Non
c'era adolescente che non conoscesse la leggenda di Burbank.
Era una storia che passava di bocca in bocca, soprattutto nelle notti di luna
piena come quella, in party come quelli, dove l'alcool scorreva a fiumi, i
ragazzi sembravano sempre più belli e più forti della realtà e le ragazze si
facevano più disinibite.
E Jared scoprì, con disgusto, che la propria non era stata da meno e non aveva
avuto problemi a sbatterglielo in faccia, mentre, spinta contro il corpo di
Milo, si divoravano le labbra l'un l'altra, quasi non ci fosse un domani.
L'unica consolazione, mentre si affrettava ad abbandonare il party,
lasciandosi la villa alle spalle, era stata quella di essere riuscito a
mettere il ragazzo KO, prendendolo a pugni molto più volentieri di quanto
avrebbe fatto il suo Dean con quell'idiota di Jess. In cambio,
un livido rossastro lo macchiava all'altezza della mascella e dell'occhio
destro, però era ancora in piedi, forse un po' traballante ed ubriaco, ma non
abbastanza da fermare la propria corsa e smettere di darsi del coglione.
Avrebbe dovuto immaginarlo, erano settimane che, sul set, i due ragazzi se la
davano ad intendere, erano giorni che Chad gli chiedeva se non fosse strano il
rapporto di quei due e lui non aveva voluto vederlo.
Idiota.
I passi iniziarono a diventare più pesanti, le All Star affondavano e
lasciavano le loro impronte nella sabbia dorata, resa più scura dalla notte.
Scoprì di essersi spinto fino alla spiaggia, riempita soltanto dalla risacca
del mare e dal riflesso pallido della luna che si specchiava sulla superficie
nerastra dell'acqua.
Arrancò malamente, evitando per miracolo di inciampare sui propri piedi,
imprecando un paio di volte e mulinando le braccia per mantenere l'equilibrio.
Riuscì a fare qualche altro passo, troppo sbilanciato in avanti, con le
stringhe delle scarpe ormai slacciate, che finì per calpestare, inciampando
nuovamente. Questa volta non riuscì a mantenere l'equilibrio e, mentre cadeva
a terra in un tonfo sordo, ebbe appena il tempo di notare un'ombra comparsa
davanti a sè...
C'era una leggenda a Burbank, così come ne esistevano tante altre in
altrettante città del mondo. Narrava di un essere demoniaco dagli occhi fatti
di vetro e dal sorriso seducente, che compariva nelle notti di luna piena. Si
diceva uscisse direttamente dalle acque del mare, prendendo vita dalla sua
spuma, e plagiasse gli esseri umani che incontrava sul proprio cammino per
convincerli a seguirlo in acqua. Non lo faceva per cattiveria, dicevano, lo
faceva per non sentirsi solo nel silenzio ovattato delle profondità marine; ma
chi accettava di andare con il demone, non incontrava che un destino soltanto:
uno dopo l'altro, semplicemente, affogavano.
Lui era apparso dal nulla, o così si convinse Jared, mentre, inciampato
nelle proprie stringhe, gli cadeva tra le braccia, come nei più banali e
ridicoli film d'amore.
Quando il volto affondò al petto di lui, sentì un vago odore di
salsedine e il proprio cervello, in realtà annebbiato dai fiumi dell'alcool,
gli ricordò con violenza la leggenda. Il demone dagli occhi di vetro! E'
lui! Scappa!
Ma erano sempre state così poche le volte in cui Jared Padalecki seguiva la
ragione a discapito del cuore, che non ci fu da stupirsi quando, sdraiato in
parte sul corpo del demone caduto a terra insieme a lui, scelse di non
muoversi, di aspettare e scoprire se la leggenda fosse vera e, magari, di
farsi trascinare in acqua, così da non sentire quella stretta al cuore che gli
parlava di Alexis e di Milo.
Anche ubriaco riuscì a darsi dello stupido per quel che aveva appena
desiderato, ma, prima che potesse fare qualcosa, il demone gli parlò,
costringendolo a sollevare lo sguardo, perdendo un battito al cuore, che si
liberò della stretta.
«Mi raccomando, non guardare dove cazzo vai, eh. Troppo sbattimento.»
Una voce seccata.
L'espressione irritata.
Due occhi di un blu accecante.
E un volto che Jared aveva già visto e che, più di una volta, aveva cercato in
mezzo alla folla, sperando intimamente di ritrovarlo.
«Tu...» fece, stupito.
L'altro non sembrò riconoscerlo, storse soltanto il naso, con la schiena a
terra ed il petto schiacciato dal peso del più giovane. Si puntellò con i
gomiti nella sabbia per sollevare il busto e cercare di scrollarsi di dosso
quel ragazzino troppo cresciuto, come se non bastassero i granelli già finiti
ovunque: nel colletto della semplice maglietta verde scuro che indossava sotto
una giacca di jeans sbottonata, nelle tasche e, ovviamente, tra i capelli.
Castani, non troppo corti, ma neppure particolarmente lunghi.
Cercò di caricare il proprio sguardo di astio, per far capire al più piccolo
-anche se piccolo non era una parola che gli si addicesse- che era il
momento di levarsi, ma il ragazzo sembrava aver deciso di volerlo usare come
materasso e lo guardava con avida attenzione, in trance, sorridendogli con
tenerezza, quasi fossero amici d'infanzia riuniti dopo tanto, troppo tempo.
Lo trovò fastidioso. Imbarazzante. Schifosamente e orrendamente dolce. E trovò
anche parecchie difficoltà a mantenersi impassibile, inarcando un sopracciglio
solo quando l'altro parve stranito.
«Cos'hai da guardare?» rimbrottò.
Deja-vu.
«Avevi i capelli biondi...» gli fece notare, tirandosi un po' su per
alleggerirlo del proprio peso, ma senza levarsi del tutto dal suo corpo.
«Esistono le tinte.»
«Mi piacevano i tuoi capelli.»
Il demone... umpf, Misha si convinse di aver sentito male, chiudendo il
discorso con un infastidito «Chi se ne frega.»
Preferì tornare ad una questione più importante:
«Ti muovi ad alzarti o stai cercando di capire da dove cominciare per
molestarmi sessualmente?»
E Jared ammise che queste allusioni non gli erano mancate affatto.
«Sono inciampato.»
«Potevi avere la decenza di cadere altrove, pesi da far schifo.»
«Scusa tanto...»
«Seah, scuse accettate, ora alza il culo, spilungone.»
Sbuffarono entrambi, all'unisono, tanto che Misha riuscì a trattenere a stento
una risata, cosa che invece Jared non fece.
Rise divertito e si sollevò, tirandosi prima in ginocchio e poi, con qualche
sforzo in più, che lucidamente non avrebbe fatto, si rimise in piedi,
sollevando un paio di volte le All Star dalla sabbia, per trovare stabilità.
Sbatté le palpebre, la testa che ad intervalli regolari sembrava volergli
scoppiare e, quando non era così, allora diventava leggera, annullando ogni
capacità di pensiero, regalandogli un'espressione vacua, quasi stupida che
Misha si ritrovò a fissare perplesso.
Che diavolo aveva quella piaga malefica? Mentre si rialzava a propria
volta, molto più agilmente del ragazzo, pensò lo stesse prendendo in giro, o
che fosse completamente fatto.
«Bah. E' stato un piacere, eh. Ci si...»
Aveva alzato il braccio, una gamba già pronta per voltarsi e abbandonare quel
tipo al suo destino e ai suoi cazzi, ma Jared lo fermò.
«Ti ricordi di me?»
Avrebbe potuto ignorarlo, in fondo era stata solo una domanda, solo una voce e
quello era solo un ragazzino.
Ma la verità è che lui si fece fermare.
«No.»
«Oh.»
Lo vide chinare il capo desolato e sì pentì di avergli mentito.
«...sì.» si corresse, distogliendo il capo e scrollando le spalle,
impegnandosi per non guardare verso l'enorme sorriso del ragazzo, felice,
caldo, luminoso.
«Lo sapevo che ti ricordavi!» sollevò la mano per batterla sulla spalla di
Misha, ma incontrò solo il vuoto e, stupito per aver clamorosamente sbagliato
bersaglio, avanzò di un passo, uno soltanto prima di ritrovarsi di nuovo a
terra, caduto senza neppure aver capito come.
Semplicemente, era troppo ubriaco per tenersi in piedi.
«Ahio.»
«Jesus Christ, sei ubriaco.»
«Non è vero!» sbottò «...solo un po'.»
«Ubriaco e bugiardo.»
«Non è vero...»
«Ubriaco, bugiardo e deficiente.»
«Ho ricevuto il messaggio, smettila di infierire!»
Dall'alto, Misha lo guardò a lungo senza parlare.
«Io...»
Aveva occhi magnetici. Così blu, così intensi, così profondi che, di colpo,
Jared si sentì sopraffatto dal suo sguardo ed ebbe l'impulso di nascondere il
volto dietro le braccia incrociate, per impedirgli di guardarlo, di rubargli
l'anima, di leggergli nel pensiero e di scoprire che valeva così poco che la
sua ragazza lo aveva appena tradito con un altro...
«Che diavolo stai facendo?» gli chiese, curioso, il più grande.
«Niente.» biascicò lui, continuando a nascondersi dietro le braccia.
Sembrava più piccolo, ora.
Non gli avrebbe dato diciannove anni e tre quarti neppure se pagato,
figuriamoci venti.
Si inginocchiò nella sabbia, finendo poi per sedersi accanto al lui,
allungando la mano verso i suoi capelli per tirarglieli e scoprire che erano
morbidi e piacevoli da toccare.
«La mia ragazza ha baciato un altro proprio davanti a me... beh, in realtà
davanti a... a tutti...» l'aveva sentito parlare sommessamente, con la voce
filtrata attraverso le maniche lunghe della maglia rossa che indossava.
Non gli chiese perchè diavolo gliel'avesse detto. Non erano amici, non erano
niente, ma per questa volta si limitò a lasciarlo parlare.
«Bitch...»
«Ehi.»
«Cosa?»
«E' della mia ragazza che stiamo parlando.»
«E allora? Non sei incazzato anche tu?»
«...Beh, sì... sì.»
Forse, più che incazzato, era triste e abbattuto. Forse aveva solo bisogno di
sfogarsi o di un abbraccio, di qualcuno che gli leccasse le ferite, che
ascoltasse quello che aveva da dire... di un paio di gambe su cui poggiare la
propria testa e di mani calde che passassero gentilmente tra i suoi capelli.
Quando il pensiero prese forma, era già strisciato in direzione delle gambe di
Misha, poggiando la nuca sui suoi jeans, senza chiedere nulla, senza
vergognarsi del gesto o prendere in considerazione l'idea che l'altro non
gradisse.
La spontaneità di Jared era la sua arma più forte e, davanti a quella, tutti
capitolavano.
Il più grande fece per dire qualcosa.
Qualsiasi cosa.
Ma quando vide l'aria più rilassata e felice di quel piccolo, molesto,
dannato, ubriaconcello, preferì tacere e lasciarlo lì dove stava, affondando
maggiormente la mano tra i suoi capelli, guardando i ciuffi castani sfilare
morbidamente tra le dita lunghe e affusolate, adornate da una semplice
fascetta argentata al dito medio.
Tutti capitolavano.
«Che hai fatto all'occhio?» gli domandò, guardandone il volto ancora da
ragazzino martoriato all'altezza dell'occhio destro da un livido scuro che
contrastava con la pelle chiara.
Jared usò soltanto l'occhio sano per guardare verso l'alto, puntando il volto
di lui, la pelle molto più chiara della propria che, sotto la luce della luna,
sembrava quasi bianca e permetteva agli occhi di apparire ancora più blu,
ancora più intensi.
«La conosci la leggenda di 'sta città?»
«Che c'entra?»
«Niente, è che me la fai venire in mente, sai, per la storia del demone e cose
così.»
«Oh God, quella cosa da ragazzini ritardati?»
«Ce li hai avuti anche tu dician...» si incartò, con la lingua che faticava a
collaborare rendendo il suo accento texano più marcato del solito, con cui
strascivava le parole rendendo faticoso capirlo «vent'anni.» si corresse, dopo
parecchio.
Misha scrollò le spalle.
«Sì, ma ero fantastico anche allora.»
E Jared non ne dubitò neppure per un secondo.
«C'è questo demone nella leggenda, ma alcuni dicono che prima di rimanere
bloccato qui sulla terra a... beheee... a fare quello che fa... prima fosse un
angelo caduto dal Paradiso.»
«Che originalità.»
«Mhm.»
«E quindi?»
«E quindi niente... anche l'altra volta l'ho pensato.»
C'era qualcosa nello sguardo con cui quel ragazzo lo guardava, in quei suoi
occhi tanto lucidi da sembrare liquidi e di un colore acquamarina, che gli
straziava il cuore. Non era per la dolcezza, il rispetto o la stupida bontà
che traboccava da ogni sua occhiata, non era neppure per la spiccata
intelligenza ora annacquata dall'alcool. Era colpa della devozione.
Era quel tipo di devozione in grado di spaventare un uomo.
La devozione di chi era capace di amare indiscriminatamente, senza chiedere
niente in cambio, anche se non era altro che un adolescente idiota, con troppi
sogni nella testa e troppi centimetri nel corpo.
«Cosa?»
Cos'hai pensato?
Non seppe dove avesse trovato il coraggio di chiederglielo.
Temeva la risposta.
«Che sei un angelo.»
Cazzo.
«...»
Cazzo...
Per quanto fosse la frase più stupida sulla faccia della terra, resa ancor più
banale dalle stucchevoli commediole hollywoodiane, non riuscì ad impedirsi di
provare tenerezza e, per qualche istante, la mano si aprì in una carezza tra i
capelli di Jared.
Scosse il capo, concentrandosi su altro.
«Non hai risposto alla domanda. Cos'hai fatto all'occhio?»
Jared sbadigliò, strofinando la nuca contro i suoi jeans e spostando il capo
più vicino al suo addome, per poggiarvisi con la guancia.
«Non hai mai fatto a pugni?»
La risposta si fece attendere.
«Maaan~» allungò inverosimilmente la vocale, con la voce impastata
dall'alcool, così come il suo alito.
Misha storse il naso, arricciò le labbra all'ingiù e tiracchiò distrattamente
la frangia dei capelli del ragazzo, spettinandogliela sulla fronte e poi
allungandola con per scoprire se era possibile coprirgli completamente la
macchia viola che si stava allargando sulla sua pelle.
«Che devo dirti? Più che fare a pugni, mi è capitato di prenderli e basta.»
Fu grato che lo stato dell'altro gli avrebbe impedito di ricordare lucidamente
i loro discorsi.
Forse non avrebbe neppure ricordato di averlo incontrato e, se non fosse stato
una persona per bene, ne avrebbe approfittato, avrebbe fatto scendere la
carezza dai suoi capelli alla sua felpa, giù verso l'addome e poi al di sotto
della stoffa, per toccarne la pelle e sentirlo contrarsi e gemere sotto le
proprie carezze.
Ma fortunatamente per l'altro, non era quel genere di uomo.
«Devi ammettere che ci metti del tuo per far desiderare alla gente di
prenderti a pugni.» riprese il texano, ma la luce nei suoi occhi sembrava dire
altro, qualcosa sul fatto che gli dispiacesse, qualcosa che Misha decise di
non vedere, così come si impegnò per non far caso alla sua mano che si
arrampicava per il proprio collo, alle dita lunghe che percorrevano la propria
mascella, per posarsi in una carezza alla guancia e proseguire, fin dietro la
nuca.
I propri pensieri cominciavano a farsi monotoni, ma: Dannato ragazzino
ubriaco!
Quando la mano di Jared lo tirò verso il basso, facendogli sfuggire un
grugnito basso di dissenso e arrivando troppo vicino al suo volto, ignorarlo
divenne impossibile.
«Dimmi ancora che non sei gay...» borbottò.
«Non sono...»
«Ma stai zitto.»
«No, lo giuro... lo giuro... lo giuro... lo giuro...» cantilenò e
l'espressione fu tanto ferita che, vederla da così vicino, rispecchiando il
proprio volto nei suoi occhi verdi, fu troppo da sopportare. Fece per
risollevare la testa, ma la presa era troppo forte, perfino la sua mano
-osservò con stupore- era troppo grande.
Lo sentì ridacchiare compiaciuto.
«Che cazzo hai da ridere tanto?»
«E' che hai degli occhi bellissimi, te l'ha mai detto nessuno?»
«Sì, idiota.»
«E sono così blu.»
«Già, che sorpresa.»
«E tu sei bellissimo anche senza capelli biondi.»
«...»
«E...»
«Ok, ora smettila.»
«...no...»
«Cos...?»
La domanda morì prima di essere completata, le mani di Jared lo tirarono verso
il basso, completamente contro il proprio volto e, un attimo dopo, la bocca
del ragazzo si era già impossessata del suo volto, premendo contro la palpebra
sinistra e poi quella destra, in un bacio dolce.
«Dovrei tradirla anche io.» mormorò, scendendo a baciare la guancia di Misha,
lasciando un altro bacio vicino all'angolo della bocca, troppo vicino per
essere casuale, troppo lontano per essere un vero bacio.
Quando gli liberò la nuca, fu come se gli avesse letto nel pensiero e avesse
sentito il suo "Allora perchè non lo fai?", suonava come una supplica scritta
negli occhi blu fatti di sorpresa e di curiosità e un po' anche di biasimo -
difficile dire se fosse per il ragazzo o per se stesso. Probabilmente per
entrambi.
«Non sono bravo in queste cose.» ammise, quasi in risposta al suo pensiero «E'
una cosa più da Chad...»
L'aveva visto tradire la sua ragazza più di una volta, gli era capitato di
parargli il culo, di litigare con lui perchè preferiva essere tenuto fuori da
stronzate del genere e perchè non gli piaceva mentire su queste cose. Era
dannatamente fedele Jared, dannatamente buono, dannatamente dolce...
dannatamente attraente. Soprattutto ora che lo guardava con il capo di
nuovo poggiato sulle sue gambe e la lingua che scivolava sulle labbra,
rendendole più lucide, ancora e ancora, sentendo il sapore di alcool rimasto
sulla bocca, mischiato a quello della pelle di Misha.
«Quindi la tua tipa si bacia un altro davanti a te e tu... ti piangi addosso e
basta?»
«...no.»
«Che farai domani, tornerai da lei con la coda tra le gambe?»
«No.»
«No?»
«No.»
«Bugiardo.»
«Io non mento mai.» si morse le labbra «Quasi mai... cioè... alle volte...
insomma... hai capito, no?»
«A-ah.»
«Non è che l'amassi...» riprese dal nulla «Ma... mi piaceva. Un sacco.»
«Sei un bamboccio, troverai qualcun altro in fretta, i rompipalle come te
piacciono alle ragazze.»
«Mhm. E quelli come te piacciono a...» sorrise, la frase morta lì, il "me"
rapito in silenzio dal vento.
Lui lasciò la frase a metà e Misha non gli chiese di completarla.
Forse l'aveva intuita.
Forse non voleva sapere.
Fu meglio così.
«Maaaaan» di nuovo quella parola allungata e biascicata in modo
ridicolo.
«Il tuo nome. Questa volta devi dirmi come...» sbadigliò ancora,
stropicciandosi gli occhi con il pugno, in un modo tanto infantile che il più
grande non riuscì a nascondere un sorriso divertito «...mhm... come ti
chiami.»
Gli passò di nuovo una mano tra i capelli, temporeggiando, guardandolo tenere
gli occhi aperti a fatica, finchè le palpebre non vinsero la battaglia,
calando a coprirli, per poi non risollevarsi più. Si addormentò.
Gentilmente gli tirò indietro la frangia, liberando la fronte, per chinarsi su
di lui e sfiorarne la pelle con le labbra, in un bacio leggero, quasi
stentato, con cui gli soffiò addosso il proprio nome.
«Misha. Mi chiamo Misha, brat.»
Il sole era sorto da poco quando gli occhi di Jared si riaprono.
Sdraiato sulla sabbia dorata, era rimasto da solo, non c'era più alcun ragazzo
dagli occhi blu e nessuna voce beffarda a prenderlo in giro, chiamandolo
moccioso, maniaco o ubriacone.
Per un po' si convinse di averlo solo sognato, desiderava vederlo così tanto
che, probabilmente, il proprio subconscio aveva fatto il resto; o forse si era
trattato davvero del Demone della leggenda che aveva risposto alla sua
chiamata.
«Che cazzata.»
Il cellulare squillò nella tasca dei pantaloni, lo recuperò, portandolo con
uno sbadiglio all'orecchio, venendo subito assordato dalla voce preoccupata di
Chad che gli riversava nel timpano domande su domande, perlopiù stupide: "Non
sei salito in cima al cornicione di qualche grattacielo per suicidarti, vero?
Non sarai andato a puttante, vero? Lo sai che senza di me che ti consiglio
sceglieresti di merda! Ma dov'eri sparito? Dai che vengo a prenderti,
asshole."
«It's ok, Chad. Ieri sera ero troppo abbattuto per stare lì.»
Dall'altra parte della linea, l'amico sbuffò.
"E allora dove sei stato? Ci sono tornato a casa, ma non c'eri."
«Ho passato la notte in spiaggia. Ho incontrato...»
Si tirò su a sedere.
Qualcosa gli scivolò giù dal ventre, ripiegandosi sulle cosce.
Abbassò lo sguardo, notando con stupore una giacca di jeans che lo aveva
coperto fino a quel momento.
"J-rod? Ehi, Jared!"
Sorrise, sentendosi stupido e felice allo stesso tempo.
«Lascia stare.» soffiò al cellulare «I'm ok.»
Now, I'm ok.