Underwater Light
By Maya
Tradotta da Luciana
Beta: Vale
Sommario: Cantate la canzone dei Galeoni
La causa va
trovata
Si riflette
sulle relazioni
C'è chi
grida, chi si agita come un pazzo
PS. Gente,
Draco Malfoy è proprio un bel ragazzo.
Capitolo Quattordici
Ombre di noi
People in the dark, they don’t know what to do
I had a little lantern, oh but it got blown out too
I’m reaching out my hand. I hope you are too.
I just want to be in the dark with you.
[Le persone al buio non
sanno cosa fare / Avevo una piccola lanterna, ma anche quella si è spenta / Sto
tendendo una mano. Spero lo stia facendo anche tu. Voglio solo stare al buio
con te.]
Tre giorni
dopo la morte della professoressa McGranitt, Silente convocò il Giovane Ordine.
“Non c’è più
alcun dubbio,” disse. “C’è un nemico fra di noi, e non si fermerà davanti a un
omicidio.”
Erano tutti
accalcati attorto al tavolo, i Serpeverde leggermente isolati come al solito.
Harry guardò tutte le facce pallide e sconvolte e provò quell’ormai
familiare ondata di sconforto.
Non posso lasciare che continui. Non
lo farò.
“Per usare
le parole di uno dei nostri Auror…” Silente cercò di sorridere, ma il tentativo
fallì. “E’ necessaria una vigilanza costante. Minerva era leale, forte e
prudente, e nonostante questo è stata colta di sorpresa mentre tornava nei
sotterranei.
Dobbiamo
stare ancora più attenti, ed essere ancora più uniti per smascherare il nemico
e annientarlo.”
La maggior
parte dei presenti era grata anche solo di crogiolarsi nelle sue parole. Il
viso di Hermione era teso per l’attenzione disperata. Hannah
Abbott stava piangendo di nuovo, e Padma Patil stava guardando Draco
con uno sguardo di accusa.
“Abbiamo
ricevuto un duro colpo, non ve lo nascondo,” disse Silente. “Ma non dovete
disperare. Sono assolutamente certo che possiamo catturare l’assassino. Mi fido
pienamente di ognuno di voi. So che nessuno di voi incrocerà le braccia in un
mondo in cui l’assassino di Minerva McGranitt è a piede libero.”
Tranne il
suo assassino, che è uno di noi.
I Serpeverde
erano pallidi e sconvolti come tutti gli altri, ma i loro volti erano
impassibili mentre ascoltavano Silente. L’avevano notato tutti.
“Se qualcuno
vede o sospetta qualsiasi cosa, la mia porta è sempre aperta,” continuò
Silente, e si tese in avanti. “Qualsiasi cosa. Potete star certi che vi
crederò.”
Ammiccò
gentilmente verso Dennis Canon,
che aveva un colorito cinereo ed era svenuto appena saputo della McGranitt. Poi
uscì.
Quando
Silente fu andato via, e nella stanza fu rimasto solo il Giovane Consiglio,
Lupin suggerì delle nuove misure di sicurezza.
“La proposta
del signor Malfoy di formare delle coppie per lavorare sui progetti era
eccellente, ma chiaramente è stata compromessa,” disse. “Suggerisco nuove
coppie e ancora più discrezione: nessuno all’infuori della coppia deve avere
idea di ciò su cui si sta lavorando. Dato che sembra che la gente parli con i
propri compagni di casa, propongo un’altra precauzione… tutte le coppie devono
essere formate da membri di case diverse.”
“Io prendo Granger.”
Harry guardò
Draco dall’altra parte del tavolo. Aveva parlato immediatamente, e con voce tagliente,
senza guardarsi indietro.
“Signorina
Granger,” disse calmo Lupin, “ha delle obiezioni a fare coppia col signor
Malfoy?”
“No,”
rispose Hermione a bassa voce. Harry restò sbalordito, e anche Draco parve
stupito per il suo pronto consenso. Lupin annuì, come se fosse ormai tutto
deciso.
“Altri
volontari?”
“Io prendo Terry Boot,” disse Blaise Zabini,
inclinando la testa all’indietro per rivolgere a Terry
uno sguardo di apprezzamento.
Terry
arrotolò la sua pergamena. “Preferirei Harry Potter, a dire il vero.”
Harry fu
ancora più stupito. Conosceva appena Terry, e quel
poco che sapeva di lui – ossessionato dai
libri, sorride troppo a Draco – non gli andava particolarmente a genio.
Terry gli
sorrise leggermente. “Se per te va bene, naturalmente.”
“Uhm, va
bene.” Gli serviva una persona intelligente. Voleva fare la differenza, e se
Draco e Hermione non erano più disponibili (oh,
maledizione, Draco), Terry Boot avrebbe fatto al caso
suo. Di certo non si sarebbe avvicinato a Blaise Zabini.
“Io, ehm,” Susan
Bones arrossì. “Io prendo Blaise Zabini.”
Zabini le
scoccò uno sguardo torvo. “Ti piacerebbe.”
Lupin
annuì e li assegnò l’uno all’altra. Hannah parve un
po’ intimidita quando fu messa in coppia con Padma,
ma probabilmente si consolò col fatto che non era una Serpeverde.
Harry guardò
tutte le coppie male assortite intorno a sé. Che cosa avrebbero pensato tutti
quanti? Cosa avrebbero potuto escogitare per migliorare la situazione?
La
professoressa McGranitt era morta, e Harry non aveva la benché minima idea di
come vendicarla. Una specie di lavoro di gruppo con Terry
Boot gli sembrava così inadeguato che avrebbe voluto
urlare.
Quando molta
gente era arrivata sulla scena, quella notte, e Ron aveva tirato via con
decisione Hermione da Draco, Harry gli si era avvicinato. Voleva solo scambiare
due parole con lui, per un po’ di conforto, un minimo di riconciliazione a cui
potersi appigliare in quella tragedia. Qualcuno che capisse quell’ira che
avrebbe spaventato gli altri, qualcuno che lo comprendesse.
La bocca di
Draco si era tesa e aveva detto, “Ho da fare, Potter,” con voce provata.
Da allora
non era riuscito a parlargli. Erano stati entrambi impegnati a parlare con gli
altri, a consolarli e a cercare di organizzare orde di studenti in preda al
panico. Ma lui si portava dietro un carico pesante e deleterio di infelicità e
rabbia, perché il Capo della sua Casa era morto, ed era tutto così ingiusto e
Draco ancora non voleva parlargli. Voleva sfogarsi con qualcuno, ma nemmeno
quello sarebbe stato giusto.
Harry
inspirò profondamente, rivolse a Hannah Abbott un sorrisino di incoraggiamento e sentì il proprio
cuore battere all’impazzata, fin quasi a fargli male, quando si accorse che
Draco lo stava guardando.
“Ci vediamo
in biblioteca alle sei, Granger?” domandò.
Hermione
annuì. Harry guardò altrove.
*
A Hermione
non piaceva fare cose sulla cui saggezza nutriva seri dubbi. Si recò in
biblioteca incerta sul da farsi, e lottando contro l’impulso di girare i tacchi
e correre via.
Odiava
davvero Malfoy per aver scelto il suo santuario come luogo d’incontro. Lei
avrebbe dovuto sentirsi al sicuro in biblioteca! Era il suo posto, sempre pieno
di studenti seri che non la disturbavano mai, e lei ci andava per rilassarsi.
Evidentemente
lui lo sapeva. Bastardo!
Ma aveva
accettato di prenderlo come partner. Avrebbe preferito di gran lunga Padma Patil, che era ugualmente
intelligente e molto meno crudele, ma lui l’aveva scelta, e da parte di Malfoy
quello era quasi un complimento. Poi si era ricordata di quando lo aveva
stretto terrorizzata, e di quando lui aveva ricambiato quella stretta. Non
avrebbe mai pensato che Malfoy potesse fare una cosa del genere.
Così aveva
ceduto al sentimentalismo, e adesso avrebbe dovuto sorbirsi il bastardo biondo
per il resto dell’ultimo anno.
Raddrizzò
bene la testa e camminò fino al tavolo dove era seduto Malfoy, con la testa china
su delle pergamene. Notò che stava usando una piuma d’aquila, evidentemente per
pura ostentazione.
“Ah,
Granger,” disse col suo sorrisino odioso. “Ce ne hai messo di tempo.”
“Avevo da
fare alla torre,” rispose secca, e vide la sua espressione cambiare appena.
Allontanò dalla mente ogni pensiero sulla professoressa McGranitt, ignorando
l’orrore e la paura e concentrandosi sulle venature del legno del tavolo che
aveva di fronte.
“Bene, dato
che dobbiamo pensare al nostro progetto, ho pensato che sarebbe meglio iniziare
ad analizzare gli eventi recenti per poi concentrarci sul da farsi,” disse
Draco.
“Va bene.”
Hermione fu
piacevolmente sorpresa da quell’approccio metodico. Le piaceva avere dei buoni
organizzatori come partner nello studio. Per poco non sorrideva a Malfoy.
“Innanzitutto
credo che il Giovane Consiglio, e possibilmente l’intero Giovane Ordine,
dovrebbero analizzare questo Sognatoio di cui ha parlato Potter al Giovane
Ordine, quello in cui
Hermione
ignorò la fitta di dolore seguita alla menzione del suo nome e respirò a fondo,
indignata. Non davanti a Malfoy. Non
perdere il controllo davanti a Malfoy.
“Assolutamente
no! Quelli sono i sogni privati di Harry. Tutte quelle persone non hanno il diritto di vederli…”
La voce di
Malfoy suonò glaciale. “La professoressa McGranitt potrebbe esser stata uccisa
perché sapeva qualcosa. Quel qualcosa potrebbe trovarsi in quei sogni, per cui
tutti devono vederli. Solo così avremo delle buone possibilità di capire. Non
abbiamo tempo per badare ai sentimenti personali di nessuno, se vogliamo
vincere questa guerra.”
“Che ne
pensi del fatto che ognuno ha diritto alla privacy?” chiese Hermione, cercando
di controllare la sua voce oltraggiata, e trovando la cosa molto difficile.
“Oh, dici?”
disse Malfoy sarcastico. “Non sono stati i Babbani a inventarsi questi diritti?
Vuoi che lasci qualcuno cavarsela dopo un omicidio e vari rapimenti per via dei
tuoi scrupoli da stupida Mezzosangue?”
Hermione
controllò di nuovo la voce. “Voglio che stai attento a come parli,” gli disse
con freddezza. “Siamo partner.”
Malfoy
sembrò annoiato. “Non ti scaldare, Granger. Can che abbaia…”
“Morde,
Malfoy, se non stai attento.”
Hermione
sobbalzò d’impulso, e prima che potesse fare niente, Malfoy si era alzato in
piedi al suono di quella voce decisa che lo sfidava, e ora stava fissando gli
occhi ardenti di Harry.
Per quale
motivo erano così furiosi?
“Ne abbiamo
già parlato, Malfoy,” disse Harry in fretta, rosso di rabbia. “Ti ho detto che
è meschino e crudele, e tu eri d’accordo. Il fatto che ci siamo allontanati non
vuol dire che hai il permesso di smettere di usare il cervello… di smettere di
comportarti da persona civile.”
Hermione
avrebbe voluto nascondere il viso per la disperazione, ma continuò a guardare.
I loro corpi erano entrambi tesi come corde di violino.
“Non mi
interessa comportarmi da persona civile, stronzo ipocrita,” sbottò Malfoy.
Lo
scintillio negli occhi di Harry fu quasi di sollievo.
“E’ una
cazzata! Ti comporti così perché vuoi rinnegare tutto ciò di cui abbiamo
parlato, ed è una stupidaggine! Hai sempre fatto idiozie anche contro te stesso
per il solo gusto di dar fastidio, ti comporti sempre da piccolo snob…”
“Non sai
nulla di me!” urlò Malfoy. Si calmò nel giro di due respiri profondi e furiosi,
col petto che gli sussultava, quindi parlò più tranquillamente. “Vogliamo
parlare di te? Non lo sai che questi progetti sono segreti? Eppure stavi
ascoltando… io direi che è proprio un comportamento da spia…”
Madama Pince
si stava già precipitando verso di loro parlando con severità, ma sia l’uno che
l’altro non la ascoltavano.
“Come osi!”
gridò Harry, sbattendo Draco contro una libreria.
Tutti gli
studenti nella biblioteca li stavano fissando, e Hermione non poté far altro
che mordersi le labbra quando Harry strinse in un pugno la camicia di Draco e
si piegò su di lui, le loro spalle tese e preparate alla violenza, curvate
l’una contro l’altra per tenere fuori il resto del mondo.
“Perché
diavolo dovevi insinuare una cosa del genere?” esclamò Harry, trafiggendo con
gli occhi il viso di Malfoy. “So che non lo credi, lo so, perché devi infierire…”
“Che diavolo
stai facendo!”
“Sono
costretto a infierire perché non vuoi stare a sentirmi!” ringhiò Harry, e
continuò a ringhiargli in faccia, e Malfoy lo spinse più forte per potergli
sorridere sarcastico in viso. “Perché non la smetti di essere così odioso, e…”
Malfoy reagì
all’improvviso, spingendolo via con cattiveria.
“Perché non
mi lasci in pace!” Fu quasi un urlo.
“Signor
Potter, signor Malfoy, venti punti in meno per ciascuna casa!”
Finalmente i
ragazzi si accorsero di Madama Pince, ma non le dettero molta attenzione.
Apparentemente a Harry sarebbe alquanto piaciuto rompere le ossa a Malfoy.
Madama Pince dovette afferrarli entrambi per i gomiti e trascinarli fuori dalla
biblioteca. Mentre venivano portati via, il braccio di Malfoy toccò quello di
Harry e Malfoy sobbalzò come se gli avesse dato una scossa elettrica.
Hermione
ripose frettolosamente la pergamena e le piume nella sua borsa e corse dietro
di loro, cogliendo la fine della paternale di Madama Pince mentre li spingeva
fuori dalla biblioteca.
“Un simile
comportamento! Mai visto prima…”
I due
ovviamente non la stavano ascoltando, presi com’erano dal guardarsi con una
furia concentrata e distillata, finché la porta non si fu chiusa dietro Madama
Pince.
Hermione si appiattì
contro la parete, fingendosi invisibile.
“Secondo te
come mi sento,” disse Harry a bassa voce, “con te che dici quelle cose, con
te…”
“Beh,
secondo te come mi sento i…” Malfoy smise di gridare. Rimase immobile e teso
per un momento, poi la sua bocca si curvò malignamente. “Lasciami in pace,”
disse. “Ti chiedo solo questo. Io e Granger ci teniamo davvero a lavorare per
la guerra.”
“Tu…” le
mani di Harry si strinsero sui suoi fianchi. Il suo viso era pieno di fosca
tristezza. “Io ci tengo.”
Malfoy lo
lasciò lì, andandosene senza altre parole e camminando impettito per il
corridoio. Hermione guardò disperatamente Harry, che indietreggiava da lei con
un’espressione di fiera e privata infelicità, quindi, per ragioni del tutto
misteriose, rincorse Malfoy.
Malfoy entrò
in una classe e gettò una sedia contro il muro. Rimase immobile al centro della
stanza, ancora col fiatone, e Hermione esitò sulla soglia e si chiese se per
caso non fosse instabile mentalmente. Le sarebbe piaciuto decisamente tanto
Schiantarlo.
Malfoy si
girò verso di lei, non molto sorpreso che l’avesse seguito. Hermione notò che
aveva la mandibola contratta, i denti stretti, e si preparò a qualsiasi cosa
stesse per arrivare.
Malfoy si
infilò le mani in tasca con forza ingiustificata.
“Le mie
scuse, Granger,” disse tra i denti. “So di averti scelta io come partner, ed è
mio dovere non lasciare che il mio carattere interferisca con ciò che dobbiamo
fare.”
Hermione lo
fissò.
“Sarai
educato con me? Non so, Malfoy. Sei sicuro di esserne capace?”
Malfoy alzò
le sopracciglia e quasi sogghignò. Era molto bizzarro. “Non arriverei a
definirmi educato,” disse. “Pensavo più a ‘non intenzionalmente e apertamente offensivo’.”
“Ripeto, sei
sicuro di esserne capace?”
“Potrei
rivelarmi un partner molto tranquillo.”
Hermione si
accorse che Malfoy stava cercando di convincerla che aveva il pieno controllo
di sé, il che era un tantino ambizioso dato che l’aveva appena visto buttare in
aria una sedia. Notò anche che si stava comportando in modo quasi civile, ed
era da più di cinque minuti che non pensava a quanto fosse stronzo.
Bisognava
fare qualcosa.
“Beh, sono
contenta che Harry ti abbia convinto.”
“Potter non
ha niente a che fare con questo,” tagliò corto Malfoy. “Diavolo, potrebbe anche
smettere di seccarmi.”
Hermione
strinse le dita attorno alla bacchetta. “Ti secca perché vuole attirare la tua
attenzione,” lo informò. “Dovresti saperne qualcosa.”
Piccolo fastidioso snob. Non fingiamo
che tu non l’abbia perseguitato per sei anni.
“Voglio solo
essere lasciato in pace,” sbottò Malfoy. “E adesso non vorrei che ti saltassero
le coronarie, Granger, ma in questo caso particolare non sei in possesso di
tutti i fatti!”
Hermione
prese un altro ampio respiro. Era vero: non sapeva esattamente cosa fosse
successo. Malfoy, per quanto la cosa sembrasse inverosimile, poteva anche
essere completamente innocente. Non si comportava come qualcuno i cui piani
crudeli fossero riusciti alla perfezione.
“Hai
ragione. Non… non sono affari miei.”
Malfoy la
squadrò. “Non pensavo che avrei mai sentito queste parole da te, Granger.”
Hermione
arrischiò un sorriso. “Beh, io non pensavo che avrei mai sentito ‘Le mie scuse’ da te, Malfoy.”
Era una
conversazione quasi civile. Molto strano.
“Beh. Come
ho già detto, devo fare in modo che lavoriamo insieme. Non posso essere
completamente spregevole.” Malfoy era accigliato, come se essere costretto ad
un comportamento educato fosse per lui un enorme peso.
“Potrebbe
essere un bel cambiamento,” disse vivace Hermione. “E’ una tregua, allora?”
Malfoy alzò
gli occhi su di lei, aperti e stupiti. “Solo fino alla fine dell’anno. Poi
ucciderò te e tutti i tuoi amici col sangue misto.”
Hermione lo
fissò. Malfoy sogghignò.
“Scusa, non
ho resistito,” disse. “La tua espressione non ha prezzo.”
“Malfoy! Non
è divertente!”
L’idiota,
evidentemente, si stava scompisciando. Aveva ancora il sorriso sulle labbra
quando lasciò la scena del sediacidio, ed era
abbastanza di buon umore da offrirsi di portare la borsa di Hermione, quando
attraversarono il corridoio.
“Grazie, ma
sono perfettamente capace di portarla da sola,” disse secca Hermione.
“In effetti
sembra che portare borse strapiene sia un tuo hobby, ma pensavo che fosse
carino chiederlo. Il sottoscritto è sempre un gentiluomo.”
Hermione
sbuffò. Malfoy parve offeso. Natalie McDonald, che passava di lì, rivolse loro un’occhiata
esterrefatta, e poi guardò con apprezzamento Draco. Hermione avrebbe fatto una
chiacchierata con quella ragazza.
Pensò che i
jeans di Malfoy attraevano l’attenzione non perché lui fosse oggettivamente attraente,
ma perché li indossava come se fosse una cosa audace e proibita.
Si accorse
che aveva appena considerato seriamente la questione dei jeans dei Malfoy, e si
sentì leggermente sporca.
“Senti,
Granger.” Malfoy esitò, una cosa rara al punto da spingere Hermione a guardarlo
interrogativa. Era un po’ imbronciato, come se stesse pensando. “Mi chiedevo,
ti piacerebbe venire nella mia stanza tra un paio di notti? Io…”
“Cosa
intendi esattamente?” chiese Hermione, inorridita.
Malfoy
sorrise. Tutto il sangue corse verso la testa di Hermione, appena si accorse
che diceva sul serio.
Bastardo!
“Non posso
credere al coraggio che hai, Malfoy,”
scattò, e per la seconda volta nella sua vita gli diede uno schiaffo in pieno
viso.
Poi tornò di
corsa alla Torre di Grifondoro.
*
Harry
camminava lungo il lago, avanti e indietro, col vento che gli sferzava il viso
e la tristezza stretta in un magone sotto le costole, ma anche uno strano senso
di sollievo che aveva mitigato il furioso mal di testa che aveva avuto per giorni.
Almeno era riuscito a rilassarsi per un po’, a sfogarsi senza preoccuparsi, e almeno Draco aveva reagito. Odiava
quella situazione, ma si era sentito vivo, e se quello era tutto ciò che
potevano avere, allora ne voleva ancora, e subito.
Non era salutare.
Non voleva.
No. Voleva che le cose tornassero a posto.
Non voleva
proprio tornare alla Torre di Grifondoro. Sentiva che la frustrazione l’avrebbe
distrutto, se fosse rimasto lì un minuto di più. Da quando era morta
La notte
prima era rimasto sveglio per ore a parlare con Neville. Quel giorno, nella
sala comune, Ginny gli si era buttata addosso e si era messa a piangere, e lui
le aveva dato delle pacche sulla spalla, con la gentilezza e la goffaggine con
cui aveva parlato con Neville. Non era bravo in queste cose, l’unica cosa che
gli riusciva bene era affrontare qualcosa che andava affrontato. Era in
trappola, voleva agire, voleva
gridare la sua ira a Draco e che Draco gli gridasse che era un idiota, così
avrebbe potuto finalmente riposare, sedersi appoggiandosi a Draco e parlare,
anziché sentirsi così responsabile.
Con un
calcio violento tirò un sasso nel lago, e vide la piovra agitarsi per protesta
sotto la superficie torbida dell’acqua.
Harry la
guardò cupo. “Fanculo anche tu,” mormorò, prima di accorgersi che stava
parlando con una piovra, e che forse era ormai avviato alla follia irreversibile.
Guardò
l’edificio di pietra che si stagliava in lontananza, Hogwarts, quindi la luce
fioca alla finestra della casa di Hagrid. Lasciò il lago e si diresse verso
quella.
Erano secoli
che non faceva visita a Hagrid. Sentì il proprio umore migliorare mentre si
avvicinava alla porta. Hagrid non avrebbe avuto aspettative, Hagrid era stato
il suo primo amico al mondo…
Hagrid
aprì di pochi millimetri la porta, con un’espressione molto imbarazzata.
“Ah… ciao,
Harry,” disse, piuttosto preoccupato.
Harry lo
guardò di traverso. “Ehm… ciao? Posso entrare?”
“Beh, ma
certo,” replicò Hagrid, aprendo la porta di un altro centimetro. “E’ solo che…
beh, è proprio che è un momentaccio, lo sai no…”
L’orribile
idea che avesse potuto interrompere Hagrid e Madame Maxime gli attraversò la
mente, e cercò di allontanare quell’immagine.
“E’ solo che
ci sta il giovane Malfoy,” terminò Hagrid impacciato.
“Oh,” disse
Harry.
“Lo so che
vi siete litigati di nuovo, così ho pensato che magari non lo volevi vedere…”
Di nuovo,
perché ovviamente l’unica cosa che Harry e Draco facevano era litigare, e
nessuno si aspettava che la loro amicizia durasse, fine della storia. Il viso
di Hagrid era ancora preoccupato e benevolo, e Harry scacciò l’ennesima ondata
di desolazione.
“No,” disse
sforzandosi. “Cioè… voglio vederlo, non c’è problema…”
“Ah bene,”
Hagrid sorrise raggiante. “Va bene, allora, no?”
Spalancò la
porta e Harry lo seguì nel soggiorno, dove il fuoco scoppiettava luminoso.
Madame Maxime stava leggendo un libro con dei cavalli zannuti in copertina, la
bimba era seduta sul tappeto agitando quello che pareva un sonaglio zannuto, e
la finestra era spalancata, con la tendina che ondeggiava al vento.
Draco se
n’era andato.
“Oh, sei Errì,” disse Madame Maxime con un sorriso appena accennato.
“Mi chiedevo cosa avesse spinto il sciovane Draco ad
uscire così rapidement. Di solito è tanto educato,
per essere un ragaso Anglais.”
“E’ venuto
qui molte volte,” disse Hagrid. “Ci piace giocare con la bambina e fare quattro
chiacchiere con Olympe. Mi sa che ultimamente si
sente un po’ oppresso, se devo essere sincero.”
Lui e il
resto del mondo, pensò Harry. Trovò commovente e amaramente ironica la
preoccupazione nella voce di Hagrid, e Dio, Draco era infelice e lui non poteva
neanche parlargli.
“Oh,”
ripeté, impotente.
Hagrid lo
guardò con due occhi nero-scarafaggio molto impensieriti.
“Ci ho
parlato qualche volta, da quando lo hai portato qui. Non è malaccio come
persona, a suo modo,” disse. “Secondo me siamo stati troppo duri con lui.
Questo non è mica il momento di discutere, Harry. Non potresti fare pace con
lui?”
Harry fissò
il tappeto e ne odiò ogni fibra. Fino a quel momento gli erano sempre stati
simpatici i tappeti.
“Vorrei
tanto,” ammise alla fine, la voce tetra alle sue stesse orecchie. “Non mi vuole
parlare.”
*
Ginny si
cinse le ginocchia, appoggiando il viso alla finestra. Aveva guardato Harry
camminare lungo il lago fino a quando era calato il buio, e ora non riusciva
più a distinguere se fosse ancora lì. Si chiedeva cosa avesse in mente.
Avrebbe
voluto che tornasse. Pensava che avrebbe dormito meglio, se lui fosse tornato
alla torre. Continuava ad avere incubi su quella notte, l’oscurità, il terrore,
Hermione che era quasi crollata, Harry per una volta quasi indifeso e la
professoressa McGranitt… Continuava a svegliarsi gridando. Ormai succedeva
abbastanza spesso che qualcuno si svegliasse gridando nei dormitori, così nessuno
lo notava tanto, ma Ginny sì. Voleva stare meglio. Voleva sentirsi al sicuro.
Si era
sentita al sicuro prima, quando era crollata e Harry l’aveva sostenuta. Lui non
era spaventato come tutti gli altri.
“Ginny, è
buio pesto là fuori. Rinuncia.”
Ginny
spostò lo sguardo su Dean, in piedi davanti alla sua finestra con un viso
preoccupato. Si strinse più forte le gambe.
“Non so di
cosa parli.”
“Non
riuscirai a vedere Harry,” disse Dean gentilmente, sedendosi accanto a lei.
“Stavo
solo…” Ginny si fermò e guardò Dean in cerca di un po’ di muto conforto. Glielo
aveva sempre offerto, ma ora sembrava distante, addolorato e affatto
affidabile.
“Lo so,” le
disse. “Lo capisco. E’ solo che… Ginny, sono mesi che cerco di capire. Sono
così stanco.”
Parlò con
calma, con un tono affaticato e per nulla esigente, e Ginny non capì come mai
la gola le si strinse. Lo fissò, e cercò di parlare nonostante l’improvviso
magone.
“Non capisco
cosa vuoi dire.”
La sua voce
suonò fredda, e bassa. Rabbrividì.
“Stavi bene
prima che cominciassero a succedere queste cose. Stavi… più che bene. Eri
bellissima, e così viva, e… stavamo insieme, e andava tutto bene.”
Dean fissò
il pavimento mentre parlava. Ginny alzò gli occhi su di lui, colpita.
“Oh, Dean…
ma ti ho spiegato, è Harry, deve essere Harry…”
“Oh,
maledizione!” disse Dean, così forte che Ginny sobbalzò. “Non deve essere
Harry! Non era Harry prima che cominciassero a rapire gente a Hogwarts! Eravamo
tu ed io, e so che hai paura e vuoi essere salvata, ma come credi che mi senta
a guardarti così? Come pensi che stia senza… Ginny, ho aspettato tanto, e ho
paura anch’io!”
Ginny
deglutì. Lui aveva paura e Ginny aveva paura, e avrebbe potuto sopportare
qualsiasi cosa e voleva combattere per la giusta causa, ma quello… quel lento
diminuire del loro numero, quella paura costante, quella violazione del loro
unico porto sicuro… Si sentiva smarrita e indifesa, proprio come quando era una
bambina la cui mente era stata invasa. Non poteva lottare contro qualcosa che
non conosceva, ma Harry sarebbe piovuto dal cielo e avrebbe sconfitto il nemico
che Ginny non aveva neanche riconosciuto. Harry era l’eroe, Harry non aveva
paura, Harry l’avrebbe salvata, ed era Harry che amava.
“Mi
dispiace,” disse con voce tremante, “ma questo non cambia niente.”
La professoressa
McGranitt era stata uccisa.
L’espressione
di Dean le fece venir voglia di piangere. “Eri così sveglia e coraggiosa,”
disse, con voce bassa e vuota. “Ho sempre voluto disegnarti. Mi facevi ridere e
ci sostenevamo a vicenda…”
“Io non
posso sostenere nessuno!” la voce di Ginny fu quasi un urlo.
Le ombre si
stavano chiudendo su di lei. Svegliarsi in un corridoio buio con del sangue
sulle mani e delle scritte sui muri, e ora un altro corridoio con un gatto che
era…
“Scusami,”
le disse Dean, e riacquistò la sua solita calma con uno sforzo. “Non volevo… E’
solo che è tutto così…” Si fermò. “Ti amo,” disse. “Lo sai.”
Si alzò.
“Non ti darò
più fastidio.”
Ginny lo
guardò andarsene con una tristezza indescrivibile. Alcune persone la stavano
guardando incuriosite, ma la maggior parte era riunita davanti al camino a
parlare con sussurri impauriti, e nessuno andò da lei. Calì
Patil stava camminando per la stanza, con un’aria
incerta.
Ginny
cercò di piangere senza farsi notare. Si sentiva come se stesse affogando,
tutti stavano affogando, e desiderò più che mai che Harry arrivasse e salvasse
tutti.
*
Harry non
rimase molto tempo da Hagrid. Madame Maxime non la smetteva di parlare della
professoressa McGranitt, e la visita si era rivelata un fallimento completo.
Tuttavia era
ancora così a pezzi e in cerca di conforto e terrorizzato che avrebbe preso a
morsi qualcuno se fosse tornato alla torre, così andò nella stanza di Sirius.
Lupin aveva spiegato loro con pazienza che una visita di Harry sarebbe stata
una violazione dei rapporti studenti-professori, e così Sirius gli aveva sempre
raccomandato di farlo discretamente.
Forse erano
meno vicini di quanto Harry avesse sperato, ma sapeva di poter contare su di
lui.
Alzò gli
occhi quando Harry entrò, la sua bocca abbandonò le linee della cinica
sopportazione e si rilassò in un caldo sorriso.
“Harry,”
disse. “Speravo che passassi di qui. Come stai?”
Harry lo
guardò per un minuto, perso nell’infelicità più orrenda, e Sirius si alzò di
scatto dalla scrivania.
“Domanda
stupida,” tagliò corto. “Dai, vieni a sederti accanto al fuoco, ti faccio una
tazza di tè.” Si fermò. “Vuoi che ci metta dentro qualcosa di forte?”
Harry alzò
gli occhi, stupito, dalla sedia dove Sirius l’aveva
depositato quasi con la forza. Poi sogghignò appena. “Ok.”
“Perfetto,”
gli disse Sirius, e ricambiò col suo sorriso scaltro, dirigendosi verso una
credenza sulla parete. “Non dirlo a Remus,” aggiunse
serio. “Si imbestialirebbe. E poi mi taglierebbe la testa .”
“Però
sarebbe bello vedere un lupo mannaro andare in bestia,” rispose Harry.
Sirius rise. Erano
giorni che Harry non sentiva qualcuno ridere.
Tornò con
una bottiglia di Firewhiskey Ogden,
un bicchiere, una tazza e un bricco. Mise il bricco sul fuoco. Sirius era
ancora un po’ goffo con le faccende domestiche, si muoveva come se fare le cose
più normali fosse strano, ma Harry era contento che ci stesse provando. Tornò a
sedersi con un sospiro, quindi guardò Harry con occhi neri e attenti.
“Non so se
questo può aiutarti,” disse all’improvviso, “ma Silente mi ha appena detto che
sarò il nuovo Capocasa di Grifondoro.”
“Tu!” Harry
lo fissò. “E Lupin?
Sirius
roteò gli occhi. “Ha rifiutato. Continuava a dire che deve restare in una
posizione neutrale per via del Giovane Ordine. Se vuoi sapere come la penso,
tutto questo è ridicolo. Hai quasi finito la scuola. Tu, Ron e Hermione
dovreste poter entrare nel vero
Ordine.” Fece una smorfia fintamente seccata. “E comunque, cos’ho io che non
va?”
“Niente,”
disse subito Harry. “Ero solo sorpreso. Io… non voglio pensare a qualcuno che
sostituisce…”
Non voglio pronunciare il suo nome. Abbassò gli occhi sul pavimento di
pietra e li rialzò quando Sirius gli si avvicinò e gli mise una mano sulla
spalla. Lo aveva fatto in segno di comprensione, ma Harry pensò che sembrava
deluso. Avrebbe voluto che Harry fosse eccitato quanto lui.
“Scusa,” gli
disse. “E’ grandioso. Davvero.”
Sirius si
illuminò, e per un attimo le rughe lasciate da Azkaban si ammorbidirono. Seduto
davanti al caminetto, Harry vide Sirius come doveva esser stato quando era
giovane e felice, prima che Voldemort distruggesse tutto quanto.
“Almeno
adesso la scomparsa di Snape ha un lato positivo,”
osservò. “Non dovrò più discutere il protocollo delle case con quel viscido
idiota.”
L’acqua
nella teiera bollì, e Sirius si preparò a riempire la tazza da tè di Harry.
Harry lo guardò mentre lo faceva.
“Sirius,” disse tranquillo. “I Serpeverde hanno bisogno di Snape.
Deve tornare.”
Sirius
prese a versare il Firewhiskey. “Sì, beh, spero che
ritorni. Sto solo sottolineando il lato positivo, come ho detto. Quell’uomo è
insopportabile.”
Per quanto
Harry ricordasse, Sirius non aveva mai fatto un grande sforzo in quella
direzione… ma probabilmente non avrebbe funzionato lo stesso. Snape era davvero
impossibile, ricordò. Solo perché Draco…
“Sembri
proprio a terra, Harry,” disse Sirius, porgendogli la tazza. “Cioè… so che è
normale, e non c’è molto che possa fare. Ma c’è per caso qualcos’altro che non
va con cui potrei darti una mano? Roba di ragazze?” Rivolse a Harry un altro
sorrisetto speranzoso. “Posso darti un sacco
di consigli su quello.”
“Ehm, no.”
Harry bevve in fretta un sorso di tè. Gli bruciò la gola. “Niente ragazze.
Assolutamente no.”
Sirius
parve di nuovo deluso. “Non capisco per quale motivo non sei circondato di
ragazze,” disse, in un disastroso tentativo di rallegrarlo. “Quando io e James eravamo giovani…” Si fermò per versarsi un generoso
bicchiere di Firewhiskey, e sembrò visualizzare l’ira
di Lupin. “Eravamo piuttosto popolari,” concluse con prudenza, poi sorrise con
aria sveglia e leggermente maliziosa. “E tu non hai alcun rivale del mio
calibro, no? Insomma, non dovresti essere il rubacuori della scuola?”
“Non sono il
rubacuori della scuola,” mormorò Harry, conscio di essere diventato rosso. Ti prego, ti prego, Sirius, smettila di
parlare di donne.
Sirius
sembrò offeso, come se qualcuno avesse cercato vigliaccamente di soffiare il
titolo al suo figlioccio. “Allora chi lo è?”
“Non lo so…”
Harry desiderò che il pavimento avesse fame e si convincesse ad ingoiarlo.
“Draco Malfoy,” bisbiglio. “Ehm. Forse.”
A Sirius andò di traverso il liquore.
“Draco Malfoy?” esclamò, tossendo. “Quel
ragazzetto scialbo e puntuto? Il servetto di Snape?”
Harry bevve
ancora un po’, e disse con impeto ribelle, rivolto al suo tè, “Non è così
puntuto.”
“Quel
piccolo scemo anemico che non la smette mai di dar fiato alla bocca e passa
metà delle uscite a Hogsmeade dentro Guardaroba Magico? Quello sarebbe attraente, per le ragazze?”
Dovresti chiederlo a loro. Ma secondo
me sì. Harry decise
che forse c’era troppo alcool nel suo tè, e preferì un “Già.” Dopotutto,
ragazze come Calì giravano sempre intorno a Draco.
“Alle
ragazze non piacciono i ragazzi che pensano troppo ai capelli,” gli disse
Sirius, ancora sconvolto. “Me lo disse proprio tua madre.”
Harry prese
quella frase e la archiviò nella sua memoria. Era da quando Sirius e Lupin
erano arrivati il sesto anno che Harry collezionava pezzetti di ricordi sui
suoi genitori, anche se, quando Lupin gli aveva confessato che a volte suo
padre era stato crudele, si era depresso ancora di più. Se non aveva neanche un
modello di padre a cui aspirare…
“Ehi.
Harry,” disse Sirius, aggrottando la fronte. “Sembri… turbato. Ascolta, non
intendevo…” Si fermò. “Ultimamente sei piuttosto vicino a quel Malfoy, vero?”
Un po’ più vicino di quanto volesse,
a dire il vero.
Harry tossì. Troppo alcool nel suo tè. Troppo alcool.
“Abbiamo
litigato,” disse invece.
“Sì, lo so.
Beh… è meglio così, Harry,” Sirius fece una pausa. “Conoscevo molto bene
Lucius. Io… lo vedevo spesso alle riunioni di famiglia dopo che si era fidanzato,
a dire la verità. Certo, ero molto giovane allora, e lui non era molto più
grande di me, ma quell’uomo era disgustoso.” Fece roteare il bicchiere con aria
da intenditore. “Non mi è mai piaciuta la gente che striscia intorno ai più
forti in cerca di potere,” borbottò, e Harry vide il bruciore del tradimento
nel suo sguardo. “Non sopporto la gente così.”
Stava
ripensando a Codaliscia, e Harry pensò, Lo
lasciai andare quando avrei dovuto ucciderlo con le mie mani.
Non avrebbe
fatto lo stesso errore due volte.
“Lo so,”
replicò. “Draco non è così.”
Uno dei
sopraccigli scuri di Sirius si curvò all’insù. “Ah no? Qual era esattamente il
motivo per cui il piccolo Serpeverde ti era amico?”
“Non so.
Diceva che si trattava di curiosità morbosa.” Quasi sorrise al ricordo, e vide
lo sguardo allibito di Sirius. Sperò che il suo sorriso non fosse sembrato
tenero. “In realtà, secondo me gli piacevo.”
“Dannati
Serpeverde,” disse Sirius aggressivo. “Essere smistato a Grifondoro mi ha
salvato, Harry, lo sai? Altrimenti sarei finito… Non ti serve un amico così,
Harry. Stai meglio senza di lui.”
Harry si
concentrò su un punto sopra il viso cupo di Sirius, cercando di non lasciar
trasparire alcuna emozione. Allora come
mai mi manca così tanto?
“Senti,”
disse Sirius cambiando improvvisamente argomento come suo solito, “ti
piacerebbe venire al funerale di Minerva con me e Remus?
Ho il programma qui, potrei far venire te, Ron e…”
La menzione
del funerale stridette nelle sue orecchie. Strinse la tazza nella mano, grato
che bruciasse.
Avrebbe
voluto romperla. Invece la mise giù.
“Potremmo
parlarne un’altra volta? Si sta facendo tardi.”
Sirius
sembrò confuso, ma poi si ricompose e si sforzò tremendamente di essere
gentile. “Come vuoi, Harry. Ora che sono il tuo Capocasa
possiamo vederci più spesso, e se mai avessi bisogno di parlare…”
“Sì, certo.”
Harry doveva
uscire di lì. Il programma del funerale della McGranitt era sulla scrivania, e avrebbe voluto mandare in
pezzi qualcosa. Si alzò dalla sedia e raggiunse la porta quasi senza pensarci.
“Harry, dico
davvero.”
Il dolore
sincero nella voce di Sirius lo fece voltare. Il suo padrino si era alzato in
piedi e lo stava guardando, lottando per trovare le parole che potessero far
breccia dentro Harry. Sirius era stato così impegnato, e non aveva mai saputo
bene come comportarsi con Harry, e Harry era così arrabbiato e infelice e
confuso, e nessuno di loro era mai stato capace di reggere i confronto con ciò
che volevano sul serio.
“Sono… un
padrino orribile e senza speranze,” ammise Sirius, curvando la bocca. “Ma… ti
voglio bene. Questo è un dato di fatto.”
Alla fine,
nonostante i fraintendimenti e la distanza, Sirius ci sarebbe sempre stato per
lui. Era per quello che Harry era andato da lui, quella notte. Inoltre… quelle
parole Harry non le sentiva tanto spesso.
Sorrise un
po’ goffamente. “Ehm, anch’io ti voglio bene,” disse, troppo velocemente. “Io,
ehm, ci sentiamo presto.”
Il sorriso
di Sirius, quel sorriso fiero e luminoso che l’aveva fatto sembrare di nuovo
giovane, si spense, e quando Harry chiuse la porta, nonostante tutto, si
sentiva leggermente meglio.
*
“Passami il
caffé,” ordinò Draco, pallido e convulso.
Pansy gli
si avvicinò amorevolmente e gliene versò una tazza. Draco le afferrò il gomito.
“Certo, getta
una briciola all’affamato, ottima idea,” sogghignò. “Lascia la caraffa lì.
Accanto a me.”
“Dai proprio
il meglio di te la mattina, Draco.” Draco gettò la testa all’indietro con
drammatica disperazione e Pansy si addolcì, accarezzandogli la schiena con un
gesto decisamente intimo. “Non preoccuparti. Sarai fantastico. Altrimenti
aggiusteremo i tuoi voti.”
“Non
insultarmi,” sbottò Draco, prendendo il suo caffé. “Posso farcela, e posso
farcela alla grande.”
Sembrava
determinato, e appena un po’ pallido.
A quel
punto, quello che sarebbe dovuto essere un discreto colpo di tosse, ma che
suonò piuttosto come un terremoto in miniatura, risuonò alle spalle di Harry.
Harry sobbalzò colpevolmente, e si girò per guardare Goyle negli occhi.
“Smamma,”
disse Goyle.
“Sto solo fermo qui,” obiettò Harry. Stava solo
fermo lì ad origliare sfacciatamente, ma comunque.
Goyle
parve ostinato e impassibile. “Smamma.”
Fu allora
che Draco e Pansy alzarono gli occhi, e un attimo dopo Draco li spostò di
nuovo. I suoi occhi erano quasi velati. Sembrava stanco.
“C’è
qualcosa in programma oggi?” chiese.
“Non credo,”
rispose Ron. “Perché non mangi qualcosa, Harry? Hermione, anche tu dovresti.”
Hermione
sembrava stanca. Lasciò cadere il pezzo di toast con cui stava giocando e smise
di fingere. Si appoggiò a Ron per un minuto e lui la abbracciò.
Harry spostò
lo sguardo, ma non verso il tavolo dei Serpeverde. Verso le uova.
“Malfoy
mostrerà il suo progetto di Magia Creativa,” disse con calma Dean.
La testa di
Harry scattò in su. Dean gli sorrise dall’altra parte del tavolo, anche se il
sorriso gli riuscì teso. Anche lui aveva un’aria stanca… Dio, erano tutti
stanchi e tristi.
“Il mio l’ho
consegnato la settimana scorsa,” continuò Dean speranzoso. “Il progetto pratico
è piuttosto importante. Conta per…”
“Lo so,
Draco me l’ha detto.” Pensò che non aveva importanza se Draco non lo sentiva.
Tutti avevano il diritto di chiamare gli altri come volevano.
Draco aveva
parlato del progetto un sacco di volte, spargendo fogli accartocciati per la
sua stanza e occasionalmente su Harry.
Harry aveva
odiato quel progetto per il tempo che sottraeva a Draco, ma adesso l’unica cosa
a cui riusciva a pensare era che Draco ne aveva parlato, e che allora si
parlavano. Se n’era lamentato in barca, prima che tutto cadesse a pezzi, e
un’altra volta Harry aveva detto che gli sarebbe piaciuto vederlo.
Draco
l’aveva guardato, sorpreso, e dopo un attimo si era lisciato le piume come un
pavone. Harry sorrise ricordandoselo, e poi si morse le labbra.
“Magari
potrei convincermi a farti una dimostrazione privata,” aveva detto Draco. “Se
prometti di restare colpito.”
“Non posso
prometterti nulla,” aveva sogghignato Harry, e Draco gli aveva tirato
l’ennesima pallottola di carta e gli aveva ordinato di andarsene dalla sua
stanza. Harry non l’aveva fatto.
E adesso
Draco non gli parlava, e Harry non poteva accedere alle stanze della sua casa,
e soprattutto si sarebbe ucciso
piuttosto che perdersi il progetto di Magia Creativa.
“Dean,” disse vivace, “dov’è l’aula di Magia Creativa?”
Dean lo
fissò. “Al secondo piano,” rispose cautamente. “A sinistra del ritratto di Lady
Violet.”
“Buono a
sapersi,” gli disse Harry. “Davvero.”
Si alzò e
Ron si girò sulla sedia, le braccia ancora intorno a Hermione. “Che fai, Harry?”
“Salto la
lezione,” lo informò Harry. “Dite alla professoressa Cooman
che mi è successo qualcosa di terribile, ne sarà estasiata.”
“Harry,” cominciò Hermione con una voce
scandalizzata, ma Harry era già fuori dalla Sala Grande.
Era bello
fare finalmente qualcosa, anche se solo una stupidaggine come quella. Si
sentiva di nuovo energico e vivo. Salì le scale due gradini alla volta, e
addirittura sorrise alla Signora Grassa quando le disse la password, Armadilli
di Cioccolata (Harry non era mai riuscito a mangiarne uno intero, ma alcune
ragazze li adoravano).
Andò nel
dormitorio e tirò fuori il Mantello di suo padre.
Era strano
essere invisibile in pieno giorno. Di solito lo usava dopo il coprifuoco in
quel periodo, ma era piuttosto eccitante scendere e camminare tra i gruppi di
persone senza essere visto. Ginny gli passò accanto e non lo guardò. Blaise
Zabini gli camminò davanti e non gli fece alcun gesto osceno.
Era quanto
di più vicino ci fosse alla libertà per Harry, dati i tempi.
Oltrepassò
il ritratto di Lady Violet ed entrò nell’aula prima
di chiunque altro. Quindi si sedette sul davanzale interno della finestra e si
preparò a starsene zitto.
Quando
cominciarono ad entrare degli studenti, fu tremendamente sollevato dal fatto
che Dean si sedette accanto alla finestra. Poco dopo notò che Dean era l’unico
Grifondoro nella stanza, e c’erano pochi Tassorosso, fra l’altro. I Serpeverde
e i Corvonero dominavano la scena. Non c’era da meravigliarsi se prima di
parlare con Draco non sapeva quasi niente di Magia Creativa, pensò Harry mentre
guardava Mandy McTass e
Lisa Turpin ridacchiare insieme su una specie di
diario.
Quando
entrò, non sembrava molto contento. La sua espressione lasciava intendere che
se la sarebbe svignata volentieri.
“Signor
Malfoy, può procedere,” disse l’insegnante, che per lo stupore di Harry era il
professor Vector. In effetti ricordava che Hermione
lo aveva informato della sua mania di dire cose tipo ‘la matematica è la musica
dell’universo.’
Draco si
posizionò davanti alla classe. Era ancora troppo pallido, e deglutiva
nervosamente. Harry osservò i movimenti della sua gola.
Coraggio, Draco. Sarai magnifico.
Fu il suo
innato talento da showman che lo salvò. Guardò le facce attente attorno a sé e
sembrò accorgersi di avere un pubblico. Così si esibì nel suo sorriso
collaudato e brillante e fece un gesto verso la porta.
Tiger e
Goyle entrarono spingendo quello che, per un orrido istante, Harry pensò fosse
il Sognatoio della McGranitt. Si accorse subito, per via dei simboli diversi,
che era un comune Pensatoio.
“Signor
Malfoy?”
Draco,
almeno esternamente, era calmo. “Ci è stato richiesto di scegliere una branca
della Magia Creativa per il nostro progetto,” disse. “L’unico problema era che…
non riuscivo a decidermi. Così ho distillato i miei ricordi artistici preferiti
e li ho mescolati. Mi ci è voluto… un bel po’ di tempo.”
Si udì un
mormorio intrigato nella classe. Draco, che sapeva sempre qual era il momento
giusto per cominciare a dare spettacolo, agitò trionfalmente la bacchetta e
toccò il bacile di pietra.
Il liquido
argenteo si attorcigliò intorno a quello, e una luce più intensa cominciò a
comparire nel Pensatoio.
“Vorrei che
tutti venissero a toccarlo,” disse Draco, che adesso cominciava a divertirsi.
Rivolse a Lisa Turpin un sorriso smagliante. “Voglio
che ciascuno sperimenti appieno ciò che c’è nella mia mente.”
Appena il
professor Vector annuì, i ragazzi si alzarono in
massa per andare a toccare i pensieri liquidi e scintillanti. Dean fu l’ultimo
a muoversi e Harry si fermò, cercò di capire se fosse saggio seguirli, smise di
fingere di poter riuscire a non
farlo, e mise la mano nel Pensatoio.
Il vortice
che lo risucchiò era più accecante di quello del Pensatoio di Silente. Finì su
una panca accanto a Dean, il cui volto impassibile non dava a vedere che avesse
notato presenze invisibili vicino a sé, poi si accorse che la panca era sospesa
a mezz’aria, e che l’aria era…
L’aria era
multicolore. L’aria era viva.
Harry
ripensò a quando si era seduto vicino a Draco mentre lui sfogliava alcuni dei
suoi libri di arte, e ricordò alcune delle immagini che l’avevano colpito.
L’aria era piena di ritagli di dipinti e striature verdi, cerulee e di un
intenso color oro. E poi Draco, in piedi davanti alla classe, sollevò la
bacchetta e mormorò altre parole, e l’aria prese a muoversi.
La melodia
sembrò giungere dal nulla, o da ogni direzione. Canzoni indistinte d’amore o
tristezza, piene di passione, indussero i ragazzi a guardarsi intorno, quindi
comparvero suoni di strumenti, melodie che Harry non credeva potessero esistere
nel mondo babbano, e che improvvisamente gli ricordarono la musica delle fate.
Il mondo intorno a loro turbinava in un’ondata di bellezza, e le parole
cominciarono a fluire mentre Draco faceva un altro gesto.
“ …Volando al centro del sole
sfidiamo la sorte, portiamo un’insegna, la conquista o la morte…”
“… Non potevo risvegliare il cuore alla
gioia sulle stesse tonalità, e tutto ciò che amai, lo amai da solo…”
“… Sono salito verso il sole, ho
condiviso l’euforia eccitata delle nuvole tagliate dal sole… e fatto centinaia
di cose che non hai mai sognato… ho roteato, veleggiato, dondolato…”
“… non ho mai sentito questo canto
nel cuore della notte. Da dove viene questa tenerezza?...”
Frammenti di
tutto ciò che aveva letto e amato. Tutti quei libri impilati in camera sua.
Poi
diventarono così vaghi e veloci che Harry pensò che forse gli altri non li vedessero,
ma era la mente di Draco e lui ci stava bene e riusciva a vedere tutto…
Immagini ed emozioni attorcigliate in quei suoni e quelle visioni artistiche,
tutte insieme.
Erano più
impressioni che immagini. Gli sembrò di vedere una donna tendersi con i capelli
dorati in una luce strana, e pensò che fosse Narcissa colta in un raro momento
di dolcezza. Sentì la voce di Pansy Parkinson resa bella dalla preoccupazione e
Lucius Malfoy visto da un punto in basso sul pavimento, enorme, severo e
adorato. Udì il fruscio del vento nelle orecchie, come quando volava,
l’infrangersi delle onde sulla sabbia, il rumore di una tempesta al di là del
bagliore e l’improvviso, dolce sciabordio dell’acqua sulla terra.
Ebbe una
visione improvvisa di se stesso, modificato come le altre immagini… più
luminoso che nella realtà, colto in un momento di silenzio mentre si riavviava
i capelli. Era certo che fosse involontario.
E c’era il
dolore, un impeto di dolore unito alle cose belle, urla e ira cieca e terrore e
tristezza, che attraversarono Harry come fulmini e lo lasciarono con
nient’altro che l’idea, vagamente ricercata e mai raggiunta, che potesse essere
tutto bellissimo.
Guardò
Draco, avvolto da colori e immagini mentre conduceva l’intera scena. Un raggio
di sole rosso sembrò quasi irradiarsi dalla linea candida della sua mandibola,
e dietro i suoi capelli selvaggi c’erano l’oscurità e qualche stella. Poteva portarsi dentro tutto quello, avere
tutto e tenere a tutto e infuriarsi per tutto e desiderare che tutto fosse
bello, poteva mettere in scena la passione.
Harry si
accorse, in modo dolorosamente superfluo, che quel ragazzo folle gli piaceva davvero.
Draco
abbassò la bacchetta, affannato e con gli occhi lucidi.
“Ed ecco che
cala il sipario,” disse, e mosse di nuovo la bacchetta.
Harry si
sentì sollevare insieme agli altri in una massa volante, e tornarono tutti
all’improvviso nell’aula. Harry tornò in fretta sul davanzale.
Suonò la
campanella, e Draco, esausto, prese la borsa e corse fuori dalla stanza. Molti
studenti vollero restare per commentare eccitati, ma Dean si alzò
immediatamente e, spalancando la porta, uscì. Harry lo seguì e si diresse verso
il bagno più vicino, riponendo il Mantello nella sua borsa e sbrigandosi per
arrivare a Pozioni prima di Draco.
Ci riuscì, e
ascoltò Lupin con molta attenzione. Ron e Hermione si accalcarono attorno a lui
a pranzo e gli chiesero dove fosse stato.
“Volevo
vedere una lezione di Magia Creativa,” rispose. Hermione aveva un’aria triste,
mentre Ron era solo incuriosito.
“Com’è
stata?”
Harry si
fermò e sorrise. “Sai che ti dico, Ron?” disse. “Avremmo dovuto seguirla.”
La lezione
successiva sarebbe dovuta essere Trasfigurazione, così rimasero nella sala
comune a parlare di ulteriori protezioni da apporvi. Neville mise a
disposizione con un po’ di esitazione la sua conoscenza delle erbe protettive.
L’ultima
lezione era Cura delle Creature Magiche, e Hagrid sorrise a tutti mentre
parlava di nutrire versioni in scala del Vermicolo
che Harry aveva affrontato durante
Calì diventò
un po’ verde. “Sto per vomitare.”
“Potresti
aiutarmi a supervisionare,” propose Draco dall’altro lato della stanza, facendole
l’occhiolino.
“Tu supervisioni?” domandò Ron. Draco
sorrise beffardo verso di lui. “Idiota,”
disse Ron infervorato, sottovoce. “Idiota, idiota, idiota.”
“Beh, sì.”
Harry alzò le spalle e Ron gli lanciò un’occhiata tradita.
L’unica cosa
che dovevano fare durante quella lezione era studiare dal libro. Non fu
malaccio, anche se Calì continuava a minacciare di
vomitare l’anima. Alla fine della lezione Harry andò ad aiutare Hagrid a
mettere a posto i suoi diagrammi allarmanti.
Era accovacciato per terra a riporre gli ultimi fogli sotto la scrivania di Hagrid, quando si accorse che nella stanza erano rimasti solo Draco, Tiger e Pansy.
“Com’è
andato il progetto? Non ci siamo scambiati neanche una parola a pranzo.
Raccontami tutto,” disse Pansy.
I loro passi
si avvicinavano alla porta e alla scrivania, e sicuramente l’avrebbero visto e sarebbero
ammutoliti. Aveva la borsa accanto a sé.
La prese,
recuperò il Mantello e se lo mise addosso.
Si alzò con
prudenza, uscì dalla porta insieme a Pansy e camminò accanto a loro,
mascherando i suoi passi seguendo il ritmo di quelli di Tiger.
“E’ stato
perfetto,” disse Draco con grande soddisfazione. “Sono stato splendidamente,
irresistibilmente geniale.” Si girò verso Tiger, mordendosi un labbro. “Vero?
Che te ne è parso?”
“Ti ho visto
solo per un minuto,” rispose Tiger.
“Ma è stato
un minuto splendidamente, irresistibilmente geniale, no?” Draco parve agitato.
“Sicuro,”
replicò Tiger.
L’agitazione
di Draco non fece che aumentare. “Ok, non mentire,” disse. “Lo vedo cosa pensi.
Ero troppo nervoso. Ho calcato la mano. Ho fatto un casino completo, sono stato
troppo teatrale, verrò bocciato, oh vergognarovinadisonore.
E’ questo che intendi?”
Tiger
aggrottò la fronte. “Qualsiasi cosa dici.”
“Oh, ma che
ne sai tu,” sbottò Draco. “Non riconosceresti la genialità splendente nemmeno
se ti facesse lo shimmy davanti con la biancheria di Pansy.”
Draco alzò
le spalle.
“Meno
chiacchiere sulla mia biancheria, se non ti spiace,”
disse Pansy pericolosamente.
Harry non
avrebbe potuto essere più d’accordo. Draco, Pansy e Tiger erano giunti nei
sotterranei, e si stavano dirigendo verso il muro che nascondeva l’entrata
della loro sala comune. Draco si piegò in avanti e sussurrò verso la pietra
qualcosa che Harry non udì.
“Per quanto
tempo dovremo continuare a sussurrare la parola d’ordine?” chiese Pansy.
“Per tutto
il tempo necessario,” disse Draco succinto. “Potter ha un Mantello
dell’Invisibilità. Potrebbe avercelo chiunque a scuola, e poi ci sono altri
modi per spiare senza esser visti. Vuoi forse facilitare le cose alla spia?”
Harry si
sentì in colpa e si fermò, specie per la smorfia che aveva fatto Draco quando aveva
detto ‘Potter’. Ma Tiger era proprio dietro di lui, e fu costretto a entrare
nella sala comune Serpeverde insieme a loro. Si fermò per un attimo sulla porta
chiusa, chiedendosi se non fosse meglio aspettare di poter uscire, quindi corse
nella sala comune e seguì Draco mentre entrava nella sua camera.
La porta si
chiuse alle loro spalle. Draco si fermò, e per un terribile secondo Harry ebbe
la certezza che potesse vederlo.
Riprese a
respirare quando Draco attraversò la stanza, sfilandosi le scarpe, e smise di
respirare quando Draco si slegò il mantello.
Ok. Ok. Sotto il mantello ci sono i
vestiti. Ricordo. Smettila di essere così patetico, Harry.
Draco
indossava un maglioncino nero e jeans dello stesso colore. Sembrava più magro
senza il mantello, e stranamente vulnerabile. Harry non pensava di averlo mai
visto coi calzini.
Disse, “Lumos,” e quando
la luce gli colpì il viso Harry notò le occhiaie sotto i suoi occhi. Era
ovviamente esausto e aveva perso troppo peso in troppi pochi giorni. Harry vide
ciò di cui Sirius aveva parlato. I suoi lineamenti erano più spigolosi che mai,
e il suo pallore sottolineava la stanchezza, in più non irradiava carisma in
ogni direzione.
Era quasi
incolore, e sciupato in modo preoccupante, e Harry avrebbe voluto prendersi cura di lui, ma non sapeva prendersi
cura di nessuno. Si limitò a guardare Draco aggirarsi per la stanza, sospirare
e buttarsi sulla sedia della scrivania.
In quel
momento entrò Pansy. Indossava anche lei un maglione e un paio di jeans, i suoi
capelli scuri erano tirati all’indietro e aveva dei fogli di pergamena in mano.
“Draco,”
disse a bassa voce, “questi sono i fogli per il funerale della professoressa
McGranitt. Dobbiamo occuparci dei Serpeverde… qualcuno deve controllare il
nostro gruppo al posto di Snape, ma ovviamente
nessuno avrà voglia di obbedire a un esterno…”
Draco alzò
gli occhi, naturalmente sveglio e sicuro di sé. “Non preoccuparti,” disse. “Ci
penso io. Organizzerò tutto, chiederò al professor Vector
di farci da capo e lo spiegherò agli altri.”
Pansy
sospirò sollevata e si mosse fino alla scrivania per consegnargli i fogli. Li
lasciò sul ripiano, posò le mani sullo schienale della sedia e guardò dall’alto
la testa di Draco.
Draco
reclinò la testa all’indietro per guardarla, ed era un gesto così intimo che la
gola di Harry si chiuse per l’invidia.
“Cosa c’è?”
chiese calmo Draco.
“I ragazzi
del primo anno stanno avendo altri incubi,” disse. “Non si sentono più al
sicuro da quando è morta la professoressa, e poi c’è il fatto che Snape potrebbe essere…”
Si fermò. Entrambi
guardarono ovunque tranne che negli occhi dell’altro.
“Non
potremmo dar loro dei calmanti?” suggerì Draco illuminandosi.
Pansy
rise. “Madama Chips ha le sue stupide regole sull’armadio dei medicinali.”
“Eppure continuo
a pensare che potremmo soffiarle dei sonniferi in polvere. Me ne occuperò io.”
Draco aggrottò la fronte. “Fino ad allora penso che dovremo convincere gli elfi
con un bello spavento a distribuire cioccolata calda dopo cena, così poi potrò
terrorizzare i ragazzi più piccoli con chiacchiere su quanto so essere seccante
con chi non dorme tutta la notte.”
Quasi si
vide la tensione evaporare dal corpo di Pansy. Prese a far scorrere le dita di
una mano tra i capelli di Draco.
“A proposito
di chiacchiere,” disse lei con riluttanza. “Sono tutti nervosi. Comincio a
sentir parlare di cambiamenti di idee. Forse dovremmo… forse è l’ora di andare
dal professor Lupin…”
“Nessuno lo
accetterebbe. Dovrò spiegare nuovamente come stanno le cose.” La bocca di Draco
era quella di un monello viziato che non avrebbe accettato un no come risposta.
“Tutti dovranno riconoscere da che parte sta la ragione. Se no c’è sempre l’Imperius.”
La bocca di
Pansy si curvò. “Non sei divertente, Draco,” lo informò. “I ragazzi hanno paura
di tornare a casa. Sta per arrivare l’estate…”
“Possono
venire tutti a casa mia,” la interruppe Draco. “Ho già pensato a tutto. Lì
saranno al sicuro, farò…” Reclinò di nuovo la testa per guardarla. “Oh,” disse
con un tono diverso. “Lettera da casa?”
Pansì
annuì, cingendosi con il braccio libero come se avesse freddo. “Una specie di
ultimatum,” disse guardando nel vuoto.
“Oh,” ripeté
Draco. “Avresti dovuto dirmelo subito. Cos’è, ti aspetti che ti legga nel
pensiero e ti consoli? Dovresti sapere che non so fare nessuna delle due cose.”
Pansy sorrise
sulla sua testa, e solo Harry la vide farlo. “Ma come, Draco? Mi hai sempre
detto che puoi fare tutto.”
“Beh, non
credere mai alle promesse di giovanotti senza principi,” la ammonì Draco. “E’
così che le ragazze perbene finiscono nei guai.”
Entrambi
fissarono l’armadio di Draco per un minuto, e il silenzio aleggiò nella stanza.
“Cosa diceva
la lettera?” chiese Draco alla fine, e Pansy sembrò sollevata dal fatto di non
dover introdurre l’argomento lei stessa.
“Che o
lascio immediatamente l’Ordine e torno subito a casa, o è meglio che non ci
torni più.”
“E tu
cos’hai risposto?”
“Gli ho
detto che possono andare al diavolo. C’è una stanza per me a casa tua?”
“Puoi stare
nella stanza degli ospiti e avere il bagno con la schiuma bianco ghiaccio.”
Pansy rise
e Harry pensò che si fosse rilassata quel tanto di cui era capace.
“Ora ti
lascio,” disse dolcemente. “Hai già abbastanza cose a cui pensare. Vado a
ordinare agli elfi di fustigarsi con i bollitori. Ci serve la cioccolata calda,
e poi mi tirerà su di morale.”
Tolse la
mano dai suoi capelli, Draco la strinse e le sorrise.
“Ehi,
troietta.” Le strinse le dita. “Stai facendo del tuo meglio,” le disse
altezzosamente. “Continua così e potrebbe esserci un posto per te nell’harem
Malfoy.”
Pansy
rise, e stavolta sembrò una risata vera. Si trattenne un altro istante, quindi
uscì dalla stanza, con la testa molto più alta di quando era entrata.
Draco restò
immobile sulla sedia per un momento, con le candele che gli illuminavano i
capelli. Poi crollò in avanti, la schiena curva e sgraziata, e si mise la testa
tra le braccia.
Compassione
e senso di colpa attraversarono Harry. Avrebbe voluto raggiungerlo,
abbracciarlo, pensare a qualcosa di impacciato da dire per provare a
consolarlo. Ma non l’avrebbe fatto, perché Draco non gli parlava, perché non
avrebbe nemmeno dovuto vederlo così, perché Draco l’avrebbe odiato se avesse saputo che l’aveva
visto così.
Draco così
orgoglioso e riservato. Questo era voyeurismo della peggior specie, perché
Draco si sarebbe fatto vedere in qualsiasi situazione tranne che nella
debolezza.
Harry doveva
uscire da lì.
Pansy
aveva lasciato la porta socchiusa e lui la oltrepassò più in fretta che poté,
seppur con discrezione. Uscì dalle stanze dei Serpeverde, salì le scale, tornò
alla torre di Grifondoro, si lasciò cadere su una
sedia e cercò di scacciare la solitudine e il disgusto di sé.
“Harry,”
disse Neville, in tono incerto, “mi daresti una mano con questi libri di Erbologia? Le piante protettive…”
Niente era più
importante di quello. Lo sapeva.
“Certo,”
rispose. “Subito.”
Neville
sorrise. “Grazie. Sapevo di poter contare su di te.”
Harry si
sedette con Neville e aprì un libro. Trovarono dei passaggi interessanti e non
si accorse prima di qualche minuto che la sala comune si era svuotata.
Quando lo
notò, disse, “Neville, faresti meglio a sbrigarti se vuoi mangiare qualcosa,
stasera.”
Neville lo
guardò. “Ah, già… tu non vuoi niente?”
Tutte quelle
emozioni alla bocca del suo stomaco avevano sostituito perfettamente il cibo.
“Nah, non ho fame.”
Si concentrò
ferocemente sui libri per un altro po’ e si impegnò a non pensare ad altro.
A un certo
punto Ginny arrivò di corsa dall’entrata verso Harry, i capelli rossi sul viso,
incerta e un po’ scandalizzata.
“Fuori c’è
qualcuno di Serpeverde che ha chiesto
di te,” spifferò.
Harry
sorrise incredulo, incapace di trattenersi.
Draco. Chi altro potrebbe essere?
Fu un brutto
colpo quando si accorse che il Serpeverde altri non era che Pansy
Parkinson.
*
Harry la
fissò inebetito, e pensò che il genere di persone di cui si circondava Draco,
dato il suo aspetto, era piuttosto strano.
Tiger e
Goyle erano due gargoyle scuri e massicci, e la
bellezza vagamente ambigua di Blaise Zaini era ugualmente oscura e sinistra.
Pansy era alta per essere una ragazza, e il suo viso era incorniciato da
capelli neri e pesanti che sembravano trascinarla in basso.
Il suo viso
sembrava più aggressivo del solito, anche se aveva i capelli raccolti. Le sue
sopracciglia importanti si mossero, e l’espressione dei suoi occhi castani era
distintamente minacciosa.
“Potter?”
disse irruente.
“Ehm, ciao?”
buttò lì Harry, alquanto smarrito.
Pansy
restò a braccia conserte, col viso teso, come a far intendere che Harry avrebbe
dovuto osare di più.
Alla fine il
suo sguardo accusatorio lo convinse ad offrire un debole, “Posso, ehm, fare
qualcosa per te, Pansy?”
Pansy
sospirò, forse stupita dal fatto che un imbecille come Harry non avesse messo
fine alle proprie sofferenze tempo addietro.
“Sì che
puoi,” disse stringata. “Puoi smettere di rendere infelice Draco.”
Harry restò
immobile.
Pansy
proseguì a mettere in chiaro il suo punto di vista con occhi freddi e duri come
pietre.
“Sai con
quanta merda ha dovuto fare i conti da quando ha deciso di andarsene in giro
con te, Potter? Siamo Serpeverde. Di
certo non ha ricevuto solo paternali. Ma lui ha accettato tutto quello che gli
hanno lanciato addosso. Aveva quest’idea completamente folle che potesse valerne
la pena, per te. Ma sembra che tu gliel’abbia fatta passare.”
“Ehm,” disse
Harry, che non aveva alcuna intenzione di dirle in che modo ci era riuscito.
“Non so cosa
tu abbia fatto,” gli disse Pansy, guardandolo storto.
Harry fu
felice di sentirlo.
“So solo che
un bel giorno è corso in camera sua e ha buttato tutto all’aria. Non siamo
riusciti ad ottenere una risposta civile per giorni. E’ ancora irritabile, e
ogni volta che vede te nei corridoi
si irrigidisce e ti rivolge uno sguardo letale. Persino Tiger e Goyle sono
riusciti a capire che è colpa tua.”
Pansy
aveva i pugni stretti, ma il suo tono era neutrale.
“Volevano
venire qui e darti un’aggiustatina. Per tua fortuna
ho deciso che ti serviva un tocco femminile.”
Il tocco
femminile si preannunciava bello violento.
Harry
avrebbe preferito evitare di esser preso a pugni da Pansy Parkinson, se per lei
era lo stesso. Voleva semplicemente andare a pensare a ciò che aveva fatto
Draco – buttato tutto all’aria – e a ciò che poteva significare.
Tuttavia
doveva prima occuparsi di Pansy. Dopotutto era venuta solo perché…
“Gli vuoi
bene,” osservò, quasi meravigliandosene.
Ripensò al
sorriso che aveva fatto sulla testa di Draco. Improvvisamente si ricordò di
quando Draco era stato ferito il terzo anno, e il volto di lei si era riempito
di lacrime.
Lo stesso
viso, cresciuto e più deciso, si fece ancora più astioso.
“Voi Grifondoro pensate di avere il monopolio sulle emozioni?
Certo che gli voglio bene. Siamo amici da quando eravamo piccoli… e sì,”
aggiunse di scatto. “Prima che tu lo dica, sono pazza di lui. Da sempre. Lo
sanno tutti.”
Harry si
sentì stranamente solidale. Pensò a cosa avrebbe fatto se avesse detto, ‘Siamo
in due’.
Disse, “Cosa
ci fai qui, Pansy?” Cercò di essere gentile.
Pansy lo
guardò con estrema avversione.
“Te l’ho
detto. Voglio che smetti di renderlo triste. Se il tuo obiettivo era appurare
se i Serpeverde hanno un cuore, beh, ecco il risultato. Ce l’abbiamo. E abbiamo
anche dei magnifici ganci destri, come potrai notare se non ti dai una mossa
per aggiustare le cose con lui. Rompi l’amicizia con un po’ di rispetto. Non
m’importa se per te era solo un gioco,
glielo devi.”
Harry
dimenticò di star parlando con una ragazza che non conosceva molto bene.
“Ma
vaffanculo, Parkinson!”
Pansy
parve oltraggiata.
“No,
davvero, vai al diavolo,” sbottò Harry. “Un gioco… cosa credi che siamo noi
delle altre case, alieni? Credi che i Grifondoro non conoscano la lealtà, credi
che non possiamo davvero essere amici di qualcuno? Smettila di dire idiozie.”
“Non sto…”
“Stai
dicendo un mare di idiozie. Pensi che Draco fosse una specie di esperimento interscolastico per me… Mi
hai visto mentre cercavo di parlargli! Mi hai visto provarci un sacco di volte!
Come osi venire qui a farmi la paternale e comportarti come se non tenessi a
lui quando invece ci tengo, cazzo!” Smise
di urlare e fissò Pansy con occhi assassini. Aveva il fiatone.
Pansy non
fece che guardarlo. “Ah si?” disse.
“Sì,”
rispose Harry, la voce ora controllata e gelida. “Ci tengo. Per cui prendi la
tua dannata paternale e marcia fino ai tuoi sotterranei, stronza, perché io voglio andare da lui e mettere a posto
le cose e restare suo amico, e mi
uccide non poterlo fare!”
Pansy
restò ferma a guardarlo con i suoi occhi fissi e ostili, senza muoversi.
“Potter…”
disse finalmente, e Harry vide il suo viso addolcirsi appena per un secondo.
“Lui credeva che fossi qualcosa. Ce
n’eravamo accorti tutti. Pensa di essere tanto superiore, ma non è difficile
capirlo. Specie quando lo si conosce.”
Harry la
guardò stordito per un attimo, poi sentì il primo vero sorriso rilassato da
settimane curvargli le labbra.
“Già,”
rispose a bassa voce. “Io… me lo ricordo.”
Pansy si
mise le mani in tasca. “Pensava che fossi… non lo so. Parlava di te, sai?
Quando eri il nemico che credeva che una lezione di Pozioni senza alcun tentato
omicidio con un calderone fosse una lezione sprecata… parlava tantissimo di te.
Si imbestialiva. Sai come fa lui.”
“Ho sentito
un paio di tirate… o un paio di decine,” ammise Harry.
Pansy
arrischiò addirittura un sorriso.
“Poi d’un
tratto ha smesso di parlare di te. Abbiamo cercato di spingerlo a farlo… non
era normale che non ne parlasse.
Siamo Serpeverde, ci piace parlare alle spalle degli altri. Ma lui non
abboccava. Faceva l’indifferente, ma cercava di non pronunciare nemmeno il tuo
nome. Eppure qualche volta qualcuno lo pronunciava, e lui… faceva quel
sorrisino.”
“Che stai
dicendo, Pansy?” chiese, parlando piano come per non infrangere l’immagine.
“Sto dicendo
che si comportava come se gli importasse,” disse Pansy. “Quindi ci tiene a te.
Quindi…”
Si fermò e
fece un piccolo gesto frustrato. Sembrava che volesse dare un pugno al muro.
“Tu non mi
piaci, Potter,” lo informò gelida.
Harry roteò
gli occhi. “Nemmeno tu mi piaci. E allora?”
“E allora la
parola d’ordine di Serpeverde è king cobra,” sbottò lei. “Aspetta qualche ora.
E non fare casini stavolta!”
Pansy
fissò il suo viso basito e se ne andò su due piedi.
*
Tornò dentro. Si sedette e riaprì i libri di Erbologia. Studiò con determinazione per due ore.
Scese verso
le stanze dei Serpeverde. Percorse il corridoio di pietra. Pronunciò la parola
d’ordine. Passò davanti agli sguardi allibiti dei Serpeverde assorti diretto
verso il suo obiettivo, quella particolare porta, pronto al confronto.
Aprì la
porta ed entrò.
Fu in quel
momento che la sua determinazione vacillò.
Draco e
Blaise Zabini erano seduti accanto al camino a giocare a carte. Il fuoco aveva
scaldato leggermente il viso di Draco, e stava ridendo.
Era tutto
così diverso dall’immagine solitaria che si aspettava che rimase per un minuto
a bocca aperta. Il viso di Zabini passò dalla calma alla malizia con rapidità
encomiabile.
“Vado a
chiamare Tiger e Goyle,” annunciò, alzandosi dalla sedia e fissando Harry con
uno sguardo minaccioso.
“No,” scattò
Draco, e l’espressione di Zabini crollò e il cuore di Harry sobbalzò. Poi Draco
si girò verso Harry e disse in tono teso, “Preferirei davvero che te ne
andassi, Potter.”
Harry
incrociò le braccia al petto. “Non ho intenzione di andarmene, Malfoy. Voglio
parlare con te. In privato.”
“Che coraggio,”
cominciò Zabini.
“Taci,”
disse Draco. “Fuori, Potter. Ho avuto una giornata stancante, ho bisogno di
rilassarmi, tu non sei il benvenuto e
io e Blaise non abbiamo finito la partita.”
Harry
attraversò la stanza e si sedette accanto al letto.
“Bene,”
disse tranquillo. “Posso aspettare.”
Zabini fece
per alzarsi di nuovo.
“Siediti,”
ordinò Draco. “Perfetto. Resta lì se vuoi. Non fa differenza.”
Zabini si
rimise a sedere con malagrazia. “Lui resta?”
chiese, curvando le labbra disgustato. “La posta in gioco cambia?”
“No,” disse
Draco, dando le carte. “Lui non conta. La posta resta la stessa.”
A Harry non
importava di cosa stessero parlando. Si era conquistato almeno un po’ di
terreno. Era su quella sedia e sarebbe rimasto su quella sedia, e alla fine
avrebbe parlato con Draco.
Zabini alzò
le sopracciglia ma non protestò più. Il fuoco ardeva alto e caldo dietro di
loro, e la partita proseguì in silenzio.
Harry
attese. Carte schioccarono su carte, e passarono lunghe pause riflessive tra
uno schiocco e l’altro. Il fuoco era rovente e lo scoppiettio quasi
rasserenante. L’urgenza di parlare con Draco era ancora presente, e lui era
ancora nervoso e irritabile, ma sentì le sue palpebre abbassarsi quasi contro
la sua volontà. Era stanco, e adesso era al caldo e tutto era tranquillo.
Shh, shh, shh, diceva il fuoco, e
Harry continuò a guardare Draco e Zabini giocare a carte con gli occhi
semichiusi e un interesse alquanto distaccato.
Zabini
guardava attentamente Draco, gli occhi scuri e taglienti. Draco era appoggiato
all’indietro con uno sguardo di calcolata preoccupazione.
Sembrava che
fossero arrivati alla conclusione, finalmente.
“Ti
dispiacerebbe specificare qual è la posta in gioco?” indagò Zabini, e Harry
pensò che l’avesse guardato. Fece il suo sorriso malizioso.
“Mi piace
tenere vivo l’interesse,” rispose Draco.
“Ma io mi
preoccupavo per te, Draco,” disse Zabini, mettendo a terra le sue carte una
dopo l’altra.
“Mi
commuovi, Blaise.” Draco mise giù le sue carte. “Ma non è proprio necessario.”
Zabini si
bloccò, guardò le carte e si inumidì le labbra deliberatamente. Persino la sua
voce era morbida, e aumentò il sonno di Harry.
“Oh, beh.
Non è che mi dispiaccia poi così tanto,” ammise. “Allora, Draco… che cosa
vuoi?”
Draco
sorrise. “Voglio che esci,” rispose dolcemente. “Devo parlare con Potter.”
Zabini lo
fissò per un minuto, fece un verso esplosivo e irripetibile, si alzò e uscì in
fretta dalla stanza. Lo shock svegliò definitivamente Harry appena Draco si
alzò dalla sedia e lo guardò.
I suoi occhi
si abbassarono quasi subito, e restò in piedi davanti al camino con le mani
dietro la schiena, come se stesse concedendo udienza a qualcuno.
“Penso sia
giunta l’ora di fare quattro chiacchiere,” disse con una voce strana. “Le
ostilità tra i membri del Giovane Consiglio sono pericolose nella situazione
attuale. Dobbiamo riuscire ad andare d’accordo in modo civile, e a comunicare.
Mi rendo conto di aver reso le cose difficili, ma ero un po’ irritato. Sul
serio, non m’importa molto dei tuoi metodi di corteggiamento Grifondoro…”
“Draco,” lo
interruppe Harry deciso, “Mi dispiace tanto, tantissimo. Cosa posso fare per
sistemare le cose?”
Draco
sollevò gli occhi e sbatté le palpebre. Dopo un po’ disse, “Ti ho detto di non
chiamarmi così.” Fece una pausa, guardò accigliato il tappeto e proseguì come
se parlasse con se stesso, “Cosa intendi dire esattamente?”
Con suo
assoluto orrore, Harry si rese conto che non aveva idea di cosa dire. “Voglio
dire… Mi dispiace, non lo farò mai più, lo giuro,”
disse, e poi realizzò con eterno imbarazzo che stava diventando rosso. “Voglio
che torniamo ad essere amici,” esplose quasi ribellandosi, odiando le parole,
odiando un sacco di cose. “E’ l’unica cosa che voglio, non so a cosa ti
riferisci quando dici… quando dici corteggiamento, io non volevo…”
Alzò gli
occhi. Draco rimase in silenzio e qualcosa si incrinò sotto le costole di
Harry.
“Voglio solo
che torniamo amici,” ripeté disarmato. “Mi manchi,
stupido idiota.”
L’ultimo
pezzo non era proprio conciliante, ma era frustrato e si sentiva ridicolo e
perché con Draco tutto doveva essere così difficile?
Draco alzò
lo sguardo, e sul suo viso c’era un’espressione strana. “Credevo che gli amici
fossero sinceri tra loro,” disse, non più tanto calmo. “Avevo la netta impressione
che ti piacessero le ragazze.”
“E’ così!”
esclamò automaticamente Harry, prima di mordersi forte il labbro. “Cioè, non lo
so, forse. Non ci ho pensato molto. E’ tutto un po’ confuso…”
“Hai quasi diciott’anni, Potter,” disse Draco, facendo una smorfia
divertente con la bocca. “Cosa sei, sessualmente ritardato?”
Mi perdoni se lo sono?
“Sono stato
preso da altre cose,” rispose Harry offeso.
Draco
sospirò e si scompigliò i capelli, un chiaro segno di tumulto interiore. “E
allora perché l’hai fatto, esattamente?” domandò, e stavolta c’era una chiara
emozione nella sua voce, ma lui la spinse via e tornò freddo. “Era un
esperimento?”
“No… certo che no! Che idea hai di me?” Harry
quasi gridò, poi si ricordò che era in missione di pace. “Sei mio amico,” disse
in tono imbranato e sommesso. “Non lo farei mai.”
“Beh,
perdonami, Potter, ma sono un po’ confuso riguardo ciò che faresti e non
faresti, al momento. E per un periodo piuttosto lungo non sei stato così
ansioso di essere mio amico,” disse Draco conciso. “Qual era lo scopo della
gita in barca e del picnic, allora?”
Harry si
chiese se Draco fosse stato colpito da amnesia.
“Ehm, tu hai
paura dell’acqua, Draco. Pensavo che avrei potuto aiutarti. Pensavo che ti
sarebbe piaciuto il picnic. L’ho
fatto perché… aspetta un attimo, secondo te
quel era l’obiettivo?”
Draco gli
lanciò un’occhiataccia.
“Hai una
mente malata e sospettosa,” disse Harry, scosso.
“Mirare in
alto non mi ha mai ripagato,” ribatté Draco.
“Beh, non
farei mai una cosa simile,” gli disse Harry, arrabbiato. “Mai. So di aver sbagliato e so che sei furioso o disgustato o
qualsiasi cosa, ma non avrei mai tramato qualcosa e ti giuro, ti giuro che non ci proverò mai più.”
Draco parve
vagamente intrigato. “Davvero non sapevi che…”
“No,” tagliò
corto. Pensava di averlo già messo in chiaro. “Non ne avevo idea.”
Draco fece
un’altra smorfia strana con la bocca, ma stavolta con aria un pochino
divertita. “Allora cos’è, stai attraversando una specie di crisi?”
“Non rompere,”
mormorò Harry, e poi ricordò che era stato lui a introdursi in quella stanza
per chiedere di parlare.
“E davvero
non intendevi…”
Quell’insistenza
su argomenti già trattati era morbosa.
“Ho detto di
no,” disse Harry. “Continuo a ripeterlo, ma non mi ascolti. Non lo sapevo, non
volevo farlo e non avrei mai fatto nulla che potesse turbarti, e mi dispiace, e sono venuto qui solo per
chiederti di tornare amici, ma se non vuoi…”
“Supponiamo
che voglia,” disse lentamente Draco.
Harry si
fermò e lo guardò fisso. Draco era un po’ imbarazzato.
“Beh, non
posso smettere di essere tuo amico se stai passando un periodo di crisi,”
continuò, quasi sulla difensiva. “Sarebbe crudele.
Hai bisogno di supporto. Altrimenti,” aggiunse in tono riflessivo, “potresti
impazzire.”
Harry alzò
gli occhi a cielo e non fece alcuno sforzo per controllare il suo enorme e
ridicolo sorriso. “Non impazzirò, Draco.”
“Potresti,”
replicò testardamente Draco. “Sei abbastanza scemo da fare qualsiasi cosa. E
poi…” si fermò per soppesare le parole. “Suppongo che sia stato esposto ad una
tentazione quasi irresistibile.”
“Sta’
zitto.”
“Dopotutto,”
proseguì Draco, affascinato dall’idea del proprio fascino, “Sono favoloso,
meraviglioso, delizioso.”
“Sta’
zitto.” Harry si interruppe e disse impacciato, “Allora è tutto a posto?
Amici?”
Draco
sorrise all’improvviso, luminoso. “Amici.”
Harry si
afflosciò per il sollievo proprio nel momento in cui l’orologio batté le dieci.
“Oh,
maledizione, devo andare,” disse, con estrema riluttanza. Stupidi orologi.
Stupido tempo. Stupido coprifuoco. Era tutto un sistema male organizzato.
“Senti, possiamo parlare domani? Possiamo parlare a colazione? Io…”
“Aspetta,”
lo interruppe Draco, pensieroso. “Se ti va, puoi restare.”
(***)
Le poesie
nella mente di Draco esistono realmente e sono, nell’ordine:
- la
composizione per pianoforte “We conquer
or die” di James Pierpont (1861)
- “Alone” di
Edgar Allan Poe
- “High Flight” di John
Gillespie Magee (1941)
- una poesia
della poetessa russa Marina Tsvetaeva (1908-1910)
I pezzi
erano in inglese, le traduzioni sono mie :)
Maya è
davvero crudele...
Cari
lettori, c'è il rischio, per ora quotato al 5%, che il prossimo capitolo tardi
di qualche giorno. Ovviamente farò il possibile e l'impossibile per far ciò che
non accada, ma voi siate pazienti!
E
COMMENTATE!!!
(per favore
;_; )