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Autore: Scandal    13/10/2012    2 recensioni
Irish.
"Ma lui la paura del buio non ce l'aveva mai avuta, considerò, mentre fuori dal finestrino si susseguivano miriadi di chiazze luminose e vivide. I lampioni nella notte.
Neanche da bambino si era intimidito di fronte ad un interrutore spento. Ricordava bene quando scendeva nello scantinato, immerso nel nero. Perché alla fine il buio non era che questo: nero.
Ed è sciocco aver paura di un colore, pensò, oltrepassando una Porsche d'epoca affiancata ad un marciapiede.
"
Genere: Azione, Drammatico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Crack Pairing | Personaggi: Altro Personaggio, Nuovo personaggio
Note: Lime | Avvertimenti: Violenza
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III
Comfortably Numb
•~•~•~•~•

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I can't explain you would not understand

This is not how I am

I have become comfortably numb

 

 

 




Richiuse la ventiquattrore piena di scartoffie. Il piccolo contenitore era tanto colmo che dovette sfilare qualche foglio per allacciare i gancetti di metallo del sistema di chiusura.
Diede un rapido sguardo per controllare che tutto fosse in ordine nell'ufficio e uscì a passo svelto, misurando bene ogni falcata. Pensava, in quei giorni; non faceva altro fin dall'alba o forse anche da prima, dato che il sonno era venuto a mancare dal giorno dell'incendio. L'aveva lasciato come lo avevano lasciato i suoi genitori. E si sentiva più bambino che mai, nonostante dovesse accettare il fatto che fosse rimasto solo. Solo, nel mondo. La sua famiglia erano i suoi genitori e se n'erano andati, loro. Per sempre. Era finalmente libero, indipendente: una cosa che aveva sempre sognato fin da adolescente … la totale anarchia.
Ed ora, la cosa non gli faceva neanche tanto effetto. La morte dei suoi era solo un puntino all'orizzonte. Non provava nulla: il cuore pareva congelato, ricoperto da uno spesso strato di ghiaccio. Non era felice, certo, ma la sua vita gli appariva come qualcosa di straordinariamente banale, qualcosa di fumoso e incerto, qualcosa di cui doversi sbarazzare il prima possibile.
Percorse tutta la corsia, fino a raggiungere l'uscita del grosso ospedale. Non c'era paragone col piccolo edificio di Tottori.
Da quando aveva subito il lutto, si era trasferito a Tokyo. Aveva pensato che in qualche modo sarebbe risultato più pratico per lui vivere nella capitale, a causa delle numerose pratiche funerarie da sbrigare. E in effetti era stato così.
“Buona serata, dottore.” Lo salutò placidamente un'infermiera dall'aspetto florido, con lunghe ciocche di capelli bianchi che le contornavano il viso.
“Anche a lei, Cikako.” Ribatté annoiato, stirando le labbra in modo parecchio tirato ed innaturale. Per fortuna l'anziana non se ne accorse e continuò a distribuire la cena ai malati, camera per camera.
Fuori pioveva e trovò insopportabile il ticchettio delle gocce d'acqua che s'infragenvano sull'asfalto ormai bagnato.
Il cielo era quello scuro delle nove di sera, lugubre nel suo nero torbido, a causa delle nuvole pesanti che dondolavano imperturbabili a ritmo del vento. Corse leggero fino alla sua automobile, inumidendosi il lupetto grigio che aveva pescato la mattina stessa da tutti i vestiti sgualciti in valigia.
Una fitta di mal di testa lo colse a pochi centimetri dallo sportello, impedendogli di muoversi per qualche istante, le dita a stringere la tempie. Il dolore era tanto acuto che udì un debole fischio nelle orecchie. Strizzò gli occhi e li serrò con forza, cadendo poi in ginocchio in una pozzanghera, che gli infangò le ginocchia ed i polpacci muscolosi.
Si rialzò di scatto e con un balzo s'infilò in auto. Partì sgommando.
Il dolore era sparito tanto velocemente quanto era arrivato. Sentendosi improvvisamente meglio, tirò fuori dal cruscotto un CD un po' usurato, che conservava sin dal 1992. Era un album di quella musica che piaceva a lui, che i suoi genitori avevano sempre disprezzato e non gli avevano mai permesso di ascoltare. Di quella musica che lo aveva temprato nel carattere e forse lo aveva reso un poco asociale, che aveva consolidato i suoi ideali che aveva scoperto condividere con milioni di persone al mondo.
Si chiamava 
Fear Of The Dark. Paura del buio.
Ma lui la paura del buio non ce l'aveva mai avuta, considerò, mentre fuori dal finestrino si susseguivano miriadi di chiazze luminose e vivide. I lampioni nella notte.

Neanche da bambino si era intimidito di fronte ad un interrutore spento. Ricordava bene quando scendeva nello scantinato, immerso nel nero. Perché alla fine il buio non era che questo: nero. 
Ed è sciocco aver paura di un colore, pensò, oltrepassando una Porsche d'epoca affiancata ad un marciapiede.




*** 

Aveva organizzato il funerale quella domenica. Erano stati invitate solo le conoscenze più strette e Sean si era limitato a stringere ad ognuno la mano con indifferenza. Aveva visto delle lacrime solcare le guance delle migliori amiche delle madre, che fissavano con sguardo triste le bare vuote che avrebbero dovuto contenere corpi mezzi carbonizzati, ma non si era mostrato accondiscente nel consolarle.
Nella sala, però, c'era una donna che non aveva mia visto e non ricordava rientrasse fra le cerchie della madre. Era piccola, secca ma nonostante tutto graziosa. Doveva avere circa vent'anni, non di più. Aveva il viso coperto da un velo di pizzo onice, come facevano le donne dell'ottocento, da cui spiccavano solamente le labbra dipinte di un aggressivo rosso sgargiante.
Aveva attirato subito la sua attenzione. Sean rimase a guardarla per qualche minuto.
Non si era neanche presentata, non sapeva chi fosse. Così pensò di muovere un passo verso fino alla ragazza, nella speranza che potesse scoprire la sua identità. Ma la donna uscì di scatto appena lo vide indirizzarsi verso di lei, ed il portone della chiesa si chiuse con un tonfo. Il chiavistello sbatacchiò sul legno.

“Signori, esco a prendere una boccata d'aria.” Disse serafico ai presenti. 

Loro annuirono comprensivi, pensando che volesse in qualche modo riprendersi dalle emozioni forti delle ultime ore.
Uscito all'aria aperta, si mosse per il cortile cercando di ritrovare quella misteriosa figura. Ma non ce n'era traccia. Solo il verde contornava l'asfalto, senza nessuna figura in nero.
Nero. Ancora quel colore.
Se non ne aveva paura, ne era forse attratto?
Una mano gli arpionò la gola e Sean si dimenò, ma la presa era troppo salda e si arrese presto. Schiacciato dal peso della sconfitta, aspettò che l'assalitore decidesse le sue sorti.
“Se Kir non si sbriga, dovrò farlo io.” Sussurrò con voce suadente al suo orecchio, ficcandogli un lungo ago dentro lo strato cutaneo.
Il dolore acuto della sera prima lo colpì nuovamente e svenne senza indugi, dopo qualche battito di ciglia.
“Mmmh. Ah, e io sono Anisette, piacere.”
L'ultima cosa che vide? Il nero.

 

 




Quanto tempo? Quanto tempo? Non ci sono parole per descrivere il mio abominevole ritardo, ma tutto per una buona causa: avevo bisogno di una pausa, l'ispirazione era andata a farsi fottere e non volevo pubblicare capitoli noiosi. Spero che in qualche modo possiate perdornarmi. çç Mi scuso.
Ma passando alle cose “serie”:
• IRISH IS A METALHEAD *----*
(Fear Of The Dark è degli Iron Maiden, ndr)
• Anisette è un personaggio inventato, l'incrocio fra me ed @Aya_Brea, LOL. HAHA. Insomma, ci siamo contese Irish – ok, non fateci caso.
• Ripubblicazione MBFW! :) Non so se la seguivate, ma la ripubblicherò presto. Grazie ad @_izumi.

Ed è tutto.. come vi è sembrato il capitolo?
Un bacio,
-scandal (a.k.a. bow)

  
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