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Autore: Shodaime    19/10/2012    2 recensioni
Eccovi la mia prima fic, siate clementi^^
Come dicono gli avvertimenti è un AU, ma non troppo AU, quindi non spaventatevi. Il titolo è abbastanza esplicativo da sè, quindi vi dirò semplicemente che ho deciso di pubblicarla sotto le 'leggerissime' pressioni della mia beta^^
Spero che vi piacerà e che in tal caso lascerete un commentino, anche solo qualche parola =)
Detto questo vi auguro buona lettura, e attenti all'ananas, è agitato per il matrimonio incombente!
Genere: Comico, Demenziale, Parodia | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Tsunayoshi Sawada, Un po' tutti
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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“Questa cosa ha del raccapricciante.” Avvolto da un bellissimo abito da sposa che aveva tutta l’aria di essere il risultato di un incrocio tra quello della principessa Diana e quello di Fiona in cui una delle due non si sia fermata al semaforo rosso, il buono guardava sconvolto e alquanto schifato la sua immagine riflessa nello specchio della camera di Don Xanxigo.

“Me ne sbatto altamente, feccia. Sbrigati a finire di impacchettarti che abbiamo la chiesa preparata per le dieci.” Fu la risposta che gli concesse il malvagio signorotto, che non si degnò nemmeno di interrompere la sua consueta partitina mattiniera ad Angry Tequilas, riadattamento del gioco con gli uccellini che gli stava decisamente più congeniale.

“VOOOOOI!!!! E che diamine, stupido capo! Potresti quantomeno mostrare un briciolo di sensibilità! E’ un giorno dannatamente importante!!” Il buono dai lunghi capelli argentei raccolti in un grazioso chignon intrecciato di perline chiuse con un calcio la porta della stanza, provocando un trauma cranico non indifferente al wedding planner che da due giorni si era accampato al castello, con telecamere al seguito e mazzetti di pisello odoroso infilati fin dietro le orecchie.

“Che accidenti vuoi, la carrozza e le promesse d’amore eterno? Stupida feccia.” A quanto pareva, lo sposo ci teneva a ricordare alla squalesca e anche un po’ squallida sposina li accanto che se la portava all’altare era solo perché non aveva trovato altre offerte decenti, e perché il prete gli aveva impedito di sposare il quarto di manzo rosolato al barolo che tanto amava.

“VOOOOOOI! Che cazzo dici, pirla di un boss? A me non frega niente di certa roba!!” Precisò il buono, brandendo il bouquet con la grazia e la leggiadria che soltanto un nano ubriaco avrebbe saputo avere impugnando la sua ascia.

“Come vuoi tu però non muoverti troppo. Più ti vedo più mi disgusti, principessina.” Lo sfottò di Xanxigo non ebbe risposta verbale né floreale solamente perché una telefonata improvvisa interruppe l’idillio prematrimoniale dei due.

“Chi diavolo sei, cosa vuoi e parla in fretta.” Xanxigo non era esattamente un uomo che avrebbe fatto fortuna a lavorare in un call center.

“Sono Azzeccamorsi, erbivoro. La chiamata è internazionale quindi col piffero che mi dilungo!”

A sentire che dall’altro capo del telefono c’era il suo consulente legale, Xanxigo si irrigidì.

“Che vuoi, feccia? Hai detto che per il matrimonio era tutto a posto.” Ringhiò.

Dall’altro capo del telefono, con l’annuario della scuola aperto davanti e le action figures dei collaboratori scolastici della Nami in fila per essere lucidati, l’Azzeccamorsi sospirò.
“Non puoi prendere la mano di Squalo.” Disse lapidario.


Xanxigo ebbe l’istinto di scagliare il telefono contro il soggetto in questione, e se non lo fece fu solo perché voleva delle motivazioni e perché mirare verso il buono avrebbe implicato dover guardare di nuovo quello svolazzio di tulle che gli faceva venire l’emicrania.

“Che cazzo dici, feccia! Ti devo ricordare che a momenti  mia sorella potrebbe sposarsi con quel vegetale e mandarmi a monte i piani?” Urlò. Il telefono scricchiolò nella sua mano, rimanendo integro soltanto perché, in un lampo di pura genialità e ribellione contro la quantità spropositata di cellulari che doveva comprare ogni settimana, Lussuria gli aveva regalato un indistruttibile Nokia 3310.

“Questo è un problema tuo, erbivoro. Io mi limito ad applicare la legge.” Disse l’avvocato, con tono annoiato.

“E perché mai non potrei prendere la sua mano?” Chiese Xanxigo, mentre le cicatrici si andavano allargando sulla sua faccia diffondendosi con la rapidità di un link idiota su facebook.

“Perché non ha la mano, imbecille! Dove glielo metti l’anello, al naso? Ascoltami bene. C’è una soluzione, ma dovresti fare un lungo viaggio e, per la cronaca, ti sconsiglio di affrontarlo in macchina, gira brutta gente ultimamente.”

Pronto a tutto pur di portare a termine il suo piano, Xanxigo non si spaventò minimamente.

“Parla.” Disse semplicemente. Accanto a lui, il buono era talmente proteso per cercare di ascoltare la comunicazione che a Xanxigo bastò un mezzo cenno della testa per assestargli una testata sul naso e ridurlo agonizzante sul pavimento, perfetto cosplay della Sposa cadavere.

“Devi procurarti una mano. Che sembri vera, dannazione, non ti faccio sposare un pescecane con la pinna da Pinocchio! C’è un solo posto dove puoi trovarne una senza dover andare a riesumare cadaveri. Ti auguro buon viaggio, e cerca di fare in fretta. Pare che l’Imbianchettato abbia ceduto al candido fascino della tua sorellina.”

In preda al turpiloquio e ad un’ira che avrebbe fatto scappar via con la lancia tra le gambe l’Achille dei bei tempi andati, Xanxigo chiuse la comunicazione.

“Aspettami qui feccia. Vado a procurarti un accidenti di arto e torno.” Annunciò.

“Posso togliermi questa merda di dosso?” Domandò una voce dal pavimento.

“No.” Rispose il suo boss, per pura cattiveria, prima di uscire.

Sul display del suo Nokia apparve un indirizzo.

La destinazione era Milano.
 

Tre giorni dopo.
 

“Mukurenzo!” Tsunia quel giorno aveva due ottimi motivi per essere raggiante. Il primo era che dopo tante e cotante sventure, finalmente poteva rivedere il viso del suo promesso sposo. Il secondo era che, a dispetto del desiderio di sua madre e a conferma di un suo briciolo di emancipazione, nel frattempo un chirurgo le stava togliendo quella dannata raggiera che le si era ormai conficcata nel cranio, cosa che se la rendeva meno raggiante fisicamente, le dava comunque una buona dose di sollievo interiore.

“Kfufufufu! Ma ciao splendore! Finalmente ci rivediamo! Sei un incanto come al solito!” Il sorriso di Mukurenzo scaldò il cuore della giovane.

“Oh. E anche tu, Tsunia, sei niente male oggi!” Mukurenzo mise via lo specchietto in cui si era rimirato fino ad allora e tornò a guardare lo schermo del computer.

Così come si era scaldato, come una fetta di pane scaldata male al microonde, il cuore di Tsunia tornò a raffreddarsi.

Non ebbe tempo di rispondere però, che Reborn fece capolino nella schermata della videochiamata, inguantato il un abitino paliettato, cimelio dei bei tempi di Caracas.

“Mukurenzo si può sapere che chaos stai facendo ancora li a Milano? Lunedì la perpetua torna dal pellegrinaggio ad Acuto , e se ci becca è capace di convincere Yamabbondio che non dobbiamo celebrare il funerale di Yuni ma un matrimonio!” Spiegò Reborn, finendo di applicarsi le ciglia finte specchiandosi nello schermo.

“Kfufufufu! Rilassati donna, è sabato sera! Movida milanese e domani sarò da voi!” Disse Mukurenzo, rilassatissimo.

“Mamma! Digli qualcosa!” Tsunia invece, tanto per cambiare, era sconvolta.

Reborn alzò le spalle inglitterate. “Hai ragione, il sabato sera è sacro!” Infilato il fedora in testa e raccomandato a Tsunia di controllare il ragù sul fuoco, Reborn uscì per la sua seratina tra amiche a Namimori.

La comunicazione si interruppe, e Tsunia rimase da sola come una particella di sodio in un’acqua di marca.

Andò ad appallottolarsi sul divano, vaschetta di gelato alla mano e replica di Mamma ho perso l’aereo in televisione.

Sapeva che per quanto la lasciassero sola, a lei non sarebbero mai capitate le magiche avventure del tizio del film. Vita piatta e noiosa la sua, finchè si trattava di fare cose unisex.
Sperò che Mukurenzo non avrebbe fatto troppi bagordi quella sera.

Quello che la giovane non sapeva, era che di li a poco la serata del suo promesso sposo avrebbe preso una piega decisamente inaspettata.

E, almeno questa volta, non si trattava di belle bionde che si rivelavano chiamarsi Sergei oppure Ivan.
   
 
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