Ed ecco
la traduzione del secondo capitolo di questa meravigliosa fic.
Grazie
mille a chi ha commentato, sappiate che ho già girato
i commenti a Henna e vi ringrazia con tutto il cuore…per lei è molto importante
sapere cosa pensino i lettori delle sue storie J
Non
vi faccio aspettare oltre, buona lettura!
Feda
Facciamo un gioco
Diciotto
ore trascorsero in esasperante lentezza, dopo la sua nottata insonne, e Temari passò la giornata a svolgere incarichi e commissioni con una
silenziosa e rassegnata dedizione, pensando a cosa sarebbe successo quella
notte.
Quando
finalmente fu l’ora del suo turno, tornò al confine piena
di adrenalina e determinazione.
Il
suo zaino era più pesante e più grande di quello della notte precedente,
contenente un maggior numero di bombe luminose, petardi, fili e il maggior
numero di kunai e di shuriken che riuscì a cacciarvi
dentro. Lasciando accesa la torcia dietro di lei, rafforzò il nodo allo
scialle, si sedette sulla sabbia e attese.
La
prima ora passò pericolosamente veloce, il tempo scorreva in una
frettolosa nuvole di energia, dopo essersi fatta un’iniezione di un
potente stimolante. Studiato per avere un effetto immediato, l’eccitante agiva sugli shinobi stanchi, per permettergli
di lavorare efficientemente—aveva gli stessi effetti della caffeina, solo che
il liquido iniettato era leggermente più potente e duraturo.
Rinvigorita
e tesa, Temari restava in attesa, ignorando gli
scorpioni che combattevano sotto la torcia, lo sguardo fisso soltanto sulla
luccicante pozza d’acqua dell’oasi.
All’1:45 lanciò la prima fiammata, mirando all’angolo dove lui
aveva passato la maggior parte del tempo la sera prima.
Si
era fatto vedere costantemente poco dopo le due di notte, nelle ultime tre
sere, e lei voleva sorprenderlo nello stesso momento in cui sarebbe arrivato.
Conoscendo l’odiosa tempra dell’uomo, qualcosa le diceva
che avrebbe camminato dritto verso la fiamma, giusto per mostrarle il suo
palese menefreghismo nei confronti dei suoi ordini.
Lei
ci sperava davvero.
Avanti, stronzo, mormorò, il suo respiro che si condensava nel vento.
Ti sto aspettando.
Mezz’ora dopo, Temari decise di distogliere lo
sguardo dalla cascata di luce cremisi giusto il tempo per aprire la sicura di
un’altra bomba.
Nel
momento in cui prese lo zaino e vi infilò la mano per
estrarla, facendo passare il dito nella fessura della sicura, lanciò
un’occhiata al cerchio di sabbia illuminato di rosso e gelò sul posto.
Lui
era esattamente nel mezzo, la testa piegata da un lato e lo sguardo rivolto nella
sua direzione.
C’era
una nota di divertimento nella sua voce, quando parlò.
-
Ehi, sei di nuovo tu, pazza furiosa con le bombe?-
Temari
ebbe uno spasmo, e la risposta alla domanda fu un’altra fiammata che tracciò
una spirale in aria ed atterrò vicino alla prima, che si spense un paio di
secondi dopo.
- Heh, lo sapevo.- disse tra sé, sembrando compiaciuto.- Stai
di nuovo cercando di darmi fuoco?-
-
Solo se mi dai un motivo per farlo.- replicò lei in tono piatto.
-
Mi pare giusto.- disse in tono quasi soddisfatto.-
Seriamente, questa roba fa comodo. Non si vedeva un cazzo, prima.-
Sembrava
di buonumore. La cosa la irritò notevolmente.
Quando
lei non rispose, lui si voltò e si diresse al margine dell’oasi per appoggiare
a terra la sua falce. Con una rapida mossa, si tolse il cappotto, gettandolo
con malagrazia sulla sabbia.
Quando
il suo torso nudo entrò nel suo campo visivo, il
sangue nelle vene di Temari raggelò.
Nonostante
la distanza che li separava, riuscì a mettere a fuoco qualcosa di nero che gli
ricopriva il torace e il braccio sinistro, sembrando quasi un tentativo
malriuscito di pittura corporea.
Senza
degnarla di uno sguardo, l’uomo si inginocchiò sulla
riva della pozza, e invece di immergersi in acqua, prese in mano una manciata
di sabbia.
Esterrefatta,
Temari lo guardò mentre allungava il braccio sinistro
e spalmava la sabbia sulla sostanza oscura che lo ricopriva. Capì cosa fosse nel momento in cui lui iniziò a strofinare la sabbia.
Sangue
asciutto e raggrumato, mischiato con i ruvidi granelli di sabbia; la sua pelle
si liberava di quella sporcizia sottoforma di pezzetti di
sabbia scura e umida che cadevano al suolo.
Temari
osservò il suo braccio tornare di un bianco candore in circa cinque minuti, e
sentì i corti capelli alla base del collo drizzarsi quando
lui afferrò con accuratezza un’altra manciata di sabbia e le la spalmò sul
petto, strofinando vigorosamente.
Il
sangue scivolava via dal suo corpo come una pioggia corvina.
Lui
era metodico e accorto, deliberatamente e volutamente lento nei movimenti,
mostrandosi a lei, innervosendola, spaventandola.
Per
quanto ne sapesse, a Temari non sembrava che avesse alcuna ferita che
giustificasse l’ingente quantità di sangue che aveva addosso, e qualcosa si
strinse nel suo stomaco nel momento in cui si chiese da chi provenisse quel
sangue.
Domande,
domande simili a quelle che le aerano venute in mente ad otto anni dopo aver
visto il corvo con quella grande cosa rossa e
penzolante nel becco, bussavano alla porta delle sue labbra.
Di chi è? si domandò. Dove l’ha preso?
Lui
continuò a strofinarsi il torace per dieci minuti buoni, e una volta che fu
completamente pulito si sporse in avanti bagnò con l’acqua della pozza prima il
braccio e poi il collo, eliminando ogni residuo di polvere o sabbia che ancora indugiavano sulla sua pelle d’alabastro.
Il
rumore dell’acqua sembrava surreale, ora che Temari poteva
vederne la causa. Sembrava lontano, dome se provenisse da sottoterra. Riusciva
a malapena a sentirlo, sovrapposto al rumore del sangue che scorreva nelle sue
vene e che le rimbombava nelle orecchie.
Lui
continuò a gettarsi addosso spruzzi di acqua gelida
senza guardare in direzione della jounin, concentrandosi cu ciò che stava
facendo.
Poi,
dopo pochi minuti, fece riemergere le sue mani dall’acqua e le passò tra i capelli, prima di sedersi nella sabbia.
Consapevole
che lei lo stava guardando, lo stava fissando,
consapevole di irritarla, con indifferenza si tolse qualcosa che aveva intorno
al collo, stringendolo tra le mani e abbassando la testa davanti ad esso.
Pregando.
Cosa stai facendo? pensò Temari imbambolata. Cerchi di mostrarmi la tua apatia? Cerchi di
mostrarmi che hai appena ucciso qualcuno? Stai provando a farti odiare? Beh,
sta funzionando, figlio di puttana. Sta funzionando alla grande.
Nel mentre
che lui pregava, l’acqua tornò quieta, piatta come un lenzuolo di vetro nero.
Da qualche parte nelle sue profondità, la nera e sabbiosa sporcizia tolta dal
suo corpo stava inquinando la pozza, diffondendosi e avvelenandone le acque.
In
futuro, quando avrebbe ottenuto il permesso di varcare la frontiera, Temari si disse che non avrebbe più bevuto o fatto il bagno nell’oasi.
Ovviamente
lei aveva ucciso delle persone, e ovviamente c’erano state occasioni in cui si
era trovata ricoperta di sangue. Ma non ne era mai stata
felice. Non uccideva mai, a meno che non fosse
necessario. Non sarebbe mai andata in giro mostrando gli schizzi cremisi come
dei normali distintivi.
Ma
lui—lui si era tolto di dosso i residui della vita di qualcuno come se fossero
state macchie d’inchiostro, lavandosi metodicamente come se l’avesse fatto
migliaia di altre volte. Quante volte era stato all’oasi prima che le guardie
fossero posizionate lì? Quante occasioni aveva avuto
per immergervisi, quest’uomo che uccideva qualcuno e sorrideva l’istante dopo?
Improvvisamente
Temari non sentì più freddo. Sentiva qualcosa che era un po’ furia, un po’
disgusto e un po’ paura. Le dipingeva il viso di una tinta rossastra, amara
come il veleno, e la faceva sentire così nauseata da chiedersi se non fosse
stata pizzicata da uno degli scorpioni di prima.
La
rabbia l’avrebbe presto sopraffatta, avrebbe forzato le sue labbra per
costringerla ad urlare, ma questa cosa
al contrario le serrò la gola, le incollò le labbra e
soppresse la sua voce. Le fece aumentare i battiti del cuore e attenuare la
presa sul ventaglio.
Non
si era mai sentita così.
Temari
rimase in silenzio fino a quando il cielo non iniziò a
schiarirsi, un paio d’ore dopo. Fino a
quel momento, il suo unico movimento era stato lanciare una fiammata
quando quella precedente dava cenno di spegnersi.
Lo
aveva fissato intensamente per due ore, sentendosi leggermente stordita dalla
bruciante emozione che aveva cancellato ogni suo pensiero coerente e l’aveva
ammutolita.
Che diavolo è? si chiese. Sono forse malata?
I
suoi pensieri cessarono quando, come la notte
precedente, si spostò quando le morbide forme delle dune divennero visibili nel
buio.
L’atmosfera
era pacifica e silenziosa, eccezion fatta per il debole crepitio della sabbia
mossa dal vento, i granelli vorticanti quasi avevano seppellito il suo cappotto
e la sua falce. Con noncuranza estrasse entrambi dalla
prigione di sabbia, sbattendo un po’ il cappotto nel vento
prima di metterselo.
L’ultima
fiammata sputò l’ultimo rigurgito di luce, prima di
spegnersi. Lui, tranquillamente, guardò nella sua direzione.
Data
la sua postazione, e data anche la lucentezza del cielo e la fiamma viva della
torcia, probabilmente lui riusciva a vederla appoggiata contro il bastone quasi
con chiarezza. Temari poteva solo fissarlo a sua volta, la
sensazione dentro di lei peggiorava ad ogni istante.
Poi,
prima che lui si voltasse per andarsene, Temari chiese:
- Di chi era?-
Lui
si fermò, e si voltò, la testa leggermente inclinata di lato.
Temari
non disse nient’altro, sapendo perfettamente che aveva capito ciò che lei
voleva dire.
Ci
fu un attimo di silenzio e, quando rispose, sembrò tranquillo.
-
Non sapevo il suo nome.-
Quando
Temari non disse nulla, si incamminò nel deserto e
sparì tra le dune.
Il
corvo è un uccello che banchetta sulle carogne. È uno spazzino.
Lui
era diverso. La carne era ancora calda, pulita, e libera da insetti. Come un
corvo, era intelligente, non lasciava tracce, non lasciava
alle sue vittime nemmeno il tempo di urlare.
Il
corvo è un ingannatore.
In
quell’aspetto, erano uguali. Lui attraeva e parlava con finta dolcezza,
intessendo una ragnatela di fiducia con le sue parole gentili. Amichevole e
compiacente, ispirava una sensazione di agio nelle sue
vittime, nascondendo una torbida natura dietro un bel viso. Anche
se lei ancora non lo aveva visto bene.
Non
era uno spazzino—il tipo che lasciava agli altri il lavoro sporco. Era un corvo
a cui piaceva la caccia, era un predatore.
Temari
smise di pensarci quando si accorse che di nuovo non
riusciva a dormire.
Quel
sentimento bruciante non le dava tregua, gettando stille di
veleno nella sua bocca finchè non si sentiva quasi sul punto di tossire.
Temari
aveva diciotto anni e non era mai stata innamorata. Questo l’aveva portata a credere che l’amore fosse qualcosa di estremamente raro,
qualcosa di incontrollabile e sopraffacente. Doveva essere un’emozione
incredibile, uscire dalla piattezza della vita quando
meno te l’aspetti. Doveva essere indescrivibile. Il vero amore doveva essere
così raro.
Mentre si
metteva a sedere sul letto e guardava la luce che filtrava dalle tende scure,
toccandosi la gola secca, Temari riconobbe la bollente e oppressiva sensazione,
nonostante non l’avesse mai sperimentata prima, capendo all’improvviso che era
qualcosa di più raro, più forte e più feroce dell’amore.
Sono presa dall’odio. Totalmente in
odio. Lo odio.
Prima
di allora, lei non aveva mai odiato nulla per davvero.
Aveva
sentito qualcosa di simile per quel maledetto ninja che aveva tradito il loro
villaggio, e durante l’infanzia si era infantilmente detta di odiare Gaara per
essere un mostro egoista.
Occasionalmente
diceva “odio il freddo”, o “odio i leccaculo”.
Ingenuamente, aveva pensato che l’odio fosse un sentimento che tornasse comodo
a qualcuno con un lavoro come il suo, dove la durezza era un requisito
fondamentale e l’assassinio la quotidianità.
Non
sapeva che l’odio, quello vero, la potesse far sentire così male.
Non
pensava che il vero odio non l’avrebbe fatta dormire,
o che avrebbe svegliato dolorose torsioni dello stomaco ogni volta che lei
richiamava alla memoria il suono della voce di lui.
Non
sapeva che il vero odio l’avrebbe resa così debole,
che la rabbia e la furia erano semplici componenti di un più grande disgusto
che diventava irrilevante quando si parlava di odio vero.
Non
pensava che con il vero odio le lacrime sarebbero rimasta
imprigionate negli occhi e le urla che si facevano strada dalla gola si
sarebbero ammutolite quando le accarezzavano le labbra.
Solo ora
che lo provava, sapeva che quando e se avesse avuto l’occasione di ucciderlo,
avrebbe riso.
Avrebbe
riso, e sorriso, senza rimorsi, e l’improvvisa realizzazione
la terrorizzò.
Era
violentemente presa dall’odio, e la cosa che più la preoccupava era il
manifestarsi dei sintomi fisici di solito associati all’amore.
Da
quando tornava a casa, l’unica cosa a cui era in grado di pensare era ciò che
lui le aveva detto nelle ultime ore, e come lui era
rimasto seduto al bordo dell’oasi, così tranquillo e pacifico nonostante avesse
appena ucciso qualcuno.
La
doleva la testa, i battiti del cuore acceleravano, le guance si
infiammavano.
Non
riusciva a dormire.
Non
riusciva a mangiare.
Non
riusciva a cacciarlo fuori dalla sua testa.
La
linea che divide l’odio dall’amore è davvero sottile,
no?
Temari
avrebbe voluto riempire di pugni il cretino che aveva affermato un’idiozia del
genere. La prospettiva di questo terribile e abominevole
sentimento di repulsione trasformarsi in qualcosa come affetto e amore
era semplicemente ridicolo.
Solo
un motivo—era tutto ciò di cui aveva bisogno. Doveva soltanto darle una buona
motivazione per varcare il confine e l’avrebbe ucciso.
Conoscendolo, era sicura che non sarebbe tardata ad
arrivare.
Temari
non si rendeva conto di stare perdendo il controllo delle proprie emozioni.
All’accademia
le era stato insegnato che gli shinobi dovevano essere calcolatori e privi di emozioni, non dovevano mai lasciare che sentimenti come
l’amore o l’odio influenzassero il loro giudizio.
Temari
era un ninja esemplare, ma aveva oltrepassato di molto il confine dell’odio.
Era una questione personale, che aveva ormai sepolto le idee e gli insegnamenti
con cui aveva vissuto. L’Akatsuki l’aveva quasi
privata degli ultimi membri della sua famiglia e si sentiva in diritto di
odiarli. E adesso che uno di loro era a portata di mano, il sapore della
vendetta e della soddisfazione era troppo invitante per
resistervi.
Ogni notte pensò, divorata dall’impazienza. Ogni notte. Sarò pronta per lui. Solo una ragione, mi basta questo.
Solo una valida ragione e sarà tutto finito.
A
questo pensiero Temari si rilassò, i suoi battiti rallentarono e le spalle si
distesero. Si sdraiò sui cuscini, chiuse gli occhi e si addormentò in pochi
minuti.
Pochi
minuti dopo, quando le sue mani si chiusero in due stretti pugni contro il
lenzuolo, sognò di un corvo che mangiava pezzi di carne rossa e lucente su di
un piatto d’argento.
Il
resto del giorno passò come tutti gli altri, normale, a parte l’impazienza che
di tanto in tanto traspariva da sotto la sua apparente tranquillità. A un certo punto, durante la cena, Kankuro le chiese perché
sembrava così distante.
-
Sono stanca.- rispose vagamente, prima di sparire nella sua stanza ad attendere
la mezzanotte.
Quando si
trovò finalmente alla sua postazione, la sua determinazione non fece che
aumentare. I suoi occhi lacrimavano per via del vento, ma si rifiutava di
sbattere le palpebre, per la paura che in quella breve frazione di secondo lui
sarebbe arrivato all’improvviso. Si sentiva
rassicurata dal peso del ventaglio e dello zaino pieno di armi
sulle sue spalle.
Si
sentiva come se potessero arrivarne cento come lui, e lei li avrebbe
sconfitti tutti.
Con
la ricetrasmittente avvisò i compagni di restare ai loro posti fino a nuovo
ordine. Non si sarebbero più stati cambi di postazione.
Leccandosi
le labbra, Temari si sedette sulla sabbia davanti alla solita torcia, fissando
intensamente i due cerchi di luce rossa disegnati dalle due fiammate che aveva
lanciato.
Mentre
osservava il loro riflesso nell’acqua, si domandò quanto sangue lui avesse
gettato nelle profondità della pozza, quanto sangue avesse diffuso in quella
liquida oscurità.
Di chi era? Di quanti? Quante persone ci
sono là sotto, figlio di puttana?
Temari
si rese vagamente conto che le sue pulsazioni stavano accelerando, lo stomaco
torcendosi in spasmi. Inspirò lentamente per rallentare la velocità del sangue.
Quando
aprì gli occhi e vide il display dell’orologio lampeggiare le 2:00 del mattino, avvertì un senso di nausea.
L’impazienza
era così insostenibile che si sentiva tentata di
andarsene a fare un giro per ricomporsi, dato che non si riconosceva più, in
quel turbinio di emozioni.
Vero
odio? Sì, doveva essere vero odio, perchè regnava l’eccitazione, perchè il suo
stomaco si contorceva e il suo cuore accelerava e le
sue guance si arrossavano, perché non vedeva l’ora che arrivasse, perché non
vedeva l’ora che lui facesse qualcosa così anche lei avrebbe potuto fare
qualcosa.
Ucciderlo.
Odio a prima vista. pensò ironicamente, la
vocina nella sua testa squittiva in falsetto. Così passionale. Così sopraffacente. Così intenso. Sento la tua voce
prima di andare a dormire. Voglio toccarti, così posso
farti soffrire. Non riesco a smettere di pensare a te perché continuo a
fantasticare sul modo migliore per ucciderti. Oh, tesoro, ti prego,
torna. Ti odio così tanto.
Il
vento sembrò ululare una risata, spostando lo scialle dal suo viso. Temari rise
con lui.
-
Perché cazzo stai ridendo, pagana?-
Il
sorriso sul suo volto svanì all’istante e i suoi occhi si spalancarono
quando lo trovò in piedi nel bel mezzo della luce dei fuochi, la testa
inclinata da un lato e le braccia incrociate al petto.
Bestemmiando
sottovoce, Temari si schiaffeggiò mentalmente per essersi fatta cogliere di
sorpresa per la seconda notte.
-
Ah, ho capito!- esclamò, sembrando divertito quando
lei non rispose.- Sei felice di vedermi!-
Per
un attimo Temari non riuscì a rispondere, lo shock iniziale che si trasformava
in incredulità di fronte alla sua sfacciataggine. Ma
Temari della Sabbia non era certo famosa per la sua mansuetudine, e si
ricompose un attimo dopo.
-
Entusiasta.- sibilò.- Deliziata.-
Anche se
non riusciva a vedere chiaramente il suo viso, Temari lo sentì sogghignare.
-
Voi ninja di Suna avete qualcosa di speciale, davvero. Quei ninja della Foglia
si sarebbero cagati addosso a quest’ora.-
-
Le lusinghe non ti porteranno da nessuna parte.-
-
Non riesci nemmeno ad accettare un complimento?-
-
Non voglio niente da te.-
- Ma voi guardie non dovreste scambiarvi di turno o qualcosa
del genere? Oppure continui a tornare solo per guardarmi mentre mi faccio il
bagno?- chiese, poi sorrise.- Pervertita.-
-
Continuo a tornare- disse freddamente Temari.- perché aspetto che tu mi dia una ragione per
ucciderti.-
-
Dev’essere stressante avermi così a portata di mano e no
poter fare assolutamente un cazzo.- disse strascicando le parole ed indicando
la breve distanza tra loro.
-
Me ne darai occasione.- disse fermamente convinta.- Presto.-
Lui
rise.
-
Non ho intenzione di fare niente.-
-
Farai qualcosa.-
-
Lo dici come se volessi che lo facessi.-
E lo voglio,
eccome! pensò
Temari. Non hai idea di quanto io lo voglia.
-
Conosco la gente come te.- disse invece.
-
Ok, va bene, puoi tranquillamente continuare a venire qui
a gelarti il culo nell’attesa che io faccia qualcosa.- disse con indifferenza,
rimuovendo la falce e lasciandola cadere sulla sabbia.- Ora, ho delle cose da
fare.-
In
qualche modo, Temari sentì freddo soltanto a guardarlo mentre
si lavava, rannicchiandosi più vicino alla torcia mentre lo guardava
cospargersi di sabbia e lavarla pi via con l’acqua gelata.
Un altro annegato pensò inespressiva mentre la
superficie dell’acqua correva a incresparsi. Un altro—e il bastardo è felice.
Quando
finì e si sedette a gambe incrociate nella sabbia Temari rabbrividì,
domandandosi come riuscisse a sopportare il vento
freddo sulla pelle bagnata.
Improvvisamente
lui alzò lo sguardo e lei sbattè le palpebre quando si rivolse a lei.
-
Le ho chiesto il nome, stavolta.- disse con indifferenza.- Si
chiamava Mai. Qualcuno che conoscevi?-
Temari
lo fissò, momentaneamente senza parole.
Oh dio ti odio
figlio di puttana ti odio ti odio ti odio vaffanculo a questo confine voglio
venire lì e farti soffrire—
La
jounin chiuse gli occhi e fece un respiro profondo, mettendo
a tacere il caos nella sua testa, poi li aprì di nuovo e lo fissò.
-
Sei uno psicopatico.- disse semplicemente.
- E tu una stronza. Siamo pari.-
Temari
sussultò.
-
Tu…-
-
Dopo.- la interruppe, abbassando riverente la testa verso l’oggetto nelle sue
mani.- Prima devo pregare.-
Temari
si zittì.
Normalmente
non avrebbe sostenuto un discorso fatto di insulti
restando seduta, ma se lo faceva era a causa del cappotto.
Quell’uomo
era un membro dell’Akatsuki, e a giudicare da ciò che le avevano
detto gli alleati di Konoha, erano considerati gli shinobi più pericolosi del
continente. Il cappotto ne era un simbolo.
Temari
sentiva il disperato bisogno di ucciderlo, ma non era così stupida da
provocarlo a caso. Nonostante avesse deliberatamente
ignorato il protocollo e le ideologie che aveva seguito per tutta la vita fino
ad ora, non avrebbe rinunciato al piacere di una morte lenta.
Quelli
come lui erano più pericolosi quando erano arrabbiati.
Meglio
concentrarsi su questo.
Rincuorata
dai suoi ragionamenti, Temari si rilassò e si appoggiò al bastone della torcia.
Passarono
in silenzio quasi due ore e ad un certo punto Temari fu costretta a pizzicarsi
il braccio per non addormentarsi. Con il calore della fiamma e la morbidezza
della sabbia sotto di lei era difficile mantenere la concentrazione.
E con sua
somma rabbia, lui non aveva fatto nulla di lontanamente sospetto: si era
limitato a rigirarsi l’oggetto tra le mani (un rosario) e nient’altro.
Non
si prese nemmeno il disturbo di alzare lo sguardo quando
lei lanciò un’altra bomba luminosa.
Quando
finalmente si mosse, il cielo si era colorato del
solito blu metallico, e le ultime fiammate si erano ormai spente. Due colonne
di fumo identiche disegnavano draghi di fumo nell’aria
fresca del mattino.
Quando il
fumo divenne chiaramente visibile, Temari fu presa da un senso di delusione e
arrendevolezza. Si sporse in avanti, stringendo un pugno si sabbia
quando lui si alzò in piedi e inizi a raccogliere le sue cose.
Non ancora pensò. Non
andartene, bastardo. Fa qualcosa. Ti prego, fa
qualcosa.
Lentamente,
portò le braccia sopra la testa, la punta delle dita distante solo qualche
millimetro dal manico dell’enorme arma incollata alla sua schiena.
Fallo. voleva sussurrare. Sfoderala. Lanciala. Fa qualcosa!!
Purtroppo
per lei, lui rimase fedele alla parola data.
Lasciò
cadere le braccia pigramente lungo i fianchi e guardò
il cielo, sembrando abbastanza contento nel vederlo schiarirsi mentre Temari
seppelliva le sue caviglie nella sabbia, ringhiando.
Aveva
reso evidente la sua impazienza e lui se n’era accorto.
E ora si
stava facendo beffe di lei.
Ogni
gesto era volutamente innocente, ogni parole deliberatamente
serena e amabile—tutti segni dell’ingannevole natura del corvo.
Cercava
di provocarla, di frustrarla, di irritarla fino al limite
della razionalità…facendolo discretamente per farla diventare pazza.
La
stava deridendo, e i suoi sforzi stavano funzionando.
L’odio
ribolliva e le riempiva la bocca, le annuvolava gli occhi, le stringeva la gola
fino a quando tutto ciò che riusciva a fare era
respirare a malapena e fissare trucemente quell’uomo attraverso un velo di
rabbia.
Se lui
voleva trasformare questa storia in un gioco, non c’era verso che lei lo
lasciasse vincere.
Due
cose di cui andava orgogliosa erano il suo autocontrollo e la sua testardaggine. Si rifiutava di diventare vittima delle
sue tattiche.
Mentre
pensava a queste cose, un sorriso di sfida le curvò le labbra.
Pensi di potermi spezzare? Fai del tuo
meglio, allora. Questo gioco è mio.
Il
suo orologio segnava le 4:30 del mattino.
Il
cielo continuava a rischiararsi e lui girò la testa per guardarla, sorridendo
visibilmente.
Il corvo nasconde la sua natura torbida
dietro ad un bel viso.
Una
raffica di vento le strappò lo scialle dalla testa e lo lanciò nella sabbia
dietro di lei; il blu metallico delle nuvole lasciò spazio ad un rosso scuro
che diventava più luminoso col passare di ogni minuto.
Nessuno dei due prestò attenzione allo spettro di colori fuggenti e cangianti
sopra di loro, entrambi aspettavano più luce, più
esposizione, più chiarezza.
Il corvo è uno spazzino. Ma questo è pericoloso. Questo è un predatore.
Lui
sbattè le palpebre e il suo sorriso si allargò quando
l’alone splendente del sole fece capolino dall’orizzonte abbastanza da
illuminare le fattezze di Temari, rivelando degli occhi glaciali e un sorriso
velenoso.
Sorpreso? pensò Temari, guardandolo. Potrei dire la stessa cosa.
Non
si era certo aspettata un viso così giovane, dai capelli argentati e
dall’espressione così innocente.
Un
viso stupendo.
Temari
ruppe il silenzio, la voce aspra.
- Che c’è? Ti aspettavi qualcosa di diverso?-
Il
sorriso di lui aumentò ancora, mentre gesticolava
nell’aria con indifferenza.
-
Ti avevo immaginato mora, giuro.-
-
Deluso?-
-
Assolutamente.- replicò, con ancora addosso quel fastidioso
sorriso.- Le bionde sono meglio.-
Era
un luogo comune, abbastanza comune da farle solitamente ignorare la sua natura
sottintesa. Ma detto da lui, la fece quasi sentire
offesa.
- E tu?- disse lei con un ghigno.- Il tuo bel faccino è
l’unica cosa di cui puoi vantarti?-
Lui
alzò un sopracciglio e Temari si congratulò con sé
stessa per averlo zittito, ma la sua fu una vittoria molto breve.
Lui
fece un passo avanti e ammiccò sogghignando.
- Se sei così curiosa, vieni pure a scoprirlo da sola.-
Temari
era lieta di essere abbastanza distante da lui perché notasse l’intenso rossore
di cui si erano dipinte le sue guance. Ma nonostante
il quasi doloroso infiammarsi del suo viso, non aveva intenzione di lasciargli
la vittoria.
-
Con un linguaggio del genere è difficile credere che tu sia un uomo di fede.-
-
Con un linguaggio del genere è difficile credere che tu sia una ragazza.-
- Cosa posso dirti? Noi ninja di Suna abbiamo qualcosa di
speciale.-
Il
suo turno stava per finire. Una goccia di sudore si lasciò morire lungo una
tempia.
Fai qualcosa, bastardo. Non farmi
aspettare un altro giorno.
Lui
sembrò intuire cosa lei stesse pensando, e Temari
sgranò gli occhi quando lui le diede le spalle.
- Ho davvero bisogno di dormire, cazzo.- annunciò.- Ci vediamo
domani, biondina. Spero di non mancarti troppo.-
Stavolta
Temari non riuscì a pensare a una risposta, fissandolo
senza parole mentre si allontanava salutandola con una mano, scomparendo nella
sabbia.
Venti
minuti dopo, il jounin che arrivò a prendere il suo
posto trovò la torcia spezzata a metà.
Temari
sognò di nuovo.
Stavolta
il corvo e il piatto d’argento con la carne erano sul suo davanzale. Incorporea, lei osservava la scena dal suo letto, sgranando gli
occhi ogni volta che l’uccello divorava un pezzo di carne.
Una
volta che non si fu altro che una macchia sanguinolenta sulla superficie del
piatto, il corvo si girò e si pulì il becco sulle sue tende bianche.
Quando
Temari si svegliò, balzò in piedi e tirò un sospiro di sollievo nel vedere le
sue tende, scure, svolazzare pulite nella brezza del mattino.
Incapace
di rimettersi a dormire, iniziò a camminare per la stanza con gli occhi
incollati al pavimento.
Non avrei mai dovuto
farglielo capire, pensò furiosamente.
Non avrei mai dovuto fargli capire che stavo aspettando qualcosa. Adesso il
bastardo mi sta prendendo per il culo.
Per
quanto tempo ancora avrebbe dovuto aver a che fare con lui? Per quanto ancora
avrebbe dovuto convivere con il sentimento bruciante che la stava schiacciando
e che la riempiva di velenosi pensieri di odio e
violenza?
Da
qualche parte nella sua mente, una voce calma le disse
che stava perdendo.
Nessuno
l’aveva mai spossata così. Nessuno aveva mai invaso i suoi pensieri e i suoi
sogni e le aveva fatto provare quei dolori allo
stomaco. Non aveva mai sentito il bisogno di ignorare il suo ventaglio e i suoi
kunai e di uccidere qualcuno con le sue stesse mani.
-
Respira.- disse a sé stessa, massaggiandosi le tempie
mentre camminava.- Stai solo facendo il suo gioco, così. Calma, stai calma.-
C’era
qualcosa di strano nel suo comportamento, negli ultimi giorni. La prima volta
che si erano incontrati era stato una permalosa e
violenta testa di cazzo.
Ma ora?
Era semplicemente odioso. Qualcosa lo aveva messo di buonumore.
Temari
si calmò leggermente.
Se
davvero era di buonumore, era più difficile da provocare. Ma dato il suo
carattere e la feccia a cui apparteneva, questi giorni
felici non dovevano essere poi così frequenti.
Lentamente,
sorrise.
Le
cose belle durano poco, specialmente per certa gente. Alla fine si sarebbe
arreso alla sua natura di assassino e avrebbe fatto
qualcosa. Tutto ciò che serviva era la giusta provocazione.
Questo è il mio territorio, pensò mentre riprendeva a
camminare. Sono avvantaggiata, e sembra
il tipo di persona che combatte a distanza. Armi come quella, non importa
quanto siano grandi, sono inutili contro il vento. Lo
ucciderò. Lo ucciderò. Lo…
-
Cavolo, hai intenzione di fare un buco nel pavimento?-
Temari
alzò di scatto lo sguardo, trovandosi un barcollante ed assonnato Kankuro
appoggiato allo stipite della porta.
-
Oh.- disse lei, colta sul fatto.- Ehi.-
-
Ehi.- rispose lui, grattandosi la testa.- tutto ok?-
Temari
finse un sorriso e annuì, e questo dovette sembrare allarmante
perché Kankuro sgranò gli occhi e fece una strana smorfia.
-
Ti comporti in modo strano, Temari.- silenzio.- Per caso sei
nel periodo sbagliato del mese?-
Il
viso della ragazza avvampò.
-
No, idiota! Semplicemente non riesco a dormire.-
Lui
annuì.
-
Va tutto bene al confine?-
Temari
si limitò a fissarlo.
-Temari?-
la chiamò, inarcando un sopracciglio.
-
Sì.- rispose lei.- Sì, tutto bene.-
-
Non sei capace di dire palle.- sbuffò, sollevando gli occhi al cielo e
scuotendo la testa.- Che c’è, gli altri ti importunano?
Quei bastardi…-
-
Sì.- mentì, con un tono di voce più calmo.- E il freddo inizia a darmi un po’
di fastidio, perciò…-
-
Posso parlare con Gaara per farti cambiare di turno…-
-
No!!- gridò, ed arrossì quasi immediatamente,
imbarazzata davanti allo sguardo scioccato del fratello.- Cioè…lascia stare
Gaara. È già abbastanza impegnato per conto suo. Mi ci abituerò, non
preoccuparti.-
-………ok.-
disse infine, sospettoso, lanciandole un’occhiata in tralice.- Non esagerare
però.-
-
D’accordo.- rispose debolmente, lasciandosi scappare un sorriso
quando lui chiuse la porta alle sue spalle.
Sorriso
che svanì un minuto dopo, quando si vestì e si dedicò al lavoro per far passare
la giornata il più velocemente possibile.
Quella
notte, un paio d’ore prima dell’inizio del turno, dopo cena Temari salì in
camera e si lasciò cadere sul letto, leggendo un romanzo d’amore.
Verso
la fine, quando un fraintendimento con la legge finì col riservare una freccia
nel cuore dell’amante della protagonista, Temari non riuscì a trattenersi dal
ridere.
-
Dove sei, amore mio?- mormorò Temari, ricordando qualche patetico e smielato
dialogo del romanzo.- Non è da te farmi aspettare.-
Seduta
nella sabbia accanto alla torcia, Temari attendeva il suo arrivo, rifiutandosi
di distogliere lo sguardo dalle fiamme rosse che aveva lanciato ai margini
dell’oasi.
L’ironia
della situazione dopo aver letto quel romanzo divenne così intensa che Temari
scoppiò a ridere, comparando cinicamente la sua situazione a quella della
protagonista del libro.
L’amante
dell’eroina era di un altro villaggio, e dopo un incontro occasionale al
confine (e qui Temari aveva iniziato a ridere) si erano perdutamente innamorati
e avevano fatto cazzate come incontrarsi in pieno giorno, così i suoi parenti
l’avevano scoperta. Questo aveva portato il protagonista a
un atto disperato e alla fine lei aveva perso il suo unico grande amore.
Tragedia
allo stato puro.
-
Oh, sono stata ferita così tante volte.- aveva dichiarato l’eroina al loro
terzo incontro.
Temari
pensò ai suoi fratelli, uno rapito dall’Akatsuki e uno
mortalmente avvelenato, e ricordò il dolore provato.
-
Per favore, promettimi che tornerai!- aveva supplicato la protagonista.
Torna, così
posso ucciderti.
-
Non mi importa di quello che dicono i miei genitori…-
Non me ne frega un cazzo del protocollo.
-
Non mi importa di ciò che mi succederà…-
Fammi male, bastardo, fammene,
così che io possa farne a te.
- Perché ti amo.-
Ti odio.
Quando
lui arrivò pochi minuti dopo, Temari ebbe la tentazione di sgridarlo per essere
in ritardo.
-
Ti sono mancato, biondina?-
Era
di nuovo di buonumore.
-
Come un mal di denti.- replicò seccamente.- cosa ti ha trattenuto?-
-
La puttana alla quale appartiene questo.- disse, indicando il
sangue sulla sua pelle.- Ti giuro, questa qui mi ha davvero dato un
fottutissimi daffare.-
Temari
lo fissava senza capire, in qualche modo infastidita
dalla sua tranquillità.
All’improvviso, tutta la questione del di
chi perse importanza. Ora quello che contava era perché.
Lo
chiese senza nemmeno rendersene conto.
-
Sono sacrifici.- rispose lui, come se fosse ovvio.- Per il mio dio.-
-
Questo è l’ultimo?- chiese atona.
- Per questo mese sì.- dichiarò orgogliosamente.- Come
tributo per l’avvento di Jashin.-
Sbattendo
le palpebre, Temari guardò il display dell’orologio.
Il
30 di giugno.
Il
respiro le si mozzò in gola.
Era
rimasta di guardia al confine per ben tre settimane, dall’inizio di giugno. Lui
veniva lì fin da allora? Un brivido le attraversò la schiena pensando a quante
opportunità aveva avuto di passare il confine.
E questo,
realizzò fissando le tracce di sangue. Questo è l’ultimo. Non c’è da chiedersi
perché sia felice.
Un
senso di sollievo e delusione la assalirono insieme.
Non
avrebbe più avuto bisogno di tornare e il confine sarebbe stato salvo.
Non
avrebbe avuto più bisogno di tornare e lei avrebbe perso la sua opportunità di
vendetta.
Serrando
la mascella, Temari non disse nulla, formandosi a stare in silenzio.
Mentre
lui si bagnava il collo e le spalle con la solita acqua ghiacciata, Temari
parlò cercando di mantenere un tono di voce distaccato.
-
Perché vieni qui?-
-
Secondo te?-
-
Rispondi e basta.-
-
Per la sabbia, ovviamente.-
Quando
lei non disse nulla, lui fece un esagerato sospiro prima
di sedersi di nuovo nella sabbia, la sua pelle bagnata di un color cremisi
lucido sotto la luce delle fiamme.
- Fa venire via il sangue.- spiegò.- L’acqua non fa un cazzo
da sola.-
-
E perché resti qui ogni volta dopo esserti lavato?-
- Perché è l’unico posto dove posso trovare un po’ di fottuta
quiete.- disse borbottando.- Non c’è nessun luogo in questo paese di merda- e
indicò il paese dell’Acqua.- dove un figlio di dio può venire a pregare,
giuro.-
Temari
aprì la bocca per parlare, ma si zittì immediatamente quando
si accorse della lunga e sinuosa figura di un serpente nerocce strisciava
silenziosamente verso di lui, attratto dal calore delle fiamme.
Un
morso poteva uccidere in meno di dieci minuti.
- Mh.- si limitò a dire Temari, inspirando in tensione quando il serpente si fermò accanto a lui,
sollevando la testa. Un solo movimento improvviso avrebbe fatto scattare
l’attacco. E lui ne era completamente inconsapevole.
Un
sorriso si allargò sul volto di Temari sotto la copertura dello scialle.
- Ma c’è un problema con questo posto…- sbuffò
improvvisamente.
Silenzio.
- Ovvero tutti sti cazzo di serpenti.-
E, con
grande shock della jounin, afferrò tranquillamente la coda del rettile, la cui
reazione fu inevitabile. In una frazione di secondo, girò la testa e affondò le
zanne della carne dell’avambraccio.
Temari
quasi scoppiò a ridere trionfante.
-
Ahia, porca puttana.- esclamò, tastando il terreno alla ricerca della sua
falce.- Odio questi cazzo di cosi.-
Un
attimo dopo tagliò la testa del serpente dal corpo,
strappandola dal suo braccio ed esaminando i buchi.
-
Dieci minuti.- disse Temari, appena capace di contenere un sorriso.- Il veleno
ti scioglierà le interiora.-
-
Ne sembri quasi felice.- replicò, sembrando
stranamente calmo, mentre esaminava il morso.- Ne sono addolorato, davvero.-
Temari
sbattè le palpebre, il suo sorriso si attenuò sotto la stoffa
quando lui si limitò a immergere il braccio nello specchio d’acqua,
completamente indifferente a ciò che gli aveva appena detto.
-
Stai per morire.- ripetè in tono piatto, mentre lui
si rimetteva a sedere.
-
Vorrei davvero che fosse così semplice.- disse lui con una risata sardonica.-
Questa è la seconda volta che vengo morso da uno di
questi stronzi.-
A
Temari si gelò il sangue nelle vene.
La
seconda volta?
Solo
i ninja di Suna erano immuni al veleno di quei serpenti. Anzi, avrebbe dovuto iniziare
il suo effetto già da un po’.
Stupita
e mortificata, rimase a fissarlo per un po’, aspettando e stringendo i pugni così forte che le facevano male le nocche.
-
Sembri delusa.- constatò divertito.- mi dispiace che le mie viscere non si
stiano squagliando.-
- Perché non muori?- chiese Temari, la voce atona per lo
shock.- Il veleno…-
-
Ecco brava, siediti lì e fatti qualche domanda.- disse con fare sbrigativo,
mettendosi a gambe incrociate.- Ora devo pregare.-
Temari
non disse nulla, fissandolo incredula mentre estraeva
il rosario.
Passarono
dieci minuti. Quindici. Venti.
E non
successe nulla.
Dire che
era delusa sarebbe stato un eufemismo. Era esterrefatta, confusa e innervosita,
la sua mente una caotica pletora di pensieri.
Perché? Perché? Perché? Dovrebbe essere
morto. Dovrebbe urlare e contorcersi e morire soffocato dal suo stesso sangue.
Dovrebbe, ma non lo è. Perché?
Non
aveva senso, pensò Temari mentre lo fissava ad occhi
sbarrati.
I
corvi non sono immortali.
Improvvisamente
ebbe paura.
Tutti
i pensieri di vendetta vennero sepolti da quell’improvvisa e fastidiosa ondata
di panico. Tutto ciò che voleva ora era che se ne andasse
e che non tornasse mai più.
Non
c’erano pro e contro. Non avrebbe mai vinto contro di lui.
Una
voce calma da qualche parte nella sua testa le sussurrò parole di conforto.
Rilassati. Ti ha solo
innervosita. L’intimidazione funziona solo sui deboli.
Tu non sei debole.
Temari
della Sabbia. Lei era Temari della Sabbia, sorella del Kazekage. Non era
spaventata, specialmente da uno come lui.
Gradatamente,
la paralizzante sensazione di paura venne sostituita
dalla rabbia, i brividi svanivano a poco a poco lasciando il posto all’odio e
alla furia di vendetta.
Bruciava
peggio del solito, mozzandole il fiato e accelerandole i battiti, facendola
rizzare i capelli sulla nuca.
Quando
dopo due ore lui alzò lo sguardo e guardò il cielo lievemente illuminato con un
ghigno, Temari capì che sarebbe tornato.
Aveva
trovato un giocattolo divertente in lei, e non avrebbe smesso
di giocarci finchè non l’avesse rotto.
Non c’è problema, pensò Temari, leccandosi le labbra
mentre lui indossava il cappotto. Gioca
il più duramente che puoi, pezzo di merda. Giocherò anch’io.
Non
sentì nessun moto di paura quando si voltò verso di
lei per guardarla prima di andarsene…sentì invece una fitta di adrenalina e impazienza.
-
Giusto per avvisarti.- gli disse, la sua voce sicura non tradiva nulla della
precedente paura.- Qui ci sono altre cose che mordono, oltre ai serpenti.-
Mentre lui
restava lì immobile a fissarla, un ghigno di divertimento gli curvò le labbra.
Il
cuore di Temari perse un battito e una goccia di sudore le attraversò le labbra
che non si era accorta di avere lievemente dischiuso
mentre lo guardava.
Leccando
la goccia di acqua salina, Temari alzò un braccio e lo
salutò con la mano.
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