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Autore: Dave1994    19/10/2012    6 recensioni
Skyrim, poco prima della resurrezione dei draghi e del ritorno di Alduin.
Una terra immersa nel mistero e nella magia...talvolta così antichi da trascendere persino il tempo stesso.
Due universi che si incontrano,per ridipingere un passato sconosciuto e incredibile.
Genere: Avventura, Fantasy, Mistero | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altri, Nuovo personaggio, Sorpresa
Note: Cross-over | Avvertimenti: nessuno
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Il vento gelido mi sferzava il volto con violenza, mentre i carcerieri attorno a me sogghignavano nel trascinarmi lungo il suolo innevato, legato ad una dura tavolta di legno. Provavo sì dolore per lo sfregare delle corde che mi legavano le mani sulla pelle, ma mai intenso quanto la rabbia che provavo segretamente nel mio cuore: per Akatosh, avrei voluto strappare loro gli occhi dalle orbite.

Valutai le mie possibilità.

Quattro soldati imperiali, tra i quali un Alto Generale dell'esercito, armati di spade, guardinghi ed attenti.

Avevano scomodato i pezzi grossi per me.

- Ehi, ragazzi – urlai, beffardo – che ne dite di andarci a bere tutti insieme qualcosa qua vicino? Se non sbaglio Solitude non è tanto lontana da qui. -

Il più grosso, una medaglia esposta tronfiamente sul petto, mi schiaffeggiò violentemente con il dorso della mano e all'istante sentì il dolorosamente familiare retrogusto di ferro e sangue. Ne sputai un grumo, ma non per questo mi fermai.

- Che ti prende, Marcantonio? Non sai fare di meglio? Andiamo, alla Fortezza i tuoi amici sapevano andarci molto più pesante. - dissi, provocandolo. Per fortuna nessuno di loro udì l'insicurezza nella mia voce, come quella di un giocatore che abilmente bluffa quando il piatto si fa particolarmente alto.

- Capitano – disse l'omaccione, portando con noncuranza la mano sull'elsa della spada – è proprio necessario portarlo fino a Ponte del Drago? -

L'individuo in testa alla fila si voltò e, con la coda dell'occhio, ne scorsi lo sguardo diffidente. Addirittura quasi selvaggio, come un animale che valuta le possibilità prima di attaccare la preda.

- Gregorius deve interrogarlo, Hadlen – disse, la voce rotta dal fischiare del vento – pare che sia in possesso di informazioni...preziose, non è così? -

- Oh, ci puoi scommettere – gli risposi astiosamente – chi non vorrebbe sapere quanto è dannatamente brava tua madre a letto? -

- Ignoratelo. - sentenziò Gamlen, voltando nuovamente la testa avanti a sé. Skyrim era piena di pericoli e non valeva la pena rischiare la vita per rispondere ad un detenuto.

L'ordine fu eseguito alla lettera e persino il Marcantonio di nome Hadlen si voltò dall'altra parte, limitandosi a strattonare la corda alla cui estremità erano legate le mie manette. Ah, solo una corda di duro tessuto mi separava dalla libertà! Se avessi avuto un coltello, od anche una forcina...

Ma per mia sfortuna non avevo niente di tutto questo e mi rassegnai, chinando la testa. Muschi e licheni danzarono davanti ai miei occhi, mentre gli unici suoni percepibili furono per un po' l'ululare del vento ed il rumore degli stivali appartenenti ai soldati imperiali sulla terra innevata. Volsi lo sguardo al cielo e mi parve così bianco che nemmeno la neve attorno a me avrebbe mai potuto avere la stessa tonalità.

Per gli Dei, non sarei sopravvissuto alle prossime ore. Me lo sentivo dentro di me.

Sapevo cose. Cose che all'Impero facevano scomodo e per questo sarei stato semplicemente tolto di mezzo.

Diamine, era tutto iniziato con quello stramaledetto Ulfric. Lui e i suoi folli ideali di libertà e giustizia! Mi ero fatto trascinare in qualcosa dal quale uscirne era semplicemente impossibile: una volta che fai parte dei Manto della Tempesta, sei marchiato a vita.

L'Impero non ama i dissidenti.

Eppure, lo Jarl di Windhelm aveva ragione.

L'Impero era una minaccia per la libertà delle genti di Skyrim, la quale appartiene ai Nord da sempre.

E poi, l'avevo vista.

La folle brama di potere negli occhi dell'Imperatore.

Avrebbe messo a ferro e fuoco questa terra solo per il suo puro tornaconto personale. Avrebbe schiavizzato o massacrato coloro che si sarebbero opposti a lui, senza nemmeno permetter loro di proferire parola.

Non mi accorsi che il rumore assordante del vento gelido, che fino a poco prima mi ronzava nelle orecchie, era cessato all'improvviso.

Guardai interrogativo il Capitano, che guardingo si mosse impercettibilmente sulla difensiva.

Qualcosa non quadrava: l'atmosfera si era fatta all'improvviso greve e pesante. Il Marcantonio di nome Hadlen si guardò attorno, la mano chiusa a pugno.

- Capitano... -

- Shhht. - sussurrò lui, facendo guizzare gli occhi qua e là per la radura. In un attimo sfoderò la lunga spada, scintillante alla luce del sole per gran parte coperto dalle nubi.

Qualcosa non quadrava decisamente: questo era evidente a tutti noi. Non solo il mondo intero sembrava essersi acquietato attorno a noi, ma perfino la stessa aria che respiravamo sembrava essersi rarefatta notevolmente. Inoltre, il mio acuto e ben addestrato sesto senso strillava a squarciagola la presenza di un pericolo imminente.

- Capitano, è opera di magia? - chiese un membro del quartetto imperiale, che prima nemmeno mi aveva degnato di uno sguardo: in quel preciso momento mi accorsi del suo naso aquilino e del colorito brunastro chiaro della sua pelle. Un Atmer di sicuro.

Il razzismo è alquanto raro a Skyrim, ma in quel momento un'improvvisa vampata mi odio mi colse in pieno. L'Impero stava sottomettendo e uccidendo la sua gente: possibile che avesse il coraggio di schierarsi dalla sua parte e di servirlo fedelmente, come un cagnolino cieco ai desideri del suo padrone?

- L'orso caga nel bosco? - gli sputai quasi contro, ma mi ignorò bellamente. Hadlen mi fulminò con lo sguardo, per poi tornare ad attendere un qualunque ordine del capitano.

- In guardia. -

Al suo ordine, tutti scattarono in formazione difensiva. Intanto, mi chiesi chi diamine potesse mai sprecare il suo tempo nell'attaccarci: erano forse i Manto della Tempesta, venuti in mio soccorso?

No”, mi risposi, “loro ci avrebbero attaccato frontalmente in preda a una furia incontrollata, urlando insulti e affronti alle madri dei soldati intorno a me”.

L'unico esponente di spicco nelle vicinanze,il capitano e generale dell'Ottava Brigata Imperiale Gamlen Thediàs, digrignò i denti: nella sua lunghissima esperienza sul campo di battaglia mai era stato sopraffatto e questa volta non sarebbe stato da meno alla sua reputazione. Insieme a un pugno di soldati, era riuscito a radere al suolo un intero plotone di Manto della Tempesta prima di battere in ritirata.

Quasi mi sorpresi che l'Impero mi desse tanta importanza.

Nell'esatto momento in cui giunsi a queste considerazioni, qualcuno stramazzò rumorosamente a terra. Era proprio l'Atmer che poco prima aveva parlato: i suoi occhi, strabuzzati e scioccati, parevano esprimere tutta la sorpresa e lo stupore di questo mondo.

- Ma che diavolo...? - urlò il capitano, quando una voce spezzò il silenzio angoscioso che era venuto a formarsi.

- Accogli tra le tue amorevoli braccia questa creatura smarrita, o Creatore dell'universo. -

 

 

- CI ATTACCANO! -

L'urlo del capitano infranse la rigidità dei suoi sottoposti, mentre il rumore di spade che vengono estratte con violenza dal fodero fendette l'aria, minaccioso.

Qualcuno comparve a meno di dieci metri da noi, confuso in mezzo agli alberi. Poi ricomparve alle nostre spalle, un'ombra sfuggente che si divertì a scomparire alla nostra vista nuovamente.

Hadlen torse il polso agitando al contempo le dita della mano destra e un'esplosione di luce e calore improvvisi mi costrinse a socchiudere gli occhi, accecato dal riverbero della neve circostante. Quando li riaprii, una figura umanoide avvolta completamente da lingue di fuoco mi si stagliò davanti, furibonda e terribile. L'Atronach sollevò le sue esili braccia fiammeggianti e incendiò gli alberi attorno a noi semplicemente guardandoli: l'aria intorno a noi si riscaldò in maniera insopportabile, facendomi scendere rivoli di sudore lungo la schiena, mentre l'arcana presenza mi causava nello stesso momento brividi freddi lungo la schiena.

Mentre la radura veniva inghiottita dalle fiamme, una figura umana ne attraversò le lingue di fuoco alte più di due metri e fu in quel momento che vidi per la prima volta quello che sarebbe stato il mio salvatore: era un uomo dalla lunga tunica svolazzante, il cui colore non riuscì a identificare a causa della luce generata dal fuoco attorno a noi. Nella sua mano imbracciava un'asta di legno nero formato da due serpenti intrecciati tra loro, recanti quella che pareva la scheggia di una gemma nella loro bocca: l'assalitore valicò la barriera di fiamme creata dall'Atronach e puntò il suo bastone contro l'essere, che si disgregò in un oceano di scintille. Gamlen e Hadlen si lanciarono all'attacco, la spada sopra la loro testa pronta a cadere su quella dello stregone, mentre il terzo imperiale preferì prendere la mira con l'arco preso da dietro la sua schiena. Mentre l'uomo misterioso disegnava un arco di centottanta gradi sul terreno con il suo bastone, ebbi modo di constatare come fossero folti i suoi capelli neri, spettinati e sconvolti dalla battaglia, e la sua barba culminante in lunghe e selvagge basette. Ma furono i suoi ad attrarre la mia attenzione: erano di un azzurro intenso, come può esserlo solo il cielo delle migliori giornate primaverili o l'oceano visto dall'alto, sopra le nuvole.

Come la punta del suo bastone si staccò da terra dopo aver tracciato una semicirconferenza davanti a sé, creste di ghiaccio alte quanto lui si sollevarono improvvisamente frenando l'avanzata dei soldati imperiali: l'immagine del suo volto si riflesse davanti a loro come in uno specchio, un'espressione calma e paradossalmente compassionevole dipinta sul viso.

- In nome dell'Impero! - sbraitò Gamlen, battendo la sua spada sulla superficie ghiacciata a pochi centimetri dal suo volto – arrenditi, o... -

- Basta compromessi. - sussurrò l'uomo, sfilandosi uno stiletto dalla tunica e scagliandolo con indicibile violenza contro il terzo imperiale che cadde a terra con la lama conficcata in un occhio, la freccia appena incoccata nell'arco. Poi aggirò l'ostacolo da lui stesso creato per fermare i due soldati e agitando il suo bastone colpì alla nuca Hadlen, stendendolo: con un'altra rotazione ne puntò l'estremità inferiore contro Gamlen e vidi che recava una sottile lama d'acciaio, dall'aspetto mortale. Il capitano non rimase a guardare e sferrò un fendente orizzontale perfezionato da anni di carneficina e massacri, ma come la punta della sua spada si avvicinò al mago parve arrestarsi da sola, sospesa nell'aria. Gamlen osservò stupefatto quell'incredibile prodigio e questo gli fu fatale: l'uomo lo trafisse in pieno petto, trapassando acciaio, carne e ossa. Mentre l'aria stupefatta dipinta fino a pochi istanti prima sul suo volto andava tramutandosi in una maschera di orrore e paura, rivoli di sangue cominciarono a scendere dalla bocca del capitano, in un gorgoglio cupo e terribile che andò accentuandosi in un urlo quando lo stregone sfilò lentamente dal suo petto l'estremità del bastone magico. La lama sottile, prima di metallo rilucente, ora era tinta di rosso vermiglio.

Il corpo morto di Gamlen cadde al suolo, come una marionetta cui erano stati tagliati i fili all'improvviso. Hadlen, ripresosi dal colpo alla testa, tese la mano sinistra contro l'assalitore e scintille si diramarono dalla punta delle sue dita, dirette contro l'uomo dalla lunga tunica. Ora riuscivo a riconoscerne il colore: era di un blu scuro, quasi nero, pari a quello che del cielo notturno: ghirigori dorati la attraversavano da parte a parte, serpeggianti. La sua sola vista mi affascinava, ipnotizzandomi.

L'uomo batté il suo bastone per terra e le scariche dirette verso di lui colpirono il duro legno nero, senza tuttavia danneggiare il suo possessore: la scheggia alla sommità del bastone si illuminò brevemente di una luce sanguigna e lo stregone riversò contro il soldato imperiale il suo stesso potere, amplificato di mille volte: Hadlen stramazzò al suolo, carbonizzato per metà, mentre un terribile lezzo di carne bruciata invadeva le mie narici.

La radura bruciava ancora tra le fiamme e le punte di ghiaccio evocate magicamente, alte quasi due metri, iniziavano a sciogliersi al calore dell'incendio.

L'uomo roteò il bastone magico per poi riporlo dietro la sua schiena. Mi osservò con un'espressione indecifrabile, arcana: dubitai fin da subito del fatto che fosse lì per uccidere anche me.

- Chi sei? - gli chiesi, cercando di forzare i legacci che mi tenevano prigioniero alla tavola di legno gelata cui ero saldamente legato. Lo stregone sollevò la mano destra e quelli si spezzarono da soli, come per magia.

Un mago in mio soccorso? Assurdo”, pensai. I Manto della Tempesta diffidano da sempre della magia: avrebbero mandato una dozzina di buone mazze a salvarmi, piuttosto che uno stregone dall'aspetto terrificante. Anche a metri di distanza, riuscivo ad avvertire il suo potere: era come essere investiti a più riprese da una doccia prima fredda e poi calda, una pulsazione invisibile che mi attraversava da parte a parte scombussolandomi nel profondo del mio animo.

- Non ti servirebbe saperlo – mi rispose, avanzando lentamente verso di me – ciò che conta è che ti ho salvato. Ti avrebbero torturato e poi ucciso, e questo lo sai. -

- Invero. Ti ha mandato Ulfric? -

- A mandarmi, fratello – disse, sorridendo impercettibilmente – è stato il Creatore. -

Lo guardai di traverso, come se fosse ammattito improvvisamente. Di che diavolo stava parlando, quell'uomo?

- Non conosco il Creatore di cui parli, stregone. Parli di Akatosh, Padre di Tutti? -

- Col tempo, avrai modo di giungere alla verità. - concluse, passandosi una mano sui capelli e mandandoli all'indietro – ma ora credo dovremmo andare, se non vuoi che altri come loro ti diano la caccia. -

E mi indico i quattro cadaveri al suolo, dagli occhi vacui e senza vita.

- Non so nemmeno chi sei. Perché dovrei seguirti? -

- Perché sono la tua unica salvezza, e tu la mia. -

  
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