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Autore: Gaia Loire    06/05/2007    9 recensioni
Il ragazzo che ami scappa per arruolarsi in una guerra suicida e - quello che è peggio - si trova dalla parte sbagliata. Sopravvivere non è facile come avresti pensato se non riesci a dormire più di due ore per notte, soffocata dai rimorsi e da singhiozzi che ti muoiono in gola.
A volte prima bisogna toccare il fondo prima di risalire.
Genere: Romantico, Commedia | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Coppie: Draco/Pansy, Harry/Ginny
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti
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Attenzione, nella parte iniziale del capitolo c’è sangue, e parecchio. Se qualcuno pensa che potrebbe farsi impressionare allora salti in blocco; del resto il rating R non è qui a caso.
Per le note ed i ringraziamenti individuali vi rimando a fine capitolo ^_^



Capitolo 3: Tumbling Dice




She's got eyes of the bluest skies
As if they thought of rain
I hate to look into those eyes
And see an ounce of pain
Sweet Child Of Mine, Guns N’ Roses


Lo specchio davanti a lui andò in mille pezzi quando lo colpì con un mugolio di frustrazione. Schegge di vetro gli volarono addosso, graffiandogli il viso, le braccia ed addirittura il torace coperto dal mantello strappato. I tagli non erano profondi, tuttavia il sangue iniziò a sgorgare da essi copioso, mischiandosi ai pezzi dello specchio che erano rimasti conficcati nella carne.
Dolore.
Si rese conto che era il dolore la chiave, l’unica cosa che sarebbe riuscito a farlo sentire vivo. Cadde in ginocchio fra i cocci che gli trafissero le gambe, lacerando i pantaloni neri e ferendo la pelle già escoriata.
Tuttavia prima ancora del dolore la scossa che lo attraversò fu una scossa di adrenalina, potente e sicura, quella sensazione di onnipotenza che tanto gli era mancata.
Seppe subito cosa avrebbe dovuto fare.
Scelse con cura uno dei cocci di vetro più grossi, forse il migliori fra quelli imbrattati di sangue per terra, ed arrotolò la manica sinistra della giubba. Non ebbe nemmeno l’accenno di un’esitazione.
Se non fosse riuscito a lavare con il sangue il suo peccato allora non sapeva come avrebbe potuto, deciso a scavare via dal suo braccio anche la vita se fosse stato necessario.
Gli si annebbiarono gli occhi dal dolore quando incise la pelle con il vetro, la sua mano tremò un istante soltanto per diventare più ferma e sicura, in un’eccesso di pazzia e di rabbia mentre scavava la pelle marchiata, lacerando la lingua del serpente di inchiostro. Che fosse inchiostro, però, non era sicuro; l’unica cosa che ricordava di quel momento era una sensazione di dolore infinito, il fuoco vivo che gli bruciava il sangue nelle vene e la pelle del braccio, sostituendola a quel marchio di morte e di dolore.
Lo stesso dolore che si stava infliggendo, non con la forza della disperazione ma con quella della volontà: volontà di mutare quell’orrore a costo della sua stessa vita.
Aveva già deciso in precedenza che la vita non sarebbe stato un prezzo troppo alto da pagare in cambio della sua assunzione, prosciolto da ogni accusa con solo quella misera cauzione, una vita che non avrebbe avuto ragiione se già predestinata da un disegno privo di alcun senso. Se c’era un senso naturalmente a lui sfuggiva, congelato dalle sue parole e dall’orrore che portava nel cuore, chiuso a doppia mandata e la chiave in fondo al pozzo dei suoi pensieri.
Un’altra scarica di dolore attraversò il corpo di Draco quandò un brandello di carne sfigurata da un teschio bianco cadde ai suoi piedi, grondante di sangue, infilzandosi nel vetro. Lui la guardò con orrore come se fosse una persona vivente, aspettando che si contorcesse davanti ai suoi occhi chiedendo pietà.
La pietà che può avere un assassino per il suo mentore, ben più grande di quella che potrebbe provare contro qualunque morto.
Vittima e carnefice.
Quando completò la sua opera non urlò di dolore solo perché non voleva farsi sentire, il suo braccio irrimediabilmente sfigurato e tinto di un rosso cupo che continuava a sgorgare a fiotti, la pelle mutilata dal vetro che gli lacerava la mano.
Finalmente era pulito.
Non pensò neanche per un istante di lasciarsi morire; se gli dèi avessero voluto non avrebbe sofferto per nulla, strappò con la mano sana un pezzo del mantello già distrutto e dopo aver pronunciato a bassa voce una formula che almeno in teoria avrebbe dovuto alleviargli il dolore e provocare sollievo alla ferità lo legò intorno al braccio con una scioltezza che aveva imparato in anni e anni di silenzioso spionaggio. Si meravigliò di non essere svenuto subito.
Avrebbe dovuto andarsene prima che riuscissero a riprenderlo; non sapeva bene se Theodore fosse riuscito o meno a coprire la loro fuga ma la speranza era l’unica cosa che gli restava. Sentì la mente annebbiarglisi progressivamente mentre le ultime scariche di adrenalina si smorzarono, si appoggiò alla ringhiera di legno con le mani insanguinate quando le gambe gli tremarono.
– Draco! –
Non era l’ideale che Blaise lo vedesse in quelle condizioni visto che avrebbe potuto protestare per curarlo e questo li avrebbe indicibilmente rallentati. Con uno sforzo immane nascose il braccio sinistro sotto il mantello ed uscì in fretta dalla stanza, sbattendosi alle spalle la porta che cigolò.
– Arrivo –
– Dobbiamo ripartire, non c’è tempo – disse Blaise raggiungendolo – Non avremmo mai dovuto fermarci, saranno sicuramente sulle nostre tracce –
– Hai sentito il marchio bruciare?
Soltanto in quel momento Blaise sembrò accorgersi dei graffi sul viso di Blaise e sulle sue ginocchia, fortunatamente il mantello copriva sia il torace che il braccio, altrimenti non ci sarebbe stato nessun modo di ingannare il ragazzo – Cielo, Draco, cosa ti sei fatto? Stai bene? –
Avanzò con la mano tesa verso di lui probabilmente per saggiare i suoi graffi ma Draco si ritrasse indietro di scatto, mordendosi il labbro inferiore per non urlare dal dolore che quel movimento improvviso gli aveva causato.
– Sto bene, stai tranquillo, sono soltanto caduto, non è la fine del mondo – disse in tono sbrigativo, sperando che questo sarebbe bastato a chiudere la questione. Fece una pausa per raccogliere le idee e per non imporre alla propria voce di non tremare – Adesso andiamo, non c’è tempo. Hai sentito il marchio bruciare? –
– No – rispose Blaise guardandolo stupito – perché, tu sì? –
– Nemmeno io –
Blaise guardò Draco senza capire il senso delle sue parole: aveva l’aria significativamente sconvolta e il viso attraversato da graffi che per fortuna sembravano essere estremamente e che avevano smesso di sanguinare o forse non avevano mai sanguinato affatto – Sei sicuro di poter ripartire? –
– Naturalmente – disse Draco con un moto di impazienza – Questo discorso ci sta già costando troppo tempo, andiamo –
Blaise annuì a malincuore con un sospiro, ma gli bastò vedere il passo spedito con cui Draco uscì dalla baracca per essere rassicurato sulle sue condizioni: non doveva stare poi così male se riusciva a camminare in quel modo.
Naturalmente la realtà dei fatti era ben diversa: che Draco camminasse spedito era innegabile, ma lo erano altrettanto le smorfie di dolore puro che gli piegavano la bocca.
Avanzarono nella foresta rapidamente per qualche ora, la bacchetta di Blaise accesa per fare luce nel fitto intrico di rami che precludevano al sole qualunque possibile accesso alla foresta.
Nell’aria stagnava un forte odore agre, pungente, l’odore di cose secche che stanno andando in putrefazione. Draco intuì subito, attraverso i fiotti di dolore che gli stringevano il cuore in una morsa, che dovevano esserci ben più di un cadavere sparpagliati per la foresta. Sperò di non incontrarne nessuno.
Blaise non gli aveva più chiesto se volesse fermarsi e Draco questo l’aveva apprezzato: sapevano entrambi che Draco non avrebbe potuto rispondere di no e anche la domanda era semplicemente troppo umiliante: gli attribuiva una debolezza sottintesa che nelle sue condizioni attuali era troppo.
Una zanzara volò davanti ai suoi occhi con un ronzio sommesso e Draco sentì un conato di vomito scuotergli lo stomaco quando sentì la puzza che emanava: era l’apice del marcio, lo stesso odore che produce una cosa morta.
Calpestò foglie secche che si sbriciolarono sotto i suoi passi, rivelando una voragine che lui non si fermò a controllare voltandosi indietro e che Blaise, dal canto suo, preferì aggirare senza nemmeno degnarla di un’occhiata.
La bacchetta di Draco, stregata dall’Incanto Quattro Punti, mostrava loro la strada, indicando la direzione giusta con un fascio di luce che fendeva gli alberi in un’immaginaria linea restta. Se fossero stati privi di bacchetta avrebbero comunque potuto trovare la strada seguendo i muschi aggrappati alle cortecce, stavano andando a nord.
Man mano che avanzavano però Draco sentiva la temperatura farsi sempre più calda, quasi tropicale, fino a diventare di un’intensità rovente tale da far presagire perlomeno una schiera di fornaci ad aspettarli.
– Per Salazar, Draco, tu non hai freddo? –
Con gli occhi sbarrati se ne rese conto dopo le parole di Blaise, non era la foresta a diventare rovente, era il suo braccio. Che fossero finiti in una foresta stregata del resto era facilmente intuibile, ma che questa facesse addirittura scaldare la temperatura a livelli così eccessivi era a dir poco assurdo, e Draco si maledisse a non averci pensato prima.
– Sì, forse sì – rispose a stento, serrando la mascella con forza come se questo gli impedisse di cadere a pezzi – Credi che manchi molto? –
– Oggi è il quinto giorno – rispose Blaise – Se andiamo avanti così dovremmo arrivare questa notte –
Draco annuì, Blaise del resto era l’unico che avrebbe potuto saperlo. Quando i Deatheater erano venuti a prenderli, aspettandoli ai margini della Foresta Proibita, avevano scelto di non smaterializzarsi, era troppo rischioso e un metodo facilmente rintracciabile: del resto i giovani Slyhterin erano talmente entusiasti di viaggiare che avevano percorso i primi tre giorni in fretta, per poi crollare dalla stanchezza all’alba del quarto. Tutti tranne Blaise, che aveva tenuto il conto di ogni cosa nel caso gli fosse potuto servire.
– Credi che gli altri stiano bene?
A quanto pareva Blaise era in vena di conversazione, una dote che in quel preciso istante a Draco mancava di molto, tuttavia si sforzo di rispondergli con la voce più ferma possibile – Credo di sì, hanno scelto loro di restare laggiù –
– Avremmo potuto farlo anche noi –
Draco si girò verso Blaise guardandolo con gli occhi spalancati – Te ne sei pentito? – chiese – Ti sei pentito di essertene andato? –
– Naturalmente no, pensavo che te ne fossi pentito tu – rispose Blaise con genuino stupore – Avevi litigato così furiosamente con Pansy che pensavo ti stessi già maledicendo per non essere rimasto coerente alle tue idee –
– Blaise – ringhiò Draco – Non adesso –
Non era un segno di debolezza o di codardia, semplicemente non desiderava pensarci, non desiderava pensare a lei.
– Come vuoi – rispose Blaise pacato. Era strano il modo in cui restava a rimanere calmo, a parlare così tranquillamente quando le sue lunghe gambe si muovevano così velocemente e lui era probabilmente stanchissimo dopo sei giorni di marcia quasi ininterrotta. Aprì la bocca per dire qualcos’altro ma poi la richiuse di scatto, gli occhi spalancati.socchiusi mentre uno spasmo di dolore gli attraversava il viso – Il marchio –
– Sta bruciando – non era una domanda quella di Draco, non poteva permettersi che risultasse tale – Blaise, vieni, dobbiamo andarcene ed in fretta, si sono accorti che manchiamo! –
Fece due passi avanti di corsa ed improvvisamente sentì il suo braccio andare a fuoco, sentendo la pelle ferita infiammarsi di un dolore troppo grande per sopportare, il suo piede mancò l’appoggiò e lui cadde rovinosamente a terra inciampando su una radice.
Tuttavia Blaise non fece caso alla sua caduta, troppo sconvolto dal dolore lacerante che faceva pulsare il marchio sul suo braccio, la sua prima chiamata di Mangiamorte e contemporaneamente la prima a cui non avrebbe risposto, sebbene il dolore fosse tale da essere proprio ai limiti della sopportazione. Si tirò su velocemente la manica della camicia ed osservò il disegno, i cui contorni neri erano diventati di un rosso acceso che brillava nella penombra della foresta. Se il Marchio avesse dovuto tracciare una direzione, alla stregua dell’Incanto Quattro Punti, avrebbe indicato il centro della terra.
Improvvisamente il dolore venne meno e i polmoni di Blaise ricominciarono a funzionare, l’aria che scese lungo la sua gola era così fredda da trafiggergli il petto e da serrare il suo cuore in una morsa d’acciaio – Stai bene? – chiese a Draco mentre la sua voce tremava.
Draco lo guardò, rimettendosi in piedi – Certo – disse. Poi guardò per terra.
Non era una radice quella sui ci era inciampato, era una testa.

***

Is this just fantasy?
Caught in a landslide
No escape from reality
Bohemian Rapsody, Queen


Ti amo.
L’aveva pensato tante di quelle volte ma non l’aveva mai detto e adesso ne scontava le pene, imprigionata nella gabbia di ipocrisia che lei stessa si era costruita attorno. Aveva provato a sbatterne il lucchetto contro il muro con tutte le sue forze, piangendo e gridando perché qualcuno la tirasse fuori di lì, graffiando la patina di acciaio che ricopriva le sbarre con le unghie distrutte ed aveva rinunciato ad ogni speranza di libertà, condannata alla massima delle pene: un’esistenza senza di lui.
Ti amo.
Sarebbe cambiato qualcosa se l’avesse detto?
Sarebbe riuscita a
(fermarlo)
prima che fosse troppo tardi e che lui se ne andasse, perdendosi in un golfo di dolore così lontano da lei?
Il cuscino bagnato di lacrime silenziose era l’unica cosa che adesso avesse valore nella sua vita; il ricordo costante dei suoi occhi grigi il solo pensiero che la facesse dormire. Era catartico ed era terribile pensarci, ma in fondo era la pura verità: lui non era più affar suo.
Era uscito dalla sua vita e non sarebbe mai più tornato.
La debolezza peggiore sarebbe stato mostrare il suo dolore, quella l’umiliazione inderogabile, ed il cuscino che stringeva come se ne andasse della sua stessa vita una scomoda prova che sarebbe svanita alle prime luci dell’alba.
Evanesco
Decise di non aspettare tanto perché non valeva la pena di rischiare e si ritrovò con le braccia vuote ed il cuore pulsante, gli occhi sbarrati nella notte ed i singhiozzi di Millicent l’unico rumore percepibile nella stanza.
Che cosa ne era del suo orgoglio?
Barattato per una notte di sonno e per un rasoio affilato con cui procurarsela, l’unico dolore autoinflitto che si concedeva: torturarsi il cuore fino a farlo sanguinare.
Soltanto allora poteva permettersi di chiudere gli occhi.
– Sei sveglia – quella che uscì dalla bocca di Daphne era una constatazione, non una domanda.
Pansy aprì gli occhi, puntandoli sull’ombre che la luce che filtrava dalla porta socchiusa generava sul soffitto – Anche tu –
– Rimpianti o rimorsi? –
– Entrambi –
Daphne stette in silenzio per qualche secondo, rigirandosi le parole sulla lingua fino ad essere sicura che sarebbero state esattamente quelle che lei voleva che fossero – Non torneranno –
– So anche questo –
Pansy trattenne il singhiozzo dietro le labbra serrate fino a che non fu sicura che non le sarebbe scappato, sfuggendo al suo controllo fino ad umiliarla nel peggiore dei modi. A giudicare dal suo respiro regolare Tracey stava dormendo, al contrario di Millicent che continuava a piangere, ma Pansy non si fidava abbastanza per poter parlare liberamente.
Piccola traditrice.
Schifosa mezzosangue che aveva perso la sua unica opportunità di riscatto, troppo stupida per capire che nel dolore avrebbe potuto trovare un’occasione.
Ma la cosa che più di tutte infastidiva Pansy era il modo in cui si relazionava con Daphne; ne sembrava perdutamente innamorata e magari lo era davvero: ossqueiosa ed adorante, una giovane debosciata che avrebbe venduto anche la propria anima per compiacerla.
– Non devi odiarla per forza – come al solito Daphne aveva captato esattamente i suoi pensieri, con la scioltezza che derivava da anni ed anni di una confidenza così profonda da essere scritta sotto la loro pelle.
– Non devo nemmeno astenermi dal farlo –
– Perché fai sì che tutto sia così difficile? –
Se c’era una cosa che caratterizzava Daphne era la sua cripticità, la stessa che Tracey idolatrava e che ogni volta mandava Pansy fuori dai gangheri.
Tuttavia, vedendo che non le arrivava alcuna risposta, Daphne pensò di rivolgere la sua attenzione a qualcuno che forse le sarebbe stato più grato – Millicent, stai bene? –
Inutile, parlare al muro avrebbe avuto risultati migliori.
– Millicent, tesoro? –
Dei singhiozzi più accentuati dei precedenti le indicarono che aveva finalmente catturato la sua attenzione, ma da qui ad ottenere una risposta la strada sarebbe stata indubbiamente troppo lunga per essere percorsa in una sola notte.
Pansy sospirò profondamente, tremando quando le lenzuola fredde si abbassarono sul suo petto – Non ti risponderà, non risponde mai a nessuno –
Era surreale, quasi comico, parlare in quel modo di una persona che era nella loro stessa e stanza e le stava sentendo benissimo.
Il primo sospetto che il sonno di Tracey fosse soltanto una finzione nacque in quel momento nella testa di Pansy; nessuno sarebbe riuscito a dormire con tutti quei bisbiglii e quei singhiozzi, soprattutto nessuno che vantava sempre di avere un sonno leggerissimo.
La Viola, il simbolo della passione e dell’intelligenza, un delicato profumo che racchiudeva dolcezza. Si dice che un tempo la viola fosse bianca ma che quando fu colpita dalla freccia di Cupido, Dio dell’amore, per la ferita amorosa diventò purpurea.
Emblema di amore e morte, il simbolo del sacrificio supremo.
Pansy avrebbe aderito a quel sacrificio da un momento all’altro, anzi, avrebbe scelto qualunque via pur di girare la sorte a favore di Draco, qualunque cosa sarebbe stata meglio della decadenza in cui la sua perdita la stava lentamente trascinando.
Il Decotto del Sonno che Daphne le metteva ogni sera sul comodino da due settimane a questa parte spacciandolo per tisana ebbe effetto dopo pochi minuti.

***


While my heart is a shield and I won't let it down
While I am so afraid to fail so I won't even try
Well how can I say I'm alive
Life for Rent, Dido


Aspirò un’altra boccata dalla sigaretta ormai al termine.
– Fumare così tanto ti farà male –
Ginny alzò gli occhi al cielo: aveva sentito quel ritornello ormai tante di quelle volta che si era abituata a non rispondere più, perfettamente consapevole della rovina verso cui stavano correndo i suoi polmoni e felicissima di questo.
– Ginny, non sto scherzando –
Si voltò verso Harry con lo sguardo vacuo, le sopracciglia inarcate in un’atteggiamento che denotava la totale mancanza di espressione.
– Non sei tu che sta fumando, sono io –
– Fumi troppo –
– Cosa centri tu? –
Harry incassò quel colpo con eleganza, limitandosi a sollevare le spalle ed alzare il mento, dandosi un tono per volgere quella frecciata a suo favore – Assolutamente niente, ma sicuramente Ron sarebbe molto triste se tu morissi –
Touchè.
Ginny seppe bene di essersi meritata quello ma non tutto il resto; un conto era una frecciata ed un conto era quell’atteggiamento esasperante, a metà fra l’interessamento e il totale menefreghismo di cui Harry faceva sfoggiò sempre più spesso.
Naturalmente era sempre lei a provocarlo, cercando una parte scoperta nella sua corazza, cercando un punto da ferire per ripagare tutto quello che aveva sofferto a causa sua.
Inconsapevole carnefice che si trovava contemporaneamente a svolgere il ruolo della vittima, nella parodia di un amore soffocato da mucchi di foglie secche ancora prima di potersi accendere.
Ostentando una deliberata indifferenza Ginny tirò fuori dalla tasca un altro pacchetto di sigarette all’ aroma di rosa e se la mise fra le labbra, accendendola con un rapido incantesimo sottovoce, aspirando con tutta la sua forza parodiando il gesto per renderlo più evidente.
Harry sospirò esasperato, spostando il peso da un piede all’altro e chiedendosi esattamente cosa ci facesse là a farsi ferire da lei.
– Esci ancora con Anthony Goldstein? –
– Chiedo scusa? –
– Goldstein – sbuffò Harry – Lo vedi ancora? –
Ginny lo guardò da sotto le ciglia semi abbassate – Perché? Ron sta cercando di ucciderlo? Digli che si risparmi la fatica, non usciamo più insieme –
Le sue parole erano decise, esattamente le parole di una persona che sa esattamente quello che vuole dalla sua vita e come prenderlo.
E allora perché la realtà era così diversa?
Da qualunque angolazione Ginny guardasse Harry, gli sembrava sempre di vederlo attraverso un velo, che offuscava il suo viso per renderle più sopportabile la contemplazione dell’unica cosa che le era negata e che ogni giorno si negava da sola.
Mascherò con un movimento secco e veloce il tremito della mano mentre portava la sigaretta alla bocca senza vedere realmente Harry davanti a lei, o perlomeno cercando con tutte le sue forze di concentrarsi sul gargoyle di pietra che adornava il loggione della Torre Nord.
– Non smetterai di fumare, non è vero? –
– E tu non smetterai di rompermi le scatole? –
Diceva sempre la cosa sbagliata ma farlo era una tentazione a cui non sapeva resitere, in cinque anni aveva imparato bene che privarsi di qualcosa da soli era il modo migliore per evitare di venirne privati.
Harry sorrise ed alzò la testa verso il cielo, preferendo alla vista di Ginny e della sua faccia tosta quella delle stelle, che almeno non lo avrebbero insultato per ogni parola che fosse uscita dalla sua bocca. Sembrava quasi che, adesso che Malfoy non c’era più, Ginny avesse accettato il posto vacante come se lo avesse sempre sognato.
Ma a lui non importava, bastava soltanto che non decidesse di scappare anche lei.
– Giove è ben visibile questa sera –
Harry non chiese quale fosse Giove perché troppo stupito dalle parole appena pronunciate da Ginny in un tono basso e soffice, come se fossero morbido velluto scivolato dalla sua bocca.
– Ma tu non sai neanche quale sia Giove, non è vero? –
Come volevasi dimostrare.
– Lo sai qual è la cosa pazzesca delle stelle? – sembrava che Ginny avesse deciso di abbandonare la sua offensiva e di elevare Harry dal rango di suo sottoposto a quello di suo pari, intavolando una discussione civile in cui non erano contemplati insulti.
– Quale? – Harry si sforzò di essere il più naturale possibile, passandosi con un movimento inconscio una mano fra i capelli per scompigliarli.
– Che hanno delle ripercussioni su di noi –
Harry si voltò verso di lei senza capire quello che gli aveva appena detto, trovandola con la testa alta e sulle labbra una smorfia che di allegro aveva ben poco: le sue labbra sottili erano serrate così strettamente da conferire una rigidezza ai suoi lineamenti che la facevano sembrare più grande –
Tu mi fai paura.
– E’ strano se ci pensi, ma sono solo stelle – disse Ginny socchiudendo gli occhi – Ma c’è chi fa oroscopi e chi ci crede anche, quando è impossibile pensare che il fatto che una stella sia maggiormente visibile un giorno piuttosto di un altro possa stabilire una data di morte –
La sua voce fremette di frustrazione ed Harry smise di guardare le stelle per guardare lei, bevendo le sue parole come un assetato nel deserto che ha imparato a nutrirsi di sabbia cementandosi la gola.
Ora le labbra di Ginny furono piegate da un sorrisetto ironico e la sua voce assunse un tono più dolce, smielato, il tono di una bambina vezzosa – E tu dovresti saperlo meglio di tutti gli altri, no? –
– Tu pensi veramente che la sorte delle persone sia racchiusa nelle stelle? –
Ginny lo guardò sbattendo le palpebre – Che io lo creda o no, c’è gente che lo sostenga. Qualcuno, perlomeno, ci crede –
– Ma tu ci credi o no? –
Che un discorso di tale arguzia fosse intrapreso da il Bambino-Che-Era-Sopravvissuto-Ma-Il-Suo-Cervello-No stupì Ginny e rimase con la bocca socchiusa per qualche istante, indecisa su quale sarebbe stata la sua prossima mossa – E tu? –
– No. Se fosse così dovrei accettare passivamente il mio futuro, che sia esso la morte o la vita, e nel secondo caso sarebbe tutto a posto, ma nel primo allora che senso ha che io continui a vivere? – Harry fece una pausa – Se la nostra esistenza fosse già pianificata soltanto perché questa sera Giove è visibile faremmo meglio ad essere morti –
Una tale profondità di pensiero Ginny non se l’aspettava di certo, e rimase in silenzio sentendo il freddo farsi più intenso ed un lungo brivido gelato attraversarle la schiena.
– Pensi che mi stia sbagliando? – chiese Harry gentilmente.
– No – replicò Ginny, ingoiando l’orgoglio ed accendendosi la terza sigaretta della serata, prendendosela con i propri polmoni per non picchiare Harry. Gli aveva appena fatto scacco matto e lei reagiva in quel modo?
Sbuffò una nuvoletta di fumo all’aroma di rosa che le impregnò i capelli di quell’odore dolce, che si sposava con il profumo di magnolia racchiuso in una boccetta ormai quasi vuota.
Sapendo che adesso dire qualunque cosa, arrabbiata com’era, avrebbe potuto compromettere ulteriormente la propria dignità - il sospetto che Harry non avesse preso quella conversazione come una sfida non l’aveva sfiorata nemmeno lontamente - alzò di nuovo la testa verso il cielo, continuando a fumare con la sigaretta stretta fra le dita con una forza tale che rischiava di spezzarla da un momento all’altra.
Una volta tanto Harry aveva ragione: era ridicolo pensare che un pallino illuminato in mezzo al cielo avesse qualche influenza su di lei. Naturalmente c’era anche gente che ci credeva, ma non si poteva far altro che compatirli.
Ugualmente assurdo era basarsi sugli oroscopi o su avvenimento passati che si ripetono ciclicamente per fare predizioni di qualsiasi tipo.
– Siamo noi gli artefici del nostro destino – disse quietamente Harry.
Sentendo le lacrime pizzicarle gli occhi, Ginny pensò che in qualunque caso si sarebbe sentita una perdente lo stesso.
Girò i tacchi e, buttando per terra la sigaretta ancora accesa, rientrò nel castello.





***





Immagino che tutti quanti avrete notato quella parentesi nel (fermarlo), cosa insolita per me. L’ispirazione la devo ad una moda di fanfiction che girava un po’ di tempo fa, mi pare iniziata da AlyssFleur (ma perdonatemi se sbaglio) in cui metà fanfiction era scritta normalmente e metà fra parentesi.


Sieny: Grazie mille dei complimenti, mi fai arrossire. Beh, il senso di colpa c’è sempre, anche se credo che le due coppie non possano coesistere: o l’una o l’altra.
Babi89: La perfezione, dici? Mi piacerebbe molto ma sono ben consapevole di essere lontana da essa, ma ricercarla è un modo come un altro per passare il tempo ;)
Jiujiu91: Hai ragione, Lisa è buonissima, in modo eccessivo, ma stare così tanto tempo insieme a Mandy deve provocare per forza qualche effetto negativo, altrimenti sarebbero tutte quante le sue migliori amiche! Grazie dei complimenti, smack.
Franceskina: Sì, Pansy è talmente affezionata a Daphne e viceversa che a volte sembrano più due fidanzatine che due amiche, ma i rapporti molto stretti fra ragazze sono sempre così, c’è moltissimo contatto fisico dietro ad una grande amicizia.
Carillon: Probabilmente non meritavo questo onore, ma ti ringrazio e spero che anche questo capitolo sia all’altezza.
Angel: Qui finalmente avrai Draco: smagliante come sempre ma temo non altrettanto in forma…
Lilli: Addirittura? Caspita, grazie!

  
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