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Autore: roxy92    20/10/2012    2 recensioni
Chi ha sbirciato la fic che ho cancellato prima avrà una vaga idea di come scrivo. Mi piacciono le cose che non piacciono alla massa, trattate in modo non ordinario. Io lo so che me le cerco, ma ognuno, quando libera la fantasia, produce i risultati più disparati. Il mio è questo.
Dal prologo:
"Quando non ricordi il tuo passato, è come se un macigno fosse sempre in procinto di caderti addosso. Ce l’hai sospeso sopra alla testa, trattenuto da un filo sottile. Il terrore che il presente sfumi come il tempo trascorso è una morsa che attanaglia lo stomaco e a tratti non fa respirare.
Se sei abbastanza forte, ore, giorni, minuti e secondi, ti scivolano addosso come se il tempo non esistesse. Le tue mani sembrano vuote ai sentimenti e ti ritrovi sempre a stringere il niente. Non hai nulla per cui vivere e nulla per cui morire."
Io mi metto alla prova nel disperato tentativo di creare qualcosa che superi almeno le più basse aspettative... Qualcuno di voi mi da una mano e mi dice che ne pensa? Anche sapere se è meglio lasciar stare... Se ne avete il coraggio, buona lettura. :)
Genere: Avventura, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Piccolo, Un po' tutti
Note: AU, OOC, What if? | Avvertimenti: nessuno
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Il vero inizio dello scontro.

Perdonatemi per il ritardo per gli aggiornamenti. Questo è l'inizio della fine, scritto di getto. Spero possa piacere.

Se però vi aspettavate un epilogo normale, temo abbiate sbagliato storia. Magari fatemi capire comunque che ne pensate, in bene o in male.

PS: Forse Piccolo è OOC, ma c'è da sempre questo avvertimento. :)

Impressione? No, non lo era. In quel modo la ragazza faceva il triplo della fatica: doveva avvertire i due sayan e ancora lui.

Ossevando le minuscole gocce di sudore che iniziavano a imperlarle la fronte, imprecò contro se stesso, per non essere in grado di gestire la situazione da solo.

Era lì per aiutarla, non per farla indebolire di più. Si concentrò di nuovo quando la percepì tornare da sé.

Il sussurro ai suoi orecchi gli apriva gli occhi su quei ragazzetti da colpire: alcuni non avevano sentimenti, altri tremavano e si disperdevano come sabbia ai pugni suoi e dei compagni.

“Galen, quanti ce ne sono ancora?”

La ragazza sorrise e non gli rispose: non lo sapeva. Sparendo di nuovo, causò al namecciano una nuova preoccupazione.

Piccolo spostò lo sguardo alla propria destra.

Haldir restava immobile come una statua, ipnotizzato a guardare un punto preciso dell'orizzonte. Pareva non esserci tracccia di emozione sul suo viso, solo una concentrazione assoluta che lo portava dentro e all'esterno di se stesso.

Lentamente si spogliava della casacca per restare a torso nudo. Il figlio di Al Satan si concesse un istante per osservare gli strani simboli che ornavano il suo corpo.

Erano simili a fregi concetrici che partivano dal lato del cuore e si irraggiavano su tutto il suo petto, fino alla schiena, dipinti a tratti larghi e neri. Intervellati a segni di vecchi morsi e oscure cicatrici, sembravano trame studiate ad arte per imbrattare un corpo perfetto.

Piccolo deglutì. Il cuore di Haldir: si rese conto che aveva un battito strano. Non un solo ritmo, non una anomalia: in quello era come se si sovrapponessero i cuori di due diversi esseri. Il namecciano, in collegamento mentale col supremo, comprese e inorridì.

Quell'orrendo tatuaggio non era solo un disegno, ma qualcosa di vivo, che rubava la vita all'ospite come un parassita. Ne avvertì la sinistra aura pulsare e, tra i due battiti cardiaci, uno affievolirsi.

Il nome di Haldir sfuggì alle sue labbra e Galen lo raggiunge, rassicurandolo.

“Il maestro sa ciò che fa. Quella è la sua bestia, la parte peggiore di sé che riesce a comandare.”

Il guerriero annuì e non ebbe il coraggio di contraddirla: quella cosa veniva da Haldir, si, ma lo stava corrodendo. Era la radice della sua forza, ma sarebbe anche stata il motivo della sua morte.

Certo era che, se l'avesse usata bene, insieme a lui quella cosa poteva portare chi lui desiderava all'altro mondo.

“Proteggila sempre.”

La voce baritonale di Haldir risuonò nella mente di Piccolo e il guerriero accettò semplicemente la sua preghiera.

“Tienila lontano da me quando arriverà il momento e non permettere che la sua anima diventi nera come la mia.”

Lasciò che la bestia iniziasse ad allontanarsi lentamente da quel posto. Ne intravide le lame crescere in potenza mentre gli dava le spalle, i suoi capelli scompigliati drappeggiavano il suo corpo.

Era assurdo che Galen non capisse cosa stava accadendo al suo maestro, ma Haldir le aveva insegnato l'uso della spada e non la magia oscura. Piccolo posò la mano con forza sulla spalla della ragazza, con lo scopo di rincuorarla e non renderla consapevole.

“Tieni duro. Sono sicuro che ne restano davvero pochi.”

Si lasciò uscire uno dei suoi rari sorrisi, mentre lei riprendeva fiato. Le sfiorò la guancia col dorso delle dita, facendola arrossire. La ragazza non doveva percepire cosa stava accadendo realmente. All'improvviso, però, Galen spalancò gli occhi e restò immobile.

“Il re è qui!”

Esclamò, girandosi di scatto. Era pronta a raggiungerlo, quando fu bloccata per il braccio. Il pugno di Piccolo allo stomaco la fece piegare su se stessa, tra l'incredulità dei sayan.

“Andiamo via.”

Spiegò ai compagni, prendendo la ragazza in braccio e facendosi scuro.

“Ma...gli avversari non sono ancora finiti. Se non li blocchiamo tutti, Haldir si troverà in difficoltà.”

Era una cosa troppo complicata per farla comprendere a Goku, in quel momento.

“Haldir ha cambiato strategia. Non gli importa di questi avversari. Ha comunque un modo per sistemare tutto da sé.”

Il sayan, però, si era accorto della sua mano che fremeva.

“Intendi lasciare che si sacrifichi, giusto?”

A quelle parole e al silenzio del namecciano, Gohan impallidì.

“Se continuiamo di questo passo, Galen sarà presto senza energie e noi saremmo comunque perduti. Così, invece, i simili di Galen e Haldir possono scegliere se restare a combattere col loro re oppure andarsene.

Vivere o morire sarà una loro scelta e non una responsabilità degli altri. Galen vuole vivere libera dal peso di quella scelta e Haldir vuole conferirle questa libertà. Io intendo rispettare questo proposito, in tutto e per tutto.”

Detto ciò fece cenno di seguirlo in volo per raggiungere l'obelisco. Salutarono Dende con un viso funereo.

Il supremo già sapeva e non ebbe il coraggio di aggiungere altro. Solo, il giovane posò la mano sulla fronte della ragazza svenuta tra le braccia di Piccolo.

“La farò dormire un altro po'. Ne ha bisogno.”

In realtà, voleva che non si svegliasse nel momento esatto in cui l'aura di Haldir, cresciuta come una supernova, sarebbe esplosa portandosi appresso quella del suo re.

Piccolo non era ancora in grado di sostenerla abbastanza da accettare quel dolore. Anche lui aveva bisogno di riposo.

Doveva ancora capire a pieno per quale motivo si accetta consapevolmente un potere maligno allo scopo di usarlo a fin di bene.

Lo lasciò fare, mentre raggiungeva una delle stanze private con la scusa di adagiare Galen su di un letto comodo.

Il namecciano raggiunse una delle aree più interne del tempio sacro. Scelse una sala dalle pareti bianche ed essenziali. La pose sopra le coperte candide e la guardò riposare placidamente.

Era bella e fragile come una semplice umana. Sarebbe stato più facile se lo fosse stata per davvero.

Le sfiorò la fronte e la abbandonò nel silenzio intimo di quella camera, prima di dirigersi verso la stanza dello spirito e del tempo.

Arrivato li, si richiuse la porta alle spalle e si buttò su una sedia dall'alto schienale. Non voleva allenarsi. Bisognava però che restasse solo.

Chinò il capo in avanti e afferrò il capo tra le mani. Poi, in un impeto di rabbia, gettò via copricapo e mantello. Urlò il suo nome, quello di Galen e quello di Haldir. Anche quello di suo padre.

C'era così tanta furia in lui da devastarlo. Impotente, lasciò che le lacrime sfuggissero al suo controllo. Doveva liberarsi in fretta di quei sentimenti negativi e assurdi, presto, prima che Galen si svegliasse.

Ripensò al suo viso delicato, immobilizzato nella morsa del sonno. Ringhiò di lacrime e ira, sentendosi impotente.

Niente. Non era stato in grado di fare niente per opporsi agli eventi. Anni di allenamenti massacranti si erano rivelati il nulla.

Eppure, in una stanza vicino a lui, qualcuno lo aspettava.

“Solo un altro minuto.... un altro minuto ancora.”

Spiegò a se stesso, riuscendo finalmente a calmare la propria furia. Poco dopo, era in piedi, le sue dita sul pomello della porta.

Percepì chiaramente quell'esplosione tremenda e chiuse gli occhi, maledicendo se stesso per aver abbandonato quel pazzo, ma aveva avuto le sue ragioni.

Di una cosa, però, fu grato al cielo: pace.

Fu quella la sensazione che percepì, mentre l'aura di Haldir partiva per sempre da quella terra.

  
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