Capitolo 2
***
Mi svegliai di soprassalto. Dov’ero? Mi
guardai attorno e mi resi conto di essere nel divano sotto la finestra. Avevo
finito in dieci minuti i compiti e stranamente mi ero addormentata. Beh, forse
non troppo stranamente. Erano giorni che non assumevo sangue e questo si faceva
sentire. A volte ero debole altre, invece, il vampiro in me prendeva il
sopravvento. Sentivo la voglia di attaccare qualsiasi cosa avesse del sangue
che gli circolava dentro e ciò non era un bene. Soprattutto se potevo sgozzare
il mio compagno di banco durante una lezione. Un flash di due occhi dorati mi
passò per la mente. Quell’Edward Cullen. Oggi a biologia il suo sguardo mi
aveva fatto innervosire, eppure, era strano, ma non avevo provato nessun
istinto omicida nei suoi confronti. Forse quell’Edward Cullen doveva
ringraziare la sua buona stella se aveva un sangue poco appetitoso e il mio
naso non lo trovava commestibile. Il suo sangue non sarà stato commestibile
vero, ma bisognava ammettere che la sua pelle profumava in una maniera
estasiante. Emetteva un odore decisamente dolce.
I miei pensieri stavano prendendo una
brutta via, perciò decisi di distrarmi e cosa c’era di meglio se non una buona
battuta di caccia?
Dovevo ammettere che il sangue animale
non era delizioso come quello umano, ma se volevo fingere di essere una persona
normale dovevo cibarmi di esso. La differenza non stava solo nel gusto, il
sangue umano ti cambiava, ti accalappiava e ti trasformava in un mostro senza
sentimenti. Era una droga, ti costringeva a volerne sempre di più. E io non
volevo più essere così.
Aprii la finestra di una camera che dava
sul retro della casa e balzai fuori con un salto. Quando mi lasciavo andare ai
miei istinti non potevo fare a meno di sentirmi libera.
Iniziai a correre, ma avevo deciso di
non allontanarmi troppo. Puntai verso nord e dopo qualche miglio mi fermai. Mi
acquattai su un albero e iniziai ad ascoltare il silenzio attorno a me. Un
respiro a nord ovest attirò la mia attenzione. Era sicuramente un cervo. Iniziai
a respirare fortemente l’aria fino a quando il suo odore mi arrivò dritto al
mio sistema sensoriale. Fu allora che mi lasciai andare e il mio corpo si mosse
da se. Arrivai alle spalle della mie preda e senza troppe cerimonia gli saltai
in groppa e lo morsi sulla giugulare. In quattro e quattro otto lo dissanguai
fino all’ultima goccia. Ero estasiata dal sapore che sentivo in gola. Mi
sedetti a terra e chiusi gli occhi gustando quel delizioso nettare che avevo
appena ingurgitato avidamente. Non c’era nulla da fare. Nessun cibo umano
avrebbe mai potuto competere. Un suono insistente mi trascinò fortunatamente
via dai quei instabili pensieri. Era il mio cellulare. Guardai lo schermo, era
Angela.
“Angi?”.
“Bella! Dove sei? Sono passata per casa
tua, ma non mi hai aperto. Eppure la tua macchina è nel vialetto!”.
Accidenti! E ora che le dico? Lei sa che
non ho una vita molto sociale. Anzi, non ce l’ho per niente.
“ehm… a dire il vero sono andata a fare
una passeggiata nel bosco.”
“Nel bosco??? Ma sei impazzita!! È quasi
buio!”.
Dovetti allontanare il cellulare dal mio
orecchio da quanto aveva urlato.
“Tranquilla. Sono pratica ormai del
posto. Due passi e sono a casa!”.
“Bella se mi perdo io che abito qui da
una vita…”.
“Se sei svampita non è colpa mia!”.
“Amica ingrata!”.
“Si, anche io ti voglio bene! Comunque
come mai eri passata per casa mia?”.
“Oh, giusto! Domani devo andare a fare
delle analisi del sangue. Mi prendi appunti durante l’ora di storia?”.
“Certo, Angi!”.
“Grazie! Sei l’amica migliore del mondo.
Sei arrivata a casa?”.
Sorrisi. Feci un salto di qualche
miglio, poi un altro ancora. Una corsetta veloce e mi trovai dietro casa mia.
“Si. Appena arrivata sana e salva!”.
“Ok! Allora ci sentiamo!”.
“Ciao Angi!”.
Chiusi la chiamata. Un cervo non mi era
bastato, ma era già meglio di niente.
Decisi che subito dopo la scuola, l’indomani, sarei andata al confine col
Canada in cerca di qualche Puma.
Entrai in casa e come una persona
normale feci le pulizie e poi mi feci una doccia.
Il mattino seguente alle sette ero già
in piena opera per prepararmi per la scuola. Ci stavo mettendo più cura del
solito e intanto mi ripetevo che non era per Edward Cullen che lo facevo.
A meno venti alle otto ero già per
strada sulla via della scuola. Quando entrai nel parcheggio occhi nuovi mi
osservarono. Erano quelli dei Cullen. Se ne stavano in piedi vicino alle loro
macchine senza parlare. Ma che avevano? Mettevano inquietudine. Scesi come
niente fosse e mi avviai verso l’entrata, bofonchiando un ‘è proprio un vizio di famiglia’.
Le prime due ore avevo storia, così
presi appunti per Angela. Avevo trascritto parola per parola del professore.
Anche i richiami verso gli altri studenti. No, forse questo era il caso di
cancellarlo. Angi avrebbe potuto insospettirsi.
All’ora di pranzo la fame non era tanta,
non per quei alimenti almeno, ma non dovevo dare nell’occhio, per cui presi
solo un trancio di pizza e una bottiglietta d’acqua.
I Cullen erano già seduti in quello che,
a quanto pare, era diventato il loro tavolo. Al mio arrivo nessuno di loro mi
guardava. Forse ero solo io quella paranoica.
Masticavo mal volentieri la mia pizza,
così non avendo nulla da fare, iniziai ad ascoltare i pettegolezzi. L’argomento
del giorno era su chi fosse il più bello tra i maschi Cullen e con mio forte
fastidio, molte pensavano Edward. Questa cosa non doveva irritarmi. E avrei
finto così. Tra i maschietti invece l’argomento era su chi fosse più sexy tra
Rosalie Cullen, la bionda a quanto pare, e… sputai fuori l’acqua che avevo in
bocca… io. Ovviamente questo atto mi fece perdere molti punti . Abbassai la
testa facendo finta di niente. Cioè quella barbie bionda era praticamente
perfetta, chissà cosa avrebbe detto che era in competizione con me. Avrebbe
riso di sicuro.
Mi voltai verso il loro tavolo e li vidi
parlare, così curiosai tra i loro discorsi.
“Rosalie non te la prendere!”.
“Accetto tutto, ma non che la mia
bellezza venga paragonata a quella di quel sgorbio dai capelli marroni!”.
Cosa? A quanto pare avevano già saputo
anche loro il gossip della giornata. Aspetta… sgorbio?? Quella brutta copia di
Pamela Anderson si stava forse riferendo a me? Forse non aveva capito che ero
io.
“Sei troppo obiettiva Rose, guarda che
la ragazza è molto bella!”.
“Ma per favore, sembra un camionista per
me come è vestita!”.
Guardai la mia camicia a quadri stretta
ad una cintura in vita, i miei jeans e le mie converse. Come osava? Solo perché
io non andavo vestita a scuola come se dovessi andare sul red carpet. Almeno io
avevo ammesso dignitosamente che lei fosse bella.
Mi alzai dal mio tavolo e mentre mi
voltavo, sentii lo sguardo dei Cullen addosso. In quell’istante però mi sentii
chiamare dalla parte opposta.
“Angi?”.
“No comment! Finite la analisi mia mamma
mi ha fatto venire a scuola!” il suo umore però cambiò subito. “Ho visto il
dottor Cullen!”.
“Si?”.
“E’ un gran figo!”.
“E ti pareva?”. Lo dissi un po’ troppo
acida.
“Già, quello che ho detto anch’io! Ehi,
Bella, tutto ok?”.
Ringhiai sbuffando.
“No! Quella stronza bionda di una Cullen
mi urta il sistema nervoso!”.
E nel dirlo mi ero voltata verso di lei.
Sembrava proprio che mi avesse sentito perché in quel preciso istante anche lei
alzò lo sguardo. Ci fissammo un po’. Sembrava una sfida a chi avrebbe tolto per
prima lo sguardo.
Mi
dispiace biondina, non mi fai paura.
La gente parve accorgersi di quello che
stava succedendo e la Cullen mora attirò l’attenzione della sorella. Mi voltai
sorridendo gioendo per quella mini vittoria.
Una volta nei corridoi Angi mi fu
addosso.
“Che è successo là dentro ? Bella, ti
giuro, sembrava di essere in un ghiacciaio dall’atmosfera!”.
“Niente di che. Io non vado a genio a
lei, e lei a me. Questo è tutto!”.
La mia amica mi guardava con un sopracciglio
alzato.
“Ma vi siete neanche almeno mai
parlate?”.
“In questi casi non occorre.”.
“Se lo dici tu..”.
“A dopo Angi!”.
La salutai e andai nello spogliatoio a
cambiarmi. Appena entrata percepii che l’atmosfera era al quanto tesa e capii
subito perché. Sentivo l’odore dolce che caratterizzava i Cullen. Speravo solo
non fosse lei e le mie preghiere fortunatamente furono esaudite.
La nanetta Cullen si stava cambiando in
tutto silenzio e nessuna delle ragazze presenti aveva osato avvicinarsi a lei.
Dato che io era l’ultima persona che poteva trattare diversamente qualcuno, me
ne infischiai delle facce attorno a me e andai a cambiarmi vicino a lei.
Insomma, non mordeva mica. Io si.
Lei mi guardò sorridente, come se mi
aspettasse.
“Tu sei Bella, vero?”.
La guardai sgomenta. Sapeva il mio nome
e sembrava pure amichevole.
“Si. Tu?”.
“Alice Cullen”.
Le allungai una mano e lei la accettò
poco convinta. Certo che era strana. Gliela strinsi tranquillamente poi
continuai a cambiarmi. Mi voltai e lei mi guardava stranita.
“Che c’è?”.
“Non hai paura?”.
Le risi in faccia, ma vedevo che lei non
lo faceva, così mi fermai.
“Penso che tu sia l’ultima persona al
mondo di cui io possa avere paura!”.
Detto ciò mi infilai le scarpe e andai
in palestra.
Lì in attesa c’era un altro Cullen, che
ovviamente mi fissò fino a quando non uscì la nanetta, Alice.
Scostai lo sguardo, ma non le orecchie.
“Lo sapevo che era una bella persona.
Diventeremo buone amiche lo so!”.
“Alice lo sai che non puoi!”.
“Le mie visioni dicono il contrario!”.
Eh? Che fa la chiaroveggente?
La guardai e in effetti sembrava un po’
schizzata. Era per questo che mi chiedeva se avevo paura di lei? Forse dopo
tutto non ero poi l’unico fenomeno da baraccone al mondo.
Terminate le lezioni come sempre mi
avviai verso la mia macchina. Stavo per passare vicino ai Cullen e volevo
vedere se la nanetta Cullen mi avrebbe salutato nonostante la bionda al suo
fianco.
“Bella! Ci vediamo domani!”.
Restai di sasso, non avrei mai pensato
che lo facesse davvero.
“ciao!”.
La salutai inconsciamente, poiché ero
troppo sconvolta per capirne qualcosa.
“Isabella Marie Swan!”.
Angela mi arrivò in piena carica alle
spalle.
“Che ho fatto?”.
Angela infatti usava il mio nome per
intero solo quando avevo combinato qualcosa.
“Fai amicizia con un Cullen e non mi
dici niente? Tutta la scuola ne parla! Si chiedono se sia un modo per la bionda
per farti fuori!”.
Ghignai mentre osservavo i cinque
fratelli montare nelle proprie auto.
“Sai è una domanda che mi sono posta
anch’io, ma figurati. Nessuno può fregarmi!”.
“Si di questo non ti posso dare torto!
Jessica abbassa ancora la testa quando ti passa a fianco!”.
Ripensai a quella scorbutica di
un’umana. Mentre fingeva di essermi amica, mi ridicolizzava in giro, così gli
resi pan per focaccia. La seguii fino a scoprire cose ridicole sul suo conto e
gliele spiattellai in faccia. Durante un’assemblea studentesca. Ghignai
malefica.
“Stai ripensando all’assemblea, vero?”.
“Già.”.
“Mi chiedo ancora come tu abbia saputo
tutte quelle cose.”.
“Segreti del mestiere! Ora vado, ho una
cosa da fare!”.
La salutai e me ne andai a casa. Una
volta lì mi misi in tenuta da caccia. Jeans scuri, stivali, maglia nera. Potevo
benissimo sembrare una spia dei telefilm in missione.
Corsi al massimo delle mie possibilità e
in un battibaleno fui quasi in Canada. Cercai la mia preda e con un po’ di
fatica la trovai. Un puma. Fu un attimo, che gli fui subito addosso,
dissanguandolo dopo averci ‘giocato’ un po’. Percepii un altro respiro poco
distante da lì e per mia fortuna ne trovai un altro. Lo dissanguai in un
battibaleno. Due puma erano la ciliegina sulla torta. Erano animali carnivori,
per cui il loro sangue era più simile a quello umano e ti dava più energia. Era
strano però trovarne due così vicini. Feci un giro della zona e mi fermai di
botto in alcuni punti. Qualcosa aveva cacciato altri animali lasciando poi a
terra la carcassa. Qualcosa che aveva succhiato loro il sangue con un morso.
Era impossibile. Annusai l’aria intorno, ma le tracce di qualsiasi cosa fosse
stata, erano ormai sbiadite. Dai resti della carcassa sembravano passati due
giorni.
I miei pensieri iniziarono a farsi
incoerenti ed una strana agitazione mi perforò, per cui decisi di tornare
indietro.
Dovevo pensare. Insomma, era mai
possibile che non fossi davvero l’unica?
Spoiler
Capitolo 3
“Ok, forse siamo
partiti col piede sbagliato!”.
Lui alzò un
sopracciglio e mi guardò quasi divertito. Non ne ero sicura, però.
“Io sono Isabella
Swan, ma puoi chiamarmi Bella!”.