Questo
capitolo, sin dalle prime bozze
cartacee, era già presente e centrale. Qui però
ci sono alcune modifiche.
CAPITOLO
QUINDICESIMO: VERTIGINI
24
dicembre
2010.
La
mia famiglia in questo momento sta volando sopra l’Oceano
Atlantico.
Non bevo sangue da
oltre dieci giorni, i miei occhi sono a poche sfumature dal nero. Ogni
volta
che il vento mi porta un odore invitante, il mio corpo scatta
automaticamente
nella direzione da cui esso proviene. Sento i muscoli tesi, la gola
inizia a
bruciare. Il sole sorgerà tra meno di un’ora. I
colori del bosco si fanno
sempre più vivi. C’è una brezza leggera
che increspa lievemente l’acqua di un
piccolo ruscello.
A
un tratto avverto un fastidio ancora più pungente alla gola.
Dev’esserci
qualche animale ferito nelle vicinanze. Anche se … No. Non
è sangue animale che
sento. Nell’istante in cui realizzo di non essere solo, un
improvviso senso di
panico mi assale. Sta venendo verso di me e non so che fare. Conosco
bene la
voce che sento. E’ terrorizzata e confusa, sta scappando da
qualcuno ed ansima.
Riesce comunque a spostarsi agilmente tra rocce ed arbusti
più o meno alti …
Beh, per lo meno, pur inciampando, sa come cadere senza finire con la
faccia
contro il terreno.
Resto
immobile con la schiena poggiata a un tronco ricoperto di muschio e
cerco di
capire. Nella sua testa, altre voci, facce senza connotati, immagini
veloci,
lei che fugge, coetanei insieme a lei che bevono, una strada buia
…
Poi
la vedo: esausta e a corto d’ossigeno, giunge a pochi metri
da me. Ne vedo il
profilo sinistro. Si piega in avanti mettendo le mani sulle cosce. Ha
una gonna
grigia lunga sino al ginocchio e delle calze pesanti - e strappate
-sotto.
Sopra un maglione viola. I capelli, sciolti e in disordine, le coprono
tutto il
viso.
Quel rosso rame risalta nel predominante verde del bosco. Ma
è un altro
tipo di rosso che cattura i miei occhi.
Quello
vivo ed acceso del rivolo di sangue che scorre da un taglio sulla gamba
sinistra. Poi si abbandona di getto all’indietro, stendendosi
sulla schiena e
portando le mani al petto. Sta cercando di riportare al livello normale
la
frequenza cardiaca, concentrandosi sul proprio respiro. Non
è soddisfatta del
risultato e rimpiange di non aver mai imparato come farlo ad un corso
di yoga,
frequentato qualche tempo fa. Inizia a rimpiangere anche altre
cose.
Ha paura.
Paura di … morire!
Mi
rendo conto che è una che si lascia prendere troppo dal
panico. E la cosa mi
sorprende: la credevo più tenace. Non è affatto
in pericolo di vita.
La ferita
non è così grave … e io non sono
eccessivamente affamato né tentato dal suo
sangue.
Potrebbe
benissimo rialzarsi ed andarsene per come è arrivata,
chissà per quale motivo.
Ma non me la sento di lasciarla sola qui in mezzo. Solo a pensarci, mi
viene da
ridere: un vampiro, che era in procinto di cacciare, si ritrova a
“salvare” un’indifesa
ragazza che si è persa nel bosco. Però devo
farlo. Sembra abbia anche molto
sonno e sia totalmente priva di forze per fare anche solo un passo ora.
Ha
corso tanto. Ha dei violenti capogiri: vedere le chiome degli alberi
che
danzano, dal basso, come le vede lei, fa quasi sentire frastornato
anche me.
Pare
che dorma adesso. So dove abita: forse potrei riportarla a casa senza
che nemmeno
se ne renda conto. Faccio il primo passo verso di lei, muovendomi in
modo impercettibile.
Con un unico, fluido e rapidissimo spostamento la raggiungo.
Non
ha un bell’aspetto: è molto pallida ed ha le
occhiaie. I capelli un po’ bagnati
dal sudore e sporchi di terra. Ma la trovo comunque affascinante.
Fa
un basso lamento con la gola e si rannicchia di lato. Torno a guardare
la
ferita: il sangue uscito si è quasi addensato e il taglio si
è un po’ infettato.
Guardo l’acqua del ruscello mentre mi strappo un lembo della
camicia e poi vado
a bagnarlo. Torno dalla ragazza e, chinandomi sulla sua gamba, mi
accingo a
fasciarla. Nello stesso istante riapre gli occhi di scatto. Ma ancora
non mi ha
visto, dovrebbe voltare la testa o stendersi sulla schiena per
accorgersi della
mia presenza.
- Maledizione
… - borbotta con una voce roca, rimettendosi a pancia in su.
Ecco,
l’ha fatto: adesso mi vedrà. Non appena
metterà a fuoco bene …
- Oh,
perfetto … - dice con tono ironico, quando incrocia i miei
occhi.
- Come
ti senti? - le chiedo, cercando di non spaventarla.
- E
tu che diavolo ci fai qui? - risponde, aggrottando le sopracciglia e
puntellandosi sui gomiti.
- Che
ci fai tu qui? Che cosa
è successo? Ne
ho una vaga idea, ma mi sfugge qualcosa…
- Perché
mi sembri … così irreale?
- E’
la circostanza in cui casualmente ci siamo ritrovati a darti questa
impressione.
- provo a convincerla.
Nella
sua mente vedo come mi vede: una figura bianchissima, resa ancora
più eterea
dalla camicia del medesimo colore, con due occhi scuri come la notte
che si
stagliano su un volto di pietra. Pensa che somigli a un angelo
… merito dell’ “aura”
che mi circonda, creata dal sole nascente alle mie spalle.
- Sei
talmente bello Cullen … - sussurra, prima di crollarmi
addosso, finendo con la
testa sulla mia coscia destra.
Ho
le gambe incrociate e la schiena dritta. D’istinto mi viene
di accarezzarle i
capelli, così sto per qualche secondo a passarci in mezzo le
dita.
- Lo
sei anche tu. - ammetto, sicuro di non essere sentito.