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Autore: Gaia Loire    01/05/2007    7 recensioni
Il ragazzo che ami scappa per arruolarsi in una guerra suicida e - quello che è peggio - si trova dalla parte sbagliata. Sopravvivere non è facile come avresti pensato se non riesci a dormire più di due ore per notte, soffocata dai rimorsi e da singhiozzi che ti muoiono in gola.
A volte prima bisogna toccare il fondo prima di risalire.
Genere: Romantico, Commedia | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Coppie: Draco/Pansy, Harry/Ginny
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti
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Capitolo 1: Hic Sunt Leones


And isn't this exactly where you'd like me
I'm exactly where you'd like me you know
Praying for love in a lap dance
And paying in naivety
But It’s Better If You Do, Panic! At The Disco,

Quella sera la pioggia batteva contro le finestre con una forza che sembrava schernire la sorte degli Slytherin, visto che il sotterraneo era l’unico luogo del castello che, per ovvietà di costruzione, non potè essere allieto dalla frescura che il temporale portò.
Naturalmente Pansy si arrangiò a modo suo, prese il pacchetto di sigarette di Daphne e sgattaiolò fuori dai sotterranei, lasciando che Wireless Wizarding Network coprisse la sua fuga. Per la strada incontrò Katie Bell e Miles Bletchey, che stavano facendo il giro di ronda insieme. Pansy era sicura che Katie non l’avesse vista, ma non potè dire lo stesso di Miles, che guardò esattamente dove lei si trovava, semi nascosta da una grossa armatura, con un’occhiata talmente vacua da far dubitare a chiunque che dietro gli occhi di quel castano ambrato molto particolare ci fosse qualcosa.
Che ci fossero reazioni del genere era tranquillamente prevedibile, qualche buontempone, probabilmente Gryffindor, aveva scommesso chi sarebbe stato il primo a schizzare, e qualcosa all’altezza del cuore di Pansy si era rotto quando aveva scoperto che, secondo gli scommettitori, lei era stata la più quotata.
Era successo a Miles, invece. Era diventata simile ad un fantasma, ma la cosa peggiore era che Miles era soltanto la prima.
Ci sarebbe voluto un cieco per non accorgersene, ed anche un cieco avrebbe sentito il profondo sentore di marcio, l’odore che emana un’ospedale pieno di pazienti affetti da un incurabile epidemina, la puzza di una cosa malata sporca e morta che gravava sul sotterraneo.
E non era un problema di fognature, né di poca igiene personale. Era il condensato dei sentimenti, e al diavolo chi dice che i sentimenti non possono puzzare, pensò Pansy, perché quella era Hogwarts e tutto era possibile.
E lei non avrebbe augurato una cosa del genere neppure al suo peggior nemico.
Si fece strada lungo i corridoi del terzo piano, seguendo le scale per l’unico posto dove sarebbe riuscita a godere della pioggia e avrebbe potuto fumare senza troppe ripercussioni, il loggione dietro la Torre Sud. In realtà di loggioni ce n’erano quattro, uno dietro ogni torre, ma voleva mettersi il più lontano dalla Torre Nord, la torre dei grifoni.
I mocassini regolamentari della divisa, che portava solamente a scuola per apparire inosservata da quando Draco se n’era andato, le consentirono di dirigersi verso il loggione senza fare nessun rumore ma, quando arrivò lì, si accorse che qualcun altro aveva già occupato il suo posto.
E quando vide chi fosse, aguzzando la vista per scorgere qualcosa più che una manciata di lineamenti sotto la pioggia battente, scelse di rimanere.
Che sciocca, avrebbe dovuto pensare che non erano i grifoni gli unici animali capaci di volare.
– Parkinson – la salutò cortesemente Anthony Goldstein, aspirando una boccata di fumo dalla sigaretta al riparo della tettoia di pietra.
– Goldstein –
Erano entrambi prefetti ed era capitato di fare ronde insieme, così come era capitato anche di scambiare chiacchiere indolenti durante i loro giri. Goldstein era sempre stato così educato e schietto da far capire a Pansy che sapeva perfettamente quello che tutti quanti pensavano di lei ma a non rivolgerle mai gli stessi epiteti.
Pansy si sistemò non troppo lontano da Goldstein, la vicinanza dettata dalla cortesia che si sentiva in dovere di rispettare anche in un momento come questo. Tirò fuori dalla tasca il pacchetto di sigarette e ne estrasse una alla rosa, una marca francese di cui Daphne aveva comprato diverse stecche quell’estate.
Sul pavimento del loggione ristagnavano polle d’acqua, piccole pozzanghere che si formavano nelle crepe delle mattonelle sbreccate. Lampi di luce illuminarono il viso di Goldstein mentre si girava verso Pansy, buttando per terra la sigaretta prima di calpestarla con il piede e di estrarne un’altra dal pacchetto, evidentemente quella sera era proprio nervoso.
Anche Pansy lo guardò, un’espressione impassibile sul volto.
– Roger Davies ha scritto a Lisa, ha un messaggio per sua sorella. Potresti recapitarglielo tu? –
Una saetta che attraversò il suo pensiero suggerì a Pansy di rispondere che lei non parlava con Tracey, ma si ricordò in tempo che non avrebbe mai potuto dire niente di simile ad un estraneo.
– Certamente – rispose, anche se qualcosa le diceva che quella di Goldstein era tutto fuorchè una domanda.
Anthony sorrise, lentamente, il viso illuminato dalla fiamma dell’accendino azzurro. Prima di parlare, fece un tiro dalla sigaretta – Attenta ai leoni.
Pansy sbattè le palpebre – Scusami?
– E’ il messaggio – disse Goldstein con un sorriso – Per Tracey.
Per un attimo Pansy aveva pensato che quel messaggio fosse per lei, e non sarebbe stato neanche troppo strano. Celò il suo stupore dietro la cortina di ferro racchiusa nel mezzo dei suoi occhi ed annuì con un unico gesto, secco.
– Novità del Prefetto Malfoy? –
– Nessuna –
– Anche se ci fosse, non me la diresti, sbaglio, Parkinson? –
– Non puoi incolparmi per questo, Goldstein –
– Naturalmente – rispose Anthony con un sorriso gentile che aveva allo stesso tempo qualcosa di vagamente canzonatorio.
Le parole che uscivano dalla bocca di Pansy erano lame taglienti, che prima di tutto dilaniavano la sua bocca, lasciandola impastata di sangue. Il proprio – Non hai freddo?
Anthony rise – E’ un invito ad andarmene molto cortese, ma è sempre un invito ad andarmene – buttò anche la seconda sigaretta, ormai ridotta ad un mozzicone, per terra, la pestò con la suola di gomma della scarpa e dopo aver gettato un’ultima occhiata alla pioggia oltre la tettoia si girò verso l’ingresso della scuola, il mantello drappeggiato sulle sue spalle come se ci fosse qualcuno da impressionare.
– Buona nottata, Parkinson – la salutò Goldstein prima di entrare – Ricordati di dirlo a Tracey, anche se non ho la minima idea di che cosa significa: attenta ai leoni.
Era naturale, considerò Pansy, che Anthony Goldstein non riuscisse a capire il significato di quell’avvertimento.
Le aquile volano sempre troppo in alto.

***

I don't have plans and schemes
And I don't have hopes and dreams
I, I, I don't have anything
Since I don't have you
Since I don’t have you, Guns N’ Roses

Era il pensiero di Draco che la teneva sveglia la notte, erano i suoi occhi che la facevano annaspare fra le coperte di cotone verde. E quando dormiva, in occasioni progressivamente più rare, i sogni di Pansy erano agitati e finivano sempre con un urlo o con del sangue
Si svegliava di scatto, il corpo sconvolto dai singhiozzi di Millicent disteso di fianco al suo e, dall’altra parte, Daphne, immobile come una statua con i grandi occhi spalancati.
Coltri come una prigione, di uno spessore soffocante l’avvolgevano nei suoi sogni, macchiandola del sangue che da essa filtrava, tatuandoglielo indelebile sulla pelle.
Dov’era Draco adesso?
Coperte che portavano il nome di rimorso, lo stesso rimorso che le stringeva il cuore come una mano impietosa.
Non era stata abbastanza brava per lui. Era questo il motivo per cui se n’era andato, non si era sentito amato, e di sicuro lei non aveva fatto del suo meglio per facilitargli il compito. Avrebbe dovuto fare di più, dare di più, dire di più, avrebbe dovuto fargli capire che tutto quello che provava per lui era così forte da non permetterle nemmeno di respirare, quando lui non c’era.
Ora Draco se n’era andato, e tutto quello che le restava in mano era…rimorso.
E la sfuggente sensazione di non poter condividere quel rimorso con nessuno.
Quando si svegliò, quella mattina, uscendo da una serie di sogni travagliati quasi come la prima notte dopo La Fuga, la pioggia non era ancora cessata.
Una volta che arrivò in Sala Grande, fortunatamente, le furono risparmiate le occhiate che fino ad appena qualche giorno prima qualunque Slytherin che entrasse in mezzo ad una folla si guadagnava.
– Guarda che roba – commentò Parvati Patil al tavolo di Gryffindor.
– Stai parlando della gonna, vero? – le diede manforte Lavender, versandosi nel bicchiere un’abbondante dose di succo di zucca – Mi chiedo se Pansy Parkinson sappia che è cresciuta da quando aveva dodici anni e che, purtroppo, si è allungata.
Parvati, per amor del vero, si sentì in dovere di dire a Lavender la stessa cosa, ma stette zitta preferendo riversare tutto il suo astio sul gruppetto di Slyhterin che, appena dietro la Parkinson, si stava silenziosamente riversando in Sala Grande.
– Anche se, – continuò Lavender – Se vogliamo parlare di gonne corte non c’è nemmeno bisogno di andare troppo in là, voglio dire, hai visto Mandy Brocklehurst stamattina? Quello è un francobollo, non è una gonna ––solo che su di lei non è nemmeno così volgare come sulla Parkinson.
Parvati sgranò gli occhi, colpita dalle parole dell’amica – Lavender, ma non è neanche la stessa cosa! Credi sul serio che una…una biscia – disse, trovando particolarmente appropriato quell’epiteto per Pansy Parkinson – possa avere la stessa classe di un usignolo?
Hermione alzò gli occhi al cielo senza dire nulla. Altro che usignolo, Mandy Brocklehurst era a dir poco un vero e proprio pavone.
– Hermione, mi passi il caffè? –
– Certo – porse una mano verso la brocca sollevandola, facendola passare davanti ad un Ron Weasley completamente assorto nella lettura di Baudelaire per recapitare il caffè davanti a Harry.
– Ron, sei davvero ossessivo – commentò Ginny scuotendo la testa – E’ una cosa malata –
Da parte di The King non ci fu altro che un grugnito strozzato che esprimeva tutta la sua disapprovazione per la frase pronunciata dalla sorella.
– Non mangi niente, Ron? – chiese Hermione dolcemente, porgendogli un vassiono di plumcake.
Soltanto allora Ron si decise ad alzare la testa, restituendo alla ragazza uno sguardo affranto che le passò attraverso – Mangiare? Come posso mangiare quando la donna della mia vita è due tavoli più in là?
Automaticamente, sia Harry che Hermione seguirono la direzione degli occhi di Ron, fino a trovarsi a fissare il visetto sorridendte di Mandy Brocklehurst.
– Ron, stai diventando davvero ridicolo – disse Hermione stizzita.
Ginny applaudì sopra il suo succo di zucca – Finalmente qualcuno che la pensa come me – concordò.
– Ridicolo, eh? – chiocciò Ron offeso – Siete voi che non sapete che tragedia sia l’amore non corrisposto! Insensibili, anche tu, Hermione, ed io che ti chiamavano amica! –
La smorfia sul viso di Hermione si accentuò, le sue labbra si assottigliarono ulteriormente ed Harry pensò che sarebbe forse stata una saggia idea mettersi ai ripari prima che la tempesta si scatenasse. Alzò la testa per osservare il panorama che la Sala Grande gli offriva, cercando un’eventuale via di fuga che sarebbe potuta pervenerigli tramite Dean Thomas o Seamus Finnegan, ma il suo sguardo si fermò su una figuretta vestita di verde che passò affianco a lui.
Daphne Greengrass.
Il disprezzo arricciò automaticamente le labbra di Harry in un movimento involontario, ma la ragazza, che si stava dirigendo al tavolo di Slytherin, non diede nessun segno di essersene accorta.
Quella mattina Daphne era da sola, priva della sua compagna o del suo cagnolino, rispettivamente Pansy Parkinson e Tracey Davies. Harry, del resto, non perse tempo a chiedersi come e perché, visto che dietro di lui la tempesta era scoppiata con fulmini e tuoni di rito.
– Perdi le tue giornate così, cercando poesie stupide per una ragazza stupida – Hermione prese un profondo respiro, fermandosi un secondo per raccogliere le idee prima di ripartire in una tirata che avrebbe fatto invidia a Molly Weasley – quando potresti studiare, Ron, non ti sei accorto che la tua media è scesa incredibilmente quest’ultimo anno? –
– Gesù Hermione, ti rendi conto che la mia vita non è soltanto studio? Qual è il tuo problema, dimmelo! –
Harry sospirò rumorosoamene desiderando con tutte le sue forze di poter affondare la testa nel piatto. – Ginny… –
– Ginny cosa? Se pensi che li fermerò, sei fuori strada – rispose la Weasley, guardandosi nello specchietto rosa che aveva tirato fuori dalla borsa. – Almeno così Ron reagisce –
Non aveva tutti i torti, ma Harry desiderava comunque che, perlomeno di domenica mattina, le sue orecchie non venissero violentate dalla confusione che i suoi due migliori amici stavano facendo per un motivo che, almeno a parer suo, aveva davvero del ridicolo.
– Aria di tempesta? – chiese Dean sedendosi affianco a lui. – Qual è il motivo della contesa? – indicò con un cenno del capo Hermione e Ron per far capire di cosa stesse parlando, nonostante fosse perfettamente inutile.
– Mandy Brocklehurst – rispose Harry cupamente.
Dean sollevò le sopracciglia con aria eloquente e dalla bocca di Seamus, che stava arrivando in quel momento, fuoriuscì un fischio sommesso.
Ginny alzò la testa dallo specchietto per rivolgere ai due ragazzi appena arrivati un tacito saluto, il suo sguardo si soffermò sul fratello e l’amica soltanto per un breve istante prima di saettare fuori dal tavolo di Gryffindor, verso le vetrate della Sala Grande.
La pioggia, che continuava a battere in quel momento, aveva qualcosa di irresistibilmente cupo: naturalmente, si disse Ginny, era pur sempre pioggia, ed in quanto tale qualcosa di completamente fuori da fenomeni misteriosi e oscuri presagi.
Nuvole di un grigio spento oscuravano il sole, lasciando la Sala Grande in una specie di penombra illuminata solamente dal soffitto stellato, scuro come il cielo di quella mattina di Ottobre fatta eccezione per i bagliori bianchi emanati dalle stelle. Un tuono più forte degli altri fece sobbalzare Ginny sulla sua sedia, e il suo sguardo si diresse verso il portone nell’Atrio, dal quale stavano entrando, ridendo, Lisa Turpin e Anthony Goldstein completamente fradici, con il pacchetto di sigarette che usciva dal taschino della divisa.
– Naturalmente oggi pomeriggio c’è allenamento – disse Harry per far zittire Ron, che continuava ad inveire contro Hermione, il libro di poesie di Baudelaire dimenticato sul piano del tavolo, fra i plumcake e le aringhe.
– Naturalmente – ripose Ron senza neanche aver sentito sul serio quello che l’amico aveva detto.
Ginny respirò profondamente, infastidita dalla piega che le cose stavano prendendo. Aveva programmato un pomeriggio di dolce far nulla, e adesso Harry, per coprire in qualche modo la sua totale mancanza di spina dorsale, aveva pensato bene di occuparglielo con una cosa così inutile come l’allenamento.
– Perché mi guardi così? –
Ginny sbattè le palpebre – Così come? – chiese, accorgendosi soltanto in quel momento che per tutto quel tempo aveva continuato a guardare fisso l’oggetto dei suoi pensieri.
– Come se volessi buttarmi giù dalla torre di Astronomia – rispose Harry scrollando le spalle, mentre Dean e Seamus sogghignavano alle sue spalle, mimando una scenetta che, secondo loro, spiegava con chiarezza cosa invece volesse fare lui sulla torre di Astronomia.
Ginny, tuttavia, non ci trovava nulla da ridere nel loro comico teatrino, si limitò a serrare i denti e a scuotere la testa, sforzandosi a spostare lo sguardo truce sulla tavolata di Slytherin – Non ti stavo guardando proprio in nessun modo –
Decise che l’atmosfera lì stava diventando troppo pesante, quindi si alzò in piedi per raggiungere il tavolo di Ravenclaw, circumnavigando quello di Hufflepuff dal quale Hannah le fece un saluto che lei ricambiò soprappensiero.
Si diresse verso Luna Lovegood e le battè su una spalla. Più o meno tutti tranne Luna si voltarono verso Ginny che sospirando già al colmo dell’esasperazione si mise davanti alla sua amica, con non poche difficoltà visto l’ostacolo rappresentato dalla lunga tavola.
– Ciao Ginny – salutò Luna come se nulla fosse – Hai sentito anche tu un Ricciocorno Schiattoso che ti batteva sulla spalla? Non mi sono girata per non mandarlo via, ma in realtà bisognerebbe catturarlo con una corda d’argento.
– Come no – rispose Ginny roteando gli occhi. Si sedette sulla sedia libera vicino a Luna, salutando Lisa Turpin seduta dall’altro lato.
– Che cosa sta succedendo al tuo tavolo? – chiese Lisa con curiosità, facendo dardeggiare gli occhi verso Ron ed Hermione, il primo paonazzo per la rabbia e la seconda addirittura in piedi. Per fortuna il trambusto tipico della domenica mattina in Sala Grande impediva ad alcunché che non si trovasse abbastanza vicino di ascoltare il discorso.
Ginny si strinse nelle spalle – Hanno un piccolo diverbio relativo alla vita sentimentale di mio fratello –
– Oh, capisco – dal tono nella voce di Lisa Turpin, Ginny comprese che aveva capito veramente, anche perché stando a stretto contatto con Mandy Brocklehurst nessuno potrebbe non capire – Puoi rassicurare la Granger, credo che l’oggetto della lite non sia minimamente interessato –
– Lo penso anche io – disse Ginny con una smorfia – Nessuno sano di mente potrebbe esserlo – si morse la lingua per non dire che in fin dei conti Mandy ricopriva pienamente quest’unico requisito, ma gli occhi di Lisa le assicurarono che avrebbe anche potuto dirlo.
– Guarda un po’ chi arriva, la Caposcuola Bletchey – commentò Lisa spostando gli occhi sulla ragazza in questione, che avanzava verso il tavolo di Slyhterin dalla parte opposta della Sala.
Ginny fermò gli occhi su di lei; Miles Bletchey, Prefetto e Caposcuola fin da quando era stato possibile darle tali onorificenze. La ragazza che aveva guidato gli Slyhterin, intelligente, con i voti migliori del suo anno, molto carina, gentile, onesta ed ambiziosa.
Miles Bletchey, un relitto.
– Sai che Michael Corner ha vinto dieci galeoni? – sussurrò Lisa rivolta a Ginny senza neanche staccare lo sguardo dalla Caposcuola – Terry Steeval invece ne ha perso un sacco, lui aveva puntato tutto quanto su Pansy Parkinson.
Qualcosa nello stomaco di Ginny si contrasse con forza.
– Lo sapevate che con la pioggia i Vermi Saltellanti escono a fare le tane? – informò Luna con aria molto giudiziosa. Lisa ebbe il buon gusto di stare zitta, Ginny invece non la sentì proprio; i suoi occhi erano calamitati dalle gocce d’acqua che battevano contro i vetri, creando disegni del tutto casuali che la nuova ondata di pioggia subito cancellava.
Lisa si battè un dito sul mento – Sono mai arrivati alle mani?
Questo però Ginny lo sentì benissimo, e si girò appena in tempo per vedere anche Ron alzarsi, Dean e Seamus che lo guardavano interessatissimi ed Harry, esattamente in mezzo ai due contendenti, che aveva la faccia di qualcuno che avrebbe dato il suo regno per una passaporta. – No, non mi pare -
– Certo che se ne stanno proprio dicendo, eh – Lisa impietosamente rigirò il coltello nella piaga – Per cosa hanno iniziato, se non sono indiscreta?
Ginny non ebbe problemi a risponderle – Baudelaire –
Lo sguardo comprensivo che Lisa le rivolse valse più di mille parole.

***


– Ehi, Parkinson, cosa ci fai qui sola soletta? – non era cattiveria, aveva soltanto voglia di rompere qualcosa, di…distruggere.
Dopo aver visto la ragazza di cui era innamorato essere gelosa di quel povero cretino di The King, sentiva il bisogno di sfogare la propria frustrazione. Fare del male, ecco.
Voleva fare del male a qualcosa di bello.
– Vattene – le sue parole erano acciaio tagliente, una lama secca che non prevedeva rifiuti né deviazioni – Se stai cercando rogne, allora sei venuto dalla ragazza giusta – Pansy alzò la testa dicendo queste parole, guardando senza paura né, a dir la verità, qualsiasi altra espressione percepibile sul suo viso Cormac McLaggen.
Lui fece un passo avanti, arrogante e forte della sua superiorità.
La Sala dei Trofei era immersa nell’oscurità, e Pansy tese la bacchetta davanti a sé – Lumos
Il viso di McLaggen, la fronte contratta dalla rabbia, furono subito visibili, Pansy aprì la bocca di nuovo ma lui fu più veloce. – Petrificus Totalus
Pansy, già seduta a terra, si immobilizzò. Fortunatamente non cadde perché dietro di lei c’era una teca di vetro, la stessa teca verso la quale McLaggen avanzò, sembrano perdere tutto l’interesse verso la ragazza pietrificata ai suoi piedi.
– Cercatore, Draco Malfoy, 1996 – lesse ad alta voce su uno degli scudi dorati che recavano incisi i nomi dei giocatori della squadra di Slyhterin anno dopo anno. La sua espressione si indurì ulteriormente e si inginocchiò a terra, davanti a Pansy che lo guardava immobile. – Cosa si prova ad essere maltrattati, Parkinson?
Le tirò un calcio con noncuranza – E’ questa la fine che vi meritate voi Slyhterin, soli, annegati nelle vostre colpe. Cosa fai ora che non ci sono più Malfoy e Zabini a difenderti?
Anche se non fosse stata immobilizzata, Pansy non avrebbe detto niente lo stesso. L’unica cosa che poteva fare in un momento come questo era guardare McLaggen, guardare un Gryffindor buono e leale, guardare l’eroe che si comportava come ci si aspettava da lui.
Anzi, forse avrebbe desiderato per parlare, per sputargli in faccia l’incoerenza di cui si faceva macchia e riversargli addosso il proprio veleno, quel fiele amaro che stagnava sotto il suo palato, pericolosamente simile al sangue.
– Te lo meriti, Parkinson. Merlino solo sa quanto te lo meriti – ringhiò rabbioso McLaggen – Quando vedi Malfoy, diglielo. Diglielo pure, non ho paura, digli che Cormac McLaggen lo sta aspettando per ripassare anche lui così –
Erano questi i preziosi Gryffindor, così leali ed onesti.
La perfezione che svettava sulle alte torri, giudicati e prima ancora di tutto giudici.
– Schifosi cani, figli di Mangiamorte, sono andati ad unirsi a lui per farci del male, vero? Bene, ecco come ci difendiamo noi –
Violetta.
– L’inferno, l’inferno vi meritate! – aveva smesso di colpirla, anche se aveva smesso di fare male molto tempo prima – Malfoy, Zabini, Nott…tutti quanti, se soltanto li avessi fra le mani… –
Cosa faresti?, chiese Pansy nei suoi pensieri guardandolo silenziosa. Non erano parole vane e lei lo sapeva bene, in quel momento Cormac McLaggen credeva in ognuna di quelle, dalla prima all’ultima, e per le sue parole avrebbe combattuto con la sua stessa vita.
Non lo considerava un pazzo, perché stava facendo esattamente la cosa che anche lei avrebbe fatto, era lei quella considerata la cattiva. Da non considerarlo un pazzo a non fargliela pagare, però, c’era una distanza infinita, sollevò gli occhi verso le finestre quando il rumore della pioggia si intensificò.
Anche Cormac McLaggen parve sentire quel suono, ma lo fraintese completamente interpretandolo come un rumore di passi. – Ecco cosa ti meritavi, Parkinson, per tutte le volte che Malfoy e Zabini mi hanno attaccato quando ero da solo. Se tornano assicurati di recapitargli il messaggio.
Pansy ricordò un altro messaggio che avrebbe dovuto recapitare, la guancia poggiata contro il marmo freddo del pavimento e la bocca semiaperta, il viso e le gambe tumefatte.
Attenta ai leoni.


Every battle has its glory
and its consequence
Glory and Consquence, Ben Harper



***



Ciao a tutti! Questo capitolo è più duro, forse anche troppo, e non mi piace granchè com'è venuto…non odio Cormac, come non odio i Gryffindor, anzi, ad essere sincera probabilmente li preferisco agli Slytherin, ma ho sempre avuto l’idea che in realtà i ruoli bullo–vittima non fossero proprio quelli che ci sembra di vedere dal punto di vista di Harry. Ron è stupido e Harry senza spina di dorsale, non fraintendetemi, amo entrambi ma non mi sono mai sembrati delle cime :P Fra Tracey e Daphne c’è una relazione un po’ particolare, sì, e i dettagli saranno svelati nei prossimi capitoli. Intanto ringrazio tutti coloro che hanno recensito e anche quelli che si sono semplicemente limitati a leggere senza dire niente.
P.S.: Rocket Queen è il titolo di una canzone dei Guns N’ Roses…le possibili interpretazioni sono due, Regina Razzo o Regina delle Stelle, anche se molti optano per la seconda ;) e sì, è Pansy!
  
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