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Autore: ferao    13/10/2012    7 recensioni
Sei giorni dopo, Audrey tornò dal lavoro con un gran sorriso sulle labbra.
Percy ebbe paura. Quel sorriso, rivolto proprio a lui, poteva significare decine di cose diverse, che andavano dal “mi dispiace” all’“avevi ragione tu” al ben più inquietante “sto per ucciderti, Avada Kedavra!”; in quest’ultimo caso, il giornale che teneva tra le mani non avrebbe costituito un efficace riparo e la bacchetta era troppo lontana, per cui poteva solo avere paura.
Genere: Commedia | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Famiglia Weasley, Percy Weasley | Coppie: Audrey/Percy
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dopo la II guerra magica/Pace
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Capitolo 2: Le donne di casa
 
 

Certe volte Percy pensava che l’unica a volergli davvero bene, in casa sua, fosse Tip. Era, questa, una giovane gatta dal carattere particolarmente acido e scorbutico, che lui e Audrey avevano accolto quando non era altro che un cosino minuscolo e fradicio di neve abbandonato in un vicolo di Everdeen. Tip, o meglio Santippe – nome affibbiatole da Audrey, che lo reputava in linea con il suo temperamento sgradevole –, aveva mostrato sin da subito un’antipatia invincibile per le tre donne di casa, mentre sembrava portare a Percy un amore immenso, viscerale e assolutamente immotivato.
Quando, quella domenica, Audrey andò a svegliare suo marito, sistemato alla bell’e meglio sul divano di casa, Tip era là che faceva le fusa appoggiata allo stomaco di Percy. Le bastò sentire il passo della sua padrona per alzarsi di scatto, soffiare con ferocia e fuggire via ululando.
– Stupida bestia!
– Buongiorno anche a te… – mugugnò Percy, rigirandosi su un fianco.
– Non dicevo a te, dicevo alla tua gatta.
Audrey osservò suo marito che si alzava a sedere e si strofinava gli occhi con aria mesta. Per un momento – ma solo un momento – si sentì dispiaciuta per lui. Imporgli di badare a tutta la truppa dei loro nipoti era stato uno scherzo davvero crudele, sapendo quanto poco Percy amasse i figli altrui.
D’altra parte, era stato lui a scegliersi quella punizione. Eh. Nessuno lo costringeva a starsene a casa: poteva benissimo ritornare sulle sue posizioni, chiederle scusa e accompagnarla al Ghirigoro.
Sì, pensò Audrey, forse poteva concedergli quell’ultima occasione.
– Percy… – mormorò, chinandosi sul divano. – Sei… sei sicuro di voler restare qui?
L’uomo si voltò verso di lei e le scoccò un’occhiata dura. – Che altra scelta mi dai?
– Posso… chiedere ai tuoi fratelli di portare i bambini alla presentazione, se…
– … se in cambio vengo con te.
Audrey annuì. Percy sembrò tentennare un istante, poi scosse la testa. – Grazie dell’offerta, ma non devi preoccuparti. Starò benissimo qui, a casa, con i miei nipoti – rispose gelido, prima di alzarsi e arrancare verso il bagno.
Audrey lo guardò allontanarsi e sospirò.
Stupido ostinato che non sei altro. Che avrò fatto di male, nella vita, per sopportare un simil-ARGH!
Imprecò più volte e saltellò via, scuotendo la gamba destra: al polpaccio, devastato e sanguinante, era saldamente artigliata la gatta Tip.
 
Non sarebbe stata una buona giornata. Percy ne fu certo a partire dall’istante stesso in cui si alzò in piedi: non fece nemmeno in tempo a muovere un passo che la gamba sinistra si fece sentire, molesta come poche altre volte.
Cavolo.
Che sfortuna. Non aveva voglia di sopportare proprio quel giorno anche il simpatico ricordo che la guerra magica gli aveva lasciato; di solito la gamba gli doleva solo durante un cambiamento atmosferico, ad esempio quando si avvicinava una nevicata, ma… forse, quella volta voleva solo indicargli il pericolo imminente.
Eh. Come se non lo sapessi già. Ma grazie, eh, grazie del tempismo. Uff.
Una volta in bagno, si sciacquò il viso e diede al suo cervello mezzo addormentato il tempo di snebbiarsi.
– Va bene, – si disse poi, guardandosi allo specchio, – non è la fine del mondo. Calma. Sono le otto e venti, tra un paio d’ore i tuoi fratelli porteranno qui i loro simpatici e adorabili figli. Tu li saluterai, li sopporterai, farai fare loro i compiti, preparerai loro il pranzo, poi faranno un sonnellino e a quel punto tu avrai finito. Facile. C’è anche Molly ad aiutarti, lei se la cava con i bambini, quindi tranquillo. Andrà tutto bene.
Era un discorso molto convincente, ma l’immagine riflessa nello specchio non sembrava affatto rassicurata.
Bah. Disfattista.
– Pa’? Hai finito? Mi serve il bagno!
Percy sobbalzò, sorpreso. Di solito Molly si alzava tardissimo l’estate, soprattutto di domenica; forse era colpa di Audrey, sì, doveva essere stata lei a costringere la sua bambina a svegliarsi praticamente all’alba, per prepararla a ciò che l’aspettava quel giorno.
Diabolico essere. Pagherà anche questa, oh, se la pagherà. Ma guarda tu.
– Solo un secondo, Nini – rispose. Si asciugò il viso e zoppicò verso la porta, lasciando campo libero a sua figlia.
 
La sedicenne Molly Weasley si era svegliata, alle otto e un quarto di quel mattino, in preda ad una strana angoscia. Non sapeva come, né perché, ma tutti i suoi sensi la stavano mettendo all’erta contro un pericolo imminente. Sbatté gli occhi, perfettamente sveglia e lucida, e muovendosi con più cautela possibile iniziò a voltare la testa: qualsiasi cosa la stesse minacciando, avrebbe venduto cara la pelle prima di soccombere.
Non le servì girarsi del tutto per rendersi conto della situazione. Accovacciata sulla parte libera del suo cuscino, Santippe la fissava con aria assassina; quando si accorse che la ragazza si stava muovendo, diede in un ringhio basso e soffiò furiosa.
Molly rispose con un ringhio e un soffio molto simili, poi si alzò a sedere e lanciò cuscino e gatta contro la parete opposta.
– Stupida bestia! – esclamò, la voce ancora impastata, guardando Tip fuggire. Si strofinò il viso e annaspò in cerca degli occhiali, indispensabili per poter uscire dalla sua stanza senza ferirsi gravemente contro qualche ostacolo. Accidenti a suo padre e alla sua miopia.
Si trascinò verso il bagno, bramosa di fare la doccia e indossare le lenti a contatto. In condizioni normali, dopo essersi sbarazzata di Tip avrebbe semplicemente ripreso a dormire, ma quel giorno non poteva. Oh no. Quello era il giorno in cui i suoi genitori avrebbero dato fondo a tutta la loro immaturità, e lei non intendeva farsi trovare impreparata.
Da anni, ormai, la giovane Molly aveva rinunciato alla speranza di vedere i suoi comportarsi da adulti. Per un motivo o per l’altro, a turno o contemporaneamente, sua madre e suo padre finivano sempre con l’assumere un contegno al limite dell’infantile quando decidevano di litigare; questo l’aveva portata, spesso, a chiedersi se la sua vita non fosse come quel romanzo Babbano in cui gli adulti diventavano bambini e i bambini adulti, ossia se alla fin fine non fosse lei la vera madre di famiglia e i suoi genitori due mocciosi di quattro anni nei corpi di due quasi-quarantenni.
Nell’impossibilità di verificare questa teoria, Molly Weasley si limitava a sopportarli con pazienza e una vaga rassegnazione.
La porta del bagno era chiusa, come al solito. La ragazza sbuffò e bussò, impaziente.
– Pa’? Hai finito? Mi serve il bagno! – biascicò. Non aveva dubbi in proposito: di sicuro c’era dentro suo padre. A quell’ora, sua madre doveva essere già in cucina a scaricare nervosismo ed eccitazione per l’imminente intervista; inoltre, la voce che blaterava scemenze da dentro il bagno poteva appartenere solamente a Percy.
– Solo un secondo, Nini – fu infatti la risposta. Molly si appoggiò alla parete, in attesa; quando Percy uscì, gli rivolse un saluto poco cordiale.
– ‘giorno – grugnì.
– Ciao. Ti ha svegliata la mamma?
– No, la tua gatta. Se lo fa un’altra volta, la uso come Bolide per la prossima partita.
– Fallo e ti caccio di casa. – Percy le diede un bacio sulla fronte e le sorrise. – Lucy?
Spero stia dormendo. – Molly alzò gli occhi al cielo. – Ieri sera era così emozionata per il fatto che avrebbe rivisto tutti i suoi cugini, che ho temuto di doverla Schiantare per farla star buona.
– Non l’hai fatto, vero?! – chiese subito Percy, preoccupatissimo. – È solo una bambina, le faresti seriamente del male, e…
– Pa’. Ti pare che io possa Schiantare Lucy?
La domanda era accompagnata da un cipiglio tale che Percy si rese immediatamente conto di aver detto una scemenza. – Scusa, – disse, – è che sono nervoso. La gamba… e oggi…
Sembrava il preludio di uno dei suoi lunghissimi, noiosissimi ed inconcludenti monologhi. Molly mantenne la calma e si impose, per l’ennesima volta, di fare l’adulta.
– Vorrei davvero stare ad ascoltarti, pa’, – lo interruppe, con più gentilezza che poté, – ma mi serve il bagno. Ora.
– Giusto, scusa. A dopo – rispose subito l’uomo. Molly attese che si fosse scansato dalla soglia, poi si fiondò dentro e chiuse la porta, sentendosi finalmente al sicuro.
Fiu. Scampata. Per adesso.
 
 
 
– Dunque. – La voce di Audrey tradiva tutta l’ansia che la divorava. Ansia per il suo debutto in pubblico, certo, ma anche per quello che sarebbe potuto succedere alla sua bella casetta una volta che l’avesse lasciata nelle mani dei suoi nipoti.
– Dunque. Le stanze sono tutte in ordine, ma non preoccupatevi: se i bambini vogliono giocare, lasciateli fare. I più grandi avranno i compiti con sé; Hermione ha detto che sarebbe splendido se tu, Percy, aiutassi Rose, sai, la matematica non è il suo forte. Il pranzo è già pronto, dovrete solo scaldarlo, e se vogliono la merenda c’è l’impasto per fare i pancake in dispensa. Non fate nulla che non fareste in mia presenza. È chiaro?
Passò lo sguardo sui suoi familiari, tutti e tre schierati davanti a lei, che la osservavano con espressioni molto diverse tra loro. Molly, in particolare, appariva molto seccata.
– Potresti ripetermi perché devo rimanere anch’io qui? – sbuffò. – A me è piaciuto, il tuo libro!
– Nini, te l’ho già spiegato – le rispose Audrey, paziente. – Tuo padre avrà bisogno di una mano per controllare tutti questi bambini in una volta sola, e tu sei la persona più adatta per aiutarlo.
– Chi è causa del suo mal, pianga se stesso – commentò Molly, ignorando l’occhiataccia che Percy le stava inviando. – Per favore, ma’, non lasciarmi qui! Io…
– Pernille. Ho detto di no.
Molly deglutì e chinò il capo. Quando sua madre la chiamava non col diminutivo ma col secondo nome, ossia “Pernille”, significava che non era ancora arrabbiata ma iniziava ad indisporsi. Il passo successivo consisteva nella parola “Molly”: e allora , che ci sarebbe stato poco da scherzare.
– Io sono contenta di stare a casa con papà e gli altri – dichiarò Lucy, allegra. Aveva compiuto nove anni da pochi giorni, e percepiva la visita dei suoi cugini come una specie di festa in ritardo.
– Ma certo, tesoro, perché tu sei una brava bambina – le disse Percy con un sorriso da orecchio a orecchio. – Invece a tua sorella farebbe bene un mese senza Quidditch, che ne dici?
– Non iniziate a litigare – intervenne Audrey, prima che Molly potesse ribattere. Sospirò e si passò una mano sul viso. – Sentite, non voglio passare il resto della giornata a preoccuparmi per ciò che potreste combinare qui da soli, quindi, vi supplico, fate i bravi. E mi riferisco soprattutto a voi due – indicò Percy e Molly. – Lucy sarà bravissima, lo so.
– Certo, mamma! – cinguettò la bambina. Molly e Percy si scambiarono una strana occhiata tra il complice e l’omicida, poi promisero di comportarsi bene.
– Perfetto. Ora, ragazze, posso parlare un momento da sola con papà?
Non appena le due furono uscite dalla cucina, Audrey si avvicinò a Percy. – Ultima occasione: vieni con me o resti qui?
– Resto.
– Così, senza nemmeno pensarci?
– So pensare molto velocemente.
– Buon per te. – La donna fece un sorrisetto. – Divertiti, mi raccomando. Sono sicura che avrai parecchio da fare: moccio da asciugare, cocci da raccogliere, Caccabombe da evitare…
– Pur di non ascoltarti oggi, questo ed altro.
Il sorrisetto si allargò. – Sai, credo che domani inizierò a stendere il mio secondo romanzo. In fondo, ho ancora tante cose da raccontare… ad esempio, pensavo di ambientare qualche scena particolare al Ministero. Che ne dici? In fondo, di ispirazione ce n’è…
Il risultato che ottenne fu quello sperato: Percy arrossì violentemente e abbassò lo sguardo. – È successo solo una volta… – balbettò.
Tre. La Sezione Riservata dell’Archivio se le ricorda bene.
– Andiamo, perché devi fare così? – Stavolta il suo tono di voce era supplichevole. – Non riesci proprio a capirmi?
No, Percy. Ti capisco sempre, ma stavolta no. Buona giornata.
Gli diede un bacio sulla guancia e scappò via, nascondendo la punta di tristezza che le era salita alla fine di quel dialogo.
 
Non appena la porta si fu chiusa dietro Audrey, Percy sospirò e decise di darsi da fare.
– Benissimo, donne. Abbiamo u-che cosa stai facendo?
– Prendo un libro – rispose Molly, la quale, forte del suo metro e cinquantacinque di altezza, tentava a fatica di raggiungere uno scaffale dell’ampia libreria in salotto. – Mi daresti una mano?
– Ma a che ti serve? Tra poco arriveranno i tuoi zii, e…
Appunto. Avrò pur bisogno di un passatempo, no?
Dopo questa frase ci fu silenzio. – Non ho capito – disse poi Percy, sicuro invece di aver capito benissimo.
– Beh, – Molly si staccò dalla libreria e mosse qualche passo verso il padre, – non pretenderai davvero che io me ne stia tutto il giorno qui ad asciugare moccio, raccogliere cocci ed evitare Caccabombe, no?
Il fatto che Molly avesse ripetuto quasi le stesse parole di Audrey non sorprese Percy, abituato a questa affinità tra madre e figlia; ciò che lo stupì fu la pretesa che la ragazza andava avanzando. Aprì la bocca per rispondere, ma lei si era diretta con passo svelto verso il camino e si era messa a guardare dentro un barattolo poggiato lì vicino.
– Mmm… è quasi finita, ma per oggi dovrebbe bastarmi. Tanto per il ritorno me la presta Ted.
– Di che diavolo parli?!
– Della Metropolvere, pa’. – Molly lo guardò sgranando gli occhi. – Vado a studiare da Ted, oggi pomeriggio.
– Ted chi?
Okay, quella era una domanda idiota, segno che suo padre stava davvero uscendo di testa. Molly sbuffò, spazientita.
– Quanti Ted conosci, papà? Ted Lupin, ovvio! È l’unico della mia classe con quel nome!
– E perché… proprio oggi… ma luglio è appena iniziato, hai quasi due mesi per studiare!
– Padre, ne abbiamo già parlato. Tra due anni Ted e io avremo i M.A.G.O., non possiamo rimanere indietro coi programmi se vogliamo diventare Auror. E poi scusa, dovresti essere contento: dici sempre che non studio abbastanza!
Non era vero: Percy non aveva mai detto una cosa del genere a sua figlia; non l’aveva mai nemmeno pensato, visto che aveva una media dell’Oltre Ogni Previsione, era un Prefetto e un’accanita lettrice come lui. In quel momento, però, Percy non ebbe la prontezza di negare, né di ribattere alcunché di sensato.
– No, – gracchiò invece. – N-no, tu non… tu non puoi abbandonarmi! I-io… No!
– Oh, senti, parliamoci chiaro! – lo aggredì Molly, sbattendo il barattolo di Metropolvere sulla mensola del camino. – Tu sei in punizione, non io. Tu hai accettato di badare ai marmocchi, non io. Tu hai problemi con il libro di mamma, non io.
– Il libro d-aspetta, aspetta un momento! Prima hai detto che ti è piaciuto! Non dirmi che… Non l’avrai mica…?
– Letto? Certo che sì! – La ragazza ghignò, incapace di trattenersi. – Non lo sapevi? La mamma me lo spediva via via che completava i capitoli, per chiedermi pareri circa la forma e lo stile. Un consulto esterno, diciamo.
Quello fu un colpo tremendo per il povero Percy: d’improvviso, né la gamba buona né quella malandata lo sostennero più. Allungò un braccio e si appoggiò alla parete più vicina, sopraffatto. – T-tu… tu…
– Eh, già.
Oh, no. Percy non sapeva immaginare qualcosa di peggio. La sua bambina, la sua piccola Nini… corrotta alla tenera età di sedici anni, e per colpa della sua stessa madre! Che parlava dei suoi rapporti con suo padre, oltretutto!
Bennet mi pagherà anche questa, maledetta arpia. Questo è davvero troppo! Che motivo aveva di mettere Nini in mezzo?!
– Senti, – fece Molly, in tono più mite, – non puoi essere davvero così arrabbiato. Al mondo ci sono miliardi di libri molto peggiori e infinitamente più sporchi di quello che ha scritto la mamma, perché te la prendi così tanto?
Senza staccarsi dalla parete, Percy guardò sua figlia negli occhi. Che le poteva dire? Come faceva a parlarle del senso di vergogna che lo accompagnava come una costante sin da prima che avesse la sua stessa età? Come si spiega, a una ragazza di sedici anni moderna e priva di chiusura mentale, qualcosa che risiede nel più profondo di noi stessi e contro cui si è lottato tutta la vita, uscendo sempre – sempre – sconfitti?
Esatto. Non lo si può fare.
– Sei giovane per capirlo – rispose. Abbassò lo sguardo, si rimise dritto e si schiarì la voce. – Ad ogni modo, oggi non ti muoverai da casa, a prescindere dal motivo.
– Ma…
– No, Nini. Ho bisogno di te. Per favore.
Molly non colse la sfumatura nascosta in quella frase; dimenticò di fingersi adulta di fronte alla stupidità del genitore e reagì come avrebbe reagito qualunque altro adolescente nella stessa situazione: scoccò un’occhiata furibonda a suo padre e se ne andò via, mettendo nei suoi passi tutto l’impeto che la sua corporatura minuta le consentiva.
Percy non fece una piega mentre la ragazza scappava in camera sua, ma quando fu fuori dalla portata del suo sguardo crollò le spalle e sospirò triste.
– Godric, che ho fatto di male… – mormorò, mentre si passava una mano sul viso.
Sentì qualcosa di tiepido afferrargli l’altra mano e stringerla. – Tranquillo, papà. Ci sono io – gli disse Lucy sorridendo, gli occhioni azzurri pieni di affetto e le dita intrecciate alle sue.
Percy la guardò con stupore, poi le sorrise, commosso. – Sì, piccola mia. Lo so.
Lo so.
In quella, qualcuno bussò alla porta.
 
 
 












Le sciocche note d'autrice:
Salve salvino! Lo ammetto, il capitolo non è come lo avevo immaginato all'inizio. Nel mio piano originario, a quest'ora saremmo dovuti già entrare nel vivo dell'azione; solo che, mentre scrivevo, ho preso gusto a parlare solo di questi personaggi e del modo in cui si stanno preparando a questa giornata "particolare". Per cui, eccovi un inutilissimo e deludentissimo capitolo di "transizione", che però ha il pregio di iniziare a illustrarvi i Weasley-Bennet in tutto il loro splendore.
Notine varie:

1) Sento il bisogno di chiarirlo, perché ho la seria paura di essere stata fraintesa: Audrey non ha scritto la versione magica delle "50 sfumature di coseacaso". No. Il suo è un romanzo normale in cui ci sono scene un po' più dettagliate, e basta. Nessuno dei miei personaggi sarebbe in grado di ri produrre una COSA come le 50 sfumature.
2) Il paese in cui abitano i nostri amici si chiama Everdeen. Esso, ovviamente, non esiste - o almeno, non lo troverete sulle mappe Babbane, trattandosi di un villaggio magico sullo stampo di Hogsmeade (maggiori dettagli nei prossimi capitoli... credo). Il nome, ebbene sì, è un omaggio a "Hunger Games", la cui protagonista fa di cognome Everdeen; quando ho dovuto pensare a un nome per questo paese mi è venuto subito in mente questo, sia perché sono molto legata a quella saga, sia perché mi sembrava un buon nome per un paese (richiama un po' nomi esistenti come Aberdeen, ad esempio). 
Niente, volevo chiarire nel caso qualcuno se lo stesse chiedendo. ^^
3) Santippe, personaggio storico che dà il nome alla bizzosa gatta dei Weasley, era la moglie del filosofo Socrate, divenuta proverbialmente nota per la sua acidità e la sua antipatia. Se suo marito le desse o meno dei validi motivi per comportarsi così, è questione che preferisco lasciare agli storici.
4) Il romanzo Babbano cui fa riferimento Molly è "Monsieurs les enfants" ("Signori bambini") di Daniel Pennac. Ve lo consiglio, a me è piaciuto tantissimo!
5) Lo ammetto, non so assolutamente se esista un corrispettivo inglese di "Chi è causa del suo mal pianga se stesso". Non lo so. E per questo ho avuto una gran paura a mettere questo proverbio italiano in bocca a Molly. Spero mi perdonerete un'eventuale forzatura nell'ambientazione, ché è stata fatta in buona fede.

6) Tutti, TUTTI dovete leggere questa storia, perché è una Percy/Audrey e perché è tenerissima e perché l'autrice è adoraBBile.
Andate qua: Earth & Clouds




Bene, miei cari. Attendo i vostri fangherleggiamenti, i vostri insulti e le vostre aspre critiche. Se volete lanciarmi verdure, vi chiedo solo di non inviarmi cicoria, che (nonostante le mie origini) non riesco a sopportarla.
Al prossimo capitolo, dove - stavolta per davvero - inizierà il peggio.
Grazie di aver letto, e a presto!

Fera

   
 
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