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Autore: Oreo    13/10/2012    2 recensioni
Avrebbe fatto un patto col diavolo pur di non udirla ancora, quella maledetta, nostalgica nota suonata dalle mani goffe ed incapaci di colui che un giorno, sarebbe divenuto il principale artefice della sua rovina...
Genere: Drammatico, Malinconico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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I personaggi di Liszt ed Ewa non mi appartengono, sono proprietà esclusiva della loro bravissima creatrice ovvero Miyon Sybert Douval (qui il suo flickr: www.flickr.com/photos/miyon_sybert_douval/). La storia prende il titolo da questo scatto e vignetta: www.flickr.com/photos/miyon_sybert_douval/4644947319/in/photostream/

 

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Buona lettura

 

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Regnava il silenzio in quella grande casa buia, a guardarla da fuori potrebbe sembrare disabitata anche se non ci sono assi di legno a bloccare le finestre e al mattino si vede qualche servo entrare ed uscire dall’edificio. Eppure anche di giorno in quella casa regnava la quiete più assoluta poiché tutti camminavano lievi su quei pavimenti, così voleva il giovane padrone; egli esigeva che nessun suono turbasse quell’innaturale quiete un tempo alleggerita dalle melodie di un pianoforte.

Tutto per il giovane addormentato, l’unico e solo amore del malinconico signore del maniero. Un amore tanto tormentato quanto triste per due giovani il cui unico desiderio era rimanere insieme. Legati dal caso e distrutti dal destino che crudelmente aveva ridotto quell’impetuoso ed esuberante ragazzo dai capelli rossi a bambola inerte incapace di esprimere la propria volontà, un tempo forte e indomabile tanto da scontrarsi con la rigida tradizione di famiglia e sfidarla pur di essere libero.

Un amore che era stato gioia e condanna per il nobile austriaco, l’unico colpevole della tragedia che ha distrutto due giovani vite. Perlomeno è questo quello che egli continua a ripetersi nei giorni che si trascinano lenti, vuoti e che lo tormenta nei sogni delle agitate notti che egli passa in compagnia dei fantasmi del passato che lo giudicano, lo deridono e stringono le fredde mani su quel cuore ormai spento.

In quella casa incantata schegge di sole facevano capolino dalle porte, passi svelti e veloci turbavano lievemente l’aria immobile delle grandi stanze. Tutto questo aveva un breve nome, piccolo come chi lo possedeva: Ewa. La bionda bambina, di origine polacca, era stata raccolta per pietà dalla governante; forse quel visino sporco dai grandi occhi azzurri e la prevedibile sorte di chi è abbandonato a sé stesso in mezzo ad una strada aveva smosso il cuore dell’anziana donna che in cambio di vitto e alloggio le aveva affidato il ruolo di aiuto domestico.

Quando la governante aveva presentato la nuova servetta a Liszt egli ne era rimasto indifferente, a lui importava che non creasse disordini. Ewa dal canto suo, all’inizio un po’ spaventata dal silenzioso padrone, aveva assunto il suo ruolo con assoluta cura e caparbia dedizione per dimostrare di meritarsi le calde coperte e lo stomaco pieno.

 

Anche quella notte Liszt non riusciva a dormire, si rigirava inquieto tra le coltri del suo letto che invece di donargli un sano oblio momentaneo lo soffocavano, frustrato decise di alzarsi.

Mentre si aggirava per i lunghi corridoi con la sua ombra come unica compagnia qualcosa colpì la sua attenzione. L’eco di un suono ripetitivo, famigliare, che avrebbe riconosciuto tra mille.

Do centrale

I  ricordi lo investirono con tutta la loro schiacciante potenza riportando alla mente ciò che voleva dimenticare, ma ostinatamente continuava a serbare caro nel suo cuore che ora batteva furioso come mai aveva fatto, come un tempo aveva fatto.

Mallarmé che goffamente batteva il dito su quel tasto d’avorio.

Mallarmé che testardo non voleva saperne di avere a che fare col lucido pianoforte.

Mallarmé che lo osservava con uno sguardo intenso prima di accarezzargli delicatamente i capelli e congiungere le loro labbra.

Liszt non si accorse di aver accelerato il passo, per quanto la sua gamba zoppa potesse permettere, per raggiungere quel suono che ora aveva smesso ed altri prendevano il suo posto.

Ewa chinava il capo colpevole di aver assecondato la curiosità di avvicinarsi all’elegante e maestoso oggetto che faceva bella mostra di sé in quella stanza, colpevole di aver voluto toccare quei tasti bianchi e neri dai quali era stata affascinata, colpevole di avere ostinatamente suonato quel Do centrale.

La domestica che l’aveva scoperta ora la stava sgridando: come si era permessa di rompere il sacro silenzio? Come si era permessa una servetta di toccare il prezioso strumento del padrone? Ora l’avrebbe punita per insegnarle la lezione, una bella bacchettata su quelle mani insolenti e poiché si era dimostrata  indisciplinata l’avrebbe rimandata lì dove l’aveva trovata.

«Non oserete, se vi permetterete anche solo di sfiorare quelle mani sarete voi quella che verrà punita» l’ordine risuonò secco.

La domestica balbettava confusa, ma Liszt la congedò rapidamente e quando fu solo osservò la bambina che aveva alzato lo sguardo spaventato su di lui. Si avvicinò ed Ewa strizzò gli occhi attendendo il colpo, ma fu gentile la pressione di quella mano sulla sua testa.

«Perché suonavate il pianoforte?» chiese basso Liszt alla luce di un candelabro.

«Mi…mi dispiace p-padrone non accadrà più…glielo giuro, vi prego, vi prego non mandatemi via» implorò la piccola guardandolo con gli occhi pieni di lacrime.

«Vi ho chiesto perché suonavate il pianoforte» ripetè Liszt non spostando la mano dalla testa di Ewa.

«I-io…ero curiosa di sapere cosa fosse e…cosa facesse…non volevo…n-non» le lacrime iniziarono a scendere su quel piccolo viso.

«Porgetemi le vostre mani»  disse Liszt tendendo le sue.

Ewa lo guardò e titubante mise le sue piccole mani in quelle grandi del padrone, mani da pianista.

«Da oggi in poi dovrete averne cura, se vi feriste non potreste più seguire le mie lezioni».

«Lezioni padrone? Cosa intendete dire?».

«Voi mi ricordate qualcuno che un tempo suonava nello stesso identico modo» la voce di Liszt era morbida e calma, ma si avvertiva una punta di nostalgia «Entrambi avete avuto la forza di rompere la mia indifferenza e voi ora mi avete ricordato quanto amassi ciò che ora mi è negato».

Liszt le lasciò le mani e si voltò «Andate a dormire ora domani vi attende una lunga giornata» e detto questo si avviò verso le sue stanze, la mente e il cuore colmi di sentimenti in tempesta.

Ewa lo guardò allontanarsi sorpresa non solo di non essere cacciata, ma addirittura di ricevere dal padrone nero e silenzioso attenzioni e cure che nessuno finora le aveva mai dedicato. Sorrise e corse nel suo letto felice per la prima volta in cui le era accaduto qualcosa di bello, felice di sapere che quell’opprimente e freddo silenzio era stato in parte spezzato, felice perché forse su quel viso sarebbe sbocciato un sorriso che, ne era certa, sarebbe stato bellissimo.

 

   
 
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