragone. >> alla presa in giro si unirono anche Virginia e il suo clan e per me a quel punto era davvero troppo resistere ad un’occasione divertente come quella per lanciare una buona dose di insulti contro le mie valvole di sfogo personali. Ma non mi fu possibile perché qualcun’ altro decise di entrare in classe proprio nel momento in cui aprii la bocca per ribattere.  
<< Buongiorno classe! È arrivata l’anima della festa. >> David si annunciò aprendo le braccia ed entrando nell’aula. << La professoressa ha detto che possiamo andare in palestra. Quindi muovetevi. Oh, ciao! >>
Il nuovo arrivato stava raggiungendo il gruppetto che si era schierato dietro di me contro Virginia & Co. David era stato il primo ragazzo con cui avevo fatto amicizia, in classe. Era uno di quelli con cui non ci si poteva annoiare. Far ridere la gente era la sua specialità. Con un modo tutto suo, naturalmente.
Era alto poco più di me e stava seguendo una dieta ferrea che l’aveva fatto dimagrire di parecchi chili in poche settimane. Aveva dei finissimi capelli castani. Gli occhi erano grossi e marroni,  il naso solo grosso.
Uscimmo dall’aula per andare in palestra e attaccò a parlarmi dei nostri compagni di classe.
Quando entrammo nel teletrasportatore stavo già ridendo per le sue battute su Scott Jekins.
  
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