CAPITOLO
SEDICESIMO: BRIVIDI E
CAREZZE
-
Ohi! - esclama Lyla rialzandosi,
mentre le stavo ancora accarezzando la testa - Che male! -
strofinandosi il
palmo di una mano sulla guancia con cui era piombata sulla mia coscia.
- Scusami. - dico con un mezzo sorriso,
portando le mani ai fianchi.
- Sei ancora qui? - gracchia confusa,
poggiando la testa sulla mia spalla.
- Sei in uno stato pietoso. - rido.
Proprio
lui doveva vedermi così?
-
Mi spieghi cosa è successo?
- Mmm … non mi va di parlare. Restiamo
qui abbracciati ad aspettare che sia l’alba. - sbadiglia,
stringendosi al mio
braccio.
- Non posso restare.
- Perché?
- Devo andare. E anche tu.
- No, ti prego. Ancora qualche minuto.
- Ma ti sei scordata dove siamo? … Lyla?
Dovresti essere a casa. E’ la vigilia. Non dovresti passarla
con i tuoi?
Non ricevendo risposte, mi riavvicino
alla ferita per fasciarla. Ritrae la gamba quando sente il freddo delle
mie
dita e del pezzo di camicia bagnata.
- Cosa fai?
- Sei ferita. Se proprio non ti decidi a
volertene subito tornare a casa, almeno lascia che la copra, o si
infetterà
ancora di più. - rispondo, mentre, in ginocchio davanti a
lei, le passo attorno
alla gamba il lembo della camicia.
Intanto Lyla sembra tornare un po’ più
lucida e mi fissa con circospezione.
- Lo sapevo. Lo sapevo che non posso
esagerare con l’alcool …
Io scoppio a ridere e scuoto il capo. In
effetti mi era parso di sentirle un po’ d’odore di
alcool addosso! Questo
spiega tante cose. Crede di avere un’allucinazione per la
sbronza.
- Ecco, infatti: il vero Edward non
riderebbe mai così!
- Perché lo hai fatto? Bere tanto,
voglio dire.
- Tanto?! Ho bevuto meno di tutti! E’
che proprio non lo reggo. Per una volta ho voluto passare una serata
diversa e questo
è il risultato: mi ritrovo in un
bosco con te che ridi mentre mi fasci una ferita …
- Da chi scappavi?
- Non lo so … Era buio. Non ci ho capito
più niente. Stavo tornando a casa sola, a piedi e
… non so come sono finita
qui. Forse per scappare da qualcuno, appunto.
Si, è decisamente più vigile ora.
- Non eri tu … vero?
- Certo che no. Fortuna che sei salva
comunque. Chiunque fosse non ti sta più seguendo.
- E come fai a dirlo?
- Fidati. Sarà stato solo qualcuno che
voleva approfittare del tuo … annebbiamento, ma che poi ci
ha rinunciato quando
sei entrata nel bosco per depistarlo.
E in ogni caso … io ora sono qui.
- Credo di non aver mai avuto tanta
paura prima d’ora. - confessa, cercando rifugio tra le mie
braccia.
- Ci sono qui io ora. - ribadisco,
accarezzandole le spalle.
- Già. Finché non passerà la sbronza,
suppongo. L’Edward Cullen che conosco non avrebbe mai fatto
nemmeno questo. -
dice con tono rassegnato, sbadigliando di nuovo.
I suoi pensieri però sono colmi di gioia
e gratitudine. “L’Edward
Cullen che
conosco”! L’Edward che ha conosciuto a
scuola , in quei pochi mesi, era fin
troppo silenzioso, solitario e depresso per essere davvero
lui. E quello di adesso com’è? Meno depresso, a
giudicare
dal senso di beatitudine che prova stando abbracciato a questa ragazza
malconcia e mezza ubriaca, a terra, in mezzo a un bosco.
Mi piace stare così. Ma … forse è il
caso di spostarsi all’ombra. Il sole, sorto da qualche
minuto, potrebbe
iniziare a rivelarmi. Mi alzo, tenendola in braccio, e mi allontano ai
piedi di
un albero più alto e più ampio. Mi risiedo per
terra, con lei sulle gambe, e
restiamo immobili per un po’. Finché …
Lyla non inizia a tremare.
- Stai bene? - chiedo, portandole una
ciocca di capelli dietro l’orecchio, per vederla meglio in
viso.
- Ho un po’ freddo. - risponde,
stringendosi ancora più forte a me.
- Sei all’aperto da parecchie ore. Non
vorrei, ma dobbiamo alzarci e tornare a casa.
- Non vorresti? - ripete sbalordita,
accarezzandomi il petto.
- No, Lyla. No. Però è la vigilia di
Natale. Non è il massimo dover passare le feste a letto con
la febbre, ti pare?
Su, andiamo.
- Aspetta! - dice schiarendo la voce.
Oh no. Si è accorta che il mio petto …
è
muto. Oltre che freddo, come il resto del mio corpo, in modo innaturale.
- Edward … ? - sussurra, con l’orecchio
poggiato dove si aspetta di sentire il battito.
- Lyla, andiamo via di qui. - dico nel
modo più convincente possibile. - Ti prego, hai bisogno di
tornare a casa. Non
hai con te il cellulare?
- Credo di averlo perso … - risponde,
tastandosi le tasche della gonna. - Insieme alla borsa. Insieme
alla borsa! Cavolo! Cellulare, documenti e … e
soldi e … -
prosegue drizzando la schiena e passandosi una mano sulla faccia.
- Stai tranquilla. Facciamo così. Adesso
ti riporto a casa, così ti riposi e fai stare tranquilli
anche i tuoi. Io nel
frattempo cerco la tua borsa.
- Ma che dirò ai miei? Non appena mi
vedranno conciata così … E poi … tu,
tu come la trovi la borsa? - chiede confusa,
alzandosi e camminando nervosamente avanti e indietro.
- Tu non preoccuparti di questo. Non può
essere troppo lontana.
Adesso che sono stato così tanto abbracciato
a lei, sono in grado di memorizzare il suo odore. Mi basterà
seguire il
percorso che ha fatto prima di arrivare qui e molto probabilmente
incrocerò quello
che ha perso.
- Si, ma … - sbuffa guardandosi i
vestiti. - Non posso dire la verità a casa. E nemmeno
presentarmi con te. Mio
dio, che disastro!
Così dicendo perde l’equilibrio, ma
prima che cada la sorreggo.
-Tu poi devi ancora spiegarmi perché sei
qui! - mi ricorda con un tono improvvisamente severo, puntandomi un
dito
contro.
Sta cominciando a mettere insieme tutte
le cose strane che ha notato in me: la pelle freddissima, gli occhi
più scuri,
il battito in apparenza inesistente …
Ma non è neppure lontanamente vicina a
una spiegazione che possa portarla a scoprire la verità.
Crede solo che io sia
molto strano e, al momento, è comunque troppo piena
d’altre preoccupazioni.
Suppongo che se mai dovesse riuscire a capire cosa sono in
realtà, come minimo,
perderebbe conoscenza. Mi sembra piuttosto vulnerabile adesso.
- Ah, comunque … grazie. - aggiunge Lyla,
guardandosi la gamba.
- Di nulla. Avanti, ora andiamo. - dico,
riprendendola in braccio.
- Credo di sapere camminare.
Ti
prego, non mettermi giù!
, la contraddicono subito i suoi pensieri.
Sorrido senza ascoltarla e lei ride con
me. Sto attento a camminare sempre sotto l’ombra degli alberi
e la Lyla lo
nota.
Non
mi dispiacerebbe stare un po’ sotto il sole …
So
che sente freddo, anche per causa
mia, ma non posso mostrarmi alla luce. Lo noterebbe e vorrebbe una
spiegazione.
E cosa dovrei dirle?
Lei vorrebbe il sole e io vorrei correre: se tornassimo in
fretta a casa sua, rischierei meno di avere addosso i raggi
più alti e più
caldi del sole, una volta usciti dal bosco, dove mi sarà
più difficile
ripararmi. Però non posso nemmeno mostrarle la mia
soprannaturale velocità.
Spero solo che si addormenti. Poi mi
viene un’idea …