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Autore: _Rockstar_    17/10/2012    2 recensioni
Che cosa sarebbe successo se i 76esimi Hunger Games fossero stati istituiti veramente? Cosa sarebbe successo se la ghiandaia imitatrice non avesse ucciso la Coin e il loro malvagio progetto fosse andato a buon fine? Cosa sarebbe successo se ventiquattro ragazzi di Capitol City fossero stati gettati in una nuova arena soltanto per vendetta da parte degli altri distretti? Attenzione: Spoiler de "Il canto della rivolta".
Genere: Azione | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altri
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo XIII – Stelle


Mi gettai su di lui cercando di riappropriarmi della boraccia avvelenata, non avrei mai e poi mai permesso che la bevesse. Non potevo rimanere da sola, non ora. Fortunatamente riuscii a rovesciare completamente il contenuto proprio un secondo prima che Declan potesse assaggiare una sola goccia di quel liquido, sarebbe bastata solo quella per ucciderlo, ne ero certa. Guardai attentamente l’acqua incriminata creare un piccolo lago proprio ai nostri piedi. Al contatto, l’erba e tutte le piante circostanti, quasi come per magia, una magia oscura, appassirono. Era uno spettacolo davvero terrificante, quella natura prima rigogliosa era ora diventata schiava e vittima delle orripilanti modificazione genetiche di Capitol City. In un solo instante, mentre fissavo quella scena, mi sentivo come se tutta la felicità del mondo fosse sparita e il cemento avesse preso il posto della natura. Era per questo motivo che nessun animale si era avvicinato alla fonte, loro sapevano dell’agguato preparato dagli strateghi, se non fossimo stati attenti, ora ed in futuro, ci avremmo lasciato le penne molto presto. Rovesciai il resto del veleno nel lago da cui proveniva, ma ora ero indecisa se tenere quella boraccia oppure abbandonarla lì, avevo paura che qualche goccia di malvagità potesse sporcare anche la purezza e la limpidità.
– Che cosa ce ne facciamo di questa boraccia? Sicuramente del veleno si sarà depositato sul fondo, non vorrei che aggiungendo dell’acqua buona poi… - iniziai a pensare ad alta voce
– No, ho una idea. Raccogliamo dell’acqua da quel lago e rimettiamola nella borraccia, magari qualcuno potrebbe essere assetato quanto noi.. – sapevo che cosa volesse dire e gli davo ragione.
Era un arma, per così dire, gratis. Non si poteva sapere quando o se sarebbe tornata utile, quindi…Gli sorrisi e così si avvicinò alla fonte e riempì d’acqua la seconda borraccia.
– Dobbiamo stare attenti però, non dobbiamo rischiare di confonderci. – Saremmo stati troppo stupidi a cadere nella nostra stessa trappola
– Hai ragione. Ecco, distinguiamola con questo pezzo di stoffa – suggerì lui strappando un striscia della sua maglietta e legandola al collo della borraccia.
Da ora in poi avremmo saputo che quella boraccia non doveva assolutamente essere bevuta. Guardai attentamente il sole, era quasi il tramonto, ero sicura che l’uscita per l’arena era già stata aperta e perché no, forse qualcuno l’aveva già trovata. Dovevamo muoverci.
– Forza, andiamo. Se partiamo ora potremmo arrivare all’uscita prima che faccia notte – esclamai io mettendomi lo zaino in spalla e inserendo la boraccia d’acqua avvelenata in esso.
Era strano ma non ero per niente stanca. L’adrenalina probabilmente non mi aveva permesso di stancarmi, sarei potuta andare avanti per ore. E così partimmo, avevamo ancora chilometri e chilometri da percorrere. Non sapevamo bene dove andare, insomma l’uscita poteva essere ovunque. Camminammo e camminammo per le lunghe distese senza una vera meta precisa. Ci addentrammo ancora una volta in una piccola foresta, diversa da quella che avevo visto il primo giorno. Gli alberi erano più bassi e l’umidità era decisamente minore, faceva un po’ freddo ma in fondo era quasi notte. Attraversammo un piccolo fiumicello, non più largo di tre passi d’uomo e dalle rapide non troppo veloci, probabilmente portava ad una cascata, ma non ci fidammo nemmeno delle sue acque. Passammo oltre.
– Sono stanca, Declan. Fermiamoci! – annunciai io lamentandomi. Si è vero, avevo detto di non esserlo ma mi sbagliavo di grosso.
– No, andiamo avanti – mi impose quasi con voce molto dura
–Perché? Fermiamoci due secondi, non chiedo tanto. Poi, comunque non sappiamo neanche dove siamo o dove stiamo andando! – esclamai di rimando mentre lui aveva continuato a camminare, sembrava davvero irritato ed arrabbiato.
– Ok senti qua, Rose. Smetti di lamentarti! Vuoi o no cercare questa diamine di uscita?! – Era decisamente arrabbiato.
Questa arena doveva dargli alla testa, cambiava umore da un secondo all’altro.
– E sentiamo, dove vorresti cercare questa uscita? Sai già dove si trova, eh?! -  Mi piantai sotto un albero e non mi sarei mossa fino a quando non mi avrebbe dato un valido motivo per muovermi e seguirlo
– Sono convinto che sia nel punto più estremo possibile, insomma, questa arena dovrà pur finire da qualche parte, no? – non sapevo bene cosa pensare, forse aveva ragione, in fondo ormai tutti sapevamo che le arene era circondate da campi di forza ma nessuno sapeva capire dove fossero realmente.
Senza fiatare decisi di rialzarmi, non volevo veramente litigare con lui, così lo seguii. Nel tempo che impiegammo ad uscire dalla foresta era iniziato a piovere a dirotto. La temperatura era calata di almeno dieci gradi e il vento era diventato sempre più impetuoso. Iniziammo a correre attraverso i rami che si facevano man mano più bassi e finalmente riuscimmo a veder le stelle. Ormai era notte e lo spettacolo che vidi dinnanzi ai miei occhi non era paragonabile a nessun’altro. Ero lì ferma a rimirar il cielo quando sentii un rumore provenire dalle nostre spalle. Mi voltai circospetta ma non vidi nulla. Poi lo risentii, ancora ed ancora. Sentivo nervosamente dei passi, dei passi umani avvicinarsi sempre di più a noi. Rimanemmo immobili e senza respiro fino a quando un ragazzo non troppo alto si fece spazio tra i cespugli e gli arbusti, con in mano una spada, pronta a trafiggerci entrambi. Era lo stesso ragazzo che avevo visto proprio accanto a me il giorno prima e ora era lì, di fronte a noi due ed era pronto ad ucciderci. Eravamo in due contro uno, ma Declan non aveva nessun’arma e si sa, l’uomo con la pistola che incontra l’uomo con il fucile è un uomo morto. Bastava sostituire la parola pugnale a pistola e spada a fucile, la soluzione dell’equazione sarebbe stata comunque inevitabile. Sfoderai  il mio coltello, ma quel ragazzo mi faceva tremare il sangue nelle vene e nei polsi. Lo vidi lanciarsi contro di noi, la sua preda sarebbe stata sicuramente Declan e io non potevo permetterlo. Mi gettai anche io contro di lui e dopo essere fortunatamente riuscita a schivare il suo colpo alto abbassandomi soltanto, riuscii a colpirlo nella schiena con un colpo ben assestato che permise al mio compagno di battaglie di colpirlo nuovamente, prima allo stomaco ed infine sul volto. Il ragazzo traballò per qualche secondo ma poi si scagliò nuovamente verso di me, stavolta però non mi andò così bene. Immaginai che avesse provato a colpirmi un’altra volta dall’alto, ma prevista la mia mossa non lo fece. Così, in meno di cinque secondi mi ritrovai la sua lama conficcata nel mio fianco destro. Il dolore era atroce e non riuscii a non lasciar andare un grido di dolore. Lasciai cadere il pugnale dalla mia mano, che era andata a toccare la ferita appena ricevuta. Il respiro cominciava a mancarmi e il mio corpo cominciava a tremare. Cercai di tamponare la ferita ma non sarebbe servito a nulla, non ora. Dovevo dimenticarmi del dolore e continuare a combattere. Declan, mentre io mi lasciavo andare alla disperazione dovuta alla sofferenza che stavo provando, era riuscito, non so nemmeno come, a togliergli la spada dalle mani e farlo cadere a terra. Dovevo dire che avevo sottovalutato quel ragazzo, non era così tanto stupido come tutti pensavano. Corsi ad aiutare il mio alleato, anche lui proprio come me aveva riportato delle ferite, non profonde come la mia, ma ero convinta che stesse provando delle fitte anche lui. Mi sostenne per qualche secondo fino a quando non riuscii a reggermi in piedi da sola, dovevo stringere i denti ma potevo sopportare il dolore. Poi lo guardai negli occhi ma lui non ricambiò, stava attentamente osservando un punto lontano. Così alzai anche io lo sguardo e vidi esattamente ciò che aveva visto lui. Non potevo crederci ma mi sembrava di scorgere, tra gli alberi fitti e i cespugli di bacche velenose, una piccola porta di legno non troppo levigato, perfettamente celata tra gli arbusti e i roghi di rose spinate che circondava quella zona. Vidi Declan correre verso l’uscita ma non feci in tempo a raggiungerlo che due cose accaddero troppo ravvicinatamente tra loro. Una dolorosissima fitta al fianco mi fece gridare nuovamente, mi ero mossa troppo presto, ma non feci quasi in tempo ad alzare gli occhi che vidi l’altro ragazzo, riuscito a rialzarsi, afferrare il mio pugnale e con una velocità spaventosa lanciarlo nella mia direzione. La mia vista si fece buia. Caddi a terra dal dolore. Guardai il coltello volare oltre la mia testa e cadere giù per il dirupo che avevo alle mie spalle, quello da cui avevo guardato forse per l’ultima volta le stelle. I miei sensi stavano per abbandonare il mio corpo quando, inginocchiata a terra rividi la stessa arma ritornare indietro e con mia e sua grande sorpresa, scontrarsi contro il petto del ragazzo che aveva purtroppo cantato vittoria troppo presto. Presi un respiro profondo mentre lo vidi accasciarsi proprio ai miei piedi.
– Rose! – sentii gridare Declan.
Con le mie fragili membra cercai di correre o almeno traballare verso quell’uscita tanto agognata e la raggiunsi. Poi svenni.    

Risponde l'autore:

Capitolo corto, eh? Si è vero, mi stupisco anche io. Volevo chiudere questa arena e far iniziare la seconda. Nel prossimo capitolo ci saranno un po' di considerazioni di Rose e l'inizio appunto della seconda arena. Vi è piaciuta questa? Si, era quella di haymitch, quella dei 50esimi hunger games, Rose lo capirà nel prossimo capitolo. Quale pensate sia la prossima arena, invece?

 

  
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