Fanfic su artisti musicali > One Direction
Ricorda la storia  |      
Autore: javaddseyes    17/10/2012    2 recensioni
Era sempre stato così: era impossibile sapere cosa passasse per la testa di Ella, perché lei semplicemente non lasciava trasparire nulla. Non diceva nulla che lasciasse intuire qualsiasi particolare, qualsiasi dettaglio di sé, e non perché fosse riservata. Solo che neanche lei riusciva mai a capire come esprimere quell'intreccio ingarbugliato che era la sua mente. Nessuna parola avrebbe potuto descriverla, neanche i suoi genitori avrebbero trovato un solo aggettivo per definirla. Ella era così: indefinita.
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Zayn Malik
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A


Ella


Fissò per l'ennesima volta il foglio bianco, incapace di scrivere qualsiasi cosa. Era sempre stato così: era impossibile sapere cosa passasse per la testa di Ella, perché lei semplicemente non lasciava trasparire nulla. Non diceva nulla che lasciasse intuire qualsiasi particolare, qualsiasi dettaglio di sé, e non perché fosse riservata. Solo che neanche lei riusciva mai a capire come esprimere quell'intreccio ingarbugliato che era la sua mente. Nessuna parola avrebbe potuto descriverla, neanche i suoi genitori avrebbero trovato un solo aggettivo per definirla. Ella era così: indefinita. Un giorno era la persona più dolce del mondo, vestita come una figlia dei fiori e con i segni della pace disegnati sulle scarpe. E il giorno dopo si trasformava in una persona completamente diversa, una punk con tendenze femministe, o un'aspirante scrittrice proiettata con la mente agli anni trenta. Era impossibile capire che tipo fosse, perché non era un tipo. Lei era semplicemente così, Ella. Ella non trovava mai le parole giuste da dire. Non era capace di guardare negli occhi una persona e dire quello che pensava, non era in grado di rivelarsi neanche alla sua migliore amica per paura di essere sbagliata. O forse perché sapeva che nell'arco di cinque minuti avrebbe già cambiato idea. Ella, imprevedibile Ella. E adesso che i suoi occhi azzurro cielo erano piantati sulla lettera priva di parole, cercava di trovarle, le parole giuste. Le avrebbe inventate, se avrebbe saputo come fare; le avrebbe trovate, se non fosse stata così maledettamente chiusa e timida. Sospirò rumorosamente, stringendo le labbra sul tappo della penna mordicchiato. Questa volta non sarebbe potuta scappare; avrebbe dovuto davvero aprirsi con l'unica persona che avesse davvero cercato di capirla. Il motivo? Un motivo non c'era. Ma forse, dopo un po' ci si stanca ad essere sempre un mistero.

Mi chiamo Ella.

Quando lesse quelle parole, le venne da ridere. “Brava, ti chiami Ella” pensò, divertita. “Non ci era arrivato nessuno”. Tuttavia, continuò.

Ho diciassette anni e vivo a Bradford da circa sette mesi. I sette mesi più belli della mia vita. Ho i capelli corti fino alle spalle e neri. Come la notte. Come il mio carattere, a volte. E i miei sono occhi strani, enigmatici. Adesso sono verdi, ma quando sono particolarmente felice diventano di un azzurro chiaro. Cambiano, come me. Si adattano alle circostanze. Ho una sorella più grande, Taylor, e i miei genitori sono Jade e Marc Stuart. Ecco chi sono, Ella Stuart.
Okay, probabilmente adesso starai pensando che io stia diventando cogliona. Scusa, pazza. È una lettera 'seria', devo cercare di essere un po' più delicata, per quanto mi sia possibile. Comunque, tu tutte queste cose le sai già. Lo sai che mi chiamo Ella, che ho diciassette anni e che vivo a Bradford. Tu sai chi sono. Eppure me l'hai chiesto tante volte, 'Chi sei?'. Me l'hai chiesto la prima volta che ci siamo visti, la prima volta che mi hai baciato, l'ultima volta che ci siamo visti e un altro centinaio di volte. Ti ho sempre risposto ' Sono io'. Non mi sembra che questo ti basti. Oggi, voglio risponderti per bene. Chi sono? Chi è davvero Ella Stuart? Per dirti chi sono devo prima di tutto raccontarti la mia storia. E la mia storia è, innanzitutto, la storia della mia famiglia. Non sono mai stata brava con le parole, ma oggi cercherò di dire tutto quello che c'è da dire, forse anche cose di cui mi pentirò subito dopo. Partiamo dal principio.
I miei mi hanno sempre raccontato di essere stati buoni amici, di essere cresciuti insieme e di aver avuto una bella amicizia che, crescendo, si è trasformata in amore. Ovviamente, non ci ho mai creduto a questa str..scusa, cretinata. Così sono andata a chiedere a mia nonna e ho scoperto la vera storia di Jade e Marc. Jade era la classica ragazza altezzosa, o almeno così sembrava; lunghi capelli biondi, occhi di un azzurro chiarissimo, gambe così lunghe da non sembrare vere. Non era di molte parole e, in realtà, non sembrava neanche che avesse molto da dire. Invece, quando iniziava a parlare, lasciava tutti a bocca aperta per la sua enorme intelligenza e per la sua stronzaggine. Già, perché mia madre era una stronza. E così la chiamava anche mio padre, quando la prendeva in giro dal campetto della scuola con i suoi amici. Marc era il più popolare della scuola, ed anche il più bello. Sicuramente io non ho ripreso da loro. Comunque, inutile dire che le loro litigate le conosceva l'intero quartiere. Ah se si odiavano, Marc e Jade. Passavano le ore ad insultarsi, a guardarsi in cagnesco dalla finestra, a farsi dispetti reciprochi. Per esempio, se Jade passando rubava le mutande dallo stendi panni della signora Stuart, Marc ricambiava mostrando i reggiseni della ragazza durante l'ora di fisica. Era un continuo litigare, sotto gli occhi disapprovanti dei genitori. Fino a quando non arrivò il ballo di Primavera. Mio padre aveva invitato una ragazza molto bella e davvero molto stupida, Lindsay Cock. I miei nonni stavano appunto scattando le foto a loro due sotto il porticato della scuola, quando mia madre si distrasse ed una macchina sportiva la prese in pieno. Sotto lo sguardo stupito dell'intero istituto, mio padre corse da lei ed iniziò...a piangere. Per lei, che in teoria odiava. Le tenne la mano per tutto il tragitto fino all'ospedale. E non gliel'ha mai più lasciata. Devo dire che quando lo seppi, mi emozionai. Tre mesi dopo il diploma si sposarono, e un anno dopo nacque mia sorella, Taylor. Taylor è... diciamo che Taylor è completamente il mio opposto. Taylor è sempre sorridente, disponibile, come un libro aperto per tutti. Se Taylor ci rimane male per qualcosa, lo si percepisce proprio nell'atmosfera. Quando Taylor è triste, si rattristano tutte le persone vicino a lei, perché vedere Taylor triste è come vedere fuori dalla finestra in un giorno di pioggia, come vedere un bambino piangere con il gioco appena comprato rotto tra le mani, come sapere che il ragazzo di cui ti sei innamorata sta con un'altra. Vedere Taylor triste è una cosa impossibile da spiegare a parole. So solo che quando la vedo triste, sento il mio cuore spezzarsi dentro di me. Taylor è la persona più buona di questo mondo. Nessuno dovrebbe mai farle del male. Eppure gliel'hanno fatto tante volte. Mi ricordo ancora quando tornava a casa dopo che a scuola la prendevano in giro, la isolavano. Una volta, tornò a casa con un occhio gonfio e le labbra spaccate. Ricordo che mia madre non disse una parola, ma prese il disinfettante dallo scaffale con una scatola di garze e la fece sdraiare sul divano. E fu allora che vidi per la prima volta i tagli. Chissà da quanto lo sapeva mia madre. Taylor, la mia sorellona, in realtà era un'autolesionista sottopeso con le braccia martoriate dalla lametta. Per una bambina di sette anni, comunque, fu orribile vedere quelle cose. Ho ancora la scena davanti agli occhi. Il giorno dopo, mia madre trasferì mia sorella in un'altra scuola. Adesso quella quindicenne indifesa ha venticinque anni, un marito e uno splendido bambino di appena due mesi. Taylor adesso è felice.

Cominciò a scrivere traballante, e si accorse di avere un leggero tremore alle mani. Lasciò la penna sulla scrivania e fece un profondo respiro, cercando di reprimere dalla sua mente le immagini di quel pomeriggio. Le cicatrici rosse ancora evidenti, il disgusto sul viso della sorella alla vista delle sue braccia, l'occhiata di preoccupazione della madre mentre disinfettava le ferite. Si morse un labbro, e riniziò.

E poi ci sono io. La figlia sbagliata, quella che è sempre fuori posto. La sfigata che per molti è senza amici, mentre io preferisco dire “pochi ma buoni”. Comunque, non è di questo che voglio parlare. Io...credo che per farti capire come sono, debba raccontarti alcune cose che già conosci, ma dal mio punto di vista.
Quando i miei mi dissero che saremmo dovuti venire a vivere a Bradford, mi inc...arrabbiai tantissimo. Avrei dovuto lasciare quelle poche amiche che avevo, per andare a vivere in una città che, francamente, odiavo. Non li parlai per due settimane. Il motivo del trasferimento? Lavoro. Mia madre fa il medico, non decide lei dove lavorare. Appena arrivati a Bradford, ero ancora nervosissima. Entrai in casa senza neanche guardarla bene e mi fiondai subito in quella che, teoricamente, avrebbe dovuto essere la mia camera. Mi ficcai tra gli scatoloni impolverati e le scatole di imballaggio e rimasi lì per almeno due ore. Forse mi addormentai, non ricordo. Il pomeriggio arrivò qualcuno a farci visita. Io ero stravaccata sul divano, con la mia ciotola di patatine e la mia maratona di grey's anatomy alla tv. Il campanello suonò un paio di volte, ed ovviamente io non mi alzai ad aprire. Mamma mi guardò come tutte le volte che facevo qualcosa di sbagliato, con il sopracciglio inarcato e le mani suoi fianchi. Sbuffai, ed andai ad aprire. Ricordo che pensai “Se lo avessi saputo, mi sarei vestita meglio”. Eri stupendo. Indossavi una giacca di pelle e una maglietta aderente che ti stava benissimo. Mi sono saltati subito agli occhi i tatuaggi, e lì mi sei diventato un po' antipatico. Te l'ho mai detto che odio i tatuaggi? Li trovo così stupidi. Se hai bisogno di segnarti qualcosa di importante, te la tatui sul cuore, non sulla pelle. Comunque, sono scelte tue. Ma la cosa che ti ha fatto davvero odiare è stato quando mi hai guardato dall'alto in basso, senza importanza, come se facessi parte dell'arredamento. Ti ricordi? Mi dissi: “Ciao. Sono Zayn, il vicino. Volevo solo avvisarvi che stasera siete invitati a cena a casa nostra, per conoscervi” e ti accendesti una sigaretta. Altra regola: io odio il fumo. Che soddisfazione, quando la buttai per terra e tu mi fissasti stupito. “Scusami?” chiesi, con aria di superiorità. “Se vuoi fumare porti il tuo bel culo fuori da qui e ti accendi tutte le sigarette che ti pare” risposi semplicemente, buttandoti fuori dalla porta. Mi avrai mandato a quel paese in quel momento, eh? “Montato” pensai solo, prima di chiudere la porta con uno scatto rumoroso. Quella sera, venimmo a casa tua. Ero ancora molto nervosa, soprattutto nei tuoi confronti. Per fare un dispetto a mia madre, mi infilai i jeans strappati che lei odiava e le etnies più grandi di almeno due numeri. Entrai in casa tua con una certa diffidenza e mio padre, per precauzione, mi appoggiò una mano sulla spalla come per avvisarmi. Perché mi conosceva abbastanza bene da sapere che c'era qualcosa che non andava. La serata non fu una di quelle indimenticabili, però non andò neanche malaccio. Doniya e Waliyha erano davvero molto simpatiche, a differenza tua. Ti odiavo già, mi ero accorta delle tue occhiate poco carine nella mia direzione e del tuo modo strafottente di picchiettare con la forchetta sul tavolo. Devo ammetterlo, eri davvero bellissimo. Credo che la prima cosa che mi abbia colpito di te siano stati gli occhi. Sono così profondi, sembra che ci sia un universo dentro. Chissà se in quell'universo c'è un po' di spazio per me. Con Doniya ci scambiammo i numeri di cellulare, già la consideravo una specie di amica. Iniziammo a parlare per telefono ogni giorno e, quando c'era la possibilità, lei veniva sempre a casa mia, perché di stare a casa sua con te nei paraggi non era proprio il massimo. Parlammo della nostra vita, delle sue delusioni d'amore, mentre io mi limitai a dire di non essere interessata a nessun ragazzo. Non ero mai stata con nessuno, quindi non avevo molto da dire. Mi raccontò anche di te, della tua fama, del tuo gruppo. Non credevo di avere a che fare con una celebrità, e rimasi un po' scioccata. Ero curiosa di ascoltare la tua voce, così andai su youtube e cliccai sulla tua audizione ad x factor. Eri bravo. Solo a sentirti mi erano venuti i brividi, ed il cuore batteva un po' più forte del normale. Pensavo che da un momento all'altro mi sarebbe uscito dal petto, avrei potuto giurare che sarebbe esploso come l'amore che provavo inconsapevolmente per te. Dopo un paio di giorni, mi arrivò una lettera. Lo trovai da subito strano; insomma, lettere quando ormai tutti inviavano email. E poi non c'era neanche scritto l'indirizzo, quindi probabilmente l'avevano infilata nella cassetta della posta senza spedirla. La aprii, sorpresa. C'era scritta solo una frase, al centro del foglio. “Non ho mai avuto le parole da dire, ma adesso ti chiedo di stare per un piccolo istante nelle mie braccia”. Anonimo. Pensai subito ad uno scherzo, ma in fondo ci speravo che ci fosse qualcuno così “innamorato” da dedicarmi queste frasi d'amore. Neanche sapevo che era in una delle tue canzoni. Ogni giorno, c'era una di queste lettere, ed ogni volta sorridevo leggendo quelle poche righe. Ormai andavo a dormire con una di quelle frasi in testa e mi risvegliavo con la mente già proiettata alla cassetta della posta. A scuola ero più tranquilla e sempre di buon umore; iniziai a fare amicizia con quasi tutte le ragazze della mia classe, scoprendole davvero simpatiche. Non rispondevo male a nessuno, parlavo di più con mia madre e aiutavo perfino in casa. Ti iniziai a considerare perfino simpatico, forse perché passavo a casa tua la maggior parte del tempo. Comunque, non eri malaccio. Non volevo ammettere a me stessa di essere già presa tantissimo da te. Un pomeriggio di due settimane dopo la prima lettera, ero a casa tua. Dovevo andare al cinema con Doniya, ma non era ancora pronta; così, mi disse di aspettare in camera sua. Ti avvistai dalla soglia della porta, con un sorriso sornione sulle labbra. “Ciao, Ella” feci un cenno con la mano in risposta, ma tu al posto di andartene ti avvicinasti. “Come va?” sentivo il tuo fiato solleticarmi le labbra, mentre la tua mano giocherellava con un filo che fuoriusciva dal bordo della mia maglietta. Deglutii a fatica, cercando di mostrarmi a mio agio. Non credo di esserci riuscita. Continuavi a fissarmi e a mandarmi in paranoia con il tuo sguardo divertito puntato nel mio, così preferii far finta di dover andare in bagno. “Vai in quello davanti alla mia camera, l'altro è occupato” mi avvisasti, allontanandoti per le scale. Ringraziai mentalmente il cielo e mi affrettai a raggiungere il bagno. Stavo per aprire la porta, quando notai il tuo nome inciso sulla porta di legno di fronte. La tentazione fu troppo forte, così entrai in camera tua con fare furtivo. Cercavo di convincermi di non essere interessata effettivamente a te, ma di non avere nient'altro di meglio da fare che gironzolare fra la tua roba. Sentii un rumore, e per sbaglio feci cascare una pila di libri dalla scrivania in disordine. Mi affrettai a rimettere tutto a posto, quando mi ritrovai un foglietto di carta perfettamente curato in mano. Mi bastò uno sguardo alla calligrafia e all'impostazione della frase che già avevo capito tutto. Le lacrime scesero automaticamente, senza importarsene nulla della mia volontà. È questo il problema delle lacrime; a loro non importa nulla di quello che pensi, non ti chiedono il permesso di scendere e di farti apparire debole. Semplicemente, corrono prepotenti sul tuo viso, mostrando a tutti chi sei realmente, mostrando a tutti i tuoi sentimenti. Forse questa fu la prima volta in cui tu mi vidi esattamente per quello che ero. Debole. Dopo pochi secondi, eri già in camera tua con un'espressione sconvolta e i capelli in disordine per la fretta. “Che ci fai qui?” dicesti solamente, facendomi piangere ancora di più. “ E' tutto quello che sai dire? 'Che ci fai qui'?” e senza neanche aspettare una tua risposta, me ne andai, con il petto pervaso dai singhiozzi. Stetti male per giorni, ma tu questo lo sai. La cosa che non sai è che io ci rimasi male non perché era tutto finto, ma perché tu mi avevi preso in giro. Tu. L'ultima persona che avrei voluto che mi prendesse per il culo, fammelo dire, lo aveva fatto in pieno. Mi sentivo come una bambina di sei anni quando, per non dirle che la tartaruga era morta, le raccontavano che era andata a fare una passeggiata e che non era più tornata. Ecco, il mio cuore era andato a fare una passeggiata e io lo stavo ancora aspettando. Per una settimana, ti evitai completamente. Con tua sorella ci parlavo solo per telefono, ed appena sentivo la tua voce chiudevo la chiamata con un gesto secco. Non ti volevo sentire. Non ti volevo vedere. Volevo semplicemente far finta di aver dimenticato tutte le lettere e le parole dolci, quando in realtà passavo le sere a rileggerle con i pacchetti di fazzoletti di fianco. Passavano i giorni e praticamente non ti vedevo più. Pensavo che te ne fossi tornato a Londra, e dentro stavo morendo, perché non ti avevo neanche potuto salutare. Anche se non avrei voluto salutarti. Stavo guardando per la milionesima volta Letters to Juliet in camera mia, quando sentii un colpo alla finestra. Poi un altro. Aprii la finestra, e per poco un sasso non mi colpì sulla fronte in pieno. Credevo di avere a che fare con uno di quei ragazzini stupidi così, senza pensarci due volte, afferrai il mio libro di chimica e lo buttai giù con tutta la forza che avevo. Solo quando sentii un rumore che non prometteva niente di buono, scesi di corsa per le scale; non perché fossi preoccupata, ma perché non avrei voluto pagare una multa per aver picchiato un bimbetto viziato. Per previdenza, uscii fuori con un sacchetto di ghiaccio in mano e cercando di inventare una scusa credibile. “Mi dispiace tanto, credevo che fosse uno dei tanti stupratori seriali che si vedono in tv” dissi, reprimendo una risata. Ma quando vidi il “bimbetto viziato” non mi venne per niente da ridere. “Credo che questo sia tuo” mi dicesti, e mi porgesti il libro massiccio. “Grazie” mormorai, senza il coraggio di guardarti negli occhi. “Tieni, dovrebbe farti passare il dolore” lasciai il sacchetto ghiacciato nella tua mano e feci per scostarmi, ma tu mi prendesti la mano e me la baciasti leggermente. Ti ricordi? Il mio cuore se lo ricorda. Era appena tornato. “Non l'ho fatto per prenderti in giro” iniziasti, guardandomi serio. “L'ho fatto perché mi piaci, l'ho fatto perché sei la ragazza più carina e stronza che io abbia mai incontrato, l'ho fatto perché ti odio e perché volevo farlo” non ebbi il tempo materiale di formulare un qualsiasi pensiero che le tue labbra erano sulle mie. Il mio primo bacio. Non mi ero mai sentita così leggera e così pesante allo stesso tempo. Credevo che se tu mi avessi lasciato le mani, sarei volata via dalla felicità. Sentivo il tuo calore sulla mia pelle, nella mia mente non c'era altro se non il tuo viso stupendo, il tuo respiro caldo sulle mie labbra e le tue mani che stringevano strette le mie. Quelle mani che ho stretto forte fino ad una settimana fa, quando te ne sei andato. Mi manchi. Non mi sembra possibile di dover aspettare ancora tre mesi per vederti; non mi sembra giusto che uno stupido tour mi debba impedire di vedere il mio ragazzo per tantissimo tempo. Ci pensi ogni tanto a me? Spero di sì. Ho ancora nella mente la tua promessa, quella di non far passare neanche un'ora senza sentirci. Che sia una chiamata, un messaggio o un'email, non importa. Fino ad adesso l'hai mantenuta. Per tornare alla domanda iniziale, chi è Ella Stuart? È una ragazza dolce, sincera (anche troppo), masochista, testarda, strana, timida ed altri mille aggettivi. Ma soprattutto sono Ella, la ragazza che ama Zayn. Dopo sette mesi, te l'ho detto alla fine. Ti amo. Mi dispiace solo che invece di guardare i tuoi occhi, io stia guardando uno stupido pezzo di carta. E adesso sono spaventata a morte, spaventata di avertelo scritto per la prima volta e non detto, spaventata dal fatto che tu possa anche non ricambiare. Ma nella vita bisogna buttarsi a volte. Adesso chiuderò questa lettera in una busta, la spedirò, e mi pentirò mille volte di tutte queste stupidaggini che ti ho scritto. Forse riderai, per la mia idea stupida di farti capire chi sono con una lettera. Però dovevo farlo.

Ti amo,

Ella.


- Zayn, è arrivata una lettera per te! - urlò Liam, guardando velocemente la posta. - Zayn, hai capito?
- Sì, ho capito. - sbuffò, sbadigliando. - Da parte di chi è? Se è la bolletta della luce, lascia perdere.
- No, credo che sia da parte di Ella.
Il moro praticamente corse, con un sorriso stampato sulle labbra. Liam gli porse la busta e il ragazzo strappò con un gesto secco la sottile carta spiegazzata. Iniziò a leggere, dapprima stupito, poi concentrato, e alla fine le mani tremavano talmente tanto da rendere impossibile la lettura. Un solo pensiero attraversava la sua mente. “Lei mi ama”.
- Zayn, ti senti bene? - domandò l'amico, leggermente preoccupato.
- Ella mi ama. - riuscì a balbettare soltanto. “No, tu non sei Ella, colei che ama Zayn” pensò, sorridendo “Sei Ella, la ragazza amata più di qualsiasi altra cosa al mondo da Zayn”.

  
Leggi le 2 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Fanfic su artisti musicali > One Direction / Vai alla pagina dell'autore: javaddseyes