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Autore: Katrice Eymerich    18/10/2012    1 recensioni
Kitty è una studentessa universitaria di vent'anni che lavora come guardarobiera in un pub del West Village di New York per mantenersi. Uno dei clienti fissi del locale è un ragazzo molto affascinante ma estremamente sgradevole, Caspar. Lui è tutto ciò che lei disprezza: è cinico, superficiale, spocchioso e sempre circondato da ragazze sciocche e fatue quanto lui, interessate ai soldi e alla vita favolosa che lui sembra offrire loro. Eppure è tremendamente intrigante e la vita di Kitty dopo averlo incontrato non sarà più la stessa.
In questa storia i vampiri non sono liceali romantici e dagli occhi luminosi ma mostri assetati di sangue e potere. Chi è davvero Caspar? E perché la misteriosa Albida lo perseguita?
Dal prologo:
"Il primo raggio di sole lo raggiunse lentamente filtrando tra i merli in pietra della torre e pigre volute di fumo cominciarono ad innalzarsi dalle sue membra immobili.
Non aveva scampo. Guardò i suoi piedi e le sue gambe tramutarsi in polvere bianca e capì che tutto quello che sarebbe rimasto di lui in questo mondo sarebbe stata una fragile statua seduta finché il vento e il tempo non l'avessero dispersa."
Genere: Horror, Mistero, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Lemon | Avvertimenti: Contenuti forti, Incompiuta, Violenza
Capitoli:
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Prima di risalire sul suo vecchio pickup Jimmy si era voltato, visibilmente impacciato, con una banconota da cinquanta dollari in mano.
- Lo so è poco...
Aveva detto quasi giustificandosi, Kitty aveva scosso la testa.
- Non sono pochi per niente!
Lo aveva abbracciato e gli aveva raccomandato di salutare la mamma e i suoi fratelli, lui invece le aveva fatto promettere di telefonare più spesso e di non stancarsi troppo. Lo guardò con affetto allontanarsi nel traffico a bordo del suo camioncino sgangherato.
Non aveva neppure finito di salutarlo che aveva già l'ansia: dal sedici dicembre sarebbe iniziato il periodo ferale degli esami finali e doveva dare il massimo o la sua borsa di studio avrebbe fatto una brutta fine. E allora altro che viaggi studio a Parigi.
Passò i giorni seguenti vivendo a un ritmo serrato che prevedeva lezioni la mattina, studio il pomeriggio e lavoro al locale la sera. Nei pochi momenti di ozio trovava appena il tempo per respirare e rendersi conto di essere ancora viva.
Posò sotto il bancone del guardaroba gli appunti di filosofia, la testa le pulsava per la stanchezza. Scrutò attentamente ogni tavolo del locale ma si rese conto ben presto che Caspar non c'era. “E anche se ci fosse?” pensò stringendosi nelle spalle “cosa me ne importa?”.
Erano giorni che non si faceva vivo, il che non era strano perché passavano spesso settimane senza che si facesse vedere, solo che adesso lei desiderava rivederlo, soprattutto per fugare i dubbi che lui le aveva instillato con le sue ultime inspiegabili gentilezze. E' che non riusciva a detestarlo come un tempo e quell'incertezza la destabilizzava; non doveva neanche dimenticarsi però che era stato sì gentile ma quella sera era corso dietro a quella bionda slavata senza nemmeno salutarla.
- Ma che hai?
Penelope le abbaiò col solito tatto.
- Niente sono stanca, ho studiato tutto il giorno.
- Capirai che fatica, vorrei averle io certe preoccupazioni... vedrai quando avrai un figlio. Altro che “studiare”.
Quando Penelope giocava la carta della ragazza madre diventava davvero insostenibile, per cui Kitty la assecondò controvoglia annuendo senza replicare. Notò con una certa soddisfazione di averla indispettita, probabilmente aveva in serbo un articolato e lunghissimo discorso sui sacrifici che comporta essere madre e averglielo stroncato sul nascere le aveva guastato il divertimento.
- Mpf. E comunque la tua postazione fa schifo. Devi portarti proprio tutti quei libri dietro? Mica è una biblioteca questa.
- Se Eric non dice nulla io mi porto quanti libri mi pare e poi sono dietro il bancone, non sopra.
- In effetti io non li vedo.
Caspar si era inserito nella conversazione dal nulla. Come aveva fatto a non vederlo entrare?
- C... ciao!
Caspar le porse il soprabito nero e prese il gettone del guardaroba dalle sue mani senza mostrare un particolare interesse; Penelope, tutta sorrisetti falsi, già si prostrava in una serie di salamelecchi fastidiosi:
- Vuole il tavolo d'angolo? E' quello migliore per i clienti migliori.
Si allontanarono tra la folla numerosa degli avventori del venerdì sera: Caspar indossava un completo nero che faceva risaltare il pallore della sua carnagione; aveva un passo fiero e camminava a testa alta, altro motivo per cui lei e le altre cameriere lo avevano soprannominato Milord. Al suo passaggio alcune ragazze gli lanciarono sguardi ammiccanti ma lui sembrò non prestare loro alcuna attenzione.
“Un uomo bello che sa di esserlo, cosa può esserci di peggio?” pensò Kitty mentre lo guardava accomodarsi sul divanetto rosso scuro del tavolo d'angolo.

Il concerto era stato interrotto; Stu aveva così tanto mal di schiena che ad un certo punto si era alzato con l'espressione sofferente di chi avesse ricevuto una coltellata in un rene.
Cominciava ad essere troppo anziano per tutti quei concerti; il Bar 66 non era l'unico locale dove si esibiva, infatti si poteva incontrarlo in almeno altri quattro jazz club durante la settimana. I suoi fan continuarono ad applaudirlo per tutto il tragitto dal palco all'uscita mentre suo nipote lo aiutava a camminare, a Kitty si strinse il cuore per la tenerezza vedendo quel vecchietto minuscolo e contorto sorridere nonostante il dolore. Ammirava chi come Stu dedicava tutta la sua vita all'arte.
Girò lo sguardo in direzione di Caspar ma lo fece in maniera che sembrasse del tutto casuale, “non sto guardando certo te, guardo solo la sala e...!” si rese conto che lui l'aveva guardata a sua volta e arrossì violentemente per la vergogna. Alzò gli occhi timidamente e lui le fece cenno di avvicinarsi.
Quando arrivò al suo tavolo la bocca carnosa di lui era incurvata in un sorriso semplicemente perfetto.
- Come va? - esordì lei con un tono affettato da cameriera navigata – Tutto bene?
- Ti va di farmi compagnia?
- Eh... sto lavorando adesso... non credo...
- Non ci farà caso nessuno, guarda.
Kitty si voltò, effettivamente i clienti erano già concentrati sul complesso che faceva da spalla a Stu, non se la cavavano affatto male da soli. Nessuno sembrava volersene andare per cui non ci sarebbe stato bisogno della guardarobiera per un po', accettò volentieri l'invito di Caspar e sedette al tavolo con lui. “Solo cinque minuti”si ripromise.
Immediatamente si rese conto di avere i capelli legati in una coda sciatta e che non indossava nemmeno il lucidalabbra. “Accidenti, ha ragione Cassie che si porta sempre in borsa spazzola e trucchi” pensò a disagio e con un gesto goffo sciolse i lunghi capelli castani lasciandoli ricadere sulle spalle. “Dì qualcosa, qualsiasi cosa!” pensò affannata.
- Ho saputo di Silvia...
Esordì per rompere il ghiaccio ed immediatamente se ne pentì, come le era venuto in mente di chiedergli della sua ex appena scomparsa?
- Hai saputo cosa?
Chiese lui inespressivo.
- Ho visto il telegiornale, che è...
- Scomparsa? Non credo, è tipico di lei.
Caspar replicò con noncuranza e Kitty si chiese come facesse a non essere preoccupato nemmeno un po'. Il suo viso liscio non recava i segni di alcuna angoscia, come se quelle sopracciglia arcuate e nere non avessero mai avuto motivo di corrugarsi.
- Ma... e i suoi parenti? Non pensi le sia capitato qualcosa?
- Assolutamente. Senti questa: circa un anno fa Silvia scomparve per giorni, il suo cellulare squillava a vuoto e nessuno la vedeva dall'ultimo party della Fashion Week. I suoi genitori erano disperati e persino le sue amiche modelle facevano finta di preoccuparsi... tre settimane dopo eccola di nuovo a Manhattan. Aveva passato un mese in giro per l'Oceano Indiano sullo yacht di un principe arabo.
- Davvero?
Kitty lo guardò spalancando gli occhi, quella gente faceva una vita davvero assurda.
- E tu non ti eri ingelosito nemmeno un po'?
- Perché avrei dovuto?
- Non stavate insieme tu e Silvia?
Caspar rise facendola sentire una sciocca, mandò giù un sorso di scotch e continuò a sorridere scuotendo la testa.
- No, no. Per carità. Ci frequentavamo solamente.
“Ovvio, lo avrai visto con almeno un centinaio di sventole” pensò vergognandosi “non è tipo da fidanzarsi, anche se...”.
- Quindi adesso sei con la ragazza bionda?
Kitty si morse le labbra, dannata la sua curiosità. Però che c'era di male a chiedere? In fondo si chiacchierava solamente. Non che lei morisse dalla voglia di sapere se era libero. Affatto.
- Quale ragazza bionda?
Disse con un tono che sembrava sottindere “quale delle tante”.
- Non so se ricordi... una sera ti eri offerto di accompagnarmi a casa e... niente, ad un certo punto è arrivata quella ragazza con i capelli biondissimi, sembrava vi conosceste bene...
Un'ombra passò sul viso sereno di Caspar dissolvendo il suo sorriso.
- Stai parlando di Albida – replicò serio – è mia cugina.
- Non andate d'accordo?
- Non molto.
Su di loro scese un silenzio greve, doveva aver toccato un tasto dolente. Gli sorrise ma lui sembrava essersi incupito, imbarazzata guardò le foto appese sul muro di pietra alle spalle di Caspar. Tutti quei musicisti jazz e blues sembravano compatirla dalle loro cornici di legno scuro.
- Sei di New York?
Le chiese facendole capire implicitamente che preferiva chiudere il capitolo parenti cambiando discorso, annotò mentalmente di non nominare mai più questa Albida.
- Oh no, sono di Lodi. New Jersey.
Si aspettò una battuta. Tutti facevano battute sul New Jersey, anche lei.
- Una ragazza del Jersey, chissà perché tutti ne parlano male.
- Non sei di New York quindi.
- Perché?
Chiese lui incuriosito.
- Un vero newyorchese avrebbe storto subito la bocca a sentire “New Jersey”.
- Mi hai beccato. Non sono nato qui ma ho sentito dire che se vivi per almeno dieci anni a New York puoi considerarti a pieno titolo newyorchese. - si interruppe per portare alle labbra il bicchiere pieno di liquido ambrato, poi riprese.
- Cosa studi?
- Seguo i corsi di letteratura e scrittura creativa alla NYU, vorrei diventare insegnante di letteratura inglese un giorno.
- Davvero?
Caspar aveva un'espressione così incredula da farle pensare che la stesse prendendo in giro.
- Certo, davvero. Sono un'appassionata di letteratura inglese.
- Fammi indovinare... Jane Austen?
- Sì... come?
- A tutte le ragazze piace Jane Austen, la ritieni anche tu una precorritrice del femminismo?
- Beh, sì! Ha raccontato perfettamente la condizione femminile della sua epoca, ed era una donna intelligente, sveglia, con un grande senso dell'umorismo. Ha dimostrato che non eravamo solo belle statuine in attesa di un marito ma avevamo anche spirito critico, è così che la penso.
Pensò di essersi lanciata in una difesa fin troppo accalorata della sua beniamina ma nutriva per lei un affetto sincero, come se si trattasse davvero di una sua amica e mentore. Aveva letto Orgoglio e Pregiudizio per la prima volta a sedici anni e da allora lo rileggeva con piacere almeno una volta l'anno, adorava le peripezie delle sorelle Bennet e l'amore rispettoso tra il signor Darcy ed Elizabeth.
- Sai che non si è mai sposata? Te lo dico io chi era Jane Austen: una zitellaccia inacidita che alle feste faceva tappezzeria solo per poter sparlare degli amici nei suoi romanzi.
Kitty boccheggiò per l'indignazione.
- Ora solo perché una donna non si sposa non vuol dire che sia una zitella! E'... è... libera! Non serve per forza un uomo per sentirsi complete e appagate nella vita.
Caspar scoppiò in una risata sonora talmente genuina da essere contagiosa, prima di rendersene conto stava ridendo con lui.
- Kitty... Kitty non era il nome della sorella Bennet scema?
- No! Quella che fugge con Wickham è Lydia. Kitty è l'altra sorella, quella che le sta sempre attaccata ed è troppo scialba per trovare un corteggiatore.
- Tua madre ti ha chiamato così in onore suo?
Non la infastidiva che la punzecchiasse a quel modo, era come se tra di loro stesse nascendo una sorta di complicità.
- Ovviamente no. Semplicemente le piaceva Katherine come nome.
- Anche perché tu non sei affatto scialba.
Si fissarono in silenzio per un lungo istante. Le pagliuzze dorate negli occhi verdi di lui sembravano risplendere nella luce soffusa del locale. Le loro mani erano entrambe poggiate sul tavolo, a poca distanza l'una dall'altra, un minimo sforzo e si sarebbero sfiorate. Kitty desiderò in quell'istante che lui allungasse l'indice e le accarezzasse il dorso della mano, le sarebbe piaciuto scoprire che effetto le avrebbe fatto.
- Oddio ti ho trovata!
- Cassie? Che è successo?
La sua amica era piombata brutalmente nella sua fantasticheria facendola sobbalzare. Il viso paffuto era rigato di rivoli di lacrime scure, era così sconvolta che dalla sua bocca continuavano ad uscire solamente singhiozzi spezzati.
- Calmati!
Kitty si alzò in piedi per consolarla, Caspar rimase seduto ad osservare le due non osando intromettersi.
- Sono tutti uguali! Tutti porci... aveva già la ragazza! E io come una scema!
Cassie si gettò su Kitty stritolandola, aveva un bisogno disperato di essere consolata.
- Ora mi racconti tutto, d'accordo?
Kitty la guidò gentilmente verso il guardaroba, si voltò dispiaciuta verso Caspar scusandosi con lo sguardo per quell'interruzione brusca. Lui scosse la testa sorridendo appena, come a dire che non c'era alcun problema.
Aveva sentito della tensione tra loro, c'era stato un attimo in cui... “Chissà” si disse “chissà se ci sarà occasione di parlare ancora”.
- Chi è quel figo?
Le chiese la vocetta acuta di Cassie mentre si allontanavano da Caspar.

Per ore Cassie non aveva fatto che ripetere le stesse parole: “porco”, “aveva già una ragazza” e “sono stupida”; Kitty aveva continuato a ribatterle che non doveva dire così, che capitava a tutte di beccarsi una fregatura nella vita e che lei era una ragazza fiduciosa e non stupida.
All'ennesimo cliente che si era avvicinato al guardaroba con la faccia perplessa però era sbottata: Kitty sembrava una pazzoide che parlava da sola perché Cassie aveva insistito per sedersi a terra solo per non farsi vedere col trucco sbavato.
- Vuoi venire fuori di lì? Ormai non c'è quasi più nessuno!
- No! Quando chiuderete uscirò. Oh mi è colato tutto il mascara, è tutta colpa di quel porco!
Sperò che non ricominciasse l'ennesima geremiade sul “porco”. Girò gli occhi al cielo esausta, aveva quasi esaurito la pazienza.
In lontananza Caspar stava finendo col calma il suo drink e la ragazza pensò che sarebbe stato bello continuare a parlare con lui, non le aveva nemmeno detto dov'era nato. Lo guardò mentre chiamava Allison con un cenno elegante della mano e le lasciava la mancia senza stupide battute, Kitty notò l'espressione sollevata di Allison e sorrise. Forse si era davvero sbagliata su di lui.
“Il signor Darcy!” esclamò una voce nella sua testa “la prima impressione è stata pessima e invece lui è una persona meravigliosa proprio come nel libro” scacciò quel pensiero fin troppo entusiasta e potenzialmente pericoloso. Poteva flirtare con lui in maniera innocente ma niente di più; in fondo era appena uscita da una relazione perché il suo ragazzo la tradiva, era proprio il caso di andare a infilarsi in una storia con un tizio che aveva il vizio di uscire con due o tre modelle per volta?
Decisamente no.
- Come si chiama quel tipo?
Cassie interruppe il flusso dei suoi pensieri, sembrava essersi sufficientemente ripresa dal suo trauma sentimentale.
- E' solo un cliente fisso.
- Gli piaci.
Affermò sicura la ragazza, le gambe grassocce allungate sotto lo sgabello di Kitty.
- Ti guardava in un certo modo... quanti anni ha? Trenta?
- Non saprei, credo di sì, meno forse... ma non mi guardava in nessuno modo, che dici! Chiacchieravamo solo... e poi a lui piacciono le top model.
- Tu sembri una top model!
Kitty scosse la testa scettica.
- Ma non prendermi in giro.
- Stai scherzando? Sembri uscita da una pubblicità di profumi! Pensa che non ti volevo affittare nemmeno la stanza perché eri troppo carina e mi stavi antipatica.
Le due scoppiarono a ridere insieme.
- Grazie. Quel deficiente fidanzato non ti meritava affatto.
Cassie si strinse nelle spalle, gli occhi ormai asciutti, e annuì.
- Fa sempre male però.
- Arrivate a casa ci guardiamo “Friends” e ti faccio i waffles?
- Sì!
Friends funzionava sempre alla meraviglia come antidepressivo con Cassie.
Mentre si occupava di un gruppetto di clienti alticci, si accorse degli occhi di Caspar su di sé e trasalì, c'era qualcosa nella potenza felina del suo sguardo che le fece venire la pelle d'oca.
Era come se si trovasse lì di fronte a lei invece che a metri di distanza con persone, tavoli e sedie tra di loro. “Ti stai cacciando nei guai” si disse seria “guai grossi” e per quella sera decise che non avrebbe arrischiato altre confidenze.
Quando poco dopo si presentò al guardaroba fu felice di avere Cassie come scudo.
- Io vado.
Disse lui e la sua voce sembrava più profonda del solito. Kitty si voltò impacciata verso i cappotti rischiando di inciampare sulle gambe di Cassie, da sotto il bancone la sua coinquilina la guardò con gli occhi supplichevoli fuori dalle orbite continuando a chiederle scusa sottovoce.
- Ecco il tuo cappotto...
Sul palmo bianco e delicato il gettone lucido del guardaroba era invitante come una pietra preziosa. Kitty lo raccolse sfiorandolo appena con le dita lunghe e di nuovo gli occhi rapaci di Caspar si fissarono nei suoi, sopraffacendola. Ritirò la mano intimidita.
- Ciao...
Gli sussurrò muovendo appena le labbra.
- A presto.
Rispose lui e la lasciò lì come una sciocca con la bocca inaridita e lo stomaco attorcigliato dall'emozione.

Il test era andato bene, se lo sentiva. Doveva esserlo andato per forza perché aveva letto “La storia di A: l'alfabetizzazione d'America dal New England Primer a La lettera scarlatta” così tante volte che solo a vedere la copertina aveva la nausea. Ora mancava solo l'esame di filosofia e poi le vacanze di Natale le avrebbero dato un po' di respiro: pensare ai disgustosi intrugli di cioccolata calda e marshmallow che avrebbe fatto con i suoi fratelli le dava il buonumore necessario ad andare avanti.
In salone Georgie e la sua migliore amica, Eden, si stavano preparando per un esame di economia, o almeno così avrebbero dovuto fare.
- Allora non ti va di andare al Trash stasera?
- No. Bah, mi devono venire le mie cose.
Georgie se ne stava sdraiata sul pavimento, completamente spompata.
- Ma non ti devono venire tra una settimana?
- Che fai controlli? Io ho la sindrome premestruale. E' un disturbo sai?
- Sei solo pigra.
Eden la pungolò con un piede, indossava dei calzini carini con le zucche di Halloween sopra. Peccato essere in dicembre.
- Ciao ragazze.
Le due ricambiarono il saluto di Kitty, Eden alitò sui suoi spessi occhiali vintage nell'inutile tentativo di pulirli, le lenti erano graffiate da entrambi i lati, poi si illuminò.
- Ho saputo che hai uno spasimante nuovo!
- Non ti si può raccontare niente... scusa Kitty!
Aveva ribattuto Georgie lanciando un'occhiataccia all'amica, i capelli ricci e biondi le incorniciavano il viso come un'aureola. Indossava un lungo maglione grigio di lana spessa sul quale aveva applicato una spilla di stoffa a forma di rosa e dei logori jeans aderenti sulle gambe magrissime. Forse non era bella per quelli che erano i canoni classici, eppure Kitty la trovava estremamente interessante e carina, molto più di tante oche che si vedevano in giro convinte di essere chissà che.
- Figurati. Non è uno spasimante, non ci sono neanche mai uscita a dire il vero...
- Cassie mi ha raccontato che ti ha detto “a presto” come se ti volesse togliere le mutande.
- Cosa?! - esclamò Kitty avvampando per l'imbarazzo - Ma se non lo ha neanche visto che era nascosta sotto il bancone. Lei e le sue fantasie depravate!
- Sarà... ma in questi casi ci prende sempre.
Ribatté Georgie seduta a terra con le gambe incrociate e le braccia conserte come un guru indiano.
- Quanti anni ha? E' ricco?
- Non saprei, forse 28 o 29. Sembra uno coi soldi, l'ho visto spesso insieme a delle modelle... anche quella scomparsa usciva con lui.
A quell'affermazione le ragazze si guardarono l'una con l'altra mugugnando di disapprovazione. Kitty si chiese se nel suo tono di voce si sentisse l'invidia. Doveva essere realistica: come poteva un uomo che usciva con una bellona come Silvia Braga passare a una studentessa insignificante come lei? Probabilmente l'aveva corteggiata solo per noia visto che quella sera era solo e lei ci aveva ricamato sopra un po' troppo, proprio come era successo al secondo anno di liceo.
Lui si chiamava Dale Bowen, era più avanti di un anno nonché quarterback della loro squadra e come se non fosse abbastanza somigliare a Ryan Reynolds era anche molto simpatico e socievole. Con grande sorpresa sua e della sua migliore amica di allora, Audrey, in un luminoso giorno di marzo l'aveva salutata chiamandola per nome all'uscita di scuola. Quell'incredibile evento aveva dato il via a una serie di congetture sempre più fantasiose finché non si era ripetuto più volte, confermando la più sensata delle loro tesi: Dale voleva chiederle un appuntamento. Kitty aveva aspettato speranzosa per giorni e settimane e ogni volta che lo incrociava nei corridoi, sempre meno casualmente, non poteva fare a meno di fissarlo speranzosa che quella proposta sarebbe arrivata.
Alla fine l'attesa aveva così snervato entrambe, Audrey era quasi più isterica di lei, che Kitty aveva deciso di scambiare con lui qualcosa di più di un semplice “ciao”. Una fortunata coincidenza aveva voluto che Dale si trovasse seduto da solo sul muretto basso di fronte al campo di football e Kitty ne aveva approfittato coraggiosamente. Ricordava ancora come i raggi del sole si infrangevano in mille riflessi dorati sui suoi capelli castani incantando il suo sguardo di quindicenne innamorata.
- Ciao!
Aveva detto piombandogli di fronte totalmente sicura di sé.
- Ciao...
Era stato il saluto distratto che le aveva rivolto prima di tornare a occuparsi dei suoi scarpini. Leggermente confusa era rimasta imbambolata qualche secondo prima di riprendere coraggio e farsi di nuovo avanti, “sarà anche un quarterback ma è un timidone” aveva pensato convinta.
- Come stai?
- Bene.
Stavolta non aveva nemmeno alzato lo sguardo dalle scarpe.
- Ti va di parlare?
- Uhm... veramente sto aspettando i miei compagni, saranno qui a minuti. Comunque grazie.
“Cosa diavolo hanno quelle scarpe di così interessante?” si era chiesta sempre più seccata. Ostinata gli si era seduta accanto e lui l'aveva guardata ma non nel modo in cui lei si era aspettata, anzi, sembrava pure un po' infastidito.
- Allora...
Il silenzio su di loro aveva un che di mortificante. Dale non sembrava minimamente intenzionato a parlarle e anzi fissava il campo di football a disagio, ma allora che senso aveva che avesse iniziato a sorriderle e salutarla quando in due interi anni non l'aveva mai nemmeno guardata?
Qualcosa in lei, forse l'idiozia, la spinse a parlare ancora.
- Ti piace andare al cinema? Ti va di andarci con me?
Lui l'aveva guardata con un misto di compassione e imbarazzo.
- No grazie, ho anche già la ragazza.
Un'ondata di calore l'aveva investita da capo a piedi; il primo impulso, quello di sotterrarsi in quel punto preciso del campetto, lasciò però il posto a una cocente indignazione. Non si salutavano le altre se si era fidanzati con una cheerleader e soprattutto né lei né Audrey erano delle pazze visionarie perché le sue avances c'erano state eccome.
- Tu volevi uscire con me!
Aveva esclamato all'improvviso puntandogli addirittura il dito contro. Ripensandoci ora, a distanza di anni e addirittura in un'altra città, aveva ancora voglia di andarsi a nascondere sotto la coperta per la vergogna.
- Io? Ma... ma... non ho mai detto nulla di simile!
L'aveva guardata come se lei fosse Glenn Close in Attrazione Fatale, sbalordito e spaventato.
- Cioè non l'hai detto, però tutti quei “ciaoo”, eh? Eh?
Già sentendosi parlare aveva capito di aver detto un'assurdità ma ormai era così lanciata che non riusciva a trattenersi.
- Tu non sei la figlia di Martino? Il signore che ha l'impresa edilizia?
- Sì...
Si era chiesta cosa c'entrasse il suo patrigno all'improvviso, probabilmente era un subdolo tentativo di cambiare discorso.
- Ha fatto i lavori a casa nostra qualche settimana fa e quando ha saputo che andavamo a scuola nello stesso liceo mi ha chiesto se ti conoscevo, così quando ho capito chi eri ti ho salutato per cortesia. Non te lo aveva detto?
- No...
Una catastrofe, una nave aliena, un tornado. Qualsiasi cosa sarebbe andata bene se avesse avuto il potere di farla scomparire all'istante da quel dannato muretto. Alla fine si era allontanata in silenzio, le spalle incurvate e non si erano salutati, né era più capitato che succedesse per il resto del liceo.
Adesso Eden e Georgie stavano parlando con orgoglio di una loro amica accampata da qualche giorno davanti alla sede della Borsa e stavano decidendo se unirsi a lei prima o dopo gli esami. Kitty si accoccolò pensierosa sul bracciolo di una poltrona non prestando ascolto alle due.
Con Caspar sarebbe finita come con Dale: tante congetture, fantasie e sospiri e poi sarebbe rimasta con un pugno di mosche.
Quasi desiderò che quel week end saltasse la sua consueta visita al Bar 66.

Invece non l'aveva saltata. Puntuale come ogni venerdì si era presentato verso mezzanotte accompagnato da due grissini tutti occhi e bocca. Si guardavano intorno stolidamente, bisbigliando e ridacchiando come due ragazzine. Quando si erano presentati al guardaroba Kitty non aveva battuto ciglio.
- Questo è il vostro gettone, non perdetelo.
- Se no che fai, ci sequestri i cappotti?
Aveva detto quella delle due che sembrava orientale, con i capelli di una impossibile tonalità di giallo, l'altra era scoppiata a ridere in maniera grottesca risucchiando l'aria. Kitty aveva girato gli occhi al cielo evitando per quanto le era possibile di guardare Caspar in viso.
Se possibile quella sera era ancora più affascinante, indossava una camicia rosso scuro che doveva costare uno sproposito e il verde degli occhi risaltava come mai prima d'ora.
“Che scema” pensò voltando le spalle alla sala gremita “mi sono anche arricciata i capelli con il ferro” e prese tra le dita uno spesso boccolo color caramello lisciandolo nervosamente. La maledizione di Dale colpiva ancora.
In fondo era meglio così, era già troppo interessata a lui e lei non era tipo da vivere avventure con leggerezza. Purtroppo Kitty apparteneva alla tragica categoria delle romantiche per cui dare un bacio alla francese significava già essere legate ad un uomo. Lui no, sicuramente no.
Mentre lo guardava parlare seduto tra quelle due bambole viventi, Kitty si chiese cosa mai potesse trovarci in tipe del genere; non partecipavano nemmeno alla conversazione e si limitavano a guardarlo con espressioni beote ridendo, nel caso di quella più alta ragliando, solo per compiacerlo. D'accordo, erano senza dubbio belle ma non le trovava terribilmente noiose? Quando aveva parlato con lui quella sera l'aveva visto ridere di cuore e questa cosa non era mai accaduta in compagnia di quelle oche che si portava dietro, ne era sicura.
Meglio così, si ripeté per la decima volta da quando lo aveva visto scendere le scale d'ingresso, meglio così.
Allison si avvicinò alla sua postazione in cerca di chiacchiere, le efelidi le coprivano tutto il viso e ogni volta che la vedeva parevano aumentare.
- Eric non ci paga abbastanza per sopportare questi stronzi... guardali, tutti modaioli che pensano di essere alternativi perché vanno a sentire il blues nel Greenwich Village... che odio.
- Qualcosa non va?
La ragazza si appoggiò al bancone tesa, Kitty poteva vedere solo la sua nuca coperta di ispidi capelli color carota.
- No, niente. E' il Natale che si avvicina.
- Tua madre ancora non ti parla?
- No.
Allison espirò rumorosamente, erano entrate piuttosto in confidenza da quando qualche mese prima Kitty l'aveva sorpresa a piangere nello spogliatoio. Da due anni aveva confessato ai suoi genitori di essere lesbica e loro appartenevano a una chiesa molto rigida per cui dapprima avevano cercato di convincerla a “convertirsi” ma quando la ragazza si era opposta l'avevano completamente esclusa dalla loro vita. Se si presentava alla loro porta gliela chiudevano in faccia, non le rispondevano al telefono e persino i suoi altri parenti la evitavano con imbarazzo. Era diventata una paria.
Kitty si era chiesta come fosse possibile voltare le spalle a una figlia in un modo tanto crudele, come potevano definirsi genitori persone simili? Per fortuna Karen, la sua ragazza e futura sposa, le era sempre vicina e anche i suoi genitori l'avevano accolta con calore.
- Passerà presto dai... e poi con Karen non andate a Parigi a gennaio?
- Sì- esclamò improvvisamente rallegrata - ti farò da apripista, sto solo una settimana ma posso prendere informazioni per te, se vuoi.
- Non c'è ancora niente di sicuro, non so neanche se ho passato questi esami!
- Certo che li hai passati, da che ti conosco sei sempre andata benissimo. Ti ci vedo proprio a Parigi, assomigli pure a Sophie Marceau! Oddio guarda quelle, sono un insulto alle donne...
Ovviamente Allison si riferiva alle amiche di Caspar, si erano alzate in piedi e fingevano di posare per un fotografo. Di Playboy a giudicare dalle posizioni volgari in cui si mettevano.
- E dire che ultimamente Milord sembrava meno stronzo.
Continuò la ragazza guardando schifata le due modelle.
- Dici?
Kitty fissò torva le due ragazze per qualche istante, poi si accorse di essere osservata a sua volta. Gli occhi verdi di Caspar erano posati su di lei, il viso scolpito aveva un'espressione quasi feroce, predatoria, come quello di un leone acquattato tra l'erba alta di una savana. Kitty sostenne lo sguardo e poi scosse la testa, un sorrisetto derisorio le incurvava le labbra color fragola, Caspar raccolse il suo sorriso rilanciandolo.
Con un gesto chiamò le due che erano avvinghiate l'una all'altra per attirare la sua attenzione ma che avevano avuto successo solo con i ragazzi del tavolo accanto. Si sedettero accanto a lui speranzose poi Kitty vide i ghigni scomparire dalle loro facce visibilmente deluse, nel frattempo lui continuava a fissarla.
Si erano alzate seccate, le facce scure promettevano tempesta, arrivate al guardaroba trovarono già i loro cappotti sul bancone. Allison le guardò allontanarsi stupita e ancora più stupita vide Caspar avvicinarsi e fare questa domanda a Kitty:
- Esci con me?
- Non sono il tuo tipo.
Ribatté la ragazza seria.
- Fai la difficile Hello Kitty?
Lei lo fulminò con lo sguardo ma non poté fare a meno di sorridere.
- D'accordo ma niente idiozie.
- Che vuoi dire?
- A me non interessano le limousine, i gioielli, i party e tutte le altre stronzate... voglio solo conoscerti.
- Anch'io.
E mentre lo aveva detto era suonato terribilmente sincero. Allison continuava a guardarli sbalordita, la bocca semiaperta.
- Domani sera sei libera?
- Lo è!
Aveva ribattuto la cameriera prima di poterselo impedire.
- Scusate non volevo intromettermi...
Così dicendo si era allontanata per tornare ai tavoli.
- Sono libera.
Gli aveva lasciato il suo indirizzo, lui sarebbe passato a prenderla alle otto.
Quella notte Kitty non fece altro che rigirarsi nel letto ripensando a quegli intensi occhi verdi e a quei capelli nerissimi. “Al diavolo Dale Bowen” fu l'ultima cosa che pensò prima di addormentarsi.
   
 
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