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Autore: Gelidha Oleron    14/10/2012    6 recensioni
Mi sedetti sul freddo bancone e accesi una sigaretta. L'ULTIMA SIGARETTA.
Inspirai a pieni polmoni il fumo e assaporai a fondo la nicotina.
"Che strano" pensai, rigirandomela tra le mani "E' soltanto un po' di carta mista a tabacco, eppur mi fotte..." feci un altro tiro profondo.
La prima volta che quel vecchiaccio di Zeff me ne fece provare una, avevo solo quindici anni. Tossii pesantemente, mentre il bastardo se la rideva "Certe cose non sono proprio fatte per i mocciosi". Quanti ricordi, in quell'ultima sigaretta...mi sembrò di risentirle sulle mie labbra tutte quante, una ad una...
Ma quella sera, avevo preso una decisione: l'avrei fatto per l'unica donna che abbia mai amato e, stando a quanto diceva lei, anche per la mia stessa pelle.
Gettai la cicca in un posacenere, schiacciandola ripetutamente e pensando che fosse il corpo di quello spadaccino merdoso.
Non c'erano parole per descrivere quello che aveva fatto...
Genere: Commedia | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nami, Roronoa Zoro, Sanji | Coppie: Nami/Zoro, Sanji/Nami
Note: Lemon | Avvertimenti: nessuno
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"Soltanto un pacchetto di sigarette?"

"Sì, per favore"

"Sono tre berry e cinquanta"

Le monete gettate sul bancone produssero un fastidioso rumore metallico.

Il cassiere le contò scrupolosamente, dopodichè simulò un sorriso cordiale "Grazie, arrivederci"

"Buonasera" 

Probabilmente sarei stato infastidito dal suo atteggiamento sospettoso e attaccato al denaro, se non avessi trascorso gli ultimi tre anni della mia vita a gestire un ristorante con Nami. Ma ormai ci avevo fatto l'abitudine.

Non ci pensai due volte ad inaugurare quel pacchetto: tirai fuori l'accendino e lo avvicinai alla sigaretta già tra le mie labbra smaniose, il filtro si accese e feci il primo di una lunga serie di tiri. 

Presi a camminare tra le stradine strette e affollate dell'isola dei miei sogni, perdendomi nei loro profumi e assaporando la loro essenza. Quel posto era tranquillo, pacifico, e ormai ci conoscevano quasi tutti.

D'altra parte, era anche un luogo strategico per acquistare cibo: ce n'era davvero per tutti i gusti ed assolutamente di ottima qualità.

Trasferirci nell'All Blue era stata un'idea di Nami: dopo averle chiesto se intendeva andare ad abitare a Coconut Village, mi aveva risposto che questa terra era il mio sogno e che, per quanto tenesse a Nojiko e a Genzo, ormai si era abituata a vivere lontana da loro, io invece non avrei potuto stare lontano da ciò che avevo sempre sognato.

Non faceva una piega. E i suoi occhi erano dannatamente belli, mentre lo diceva.

Nami-san...tu che mi hai strappato il cuore e l'hai fatto a pezzi...come avrei potuto dirti di no?

"Quanto, i mandarini?"

"Sei berry al chilo"

Ne afferrai uno e lo annusai: mi ricordò terribilmente il sapore delle labbra della mia adorata.

"Due chili, per favore"

Nami ne sarebbe stata entusiasta.

Controllai l'orologio e vidi che segnava le otto: avevo tempo almeno fino alle undici, prima che Nami tornasse dalla beauty-farm.

Accesi un'altra sigaretta e decisi di avviarmi comunque sulla strada del ritorno, quando una musica lenta e gradevole m'ipnotizzò, costringendomi a voltarmi a sinistra con estrema lentezza e acuto interesse.

"Non cascarci di nuovo, Sanji" mi dissi. Ero già stato imperdonabile l'ultima volta e mi era costato una tremenda incazzatura di mia moglie e un bel paio di corna.

Meritatissime, probabilmente. Ma non per questo lecite.

"Le danzatrici del ventre", questo il titolo dello spettacolo che si sarebbe tenuto quella sera, la cui musica mi fece pensare che fosse già cominciato.

Accesi la terza sigaretta e mi fermai all'entrata del locale, meditabondo. E se avessi dato solo un'occhiata?

Insomma, una sbirciatina veloce, frettolosa, per poi andarmene subito...

Sbuffai e scossi la testa. Mi rendevo sempre più conto di essere incorreggibile senza speranze.

Guardai la busta piena di mandarini e mi ricordarono che mia moglie mi aveva dato un ultimatum, dopo il quale non sarebbe stata più tanto clemente.

Mi ero già voltato di spalle e stavo per fare il primo passo, quando una voce annunciò "E adesso fate un caloroso applauso a Kamala, la miglior danzatrice del ventre di tutto il mondo!"

"COSA?" mi bloccai, lasciando cadere a terra la sigaretta "...DI TUTTO IL MONDO?"

Come attirato da quella melodia afrodisiaca, corsi all'interno del locale come una furia "Questa non posso proprio perdermela!" mi ripetei più volte, come per mettere a tacere il mio senso di colpa.

Le luci rosse erano soffuse e nell'aria aleggiava un incantevole profumo orientale. Mi feci spazio tra la folla maschile e presi posto in una poltrona in quinta fila. 

I tamburi rullarono, dopodichè una dea avanzò sul palco vestita con un abito verde velato che mi ricordò quelli che erano soliti indossare gli abitanti di Alabasta. Accesi un'altra sigaretta e cominciai a mangiarla con gli occhi.

La parte inferiore del suo volto era coperta da un velo che rendeva i suoi occhi scuri ancor più intensi, e attorno alla vita portava una serie di monetine scampanellanti che mettevano in risalto i suoi fianchi formosi.

"Avanti, spogliati!"

"Facci vedere, Kamala!"

Svariate urla eccitate iniziarono a levarsi dai presenti.

"State zitti, peni mosci!" avrei voluto urlargli "Mi state facendo perdere la concentrazione!"

Ma proprio in quell'istante, Kamala cominciò a danzare su una musica dal ritmo lento e suadente.

"Sì, così, tesoro!"

"Sei la migliore, Kamala!"

Dovetti trattenermi alla poltrona per restare agganciato alla realtà: man mano che la danza andava avanti, Kamala mi trasportava in luoghi esotici e lontani, che probabilmente esistevano soltanto nella mia immaginazione.

Feci un profondo tiro e mi allentai la cravatta, ormai divenuta troppo stretta. Il ritmo divenne incalzante, mentre la ballerina scuoteva i fianchi e faceva ricadere i suoi lunghi capelli corvini prima da un lato e poi da un altro.

I miei battiti accelerarono spaventosamente: il cuore a momenti mi schizzava fuori dal petto, era come se si stesse ribellando contro la sua prigione toracica, urlava che non ne poteva più di stare intrappolato lì dentro e voleva uscire fuori, sprigionando tutta la sua passione.

Improvvisamente, un boato attraversò il pubblico: Kamala si era denudata il petto, portandosi via anche il velo che le copriva parte del viso.

"Cristo santo..." mi lasciai sfuggire e, con mani tremanti, presi subito ad accendere un'altra sigaretta.

Le sue labbra erano scarlatte e sembravano sussurrare "Vieni, vieni da noi. Mordici", i suoi capezzoli erano delicati boccioli che non aspettavano altro che esperte mani maschili per essere adulati.

La virilità cominciò a farsi sentire e mi ritrovai a fare lunghe inspirazioni di fumo grigio, mentre Kamala si spogliava della sua stessa pelle e si faceva protagonista delle nostre fantasie più colorite.

La donna si voltò di spalle e, prima di uscire di scena, ci rivolse uno sguardo sensuale e conquistatore. I suoi occhi erano sesso, parevano fuochi ardenti nei meandri della perversione più estrema.

Ma non appena sparì dal palco, le lamentele non tardarono ad arrivare "Ancora, Kamala!"

"Torna indietro!"

"Mostrati ancora!"

Feci profondi respiri affannosi, abbassando lo sguardo. Quello che avevo appena fatto non era giustificabile. 

Persi completamente la cognizione del tempo in cui restai lì dentro, la cosa certa era che adesso la mia mano destra era appoggiata sulla mia gamba, pericolosamente vicina al piacere.

Mi ridestai e raccolsi la busta di mandarini, correndo fuori dal locale e sentendo le urla di quegli uomini su di giri sempre più lontane.

Una volta fuori, mi ressi sulle ginocchia e respirai a fondo. 

"Non cambierai mai, ragazzino!" la voce di Zeff che popolava buona parte dei miei ricordi, non tardò ad affacciarsi alla mia memoria "Ma tu guarda! Le gengive gli puzzano ancora di latte e già vuole pensare alle donne!"

Quella volta mi aveva beccato a spiare la signora Meis, la moglie di uno dei cuochi che, spesso e volentieri, veniva a fare visita a suo marito. Mi era costato violenti scappellotti e diversi calci, ma tutto sommato ci avevo guadagnato la meravigliosa visione di due seni rosei e due glutei perfetti.

Era la prima volta che ammiravo il corpo femminile: ne ero rimasto incantato. 

La signora Meis e suo marito avevano fatto cadere un paio di pentole nella dispensa e mi ero avvicinato per controllare, ma invece li avevo beccati a darci dentro come conigli. Le forchette che reggevo mi caddero a terra senza scampo e sbirciai dal buco della fessura quella che fu la sveltina che mi fece innamorare perdutamente delle donne.

Il modo in cui si eccitava quella donna, cristo, era veramente capace di farti perdere la ragione: apriva impercettibilmente la bocca, socchiudeva gli occhi e ansimava il nome del suo uomo con il tono più sexy del mondo.

Scossi la testa. Zeff era proprio uno stupido vecchio.

Si erano fatte le dieci e mezza. Sospirai e, fumando la settima sigaretta, mi decisi finalmente a tornare a casa.

Il tragitto fu tormentato, pensieroso, quasi colpevole. Mi sentivo un pezzo di merda per aver ceduto di nuovo alle mie debolezze (delle quali, dopotutto, non riuscivo proprio a fare a meno), e non facevo altro che pensare a Nami che andava a letto con Zoro.

Insomma...la cosa mi aveva alquanto sconvolto, se non quasi distrutto psicologicamente.

Non mi era mai piaciuto molto lo spadaccino, ma non avrei mai pensato che sarebbe stato capace di farsi mia moglie, nonchè sua vecchia compagna d'avventura.

Non l'avrei perdonato mai. MAI.

E cos'erano le mie scappatelle al locale a luci rosse, in confronto? Sudavo, fremevo, mi eccitavo. Ma non tradivo.

Gli anni mi avevano insegnato a mentire, è vero, e forse era questo ciò che non andava giù a Nami: le mie continue promesse non mantenute, come quella di smettere di fumare.

Ero arrivato alla nona sigaretta, quando raggiunsi il ristorante buio e sistemai i mandarini nella dispensa.

Mi sedetti sul freddo bancone e accesi una sigaretta. L'ULTIMA SIGRETTA.

Inspirai a pieni polmoni il fumo e assaporai a fondo la nicotina.
"Che strano" pensai, rigirandomela tra le mani "E' soltanto un po' di carta mista a tabacco, eppur mi fotte..." feci un altro tiro profondo.
La prima volta che quel vecchiaccio di Zeff me ne fece provare una, avevo solo quindici anni. Tossii pesantemente, mentre il bastardo se la rideva "Certe cose non sono proprio fatte per i mocciosi". Quanti ricordi, in quell'ultima sigaretta...mi sembrò di risentirle sulle mie labbra tutte quante, una ad una...
Ma quella sera, avevo preso una decisione: l'avrei fatto per l'unica donna che abbia mai amato e, stando a quanto diceva lei, anche per la mia stessa pelle.
Gettai la cicca in un posacenere, schiacciandola ripetutamente e pensando che fosse il corpo di quello spadaccino merdoso.

Non c’erano parole per descrivere quello che aveva fatto…

Il mio cuore ne era uscito lacerato, martoriato, ma anche colmo di rabbia e dispiacere. Avevo incassato il colpo ma, nonostante la ferita indelebile, avevo deciso che sarei andato avanti senza più curarmi di voltarmi indietro a guardare il volto di quel lurido traditore.

La mia vita necessitava una svolta: se non ora, quando?

Pensa, Sanji, pensa.

Dovevo pur farmi perdonare in qualche modo. Se non altro, per convincere più me stesso che Nami che non ero poi tanto male come marito.

Perchè mia moglie meritava un uomo meraviglioso, capace di farla sorridere e di farla stare bene tutti i giorni della sua vita, un uomo che non le avrebbe fatto mancare niente, disposto ad amarla nella buona e nella cattiva sorte, che era più o meno quello che ci avevano fatto giurare il giorno del nostro matrimonio.

Ricordavo quella mattina come se fosse ieri: Nami era bellissima nel suo vestito bianco, i suoi capelli erano alzati in una raffinata acconciatura che la faceva assomigliare ad una divinità.

"Attento a non fare stronzate" mi aveva ammonito Franky "La tua bambola è davvero super, ma cerca di trattenerti almeno fino a quando sarà terminato il ricevimento"

Avevo lasciato uscire il fumo dalla bocca "Non c'è pericolo, amico. Sai che il mio secondo nome è autocontrollo"

Eravamo scoppiati a ridere entrambi, anche se un istante dopo il cyborg aveva tirato fuori un fazzoletto di seta e si era soffiato pesantemente il naso, inevitabilmente bagnato dalle lacrime che avevano cominciato a rigargli il volto.

Erano le dieci e cinquantacinque e Nami sarebbe tornata a momenti. Finalmente, mi alzai e salii al piano di sopra veloce come un fulmine.

Dovevo farlo...

Entrai in camera da letto e presi a rovistare tra le mie mutande, trovando pacchetti di sigarette clandestini gettati qua e là. 

"Che testa di cazzo" pensai.

Li raccolsi tutti e scesi nuovamente al ristorante, dove afferrai un cestino e li lasciai cadere all'interno, pensando che mi stavo disfacendo di un pezzo della mia vita. Non avevo mai lontanamente pensato che un giorno avrei potuto smettere. 

Tra l'altro, conoscevo un paio di persone che l'avevano fatto e che avevano deciso di seguire un percorso graduale per evitare il crudo impatto. 

MA NON IO. Ero abituato a risolvere le cose in modo drastico e veloce, e in fondo al Baratie me l'avevano sempre detto tutti, che avevo un caratteraccio. La verità è che non piaci a nessuno quando hai diciannove o ventisette anni e sei più testardo di un toro inferocito.

Se ce l'avrei fatta? Senza alcun dubbio.

Sentivo che c'era una forza misteriosa a motivarmi, che la mia ferrea volontà sarebbe stata capace di spaccare le pietre. 

IO ero l'uomo per Nami, colui che l'avrebbe resa felice con tutte le sue forze e che le sarebbe stato accanto fino alla fine dei suoi giorni, IO ero quell'uomo che Nami tanto meritava, quell'essere perfetto e comprensivo che non l'avrebbe fatta stare male nemmeno un secondo. 

O almeno m'impegnavo ad esserlo per il resto della nostra vita insieme.

Non avrei permesso a nessuno di portarmi via la donna che amavo, che si trattasse di uno stupido spadaccino o di una ancor più stupida sigaretta. E questo è quanto. ©

 

 

 

 

Capitolo dal punto di vista di Sanji e mio preferito della storia :)

Il prezzo delle sigarette e dei mandarini è molto orientativo, non saprei proprio quanto potrebbero costare queste due cose in berry!

Qui si apre una piccola questione: c’è chi trova che il cuoco non farebbe mai una cosa del genere a Nami e potrebbe non gradire la rivelazione di questo capitolo, e chi (come me) invece pensa che davanti ad un locale di spogliarelliste probabilmente non saprebbe resistere. Opinioni, ma io continuo a pensare che Sanji ha la faccia di un habitué dei locali a luci rosse xD

Mentre scrivevo, avevo “Siddharta” aperto sulla scrivania, quindi il nome della danzatrice del ventre l’ho preso da lì: dava un tocco orientale alla personalità della donna. Anche il cognome Meis l’ho preso da un libro, ”Il fu Mattia Pascal”, che ho letto poco tempo fa. Vi starete chiedendo: ma questa cretina frega sempre i nomi dei suoi personaggi da altre opere? No, non sempre. Quasi sempre.

E così Sanji si decise a smettere di fumare…Nami rappresenta un buon motivo per farlo, non credete? Come ho già scritto nel primo capitolo, il titolo “L’ultima sigaretta” si riferisce ad un brano che ho letto de “La Coscienza di Zeno” che s’intitolava proprio così (eccola, l’indole che si lascia ispirare dai classici…) in cui questo personaggio diceva sempre di voler smettere di fumare, ma non era mai abbastanza convinto per farlo. Inutile dire che mi ha fatto pensare immediatamente al nostro cuoco!

Comunque spero sia evidente la differenza tra la narrazione di Nami e quella di Sanji, che è un po’ la croce di chi scrive in prima persona.

Alla prossima (e ultima)!

 

 

  
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