Ai
film horror che ci segnano per sempre.
Agli inopportuni.
Ai
lucidalabbra.
The (he)art of the streap VIDEO
Otto.
Le
gocce d'acqua dal rubinetto, il caffè pronto della moka, la
matita della studentessa nervosa, le lancette imperterrite di un
orologio, la sedia rotta della scrivania di Mina e la porta cigolante
dell'ufficio di Carla: qualsiasi rumore sarebbe stato
più piacevole rispetto a quel silenzio
imbarazzante.
Le
lunghe dita della sua mano sinistra tamburellavano sul cruscotto mentre
la mano destra era ben salda sul cambio, lo sguardo fisso sulla strada
e le labbra tese in un mezzo sorriso; era affascinante.
-
Vuoi un caffè? - Lo guardai confusa: un caffè a
quell'ora della notte? Non avrei dormito per il resto della mia vita.
Capì la mia perplessità perciò mi
spiegò la sua domanda – Mi sei sembrata un po' su
di giri al locale, quindi forse ti serve il caffè per
riprenderti. No?
-
No. Grazie.
Il
mezzo sorriso di prima si trasformò in uno vero e
proprio; non distolse, però, lo sguardo da davanti a
sé, come se avesse paura a guardami e non volesse farlo
perché lo imbarazzassi.
Mi
voltai verso il finestrino a guardare la strada, i palazzi, le macchine
posteggiate e i pali della luce lampeggianti e mezzi rotti; era tutto
così triste e desolante, non c'era un'anima viva a quell'ora
eppure Roma era conosciuta per i suoi schiamazzi notturni.
-
Sei cambiata. - Piegai la testa verso sinistra e lo guardai curiosa di
sapere cosa stesse per dire. - Sì insomma: mi ringrazi,
accetti un mio passaggio, mi chiami per un favore; adesso sei tu ad
avere bisogno di me, mi vuoi, ti piaccio e vuoi essere mia
amica.
Lo
guardai sbigottita e restai in silenzio per qualche
istante, poi scoppiai a ridere perché era stato
così divertente da farmi piegare in due. - Tu non stai bene.
Dovresti piacermi solo perché accetto un tuo passaggio o ti
ringrazio?
-
Ti piaccio perché mi trovi attraente.
Sbuffai
– Non faremo questo discorso: non ti dirò quanto
sei carino e non mi dirai che ti piacciono le mie tette. Tra di noi non
ci sarà niente perché non mi sembra il caso.
Per
la prima volta si voltò a guardarmi, solo perché
uno dei tanti semafori incontrati fino ad allora era rosso –
Ottima scusa.
-
Ottimissima, Mr Electric Fire. - Gli feci una smorfia infantile, anzi
era più un verso idiota al quale lui rispose con una
linguaccia prima di rimettersi a guidare. Sorrisi per quanto accaduto,
erano rari quei momenti di ilarità e spensieratezza. - Da
dove nasce?
-
Possiamo parlare di tutto, ma il parto è l'unica
cosa che mi fa un po' impressione, sai?
-
Mi riferivo al soprannome – Sussurrai
esasperata, perché effettivamente avere una
conversazione con lui era molto stancante – Perché
hai scelto proprio questo?
Scrollò
le spalle divenendo, d'un tratto, serio – Non saprei,
è nato per scherzo qualche settimana dopo i nostri
spettacoli; ha iniziato Giovanni a dire che il suo uccello era magico,
era di fuoco e Riccardo ha detto la sua...
-
Piccante. - Pensai ad alta voce e lui rise. - Qual è il
soprannome di Riccardo, non l'ho sentito.
Ero
curiosa: volevo sapere altri retroscena sul suo lavoro, dettagli sulla
sua vita e sul rapporto con gli altri due; avevo capito che non era un
cattivo ragazzo e che forse avrei potuto fidarmi di
lui.
-
Questo perché eri distratta a flirtare con
Giovanni.
Ammiccò
mentre svoltava a destra, dando la precedenza a un tram. - Io non stavo
flirtando con nessuno, stavo parlando animatamente. - Gli spiegai con
calma, guardandolo di sbieco; i suoi occhi riflettevano la luce
dei lampioni della strada ed erano lucidi, espressivi
e meravigliosi, di un azzurro diverso da quello che avevo visto di
solito: più intenso, sul blu, ma con qualche
sfumatura verde: erano magnetici.
Come
faceva a sorridere in quel modo, aveva qualche paralisi alle labbra?
Gli si muoveva o verso destra o a sinistra, aveva la mascella slogata?
Io non riuscivo a fare quelle cose lì; ci provai pure a
rivolgergli un sorriso mezzo decente o almeno provocante, ma
mi uscì uno sgorbio.
Ma
poi chi volevo prendere in giro: io provocare lui? Per quale
motivo? Questa era ancora più assurda di quello che
aveva detto prima su Giovanni e il mio flirtare; a parte che
non sapevo neanche come si facesse e poi quello neanche mi interessava,
aveva i capelli troppo lunghi e viscidi, neanche fosse quell'attrice
lì che tutti prendevano in giro, Cristina Stewart.
-
Emily, tutto bene? - Lo guardai interrogativa – Mi sembravi
assente, se stai male puoi dirlo, ti porto al pronto soccorso.
Ero
irritata per quella domanda, ma anche lusingata: era davvero
preoccupato o mi stava prendendo in giro? Perciò lo guardai
intensamente, cercando di scoprire qualcosa. - Non sono una ragazzina,
so bene quali sono i miei limiti e di certo bevendo qualche drink non
li ho superati. Perciò sì, sto bene.
Incrociai
le braccia sotto il seno voltandomi del tutto verso la mia destra e
dedicandomi a quello che vedevo; d'accordo era stato carino, a modo
suo, a chiedermi come stessi, ma a lui poi che importava? Mi
sembrava di essere tornata un'adolescente con sbalzi d'umore e d'ormone
incorporati.
Ero
una donna adulta con sani principi, un lavoro a cui pensare e lui
doveva sparire; invece era sempre lì a complicare tutto e a
incasinarmi la vita. Avevo pensato per un attimo che fosse un bravo
ragazzo e magari lo era davvero, ma non lo era per me, non lo era in
quel momento, quando cercavo di dare un senso a tutto:
passato e presente, non pensando al futuro.
Perché era piombato lui?
Sbuffai, appannando
il finestrino e lui se ne accorse.
-
Stiamo arrivando, questo lungo calvario è quasi finito.
Non
volevo pensasse che stare con lui fosse un supplizio, anzi a volte era
piacevole. - Ero sovrappensiero, figurati se mi preoccupo della tua
presenza.
Tentai
di stuzzicarlo, ma non ottenni nulla se non uno sguardo serio
e fisso sulla strada; in quel momento sì che desiderai di
arrivare in fretta, perché doveva esserci sempre traffico in
quella cavolo di città? Eravamo stati dieci minuti bloccati
in fila perdendo un sacco di tempo, per fortuna almeno in quella via
non c'erano macchine e andavamo veloci.
-
Scusa, ma com'è che ti... - Stavo per chiedergli come si
chiamasse, dato che avevo accettato un suo passaggio senza sapere
niente di lui, se non il suo lavoro e dove abitasse, quando
lampeggiò a una macchina con i fari spenti. - Sei
impazzito!?- Gli diedi una botta sul braccio, voltandomi a
guardare quella vettura.
-
Perché? Ho solo avvertito quel coglione, anche se immagino
fosse una donna, di accendere le luci.
Boccheggiai
– Tu, cioè, non sai... Oddio hai mai visto i film
horror? Non sai che non si abbaglia mai quando l'altra macchina ha i
fari spenti? Sto per svenire.
Mi
accasciai sul sedile mentre mi facevo aria con la mano e l'idiota rise
– Come sei esagerata.- Sbuffò e i suoi occhi si
posarono sullo specchietto retrovisore, allarmandomi: l'ansia mi stava
già uccidendo; maledetti film horror che avevo visto fin da
piccola, lo sapevo che prima o poi mi si sarebbero ritorti contro. -
Stai calma, andrà tutto bene.
-
Andrà bene un cazzo, quello ci sta seguendo e noi moriremo.
-
Ma no che non moriremo.
-
Sì che moriremo. – Mi voltai di nuovo verso
quell'auto che ci inseguiva con gli abbaglianti puntati verso noi, mi
veniva da piangere – Succede sempre così, il
ragazzo figo e la ragazza che gli sta accanto fanno una brutta fine.
-
Non moriremo Emily: anche se sono figo e tu mi sei vicina. - Le sue
dita sul mio mento voltarono il mio viso quel poco che bastava per
guardarlo negli occhi – Puoi fidarti di me, per
favore?
Quegli
occhi erano così belli da mozzare il fiato – Puoi
guidare, per favore? - Rifece di nuovo quella smorfia con le labbra
verso sinistra e si concentrò sulla strada: quarta, quinta,
quarta; scalava le marce come se non ci fosse nient'altro di
importante, svoltava in vie a me sconosciute, sorpassava auto troppo
lente lanciando un'occhiata all'auto dietro di tanto in tanto, che non
era più così vicina e io stavo iniziando a
rilassarmi.
-
E' quasi tutto finito, tranquilla.
Gli
sorrisi incerta e, quando vidi l'incrocio con il
semaforo, capii cosa aveva intenzione di fare:
rallentò un po' aspettando che la luce diventasse arancione
e poi accelerò di colpo, lasciando la macchina dietro ferma
per il rosso. Mi tranquillizzai, sospirando
rilassata:finalmente era finito quell'incubo e noi eravamo arrivati,
senza sapere come, in zona Colosseo. Fermò l'auto e
respirò anche lui: era stato teso per tutto il momento, in
effetti l'avevo fatto agitare io.
-
Visto? E' andato tutto bene.
Mi
sorrise e io ricambiai – Non volevo turbarti e di solito non
sono ansiosa neanche io, solo che i film horror mi mettono paura e
quella scena era maledettamente simile a...
-
Sì tranquilla. E' stato divertente però.
Scoppiò
a ridere, forse per la tensione o forse perché in fondo era
davvero stato divertente essere inseguiti per le strade isolate di
Roma, fatto sta che dopo un momento di stupore mi unii alla sua risata,
togliendo un peso dallo stomaco e rilassandomi del tutto; ridere era
una cura per tutto, mia nonna lo diceva sempre, o me l'aveva detto
Kamal una delle tante volte che avevo mangiato al suo locale.
Come
in un film, ovviamente, perché la mia vita cominciava a
essere il cliché dei cliché, smettemmo di ridere
nello stesso momento, dei colpi di tosse si sostituirono alle risa e un
silenzio imbarazzante piombò nell'abitacolo;
perché non aveva ancora messo in moto per portarmi a casa?
Era tardi e avevo sonno.
-
Emily... - Ero ripetitiva ma i suoi occhi sembravano volessero dirmi
qualcosa, si umettò le labbra pronto per parlare o per fare
qualcosa, il mio sguardo si posò sul labbro inferiore
più carnoso e più bagnato rispetto all'altro: era
così invitante. Sospirai affranta perché sapevo
quello che stava per succedere: ci saremmo baciati e i miei
piani di tenerlo fuori dalla mia vita sarebbero andati in fumo; eppure
non riuscivo a muovermi, a oppormi, perché una parte di me
voleva tastare quelle labbra e giocare con la sua lingua.
All'improvviso
ero regredita di dieci anni.
Il
suo respiro si infrangeva sul mio viso e lo maledii mentalmente
perché non aveva ancora annullato quella maledetta distanza
baciandomi. Il suo naso sfiorava il mio e potevo benissimo
vedere le sfumature verdi nei suoi occhi azzurri: non mi ero sbagliata,
quel colore era davvero particolare oltre che meraviglioso. Il mio
sguardo si posò di nuovo sulle sue labbra e senza pensarci
passai la lingua sulle mie, a quanto pare dovette piacergli il mio
gesto perché la sua mano finì tra i miei capelli
e mi tirò ancora più vicino a
sé: stava accadendo, quelle labbra tanto
peccaminose sarebbero state mie per un momento.
Un
ticchettio metallico mi fece sobbalzare: che fosse la macchina di
prima? Geremia si voltò alla sua sinistra scocciato e io,
quando mi accorsi di chi si trattasse, desiderai morire per la
vergogna.
-
Buonasera agenti.
-
Patente e libretto per favore. - Dopo un
“sì” di circostanza, l'idiota
si mise a cercare il libretto dell'auto per passarlo al vigile
– Anche il documento della signorina, grazie.
-
Noi non. - Tentai di parlare, ma quel cretino mi
bloccò poggiando una mano sulla gamba, sussultai a quel
tocco rude e inaspettato. L'agente prese quello che gli serviva e si
allontanò dalla nostra auto raggiungendo il suo
collega: era la prima volta che mi capitava una cosa del
genere, stavo iniziando a pensare che era quel Geremia a portarmi
sfiga. - Che vogliono da noi?
Sapevo
che il sorriso serviva a tranquillizzarmi, ma mi ero
innervosita di nuovo – Sarà solo un controllo di
routine, non preoccuparti.
Spostai
i miei capelli sul lato sinistro cercando di stare calma: non ne potevo
più di quella serata, di quella giornata in generale, stavo
iniziando ad avere un fastidio alla tempia destra, proprio sopra
l'orecchio a causa dello stress e di quello che avevo dovuto sopportare
quel giorno; era tanto difficile arrivare a casa senza che succedesse
qualcos'altro?
A
rendermi ancora più irrequieta ci si metteva anche lui con
il suo tamburellare nervoso sul cruscotto. Mi soffermai a guardarlo
mentre era intento a osservare i due vigili più lontano
rispetto a noi: aveva gli occhi ridotti a due
fessure, forse per cercare di capire cosa stessero facendo e
perché ci stessero mettendo così tanto tempo, le
labbra semi aperte e la mascella tesa come se stesse digrignando i
denti; evidentemente era nervoso anche lui, ma non
voleva darmelo a vedere. Quando i due si
avvicinarono, cercò di mostrarsi il più
cordiale possibile, rilassandosi.
-
Dunque signor Vivaldi e signorina Cutini, cosa ci fate qui a
quest'ora?
Lo
guardai meravigliata, avrei voluto dirgli che non erano affari suoi e
che non stavamo facendo nulla di male o sbagliato ma il cretino mi
anticipò – Ci siamo fermati un attimo
perché il mio telefono squillava e non avevo l'auricolare,
non mi sembrava il caso di rispondere per strada.
La
sua risposta mi stupì, così come le sue
doti recitative, il vigile ci diede i documenti e si
appoggiò al finestrino: cercava di
intimorirci, lo si capiva dallo sguardo serio –
Ragazzi, non dovreste essere qui, prima che io vi chieda di
scendere e che vi controlli sparite dalla mia vista.
-
Oh, ci scusi, non sapevamo fosse vietato fermarsi, andiamo subito via.
Geremia, o
meglio, il signor Vivaldi aspettò che quell'odioso
vigile si togliesse dal finestrino per rimettere in moto e portarmi,
finalmente, a casa.
Per
il resto del viaggio restai in silenzio ripensando a quello che stava
per succedere o sarebbe successo, se la polizia non ci avesse
interrotto; come avevo potuto desiderare di baciarlo? Mi ero talmente
incantata a guardare i suoi occhi e le sue labbra da volerle
assaggiare. Stupida me e stupidi ormoni che non se ne stavano buoni al
proprio posto. Preferivo di gran lunga litigare con lui, piuttosto che
fare pensieri sconci. Dato che il destino l'aveva messo sulla mia
strada e ogni cosa sembrava sempre riportarlo a me, tanto valeva
scegliere da che parte stare e io avevo scelto il litigio.
-
Emily... - Trattenni il respiro, sperando che non parlasse di quanto
accaduto prima. - Siamo arrivati.
Non
mi ero accorta che fossimo sotto casa mia talmente ero sovrappensiero;
mi voltai per ringraziarlo e lo trovai poggiato con la schiena al
finestrino e un sorriso impertinente stampato in faccia. Lo stronzo
rideva di me per un motivo ben preciso, ma sconosciuto.
-
Ti faccio ridere? Perché non condividi il tuo pensiero,
magari mi diverto anche io.
-
Ma io non sto ridendo, sto sorridendo.
Provai
a controbattere ma sapevo già che sarebbe stato tempo perso.
- Grazie per il passaggio.- Scesi dall'auto, ma mi richiamò.
Mi sporsi verso l'interno appoggiando i gomiti allo sportello
– Che vuoi?
-
Che vuoi? - Ripeté meravigliato e con un tono fin troppo
ironico – Prima mi chiedi un favore, poi accetti un passaggio
e scherzi con me, poi stai per baciarmi e adesso mi chiedi cosa voglio?
Pensai
molto alla risposta, perché sapevo che qualsiasi cosa avessi
detto lui l'avrebbe rigirata contro di me a suo piacimento: odiavo
quell'abilità, volevo avercela anche io.
-
Buonanotte – Come diavolo si chiamava? - Signor Vivaldi.
Una
risata gli illuminò il viso – Signore? Va beh, ma
non mi hai ringraziato.
-
Senti, mi piacerebbe tanto stare qui a discutere sui miei metodi di
ringraziamento ma ho dimenticato di dare da mangiare al gatto e non
vorrei che morisse di fame, perciò addio: spero di non
vederti mai più.
Rise
di nuovo e me ne andai, ero già davanti al portone quando lo
sentii urlare – Il tuo lucidalabbra è invitante,
voglio assaggiarlo.
Lo
ignorai e mi chiusi in casa prima che qualche vicina si affacciasse e
gettasse un secchio d'acqua colpendomi in pieno; ero arrivata al punto
di saturazione con lui, mi provocava, mi faceva innervosire, mi tentava
con il suo corpo, voleva baciarmi e poi tornava a farmi arrabbiare, la
domanda era una sola e semplice: perché?
Gettai
la sveglia per terra non appena la sentii suonare: non avevo
voglia di alzarmi dal letto e andare a lavoro, volevo stare sotto le
coperte e al calduccio. Il mondo esterno era cattivo e io sapevo che se
fossi uscita di casa avrei incontrato il cretino e la mia giornata
sarebbe peggiorata ancora prima di iniziare. Purtroppo per
me, dovetti alzarmi e affrontare quel giorno come
sempre, perché in ufficio mi aspettavano le due
spose tanto simpatiche che avevano deciso di cambiare e aggiungere
alcuni dettagli del ricevimento: le avrei strozzate entro la data del
matrimonio, ne ero certa.
Arrancai
fino in bagno e mi spaventai, guardandomi allo
specchio: neanche il super correttore speciale che aveva
consigliato Clio in una delle puntate su Real Time sarebbe servito a
compiere il miracolo, perciò feci una doccia bollente e mi
vestii coprendomi il più possibile, dato che stavo
morendo di freddo.
Quella
mattina Roma sembrava più rumorosa del solito e non appena
arrivai sospirai sollevata, almeno sarei stata chiusa in ufficio senza
sentire il rumore delle auto passare e ripassarmi accanto, i borbottii
dei pedoni, le urla dei commercianti e così via.
-
Buongiorno Emily.
Il
suo sorriso era irritante ma dovetti salutarlo per forza –
Ehi, ciao. Come va?
-
Sono Mario, ricordi? - Pigiò il numero cinque dell'ascensore
e poi, accanto a me, aspettò che le porte si richiudessero.
Per evitare di sprecare ancora fiato, gli annuì e
sperai che quel maledetto affare si muovesse a salire i cinque piani. -
Comunque va tutto alla grande, oggi è una bella giornata; tu
come stai? Come procedono i matrimoni?
-
I matrimoni procedono come sempre: spose, tulle, fiori, anelli e
divorzi. Fortunatamente non sono un avvocato.
Forse
ero stata un po' troppo brusca, ma il suo buon umore mi
urtava, così come la sua risata – Grazie a te e le
tue colleghe, noi lavoriamo di più.
-
Credo che Carla l'abbia fatto di proposito ad aprire l'ufficio proprio
sopra lo studio di un avvocato divorzista e associati.
L'ascensore
si fermò e le porte si aprirono – Mi ha fatto
piacere vederti, Emily. - Mario uscì e un suo collega lo
salutò con una pacca sulla spalla – Potremmo
riveder...
Per
fortuna non riuscì a completare la frase: l'ascensore mi
portò al mio piano togliendomi l'imbarazzo di rifiutare un
suo eventuale invito. Né Carla né Mina erano in
ufficio, Giulia invece era al telefono e stava urlando contro qualcuno,
continuava a dire che i gamberi erano crostacei e non
pesce e perciò dovevano essere messi sul
menù: era di sicuro il catering del matrimonio che stava
organizzando. Non sapevo il motivo ma stranamente erano sempre loro, i
cuochi, a dare più problemi, oltre alle spose.
-
Tutto bene? - Le chiesi quando riagganciò. - Stavi
per sbranare il tuo interlocutore.
-
Quello era un imbecille di prima categoria, lasciamo perdere. Tu come
stai? Sembri uscita da The
walking dead.
Mi
indicò
il viso e sospirai: non sapevo se il mio stato dipendesse
dalla strana serata precedente e dal fatto che fossi andata a letto
alle tre del mattino inoltrate o da altro, come i dolori muscolari, il
mal di testa e il naso che colava ogni dieci minuti.
-
Hai bevuto ieri sera?
-
No, cioè un po', ma non ho i postumi, ho solo fatto tardi e
sono stanca.
Mi
accasciai sulla sedia e iniziai a sbattere la testa contro la scrivania
quando il campanello
suonò: sapevo già chi
fosse perché avevo appuntamento con Giada e Ilaria, le spose
più indesiderate di Roma. Giulia aprì loro la
porta e le raggiunsi nell'altra sala, dove ricevevamo i
clienti: una cosa ero certa, avrei preferito stare con
Mr Oliato-è-meglio-che-sbarbato Geremia
Vivaldi piuttosto che con loro.
La
mia vita, se iniziavo a pensare quelle cose, era finita.
********
Mi
scuso per il ritardo e per la bruttezza di questo capitolo, addio.
No
scherzo, devo prima dirvi alcune cose. Intanto calma, vedo
già i
cuori e gli arcobaleni delle ship da qui; lo so Gerrimio è
adorabile
ed Emily è troppo noiosa, non posso farci nulla.
Dunque, non ci
sono momenti eclatanti, citazioni o altro quindi sarò breve.
La
scena della macchina a fari spenti è tipico di molti film
horror,
quello a cui mi sono "ispirata" in questo caso è Urban Legend
(trailer QUI
) ovviamente alla fine i due ragazzi vengono uccisi, quindi
è un po' diverso il momento e comunque è
risaputo:
mai abbagliare a un auto con i fari spenti.
The
walkind dead è un telefilm
sugli zombie e roba varia, ho visto solo la prima puntata,
m'hanno detto che è carino, sinceramente non lo so.
Clio di
ClioMakeUp è la tizia che è diventata famosa
grazie ai video
tutorial su YouTube
e che adesso conduce il programma su Real Time.
Per il resto non
avrei altro da dire: i due idioti stavano per baciarsi e poi sono
stati interrotti, Emily è imbarazzata e tratta male, di
nuovo,
Gerri; non si chiede, però, cosa succederà nel
momento in cui lui
la incontrerà di nuovo.
Vorrei ringraziare con il cuore
tutte voi, una ciascuna, per aver inserito questa storia tra i
seguiti, ricordati e preferiti: siete tante e ve ne sono davvero
grata, mi fate emozionare.
Vorrei fare qualcosa per farvi capire
quanto sono felice ma non saprei cosa, magari vi regalo un Gerri nudo
la prossima volta. XD
Ringrazio, come sempre, Elle
per la sua pazienza, per il rosa e per stalkerarmi.
Se volete
potete trovarmi nel mio gruppo facebook, esattamente QUI.
E'
stato un piacere e che la panna sia con voi.