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Autore: lalla    17/06/2004    6 recensioni
Eroe, per me, è colui che è disposto a pagare le sue scelte di persona. Colui che è disposto a battersi per una causa che sa già persa in partenza, in nome della dignità e della giustizia...
Genere: Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Antichità greco/romana
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RINASCERO’

RINASCERO’

 

Questa è una storia vera, filtrata dal tempo e dalla mia immaginazione.

La storia di un uomo che non aveva paura dei suoi sogni.

 

 

-Potrebbe essere chiunque, Dux. Se si escludono i negri.

Sotto i suoi occhi ne sarebbero sfilati seimila, e i negri erano al massimo una ventina. Senza contare quelli che erano morti: quasi altrettanti, e alcuni talmente sfigurati che neppure le madri, ammesso e non concesso che ne avessero avuta una, avrebbero potuto riconoscerli.

-Deve trascinare le sue catene per le strade dell’Urbe, a monito e futura memoria. Perché tutti sappiano che non sarà un esercito di pezzenti la causa della nostra rovina.

Avrebbe trascinato le sue catene lungo la via del Trionfo di Marco Licinio Crasso, poi sarebbe stato appeso alla croce anche lui, come gli altri. Perché quello che era accaduto non accadesse mai più.

-Uno qualsiasi, Dux, prendine uno qualsiasi, basta che non sia negro, e fallo trascinare dal tuo carro lungo la via Trionfale. Si prenderà gli insulti e gli sputi della plebe anche se non è lui.

Con un cenno della mano, Crasso ingiunse al giovane centurione di tacere, mentre la processione interminabile dei prigionieri sfilava sotto il suo sguardo annoiato. 

-Sei tu quello che chiamano Spartaco?

C’era chi lo fissava torvo, chi girava la faccia dall’altra parte, chi sputava in terra o si divincolava, punzecchiato dai giavellotti delle guardie. Qualcuno era ferito tanto gravemente da essere trascinato di peso davanti allo scranno del Generale, ma nessuno rispondeva a quella domanda. Per orgoglio, forse. Ma anche perché una buona metà di quella marmaglia non era neppure in grado di parlare il latino.

-Sei tu quello che chiamano Spartaco?

Lui l’aveva sempre visto  solo da lontano, Spartaco il Geta, dopo Brenno e Annibale, l’unico che fosse stato capace di portare il terrore fin sotto le porte della Città Eterna. Da lontano, e con la maschera. La stessa che gli copriva la faccia quando si cimentava nell’arena. Un abile combattente, gli aveva detto Lentulo, il lanista.  Non particolarmente grosso, ma coraggioso, agile e astuto. Aveva vinto diversi duelli e, andando avanti di quel passo, poteva essere che riuscisse a guadagnare, con il rudis, la spada di legno, la dignità di uomo libero. Non erano in molti, coloro che uscivano vincitori da cento duelli.

-Cercane uno biondo, anche se non è detto che lui lo sia. Quando combatteva nell’arena, portava la maschera e l’elmo, nessuno conosce la sua faccia. Nell’immaginario della plebe, i barbari hanno i capelli biondi, domine.

Cento duelli si vincono anche con la fortuna. E la ruota della fortuna non gira sempre per lo stesso verso. Mors tua, vita mea. Odia tutti quelli che non sono te, e forse…Ma Spartaco non aveva saputo aspettare.

-Sei tu quello che chiamano Spartaco?

La domanda ripetuta centinaia di volte adesso sorgeva spontanea, chiunque fosse il prigioniero che gli veniva trascinato dinanzi: uno smilzo egiziano, un fenicio dagli zigomi alti e dal naso adunco, un gallo dai mustacchi spioventi, perfino, contro ogni logica, un etiope o un nubiano nero quanto il carbone. Spartaco il Geta. Erano fuggiti dalla scuola dei gladiatori di Capua, lui e un manipolo di compagni, dopo aver ammazzato i loro guardiani. Avevano messo a ferro e fuoco i dintorni, sì che il coraggio e l’abilità con le armi, quelli non glieli poteva togliere nessuno, e torme intere di schiavi fuggiaschi avevano seguito quella lunga scia di sangue, andando ad ingrossare le fila dei ribelli.

-Sei tu quello che chiamano Spartaco?

Spartaco, lo spettro che nascondeva la faccia dietro una maschera  quando combatteva nell’arena facendo mulinare la sua daga dalla lama ricurva, capace di aprire raccapriccianti ferite sul corpo dell’avversario. Lentulo, il lanista, faceva usare la maschera ai suoi gladiatori. Certi hanno una faccia insignificante, diceva. Altri sono sfregiati dalle cicatrici.Al pubblico non piace vedere sguardi bovini o nasi mozzi e orecchie ridotte a monconi. Le autorità pagano perché il pubblico possa divertirsi come meglio crede, e chi caccia fuori il denaro ha sempre ragione. Dimmi almeno che faccia ha, Lentulo. Tu l’hai visto senza la maschera…Ma Lentulo era morto all’improvviso, soffocato dal suo stesso grasso, e Spartaco era rimasto un fantasma senza volto, non particolarmente grosso, ma agile, astuto e feroce come un lupo. Potevano nascondersi orribili cicatrici, dietro quella maschera, o la larga faccia onesta di un contadino, bruciata dal sole e sporcata da una barba incolta. Poteva avere gli occhi bruni o azzurri, i capelli neri come la notte o biondi come il grano, lisci o riccioluti. Poteva essere chiunque.

-Sei tu quello che chiamano Spartaco?

Del terrore di Roma, si era sempre saputo soltanto che era un Geta. Un prigioniero di guerra, forse, magari un capo del suo popolo, un combattente valoroso che aveva venduta cara la pelle prima di lasciarsi catturare. Lentulo non si era mai curato di chiedere chi fossero e da dove venissero, quei miserabili che mandava ad acquistare nei mercati di uomini  perché, alla sua scuola, imparassero ad affrontare la morte, propria ed altrui, con irridente disprezzo. Anzi, i migliori erano la feccia della terra, i dannati del remo e delle miniere, strappati ad una vita che non era vita per  finire a rischiare la pelle nell’arena. Sapevano  di esser destinati a campare poco, ma il gioco valeva la candela: meglio morire da coraggiosi dinanzi ad un pubblico urlante, che logorati dalla fatica e dalle nerbate, condannati a marcire in mezzo alle proprie sozzure, nel buio perenne delle gallerie sotterranee o  incatenati al banco di voga e con le gambe immerse fino alle ginocchia  nell’acqua di sentina. Se gli dei erano benigni, si poteva sperare di vincere cento combattimenti e il rudis. Non era facile, ma la fortuna è una ruota che gira. O, se non girava per il verso giusto, almeno c’era da mangiare a crepapelle, ubriacarsi come spugne e fottere come bestie un giorno, un mese, un anno...Finché durava.

-Sei tu quello che chiamano Spartaco?

Era difficile credere che Spartaco il Geta venisse dal remo o dalle miniere. Non poteva non averla nel sangue, la guerra, e non doveva essere di quelli che ingannano mangiando, ubriacandosi e fottendo l’attesa della sentenza. I Geti erano sempre stati i migliori gladiatori, i preferiti dal pubblico, insieme con i negri, che combattevano seminudi, armati soltanto di rete e di tridente. Combattevano con il volto nascosto da una maschera e armati di una daga a lama ricurva, la sica, affilata come un rasoio. Quanti duelli aveva vinto, Spartaco il Geta? Abbastanza da riuscire a scorgere, oltre l’orizzonte, il fantasma della libertà. E perché era scappato, allora? Per non essere costretto a guadagnarsi la libertà ammazzando quelli come lui?· Per combattere una guerra che sapeva perduta in partenza? Roma, che aveva resistito a Brenno e ad Annibale, non poteva cedere ad un esercito di pezzenti.

-Sei tu quello che chiamano Spartaco?

Lo schiavo non ama la vita, che per lui è pena soltanto. Lo schiavo  per il suo stesso bene, è meglio  non si faccia illusioni sull’amore o, peggio, sull’amicizia. E il gladiatore men che meno. Così è più facile fare ciò che ti è stato ingiunto di fare, chiunque la sorte ti metta contro. Forse, Spartaco il Geta era scappato dalla sua prigione e aveva dato corso alla sua folle avventura senza speranza perché amava la vita. Forse sperava di tornare all’Est, da dove era venuto, alle sue praterie, ai suoi boschi, alle sue montagne, Sperava di tornarci da uomo libero, nella sua terra di uomini liberi che si spostavano su grandi carri e si difendevano dal freddo coprendosi con pelli di lupo. Perché i suoi figli nascessero e vivessero liberi, senza dover barattare col sangue proprio o altrui la loro dignità di uomini.

-Sei tu quello che chiamano Spartaco?

Il lezzo di corpi sudati e di sangue era quasi insopportabile. Crasso aspirò da una pezzuola  qualche goccia d’essenza, continuando a guardare la lunga teoria di prigionieri che gli sfilavano davanti, e  a porre, a tutti quanti, la stessa domanda senza risposta.

-Non ti diranno niente, Dux, sono più duri delle pietre. Acchiappa il primo che capita, fosse pure il più disgraziato, e spaccialo per chi non è. Ti seguirà incatenato al tuo carro, e tutta Roma applaudirà il trionfo del suo salvatore.

Il trionfo di chi ha salvato la città destinata a durare in eterno da un branco di cani affamati. La faccia impassibile di Crasso si storse in una smorfia sarcastica.

-Tu credi, giovane Manlio, che la plebe non sia in grado di distinguere le monete autentiche da quelle false?

Il Senato gli avrebbe decretato il trionfo, questo era certo: un’ignobile mascherata a base di aquile, corone d’alloro, fasci littori e un falso Spartaco incatenato al suo cocchio dorato. Una mascherata di cui, potendo, avrebbe fatto volentieri a meno, pensò Crasso, allontanando da sé con un cenno della mano il suo interlocutore e immergendo il naso nella pezzuola impregnata di mirra e sandalo, perché il suo olfatto non fosse offeso dalla puzza dei suoi uomini e da quella dei morituri.

-Sei tu quello che chiamano Spartaco?

-Spartaco è morto.

Il prigioniero, che gli si era rivolto in greco, non doveva avere più di diciotto anni. Era biondo, ma non lo si sarebbe potuto spacciare per quell’altro neanche volendo: esile, un volto imberbe da ragazza. Sicuramente non si trattava di un gladiatore, ma di qualche schiavetto domestico che doveva aver sollazzato un ricco pervertito, prima di unirsi ai ribelli. Mai fidarsi dei propri schiavi, sono cani idrofobi tutti quanti, anche quelli che ostentano l’apparenza più innocua. Sicuramente, prima di scappare, quell’efebico ragazzetto aveva cacciato un coltello nella pancia del suo padrone e poi si era unito ai fuggiaschi di Capua sperando in chissà che cosa: l’oro, l’amore, la libertà…Ma Spartaco aveva promesso soprattutto sangue e dolore ai suoi seguaci. Tanto siamo quello che siamo, abbiamo tutto da guadagnare e niente da perdere. Diceva sempre così.

-L’ho visto con i miei occhi, mentre moriva. Credevi che Spartaco si sarebbe lasciato prendere vivo per darti la soddisfazione di appenderlo alla croce?

Forse il centurione Manlio aveva ragione. Visto da lontano, un qualsiasi schiavo di media corporatura e dai capelli biondi poteva essere spacciato per Spartaco. Camuffato a dovere, perfino quell’esile ragazzetto.

-Avrai salva la vita, se accetterai di seguire in catene il mio carro.

-Spartaco è morto. Non pensare che qualcuno possa credere che si sia fatto prendere vivo per seguire in catene il tuo trionfo.

-Preferisci…finire sulla croce?

-Tanto rinascerò. Chi crede in qualcosa, quando muore è per rinascere.

-Verrai inchiodato a due travi, per le mani e per i piedi. E’ un’agonia lenta e dolorosa, ragazzo: alcuni durano giorni.

-Tanto rinascerò. Tra due giorni, un mese, un anno. Rinascerò, e non sarò uno, ma mille, diecimila, centomila. E Roma tremerà ancora.



 Lanista= il proprietario delle scuole in cui venivano addestrati i gladiatori.

 Geti= popolo nomade della Tracia, l’attuale Bulgaria.

 Rudis=la spada di legno, simbolo dell’ottenuta libertà, assegnata, di solito,  al gladiatore uscito indenne da cento duelli.

 

CREDITI

“Spartacus” di J. Fast (romanzo)   “Spartacus” di S. Kubrick (film)

“La grande storia di Roma” di A. Spinosa

“Storia di Roma “ di I. Montanelli

“I bassifondi dell’antichità” di C. Salles

“La vita quotidiana nei secoli” di AA. VV

”Enciclopedia ragionata delle armi” di AA.VV.

 

   
 
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