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Autore: Dreamer91    22/10/2012    19 recensioni
E se il destino avesse voluto che in una città tanto grande come New York, due ragazzi dalle vite completamente diverse, finissero con l'abitare a meno di tre metri di distanza... sullo stesso pianerottolo?
Dal Capitolo uno:
"Stai scherzando spero!" mormorai
"Perché scusa? Non ci sono topi né prostitute per strada... per quanto riguarda i vicini non so... non li ho interrogati... però..."
"Sebastian!" lo bloccai passandomi una mano sul viso "Lower East Side... sul serio?"
"Non ti seguo, B..." mi fece visibilmente confuso slacciandosi la cintura
"Bastian dovrò vendermi un rene per pagarmi l'affitto... e quando avrò terminato gli organi, mi toccherà scendere in strada e fare compagnia a quelle famose prostitute per andare avanti!" gli spiegai concitato.
(...)
"Non fare l'esagerato Blaine... questa volta penso di aver trovato il posto giusto per te! Coraggio, scendi che te lo mostro!" mi incitò scendendo dall'auto e raggiungendomi sul marciapiede
"Anche l'ultima volta lo pensavi, Seb... e siamo dovuti scappare a gambe levate da un travestito in minigonna e tacchi a spillo!" gli ricordai lanciando un'occhiata al palazzo color porpora - innocuo e all'apparenza rispettabile - che si stagliava per ben quattro piani davanti a noi.
Genere: Commedia, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Blaine Anderson, Kurt Hummel | Coppie: Blaine/Kurt
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Just a Landing'
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(...) Litigio con David (B) Buon Lunedì a tutti, angioletti miei... dunque, finalmente è giunto il capitolo rivelazione, quello maledetto come lo chiamo io, quello che, ahimé mieterà qualche vittima... avrei dovuto trovare un metodo migliore per festeggiare il trentesimo capitolo, ma... purtroppo era una cosa che prima o poi si sarebbe affrontata e se, da una parte, la stavate attendendo anche voi, avrà dei risvolti.. diciamo imprevisti. Ovviamente anche il prossimo capitolo sarà... da panico totale, ma... ho come l'impressione di non arrivarci viva, quindi vi saluto ora e vi dico... vi amo tutti, da morire (tecniche di persuasione mode on XD) Ci vediamo Giovedì e... scusate se non ho risposto alle vostre recensioni, sono un'autrice indegna ma l'alternativa sarebbe stata quella di aggiornare stasera e rispondere ora... quindi ho preferito invertire, ma vi prometto che stasera, cascasse il mondo, risponderò a tutti ;)
p.s. Anche il mio Dan vuole vedermi morta... ed io soffro in silenzio ç___ç
n.b Pagina Facebook ( Dreamer91 ) Raccolta ( Just a Landing - Missing Moments )




New York City. Ore 10.48 P.M. 13 Aprile 2012 (Venerdì)

"E poi sai cosa gli ha detto Morris quando lui ha fatto rovesciare tutto lo stand per terra?" mi chiese elettrizzato David dietro di me, mentre cercavo di aprire la porta di casa con difficoltà, dato l'ingombro del cartone della pizza in una mano e dei voluminosi cataloghi nell'altra. E ovviamente David non si era scomodato ad aiutarmi.
"No, David... non lo so..." mormorai stanco cercando di trattenere uno sbuffo seccato
Ed in realtà non me ne frega un emerito cazzo...
"Sei licenziato!" esclamò divertito lui, quasi fosse la cosa più esilarante del mondo e rimase in evidente attesa delle mie risate. Io sospirai, riuscendo finalmente ad aprire la porta d'ingresso e ad entrare e mi seguì dopo qualche istante, probabilmente sconvolto dal fatto che non mi stessi rotolando sullo zerbino per le risate con lui. Avanzai in cucina dove poggiai il cartone della pizza e i cataloghi e mi accarezzai i polsi doloranti.
Tornando in salotto lo trovai fermo immobile, intento a rimuginare su qualcosa. Non mi sprecai neanche a chiedergli cosa avesse. Non mi interessava e non avrei fatto nulla per saperlo. Mi liberai della tracolla che appesi all'attaccapanni all'ingresso e della giacca, per poi sollevarmi le maniche e togliermi l'orologio. Erano gesti meccanici che facevo ogni volta che tornavo a casa, con o senza David al seguito. Aveva deciso di rimanere a mangiare da me - e ovviamente concedersi alla solita squallida scopata serale - senza neanche chiedermi cosa ne pensassi, dando per scontato che fossi d'accordo. Quando me lo aveva detto, non avevo trovato neanche la forza per dirgli di no. Mi ero limitato ad alzare gli occhi al cielo e sbuffare, molto discretamente. Morivo dalla voglia di tornare a casa, mettermi in libertà, mangiare un pezzo di pizza e poi buttarmi nel letto. Altri fuori programma non erano previsti. E ovviamente David rappresentava un fuori programma.
"Sei strano!" mormorò ad un certo punto lui, mentre io mi dirigevo nella camera da letto per spogliarmi. Approfittai del fatto che fossi di spalle per chiudere gli occhi in un gesto esasperato.
"Sono stanco!" lo corressi subito seccato. Non ci mise molto a raggiungermi
"Anche io sono stanco Kurt... ma di certo non ho quella faccia lì!" e mi indicò con un gesto. Quella volta non potei trattenermi dall'emettere un verso
"Questa è la mia faccia, David... che ti piaccia o no non so che farci!" sbottai liberandomi degli stivali e buttandoli malamente in un angolo. Dovevo essere proprio nervoso per trattare in quel modo la mia roba. Mi rendevo anche vagamente conto che trattare in quel modo lui, significava scatenare la sua ira. Ma sinceramente me ne infischiavo. Se per liberarmene avrei dovuto farlo arrabbiare.. bene, ero pronto!
"Bene, sei stanco, perfetto!" sbottò infatti lui in risposta "E allora spiegami perché tutte le volte che ci vediamo mi tratti con la stessa fottuta sufficienza!" si avvicinò nervoso, sfidandomi. Seccato strinsi la mascella e mi liberai della camicia in pochi gesti.
"Ancora con questo discorso!" mormorai "Sei ripetitivo!" indossai velocemente una maglietta pulita e senza neanche preoccuparmi dei jeans, lasciai la stanza e a gran passi tornai in cucina. Avevo fame, non avevo voglia di parlare. Fine della questione
"E tu sei ingiusto, Kurt..." rispose, con un tono che per un istante mi fece sorprendere. Infatti mi girai a fronteggiarlo, davanti la porta della cucina e lo trovai con una strana espressione frustrata ed abbattuta "Io... non credo di meritarmelo!" e abbassò la testa. Faceva quasi tenerezza. Appunto.. quasi.
"Non so di cosa tu stia parlando!" gli diedi di nuovo le spalle e mi affrettai a recuperare un piatto dalla credenza ed un bicchiere
"Sto parlando di questo!" esclamò accalorato, e mi sentii afferrare per un polso e voltare con forza verso di lui. Per la sorpresa il bicchiere mi scivolò dalle mani cadendo nel lavandino e spaccandosi
"Cazzo, Dave... mi fai male!" mi lamentai allora, provando a liberarmi della sua stretta. Ma niente. Lo sfidai con lo sguardo, non sorpreso di ritrovarlo così rosso in faccia e tanto nervoso. Ma mai, prima di allora, si era permesso di mettermi le mani addosso. E quello in un certo senso un pò mi spaventava. Non sapevo cosa avrebbe fatto dopo, non sapevo dove sarebbe arrivato. Rimanemmo qualche secondo di troppo a guardarci negli occhi a vicenda, sfidandoci come due duellanti alle prese con una partita troppo importante per lasciar perdere. Lui non demordeva ed io di certo non avrei abbassato la testa. Non quella volta.
"Dimmelo, Kurt... tira fuori le palle e dimmelo!" sputò allora, a pochi centimetri dal mio viso
"Dirti cosa?" feci io infastidito provando a strattonare ancora il braccio. Faceva male, altroché se faceva male
"Smettila di fingere!" gridò e in uno scatto d'ira, afferrò il piatto che avevo posato sul tavolo e lo scaraventò sulla parete della cucina. Nel rompersi, tirò via perfino un pò di intonaco dal muro. Ed io iniziai seriamente a tremare. Mi mancò il respiro per qualche istante e provai a raccogliere tutta la lucidità di cui ancora disponevo per tentare di calmarlo
"David!" lo chiamai in un soffio. Lui respirava velocemente, le narici e le pupille dilatate. Sembrava furioso, un pazzo furioso. Tentai allora di stabilire un contatto fisico, sperando valesse a qualcosa. Provai ad accarezzargli una guancia, benché avessi la mano che tremava come una foglia, ma lui me la scacciò con uno schiaffo, provocandomi altro dolore
"Basta... basta... non ce la faccio più!" mormorò scuotendo la testa e respirando pesantemente
"Di cosa stai parlando, Dave?" gli chiesi ancora, in un lamento. Ero stanco, spaventato, affamato. Dove diamine ci stava portando quella maledetta discussione? E quando sarebbe terminata?
"Dimmelo!" ripeté allora, rigido come una tavola. Sospirai frustrato
"Cosa?" fu il mio turno per alzare la voce. Mi veniva quasi da piangere. Perché non mi lasciava in pace?
"Che non mi ami più!" gridò a sua volta, stringendo convulsamente il polso fino a farmi bloccare la circolazione. Mi si bloccò contemporaneamente anche il cuore e mi ritrovai a boccheggiare spaesato. E dunque era quello il momento? Eravamo finalmente arrivati alla resa dei conti? Avrei dovuto dirgli tutto, affrontare l'argomento con lui? Ne avrei avuto la forza? Avrei trovato il giusto... coraggio? Perché era facile affermare di voler chiudere la mia relazione con lui... ma un altro conto sarebbe stato farlo davvero, trovare le parole adatte per dirgli tutto e sperare magari di non creare troppi danni. Ma se lui già iniziava a scaldarsi, senza che io avessi ancora aperto bocca, a cosa saremmo arrivati alla fine? Era davvero il caso di palargli proprio in quel momento? Non era meglio, magari, aspettare che si calmasse e poi dirgli tutto quanto?
Deglutii a vuoto un paio di volte, ma la salivazione era azzerata e per di più, il mio ritardo nel rispondere fu per lui la giusta conferma. Mi lasciò di colpo il polso, finalmente, e si allontanò con un gesto di stizza
"Lo sapevo. Cazzo, lo sapevo!" ringhiò sollevando le braccia al cielo. Io mi massaggiai subito il polso dolorante, arretrando di qualche passo, inconsapevolmente. Mi resi conto solo in quel momento di essere in una stanza stretta, con un'unica via d'uscita - fin troppo lontana da dove mi trovavo io - in compagnia di David. Un ragazzo che iniziava a spaventarmi, che forse non avevo mai davvero conosciuto. Avevo paura e tanta
"David..." tentai, ma la sua testa saettò velocemente verso di me raggelandomi
"Stai zitto. Non voglio sentirti dire neanche una sillaba. Il tuo silenzio è stato fin troppo eloquente!" sbottò velenoso puntandomi un dito contro. Feci un altro mezzo passo lontano da lui
"Che idiota... che idiota che sono stato! Per tutto questo tempo ho creduto che provassi davvero qualcosa per me, che mi volessi bene, che avessi rispetto... e invece mi hai soltanto usato!" mi inveì contro lui, avvicinandosi e poi allontanandosi scompostamente. Stavo per rispondere ma lui mi anticipò ancora
"Ti sentivi solo, eh Kurt? Non ti era rimasto più nessuno ed è per questo che sei venuto da me in ginocchio, elemosinando la mia pietà e il mio affetto?" mi domandò acido, avvicinandosi un pò di più. Io spalancai gli occhi incredulo. Maledizione... come aveva fatto? Come era riuscito a capirlo? Lo aveva sempre saputo, oppure ci stava arrivando solo in quel momento, magari tirando ad indovinare? E se davvero già sapeva tutto... perché solo ora lo tirava fuori, perché non me lo aveva mai rinfacciato o fatto notare? Perché era vero... lui aveva centrato perfettamente il problema. Tutto quello che avevo raccontato a Rachel una settimana prima, lui era riuscito a riassumerlo in una sola secca frase. Una frase piena di disprezzo e rabbia e che faceva male come una coltellata al cuore.
"Ed io, coglione, ci sono pure cascato... con tutte le scarpe!" sembrava parlasse da solo ormai, io non ero altro che tappezzeria.
"Anzi, no meglio ancora... avevi bisogno di qualcuno con cui scopare... con cui poterti sfogare perché diciamocela tutta, Kurt... sei un frustrato... con la tua insulsa vita da provincialotto qualunque, approdato nella grande Mela ma con ancora la puzza di pecore attaccata ai vestiti. Guardati... fai quasi pena!" e mi indicò con un gesto schifato. Mi portai una mano sulla bocca dalla quale mi scappò un singhiozzo. Avevo iniziato a piangere... ma quando?
"Sono stato la tua preda ideale, non è vero? Sempre a tua disposizione, quando tu ne avevi bisogno. Ma che bravo che sei stato!" mi sputò addosso tutto il disprezzo. Tanto crudelmente da non farmi neanche trovare la forza per ribattere, o per tentare di spiegargli, o per sperare di giustificarmi. Non che avessi molta giustificazione dalla mia parte, ma perlomeno avrei potuto fargli notare che le colpe non erano tutte le mie e che, sì, io avevo sbagliato, ma anche lui non era completamente innocente. Anche lui in molte occasioni aveva approfittato di me, del mio buon cuore, della mia sofferenza, del mio... bisogno di qualcuno. E se davvero era giunto il momento per i mea culpa e le prese di coscienza... beh era anche arrivato il tempo di assumersi le sue responsabilità ed ammettere di avere sbagliato a trattarmi sempre così male e a non aver mai cercato di capire quale fosse il vero problema di Kurt. Io ero stato il suo burattino, io ero sempre disponibile per i suoi sfoghi. Anche io, in fondo, per lui, ero stato la preda ideale.
"Perché mi stai facendo questo?" domandai con un lamento, singhiozzando. La paura e la fame erano un lontano ricordo. Lentamente in me stava prendendo forma una strana sensazione di attanagliante angoscia. Quelle parole facevano male, ma non solo. Era il modo in cui le aveva pronunciate, la cattiveria che aveva usato a fare ancora più male. Era davvero bastato così poco per farmi sentire così sporco e sbagliato? Che fine aveva fatto la mia preziosa corazza con la quale ero solito proteggermi in sua presenza? Che fine avevano fatto il coraggio, di cui tanto avevo parlato al mio compleanno, o la forza che credevo di avere soltanto nascosta da qualche parte, ma capace di affrontare tutta la situazione? Annientate anche quelle sotto il peso delle parole?
"Io, Kurt? Sono io che faccio del male a te, eh?" mi domandò pungente "E non ci pensi a tutto il male che hai fatto tu a me fino ad ora con le tue bugie?"
Fottiti, David... fottiti, fottiti, fottiti...
In uno sprazzo di coraggio, iniziai a camminare, e sorprendentemente lui non mi bloccò. Mi ero aspettato - e avevo seriamente temuto - che mi avrebbe trattenuto con forza, come aveva fatto poco prima, impedendomi di allontanarmi e gridarmi ancora dietro qualcosa di cattivo. Per fortuna non fu così, almeno credevo. Raggiunsi il soggiorno e approfittai di quella distanza per asciugarmi le lacrime. Non se le meritava ma soprattutto non le meritavo io.
"Come hai fatto a fingere fino a questo punto? Come hai potuto prenderti gioco di me e dei miei sentimenti anche mentre facevamo l'amore? Come hai potuto Kurt?" mi domandò in tono lagnoso e quella fu senza dubbio la classica goccia che fece traboccare il vaso. Il mio vaso.
"Ti sbagli David... io e te non abbiamo mai fatto l'amore, mai... neanche la prima volta!" gridai allora, smettendo di combattere contro le lacrime. Inutile continuare a trattenerle, tanto faceva solo più male. Dall'espressione indecifrabile che mise su, istantaneamente capii che dovevo andare avanti perché quello che avevo detto non gli bastava per capire.
"Tu non hai mai fatto l'amore con me, non hai mai fatto l'amore con Kurt. Ti sei limitato a fare sesso con il mio corpo... ti sei semplicemente servito di questo" e mi indicai con un gesto rapido "Per soddisfare i tuoi bisogni... è sempre stato così! Ogni volta che mi tocchi, io sento chiaramente che di me non te ne frega nulla... ti impegni ad ottenere ciò che ti serve, per poi lasciarmi in un angolo, solo ed insoddisfatto!" avevo detto tutto gridando, con le lacrime che correvano sulle guance. Ero accaldato, ero stanco, mi era tornata la fame, e per di più, la paura era stata sostituita dalla rabbia. Aveva superato il confine della mia pazienza. Il Kurt calmo e ragionevole e spaventato e pieno di sensi di colpa, probabilmente era ancora in cucina. Ormai c'era soltanto l'istinto irrazionale che mi guidava e che mi faceva finalmente tirare fuori quello che per tanto tempo avevo soppresso e nascosto.
"Ma cosa stai... dicendo?" mormorò, evidentemente colto di sorpresa.
"Quand'è stata l'ultima volta che mi hai chiesto come stavo? Che mi hai abbracciato per il semplice piacere di farlo, senza l'intenzione di togliermi poi i vestiti di dosso? Che mi hai fatto una carezza, che mi hai chiesto di uscire per una cena o per andare al cinema?" feci gesticolando, andando avanti e indietro nel salone. Lui era fermo immobile, con i pugni piantati sui fianchi e mi seguiva disperatamente con lo sguardo, quasi tenesse sotto controllo una partita di tennis.
"E ti sei per caso ricordato del fatto che ieri è stato il mio compleanno? Ti sei preoccupato di comprarmi un regalo o di farmi semplicemente gli auguri?" gli domandai ancora, elencando la lunga lista di mancanze delle quali si era reso responsabile. Doveva capire che le colpe non erano solo le mie. Forse stavo usando la tecnica peggiore, perché attaccare non era mai consigliabile - soprattutto se il confine della sua pazienza era così labile - ma mi ero stancato di subire. Volevo iniziare ad attaccare anche io. Perché quello era decisamente il momento di Kurt.
Lui aprì la bocca ma la richiuse subito dopo, visibilmente scioccato. Scossi la testa concedendomi un sorriso amaro
"Come immaginavo!" mormorai stringendo le braccia al petto
"Quello... quello che stai dicendo.. non ha senso... nessuno!" esclamò allora, incerto e tremante. Del David aggressivo e pericoloso sembrava non essere rimasta traccia
"E invece ha senso eccome... sei tu che non vuoi accettarlo, perché farlo significherebbe darmi ragione e tu questo non puoi permetterlo, giusto?" domandai sprezzante, con una smorfia. Era perfino capace di affermare che il mio compleanno dimenticato non fosse un dato di fatto. Arrestai il mio procedere nervoso per la stanza e sospirai
"É vero, David... non ti amo e... probabilmente non ti ho mai amato. Hai ragione non avrei dovuto fingere di farlo ma non volevo deluderti... speravo ingenuamente che prima o poi qualcosa sarebbe cambiato e che... avrei iniziato a provare qualcosa di più per te... ma sono passati quattro anni e... non è successo nulla!" alzai le spalle con un gesto di impotenza. Lo vidi deglutire e tremare appena. Possibile stesse per mettersi a piangere?
"Ma se c'è una cosa di cui non puoi colpevolizzarmi è il fatto di averti usato... di aver approfittato di te e dei tuoi sentimenti. Io ti voglio bene, David... ti ho sempre voluto bene e, Dio, continuo a volertene nonostante le orribili cose che sei stato capace di gettarmi addosso qualche istante fa. Ed è proprio per l'affetto che sento di provare per te che per tutto questo tempo ti ho permesso di trattarmi in questo modo, ho permesso a me stesso di farsi da parte ed assecondare ogni tuo dannato volere. Ti ho ascoltato anche quando era difficile decifrarti, ti ho accudito anche quando tu continuavi ad ignorarmi, ti ho assecondato anche quando chiedevi semplicemente il mio corpo. E per questo, David, io non mi sento un egoista!" gli dissi disarmato, con la voce stanca e strisciata. Erano parole che tenevo nascoste da troppo tempo. Ormai sarebbe stata questione di poco, e sarebbero comunque saltate allo scoperto. Quella discussione nata così, per caso, era stata senza dubbio un pretesto. Mi ero ripromesso di farlo, ma mai avrei creduto di dovermene occupare così presto. Ma forse... pensandoci... non era presto. Era semplicemente il momento.
David abbassò il capo, affondando le mani nelle tasche dei jeans. Sembrava avessimo appena superato la tempesta. Non restava che raccogliere i cocci e fare il conto dei danni.
Ma proprio quando con un sospiro esausta, avevo formalmente dichiarato conclusa ogni ostilità e mi preparavo a farlo uscire dal mio appartamento e dalla mia vita, tornò a parlare
"Chi è?" mi domandò con la voce roca. Sorpreso sollevai un sopracciglio
"Chi è... chi?" chiesi a mia volta confuso. Sollevò gli occhi, puntandoli con rabbia nei miei
"Il figlio di puttana con cui mi tradisci!" rispose irritato, digrignando appena i denti. Mi sentii mancare: per pochi istanti avvertii chiaramente le gambe cedere appena e il cuore sprofondare. Sperai ardentemente non avesse notato quel mio piccolo momento di incertezza altrimenti sarebbe stata la fine
"Cosa stai dicendo? Io non ti tradisco proprio con nessuno!" affermai cercando di essere convincente. Peccato che proprio in quel momento, per quanto avessi cercato con tutte le forze di cui disponevo di non pensarci, tutte le immagini di me e Blaine insieme mi riaffioravano alla mente: noi due insieme, il nostro primo incontro, la cena cucinata da lui, le prime coccole a Cooper, la nostra scommessa fatta al tavolino del bar davanti a Santana, l'incomprensione causata da suo fratello, la lunga chiacchierata sul suo dondolo in terrazzo, l'ascensore, il mio compleanno, quella canzone perfetta cantata dalle nostre voci intrecciate insieme, il braccialetto che mi suggeriva di avere coraggio e che portavo con orgoglio al polso, i post-it colorati che ci lasciavamo a vicenda sulla porta, quando andavamo troppo di fretta per bussare e salutarci, il suo sorriso caldo e luminoso, il suo corpo nudo e perfetto steso accanto al mio, sopra e sotto al mio, le sue mani forti e curiose, le sue labbra morbide ed invitanti, la sua pelle bollente, il suo profumo speziato ed avvolgente, i suoi incantevoli, profondissimi e penetranti occhi color dell'oro...
"Non mentire, Kurt.. Almeno su questo!" mi implorò allora alzando le braccia al cielo. Strinsi con forza il pugno, quasi scavando il palmo della mano con le unghia. No, non potevo. Dovevo lasciare Blaine fuori da quella storia, protetto e al sicuro dalle cattiverie che, David, avrebbe senza dubbio cercato di tirargli addosso. Far del male a me andava bene ed era sufficiente. Blaine non doveva permettersi di toccarlo.
"Te lo ripeto, Dave: io non ti ho mai tradito! Queste sono idee malsane che ti metti in testa tu... da solo!" provai allora, sentendomi terribilmente esposto ed indifeso. Bastava un passo falso, un'espressione sbagliata, e lì saltava tutto. Esattamente la stessa situazione che si era creata quando si era presentato a sorpresa a casa mia, la mattina in cui Blaine ancora dormiva tra le mie lenzuola. Anche allora avevo sperato con tutto il cuore che lui ne uscisse illeso, che lui si salvasse, che David lo risparmiasse della sua ira. Ero io il suo obbiettivo. Blaine era troppo prezioso per finire nella lista nera di Dave.
Blaine, Blaine, Blaine...
"Non sono cretino, Kurt! Me ne sono accorto che ultimamente sei più allegro e rilassato.. e in questi quattro anni con me non è mai successo!" mi disse infastidito, con una smorfia. Allegro e rilassato? Era un'assurdità ridurre quello che provavo quando stavo con Blaine a soli due vocaboli. Era indescrivibile, punto. Bellissimo ma indescrivibile. Quella volta non dissi niente, limitandomi a scuotere il capo e a tornarmene in cucina. Ero esausto e affamato. Avrei messo fine a quella discussione in un modo o nell'altro. Ero quasi arrivato alla porta della cucina, quando lui mi bloccò di nuovo per un braccio costringendomi a voltarmi per guardarlo. E nuovamente faceva male
"David lasciami!" gli ordinai subito 
"Non prima che tu mi abbia detto il nome di questo stronzo che ti porti a letto! Scommetto l'hai fatto entrare perfino qui, nel tuo appartamento e che avete scopato nel tuo letto o magari proprio su questo divano, o sbaglio?" era odio puro quello che mi stava tirando dietro. Odio, rabbia, rancore, disprezzo, frustrazione. E tutto questo lo rendeva cieco e pericoloso
"David smettila!" ordinai ancora, cercando di essere perentorio. Peccato che con lui fosse tutto fiato sprecato e peccato che le mani, le gambe e perfino la voce, tremassero senza sosta.
"No, non la smetto!" mi gridò in risposta alzando la voce e stringendomi forte anche l'altro polso. Ero in trappola, letteralmente. Solo, con un pazzo senza ragione, prigioniero tra le mie stesse mura. Ad un passo dall'appartamento di Blaine.
Blaine, Blaine, Blaine...
"Io ti rovino, Kurt Hummel... Io sono capace di toglierti tutto quello a cui tieni di più, a partire da quel tuo prezioso lavoro!" sibilò a pochi centimetri dal mio viso, provocandomi la pelle d'oca - ben lontana da essere la stessa che mi provocava Blaine quando mi accarezzava.
Boccheggiai impotente ma ci pensò lui a continuare
"Ti toglierò il tuo lavoro visto che in fondo è merito mio se lo hai ottenuto... perché, siamo sinceri... a conti fatti.. non lo meritavi minimamente!" ma cosa stava dicendo? Era merito suo? Di cosa parlava?
"Io non... capisco.." balbettai confuso 
"Te lo spiego subito, Hummel! Quando ti ho conosciuto eri semplicemente un qualsiasi tirocinante senza speranza e senza futuro. Tempo un mese e Chang ti avrebbe cacciato per sempre. Sono stato io a chiedergli di assumerti a tempo pieno, altrimenti a quest'ora saresti a spasso per New York.. o meglio.. saresti tornato nella tua insulsa Lima!" sentenziò in tono aspro e strisciato. Da dove veniva fuori tutta quella cattiveria? D'accordo, non era mai stato docile né particolarmente gentile, eppure... non lo avevo mai visto reagire così. E poi, quella storia del mio lavoro... era vera? Possibile fosse arrivato a bluffare così pesantemente? Mi aveva seriamente raccomando a Chang ed io avevo ottenuto il posto, non perché fossi bravo e lo avessi dunque meritato, ma perché David... glielo aveva chiesto come favore personale?
Mi accorsi di aver smesso di respirare solo nel momento in cui il campanello prese a suonare. Due brevi squilli e poi niente. Il silenzio assoluto era sceso nella stanza. Io guardai la porta, sorpreso ed avvertii la presa di David farsi più intensa attorno al mio polso. Chiunque fosse stato a quell'ora, aveva scelto davvero un ottimo momento per suonare. O pessimo, a seconda del punto di vista. Dalla presa ferrea di David e dal fatto che non avesse detto niente, dedussi immediatamente che non mi fosse concesso muovermi per aprire. Sembrava uno di quei film d'horror, in cui la scena clou dell'omicidio del protagonista, era fatalmente interrotta dallo squillo del telefono. Era provvidenziale in alcuni casi. Nel mio di caso, considerando il fatto che non ero condannato a morte certa, poteva anche essere ignorata. Se non fosse che l'avventore misterioso si dimostrò ben presto davvero caparbio.
Il campanello, infatti, suonò altre tre volte, dopodiché fu sostituito dallo sbattere di un pugno direttamente sul legno della porta. Sembrava... agitato ed impaziente. Ma chi diavolo era?
"Kurt? Sei in casa?... Kurt?" ed eccola la voce del disturbatore misterioso. La sua voce.
Sgranai gli occhi quasi immediatamente, riconoscendolo. Ed immediatamente provai due diverse sensazioni: da una parte mi sentii pervadere da un meraviglioso sollievo, che mi fece rilassare ogni singolo muscolo teso del corpo. Dall'altra, però, la presa di David mi fece ricordare di non essere solo e soprattutto di non essere affatto nella condizioni per rispondere e farlo entrare in casa mia. E tutto quello mi provocava soltanto un fastidioso senso di nausea. Fastidioso ed opprimente senso di nausea.
"Ho visto la luce della cucina accesa dalla strada. Se volevi evitarmi sei stato poco furbo Hummel, fattelo dire!" avvertii chiaramente la sua risata attutita dallo spessore della porta blindata, ma fu ugualmente un ulteriore sollievo per me. Come ricevere una carezza sul viso. Come riprendere a respirare dopo ore di apnea. E senza neanche accorgermene, riuscii ad aprirmi in un sorriso mite e dolce che spazzò via un pò di angoscia e paura accumulate in quell'ultima mezz'ora di inferno. Mi accorsi troppo tardi della cavolata appena fatta.
"Ma certo... come ho fatto a non pensarci!" mormorò David in un quasi impercettibile sibilo, dopodiché mi scacciò da un lato ed avanzò a grandi passi verso la porta d'ingresso. Ed io iniziai seriamente a tremare di paura.


New York City. Ore 11.45 P.M. 13 Aprile 2012 (Venerdì)

Il cipiglio che mi si era formato sul volto era degno del migliore attore hollywoodiano. Perfino migliore di quello che avrebbe potuto improvvisare mio fratello. Ero confuso, davvero. Eppure avevo chiaramente visto la luce della cucina di Kurt accesa, segno che a quell'ora fosse ancora sveglio. E allora, perché nessuno veniva ad aprire? L'aveva forse dimenticata accesa andando a letto? Beh, se così fosse stato, il mio insistente bussare lo avrebbe svegliato, no? Forse dovevo semplicemente arrendermi, arrotolare la mia scodinzolante coda e rifugiarmi nel mio appartamento. O avrei rischiato davvero di fare la figura del vicino invadente ed impiccione, cascando così nel più classico dei cliché.
Blaine, ce l'hai presente il concetto della "porta chiusa"? Quando è chiusa... è chiusa...
Con un sospiro rassegnato feci dietrofront e tirai fuori le chiavi di casa dalla giacca. Ero meno stanco del solito, fortunatamente. Avevo semplicemente bisogno di mettere qualcosa di commestibile nello stomaco, e poi mi sarei genuinamente buttato tra le lenzuola. Tutto questo con la chiara consapevolezza che il giorno dopo la sveglia per me sarebbe suonata molto presto. Facendo due calcoli mentali - e ci riuscivo perfettamente, nonostante la stanchezza che avevo addosso - avevo a disposizione quattro ore e mezza per dormire. Se fossi riuscito a far rientrare in un quarto d'ora la cena e una doccia veloce. Un'impresa titanica, ma ce l'avrei fatta con il senno di poi.
E poi... domani finisce ufficialmente il mio preavviso. Da Lunedì sono un uomo libero...
Purtroppo i miei piani vennero scombinati nel giro di pochissimi attimi. Un istante prima ero ancora fermo davanti la mia porta, intento a scegliere la chiave giusta da inserire nella toppa, quello dopo mi ritrovai con la schiena premuta alla ringhiera dell'ascensore, e il fiato caldo di un mastodontico uomo, sul collo. Mi ci volle davvero poco a collegare quella smorfia truce e tutti quei muscoli con David, il ragazzo di Kurt, e mi ci volle molto meno a capire che lì, un quarto d'ora, non mi sarebbe affatto bastato.

  
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