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Autore: deba    16/10/2012    4 recensioni
Isabella Swan è qualcosa di più di un essere umano, ma non sa di preciso cosa. E' cresciuta da sola e nessuno le ha mai spiegato cos'è realmente. Vive nascosta nel mondo degli umani, fino a quando nella cittadina di Forks arriva una strana famiglia.
Genere: Fantasy, Romantico, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Angela, Carlisle Cullen, Edward Cullen, Isabella Swan, Un po' tutti | Coppie: Bella/Edward
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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Ecco a voi una nuova storia.

Fatemi sapere cosa ne pensate!

Grazie =)

 

 

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Capitolo 1

 

 

 

 

La sveglia segnava le sette del mattino e come ogni mattina mi ritrovavo seduta sul divano sotto la finestra ad osservare i minuti passare. Dormivo poche ore per notte, eppure erano sufficienti per farmi riacquistare le energie. Era capitato che passassero anche alcuni giorni prima che mi stancassi al punto tale da dover dormire, ma quello capitava soprattutto quando facevo un buon pasto. Ormai erano anni che non mi stupivo più delle mie strane capacità, solo c’era una cosa che continuavo a chiedermi, ‘perché io?’. E da lì, come un domino le altre domande sorgevano spontanee. Perché non ero riuscita a trovare nessun altro come me? Perché ero un mostro? Sarei rimasta sola per sempre? E così via. Ormai era un abitudine. Ogni mattina, mentre aspettavo l’orario giusto per recarmi a scuola, pensavo sempre alle solite cose.

Vidi la sveglia segnare le sette e trenta così alla velocità delle luce mi cambiai, truccai e dopo aver preso lo zaino andai in cucina. Ci avevo impiegato un minuto esatto, meno del solito. Stamattina volevo sentirmi più normale del solito, così presi un abbondante tazza di latte con i miei cereali preferiti, quelli al cioccolato, dopo di che presi le chiavi della Mini Cooper ed uscii. Abitavo in un’accogliente casetta al limitare del bosco e questo era uno dei motivi per cui l’avevo scelta. Ero capitata qui per caso, dovevo cambiare meta, così dall’Irlanda ero andata oltre oceano e tornata nella mia patria. Gli Stati Uniti d’America. Volevo trovare un posto poco assolato e con fitti boschi ed avevo puntato subito sullo stato di Washington, poi chissà perché l’occhio mi era caduto su questo paesino chiamato Forks e così eccomi qua. Era quasi un anno che ero qui. Per l’età che dimostro non potevo fare altro che iscrivermi a scuola, non avrei sopportato di nascondermi ancora sotto le città, nelle fogne, per non mostrare quello che ero. Ero riuscita a controllarmi e la voglia di essere normale era più forte. Volevo stare in mezzo agli umani e questo era l’unico modo. Un eterna studentessa. Il mio periodo peggiore stava tornando a galla ma avevo appena parcheggiato e la mia amica Angela stava bussando insistentemente sul mio finestrino. Sapevo di non potermi permettere di stringere legami d’affetto, perché un giorno o l’altro io avrei dovuto lasciare tutto, perché le persone avrebbero potuto notare che in me c’era qualcosa di sbagliato, ma ero egoista, e non voleva stare sola.

“ehi ehi, Angi, mi butterai giù il vetro se continui così!”.

“Lo so, ma non è questo l’importante!”.

“No? E cosa lo è allora?”.

Era buffa come ragazza. Appena incontrata Angela non spiccicava parola. È fatta così, con chi non conosce lei è timidissima, ma aspettate che prenda confidenza e non la si ferma più. Sa essere travolgente a volte, ma almeno è sincera e leale, e sono le due cose che più apprezzo di lei. Non come Jessica. Appena ero arrivata aveva cercato in tutti i modi di entrare nelle mie grazie e portarmi nella sua schiera di amici come suo trofeo, ma per sua sfortuna avevo un udito così sviluppato che sentivo le sue cazzate in ogni angolo mi trovassi della scuola,così senza troppi preamboli l’avevo mandata subito a quel paese.

“Non sarai più la ragazza nuova!”.

“Bè Angi, è un anno ormai che sono qua, ancora lo sono?”.

“Non importa! Ho saputo che domani arrivano degli studenti nuovi, sono i figli del nuovo chirurgo del Forks Hospital. Sono cinque.”.

“Caspita!” enfatizzai con un fischio. “ Il chirurgo si è dato ben da fare per avere cinque figli che vanno tutti alla High School!”.

Lei mi guardò allienata.

“Hai ragione Bella! Farò delle ricerche!”.

Sorrisi scuotendo la testa. Angela sarebbe diventata una strana giornalista, di questo ne ero sicura.

Mi incamminai nella mia prima lezione e ancora vedevo su di me gli sguardi dei studenti, come fosse il primo giorno. Non era perché non facevo amicizia, il contrario, ma avevo già menzionato sul fatto che fossi un mostro, o meglio un bellissimo mostro. Io non avevo mai dato tanto peso che fossi una ragazza carina, ma le mie varie amiche nel corso degli anni, mi avevano tutte fatte notare questa cosa. Anche Angi, un giorno, mentre mi fissava intensamente, mi disse che ero disumanamente bellissima. Io ci avevo riso sopra, ma lei non poteva sapere, e non lo avrebbe mai saputo.

Il professore spiegava trigonometria ed io pensavo a quanto fossi sbagliata. Io non dovrei esistere eppure ero qui. Ricordo i miei primi anni di vita in modo molto doloroso. Vivevo come un animale, perché le persone mi respingevano. Avevo imparato fin da subito a nascondermi, anche se avevo le sembianze di una bambina, ero intelligente, e capii subito di non dovermi mostrare troppo. Vissi un lungo periodo così, e guardavo quegli esseri che mi assomigliavano a distanza, non capendo perché io non potessi essere come loro. Quando mi accorsi che il mio corpo non cresceva più, mi spaventai, iniziai a vagare nelle città, ma la gente si spaventava ancora e così mi nascosi, come ormai avevo imparato. Mi spostavo di giorno tra le fognature delle città e di notte uscivo e studiavo i comportamenti degli umani. Imparai la lingua, a leggere e scrivere, era semplice per me apprendere tutte quelle cose. Trovai una biblioteca e ci misi quasi un anno a leggere tutti i libri che conteneva. Al termine ero sconvolta. Avevo avuto la conferma di essere diversa. Non umana. La cosa che più mi si avvicinava era quella che nei libri di mitologia e fantascienza chiamavano vampiro. Era forte, immortale e si cibava di sangue. Ed io avevo ucciso animali a mani nude, senza un graffio, tralasciavo la carne e bevevo fino all’ultima goccia di sangue.

“Signorina Swan, se la mia lezione la annoia può anche andarsene!”.

Guardai il professore e feci una faccia dispiaciuta.

“Mi scusi professore!”.

Mi guardò in cagnesco per altri due secondi poi si voltò a continuare la sua lezione. La trigonometria era una materia davvero noiosa e dato che per me non aveva più segreti lo era ancora di più.

Quando arrivò l’ora di ginnastica, mi defilai. Non avevo voglia di contenere la mia forza quel giorno, perciò andai sul tetto della scuola a pensare un po’. Ripensai a quelle storie sui vampiri, ormai l’avevo capito: ero simile a quel mostro leggendario, ma non lo ero per davvero. Avevo visto film e letto libri a riguardo, ma a parte le cose basi sulla forza, l’immortalità e il sangue non c’erano altri riscontri. Il sole non mi faceva niente, se non illuminare percettibilmente a miei occhi la pelle. L’aglio e l’acqua santa non erano pericolosi. Se mordevo qualcuno e bevevo il sangue dandogli poi il mio, questo non si trasformava. Ma io per quanto poco, sapevo di non essere stata trasformata. Il viso di quella donna che mi aveva messo al mondo lo avevo davanti agli occhi tutti i giorni così come il fatto che io la avessi uccisa. Ero nata così, un mostro, e ormai lo avevo accettato. Forse.

Ciò nonostante potevo benissimo passare per un umana, i miei occhi erano marroni, il mio cuore batteva, e potevo mangiare di tutto, ma era solo una pia illusione crederlo di esserlo davvero.

 

Al termine delle lezioni mi incamminai verso la mia auto, quando il vento portò l’odore di Angela al mio olfatto, segno che si stava avvicinando.

“Eccoti qua! Ho saputo che il professore di trigonometria ti ha richiamata. La odi proprio la sua materia che non riesci a starci attenta?”.

“Puoi dirlo forte!”.

La vidi prendere un grosso respiro, quando la fermai sul nascere.

“Metaforicamente parlando Angi!”.

Lei sbuffò fuori l’aria e sorrise. Già una volta aveva gridato quello che aveva appena detto.

“Comunque, tornado all’argomento ‘nuovi arrivati’, ho fatto qualche ricerca qua e là… ovvero da Nancy la figlia dell’infermiera della reception dell’ospedale, e ho saputo che il dottor Cullen, così si chiama, con la sua signora non hanno potuto avere figli, così li hanno adottati tutti. E qui risolto il mistero!”.

Sorrideva a trentadue denti per essere riuscita a ricavare quell’informazione.

“Mi spaventi quando fai così. Diventerai davvero una giornalista coi fiocchi o un detective, se vuoi.”

Mi guardò seria e poi con tutta la convinzione che possedeva mi disse: “io diventerò la migliore giornalista del mondo!”.

Lo disse con un tono così fiero che non potei fare a meno di assentire.

 

Il giorno dopo alle sette mi ritrovavo sempre nella stessa posizione persa tra i mie pensieri, ma stavolta mi sarei comportata ancora più umanamente del solito. Decisi di prepararmi senza usare la mia velocità. Mi lavai, sistemai i capelli, mi truccai e scelsi con cura i miei vestiti: dei jeans attillati, delle converse stivaletto, una felpa grigia e il mio giubbetto in pelle preferito. Fu così che a meno cinque alle otto ero ancora in casa. Strappai la mia regola ‘niente poteri’, e un secondo dopo ero già in strada nella mia macchina.

Gli studenti erano già entrati tutti, e quando la campanella suonò mi ero appena seduta accanto ad Angela che mi aveva tenuto il posto.

“Che ti è successo? Tu non arrivi mai tardi!”.

“Ehi può capitare!”.

Ed è stata una sensazione bellissima, sembravo davvero una teenager che si era presa a letto.

“Allora non li hai visti!”.

“Visto chi?”.

“Come chi?! Ma i nuovi studenti, no?!”.

“Oh, giusto! Li hai visti?”.

“Ovvio! Ero in prima fila!”.

“Come una brava giornalista!”.

Lei mi tirò la lingua poi continuò il suo racconto con enfasi.

“Li devi vedere. Sembrano modelli, sono uno più bello dell’altro. Due ragazze e tre ragazzi. Credono che alcuni di loro stiano assieme, intendo assieme assieme. Si tenevano per mano in modo davvero sdolcinato. Oh, Bella, ma non puoi capire li devi vedere per forza. Sono belli quanto te ed è impossibile, no?”.

Risi del discorso senza aria di Angela. Arrivò il professore di storia e ci riportò all’ordine. Mentre spiegava mi persi tra i bisbigli degli studenti in tutta la scuola. Parlavano quasi tutti di questi Cullen e la cosa strana era che Angela diceva sul serio quando pensava che fossero bellissimi, perché tutti non facevano che ripeterlo.

Arrivò l’ora di andare in mensa e con calma mi avviai. Appena entrata vidi Angela già sul nostro tavolo, così mi presi un vassoio e presi qualcosa da mangiare.

“Ehi, com’è andato il test di inglese?” le dissi appena la raggiunsi.

Fece una smorfia e ingoiò il boccone.

“Se non avessi perso tutto il mio tempo a guardare uno dei Cullen, forse meglio!”.

“Era al tuo corso?”.

“Già! Si chiama Emmett ed è…”.

Bloccò le parole a mezz’aria e con gli occhio spalancati mi indicò l’entrata della mensa. E fu lì che li vidi per la prima volta. Angela aveva ragione, erano bellissimi, aggraziati e perfetti. Presero posto sul tavolo più distante della mensa, volevano in qualche modo tagliarsi fuori e a quanto pare era quello che intendevano fare.

Angela mi aveva poi raccontato che non si erano lasciati avvicinare da nessuno che non fossero stati i propri fratelli. Li guardai e non potei fare a meno di pensare che fossero strani, e lo diceva una che strana lo era nata.

Affilai le orecchie e ascoltai quello che si dicevano.

“Ci fissano tutti ovviamente!”.

“Dai Jazz non farci caso, dovresti esserne abituato ormai, no?”.

“Jazz sapessi quello che pensano… la gioventù odierna è senza peli sulla lingua”.

Quest’ultimo commento mi lasciò interdetta. Da come aveva esposto la frase, sembrava che lo sapesse veramente, ma ovviamente ciò non era possibile. Giusto?

Guardai meglio chi aveva pronunciato la frase e in quell’istante anche lui si voltò verso di me. Credo, anzi no, ne ero certa che lui fosse il più bello dei tre maschi. Lo stavo fissando, ne ero consapevole, ma non potevo fare a meno di guardarlo. Bellissimo era dire poco.

“Edward va tutto bene?”.

La Cullen dai capelli neri lo aveva richiamato e lui aveva distolto lo sguardo. Edward si chiamava. Che cosa aveva questo ragazzo? Non mi era mai capitato di interessarmi così ad un umano, era forse il fatto che fosse un dio greco? Non lo sapevo, ma non potevo permettermi di pensarci. L’amicizia me l’ero concessa, ma l’amore per me era una regola assoluta da non violare. Io non mi sarei mai innamorata.

Abbassai la testa e mi alzai di scatto facendo voltare un paio di persone verso di me.

“Ehi Bella tutto ok?”.

“Si, devo solo andare al bagno. Scusa Angi, ci vediamo alla fine delle lezioni!”.

Senza aspettare che rispondesse uscii dalla mensa. Dovevo correre come la mia persona me lo permetteva. Era un modo per scaricare la frustrazione e Dio fece che il bosco fosse a confine con la scuola.

 

Tornai in tempo prima che la lezione di biologia iniziasse.

Quando varcai la soglia della classe, vidi tutti osservarmi e poi capii il perché. La sedia accanto alla mia, del tavolo di laboratorio, era occupata. Era dall’inizio dell’anno che quel posto era vuoto e ora, li seduto, c’era l’unico umano che era stato in grado di sconvolgermi con uno solo sguardo.

Presi posto a fianco a lui e non lo guardai. Per circa un minuto, poi cedetti. Lo trovai a fissarmi, come se fosse anche lui frustato da qualcosa che non capiva, mi fissava in modo diverso da come lo faceva di solito la gente, sembrava che volesse capire qualcosa di me e per qualche strano motivo mi turbò sgradevolmente. Non mi piaceva che lui mi fissasse così e allora glielo dissi.

“Smettila!”.

Lo stupore che gli si lesse in faccia in seguito alle mie parole, fu visibile anche ad un cieco.

“Come prego?”.

La sua voce era qualcosa di estasiante, ma non mi lascia abbindolare.

“Mi da fastidio che mi fissi così… come una cavia dal laboratorio!”.

Un lampo divertito percorse i suoi strani occhi dorati, e la smorfia di un sorriso colpì l’angolo della sua perfettissima bocca.

“Hai ragione, ti chiedo perdono!”.

E così, garbatamente come le sue scuse, si voltò verso il professore e non mi guardò più per tutta l’ora.

La cosa sbagliata fu che mi dispiacque.

  
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