Fanfic su artisti musicali > Bon Jovi
Segui la storia  |       
Autore: Rosie Bongiovi    24/10/2012    5 recensioni
' "Kayla! Apri questa porta!".
"Richie ma.. Richie, sono le due di notte!".
"Sì, lo so, lo so. Però è urgente. Dai, fai veloce che sto congelando!".
"Ti ammazzo, stavolta lo faccio sul serio!".
E glielo ripetevo così spesso, che il signorino in questione avrebbe dovuto morire una trentina di volte. Però, per qualche arcano motivo, non ci sarei mai riuscita a fare a meno di lui'.
Genere: Comico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

In due settimane scarse avevo imparato accordi, canzoni, testi e tutto quello che avevo fatto con i Bon Jovi, perlomeno in ambito prettamente musicale. Mi rimanevano indietro i ricordi legati alla nascita e lo sviluppo della nostra amicizia, ma non ero dell'umore adatto per ascoltare storie. "Magari tra qualche giorno" continuavo a ripetere ai ragazzi, per poi fare spallucce e riprendere la chitarra tra le braccia.

Non che restassi tutto il giorno seduto sul divano, con una bottiglia di birra alla mia destra, una pizza di fronte e qualche foglio con delle note sparse a casaccio, ma ci andavo vagamente vicino. Avevo deciso di restare barricato in casa a suonare, a cantare, a stamparmi nella mente la vita che questo mio alter ego aveva costruito in questi anni, e ad abituarmici. I miei genitori sapevano semplicemente che avevo bisogno di un periodo di pausa per pensare, per riflettere e tante altre scuse poco differenti che avevo tentato di fornir loro, per giustificare la mia presenza e la mia permanenza a casa, ventiquattro ore su ventiquattro. "Dovresti uscire, sai? Jon ha chiamato stamattina. Avete litigato?" e quando non erano di Jon le telefonate, mia madre mi riferiva notizie inerenti David, Tico, Alec. Mai una volta che le sue labbra pronunziassero il nome di Kayla. Ci avevo perso le speranze e, a dir la verità, stavo iniziando ad accettare l'idea di averla persa definitivamente.

In un certo senso quello schiaffo e quelle parole mi avevano reso più facile l'incassare il colpo senza troppi patemi d'animo. Eppure c'era qualcosa che mi impediva di gettare tutto nel cestino e dedicarmi completamente al mio presente. Perché non aveva risposto quando le avevo chiesto se era me che amava? Un pazzo avrebbe risposto "Perché ama te, no?". Certo, ma io non potevo peccare di egoismo o mancanza di modestia. "E tu credi che lei sarebbe così masochista da voler sposare qualcun altro, quando è te che ama?".

Mi alzai e feci un giro in camera mia, camminando istericamente. Distrarsi, mettere a tacere questa cantilena assurda che continuava a ronzarmi nelle orecchie, ecco ciò di cui avevo bisogno.

Mi avvicinai alla scrivania e presi tra le mani un vinile di Stevie Ray Vaughan. Era un chitarrista eccezionale e lo avevo conosciuto giusto la settimana precedente, con la scusa di voler dare un'occhiata a quanto fosse mutato il panorama musicale, rispetto al '76. Aveva qualcosa, nel suo stile, che mi interessava estremamente. La tecnica, il suono pulito, la velocità, i virtuosismi mai troppo eccessivi.

Appoggiai Texas Flood sul giradischi e attesi pazientemente di sentire le note del primo pezzo, mentre tastavo i polpastrelli incalliti della mano sinistra, messa fin troppo sotto sforzo negli ultimi giorni.

"Richie, posso entrare?". Madre a ore 14. Accennai un "mh" non troppo convinto, che stava a significare "Se proprio devi, sì". Varcò la soglia con delle magliette tra le mani, appena stirate. Le mise sulla terza mensola dell'armadio dietro alla porta. Chiusa l'anta, mi scrutò, arcuando un sopracciglio. "C'è odore di chiuso. Dovresti aprire la finestra e farti una doccia" mi suggerì.

"Doccia?".

"Sì. Hai presente quella cosa fantastica che c'è in bagno, di fronte al lavandino e accanto alla lavatrice? Proprio quella" ribadì, con un velo di sarcasmo, che feci fatica a cogliere. In assenza di una mia risposta, ne approfittò per parlare ancora, ma sapevo già quali sarebbero state le domande alle quali avrei dovuto fingere di rispondere sinceramente. "Che ti succede, Richie? Te ne stai chiuso qui tutto il giorno a suonare e stai cercando di evitare i tuoi amici. Non mi hai detto più nulla.. Nemmeno su Kayla". Cercai disperatamente di non sembrare troppo scocciato da questa invasione del mio spazio. E pensare che di solito ero addirittura felice che mia madre captasse ogni mio problema, come un ripetitore con un segnale radio.

"Devo imparare delle canzoni e prepararmi per quando ricominceremo ad andare a fare concerti" spiegai pacatamente. Sperai che la conversazione potesse concludersi lì. Ero molto impegnato, d'altronde.

: - Non è vero, è una bugia. Non hai proprio nulla da fare -.

"Non hai risposto all'ultima mia osservazione, però" insistette. Era evidente che, alla fin fine, quella era l'unica cosa che le importava realmente. Che mi stessi impegnando con la chitarra era chiaro e limpido anche per uno scimpanzé stordito.

Sbuffai, come per farle capire che la cosa non mi aveva toccato più di tanto. Nonostante questo mio tentativo, vidi che mia madre era ancora in attesa di spiegazioni. Tra lei e Jon, non potevo dire chi fosse più caparbio e con un futuro nel mondo della psicologia samboriana.

"Non è andata bene. Ci sono rimasto male ma, sai com'è, i problemi d'amore ci sono sempre, no?". Sembrò insoddisfatta dalle mie parole.

"Devi esserci rimasto molto più che male, se non è andata bene proprio dopo che tu l'hai cercata, dopo tutto questo tempo".

: - Che fai, metti il dito nella piaga, mamma? -.

Ma mentre stavo prendendo in considerazione se dirle la frase appena pensata, tanto per gettarla sulla sdrammatizzazione, il campanello suonò, nello stesso istante in cui Love struck baby era terminata.

La donna al mio fianco si alzò di scatto: aveva sempre odiato far aspettare le persone fuori dalla porta.

"Vestiti e lavati i denti, Richie. E fatti anche la barba, che stai diventando una sorta di naufrago. Se è una visita per te, sappi che non dirò che sei impegnato o che stai dormendo. E' arrivato il momento di uscire di qui, prima che cominci a parlare una lingua inventata e a dormire sul tappeto". Lasciò la stanza e sentii il suono dei suoi passi mentre scendeva gli scalini. Benché non ne avessi la minima voglia, eseguii gli ordini appena ricevuti. Trascinandomi in bagno, presi la schiuma da barba e me la spalmai sul viso.

: - Dio, ma da quanto tempo è che non mi do una sistemata? Un vero e proprio naufrago, mia madre ha ragione -.

Il suono dell'acqua che usciva dal rubinetto sembrò estremamente rilassante, in quel momento. Chiusi gli occhi per un istante e sussultai quando quell'atmosfera di calma apparente venne interrotta da qualcuno che stava bussando brutalmente alla porta.

"Chi è?".

"Sei vestito?". Di chi era quella voce? Ero rimasto così tanto tempo senza vedere anima viva da aver rimosso qualsiasi cosa?

"Ehm, sì" dissi, incerto, quasi balbettando. La porta si spalancò ed una figura non troppo alta, magrolina ed apparentemente indifesa si avvicinò verso di me. "Oh, ciao Cameron" la salutai poi, dopo averla riconosciuta. Si sporse in avanti e mi guardò dall'alto verso il basso.

"Puzzi. Quel pigiama da quanto tempo ce l'hai addosso? Ti si sta screpolando tutta la fronte e.. Ma che cavolo, stai per caso cercando di diventare come Tarzan?".

"Ehi, va bene che sono messo male, ma così mi fai sembrare mille volte peggio" ribattei, prendendo tra le mani il rasoio e tornando a guardarmi, con disgusto, allo specchio. I capelli non solo erano vaporosi, ma piuttosto elettrici e crespi come non lo erano mai stati.

"Jon mi ha raccontato la triste storiella, ma a quanto pare sei stato irrintracciabile per due settimane. E meno male che mi avevi promesso di raccontarmi tutto" mi rimproverò. Nonostante si sforzasse di apparire severa e aggressiva, erano i suoi occhi a tradirla. Non era una persona cattiva e non lo sarebbe mai stata.

"Non ne avevo voglia, perdonami. Non di sentire te, ma di parlarne ancora e ancora e ancora. E' sfiancante continuare a ricordarsi che hai gettato al vento ogni chance che avevi a disposizione e credo che tu non possa darmi torto". La vidi annuire dispiaciuta.

"Ne hai un'altra, di chance, a dir la verità" replicò, sedendosi sulla lavatrice e sistemandosi con un piede sotto la coscia. Lo facevo sempre, quando ero bambino. Magari dopo una discussione con un amichetto o con i miei genitori, perché non volevano darmi la torta prima di cena. Mi divertivo a piazzarmi lì sopra e a parlare quando era accesa: la voce vibrava tutta e mi immedesimavo in un fantasma alle prime armi, pronto a spaventare a morte qualche individuo.

"No, Cam. Non intendo fare altro, dico sul serio". Volli farla breve. Sciacquai guance e mento, per poi asciugarmi il viso con un morbido asciugamano che sapeva di ammorbidente alla pesca.

"Ne sei certo?".

"Sì, Cameron. Non sono mai stato così sicuro in vita mia. Ora, se esci e mi prometti di non insistere, io mi faccio una bella doccia" aggiunsi, rimettendo l'asciugamano al suo posto. La moretta assentì nuovamente.
"D'accordo. Nel caso in cui tu voglia disgraziatamente cambiare idea.." lasciò una busta sulla lavatrice e tornò con i piedi sul pavimento. "Ci vediamo in giro, Sambora. E mi raccomando: pensaci". Chiuse la porta alle sue spalle, scomparendo dalla mia vista. Allungai la mano verso il foglio, che presi in mano. Sembrava che la carta fosse appena stata immersa in qualche profumo per donna. La scritta, che mi accinsi a leggere solo dopo aver dato un'occhiata all'estetica della busta, ingiallita per dare un effetto antico, era arzigogolata, nera, che si addiceva perfettamente a qualcosa di ufficiale.

 

 

"Siete invitati a partecipare alle nozze di Kayla Mitchell e Alexander Daniel Smith,

che si terranno sabato mattina alle ore 11.00,

nel giardino dell'Ermin's hotel, Londra".

 

 

Chissà cosa Cameron si aspettava che facessi. Quella era una partecipazione di nozze, non un'altra chance, l'ennesima, per rimediare ai miei errori. Era uno stupido invito per una stupida occasione in cui Kayla avrebbe sposato uno stupido energumeno alla moda. Ecco cos'era.

“Secondo lei probabilmente dovrei piombare nel bel mezzo della cerimonia, spalancare le porte della chiesa e urlare: 'No, Kayla, non farlo! Io amo te!', magari proprio nel momento in cui il prete dirà: 'Se qualcuno ha qualche ragione per cui non dovrei unire in matrimonio questi due giovani parli ora o taccia per sempre' o quello che è. Ma no, mia cara Cameron, scordatelo, non farò niente di tutto ciò. Ah, vedrai! Me ne starò qui, al calduccio, nella mia stanza, senza alcun rimorso, senza nemmeno la traccia di qualche senso di colpa, senza..”. Lanciai un'occhiata al calendario, poi all'orologio. Venerdì. 15.25.

“Nessun.. Rimorso..” ripetei, tirando un lungo respiro, appoggiandomi con una mano al mobile.

Mi raccomando: pensaci”.

Gettai nuovamente un'occhiata al foglio. Lo piegai a metà.

: - Accidenti a te, moretta -.

Mi sbarazzai della maglia, della canottiera bianca, sgualcita sulle spalle, e del resto dell'abbigliamento che, ormai, era sul punto di prendere vita e mettersi a lavare per conto suo.

: - Se devo combattere, tanto vale farlo fino alla fine. Se devi perdere, tanto vale farlo avendole provate davvero tutte -.

 

Indossai una camicia bianca ed un paio di pantaloni neri, il tutto preso temporaneamente in prestito da mio padre. Non volevo mettermi la cravatta o il papillon insieme ad una giacca da perfetto principe azzurro, perché non avevo la minima intenzione di partecipare alla cerimonia.

Uscii in fretta e furia, dicendo a mia madre che sarei tornato il giorno successivo e che le avrei spiegato più dettagliatamente al mio ritorno. Non potevo permettermi di perdere ulteriore tempo.

La corsa in aeroporto fu sfiancante, ma, in ogni caso, non riuscii a chiudere occhio durante il volo. Non mi importava arrivare alle due di notte, con qualche dollaro in tasca: Kayla mi aveva dato fin troppe possibilità per cambiare vita al liceo. Era giunto il momento di “ricambiare questo favore”.

Fissai l'orologio da polso, per la centesima volta nelle ultime ore. Mezzanotte. Non avendo nessun bagaglio da recuperare, non dovetti aspettare molto per abbandonare l'aeroporto di Londra e correre ancora, stavolta verso l'Ermin's hotel. Mi resi conto di ricordare piuttosto bene la strada; passai per il parco nel quale Kayla era scappata dopo avermi preso il ciondolo che portavo al collo, attraversai la strada e giunsi di fronte ad uno dei tanti negozi di souvenir della città e poi, finalmente, arrivai alla fine della lunga siepe di gelsomino, ritrovandomi dinnanzi all'entrata dell'albergo.

: - E se fosse andata a festeggiare altrove l'addio al nubilato? -.

Formulai quel pensiero nel momento in cui, alla reception, avevo appena chiesto dove fosse la stanza della signorina Mitchell.

“Se mi dice il suo nome avviso la signorina, che mi darà il permesso o meno di farla salire. E' anche piuttosto tardi, signore. E' probabile che stia riposando”.

“D'accordo, allora..”.

: - Ora cosa mi invento? -.

“Prenderò una stanza, così le farò una sorpresa domattina”. La ragazza, evidentemente stanca, annuì appena e, fatte tutte le procedure, mi fece firmare un foglio, accanto al quale poggiò la chiave della mia stanza. “152, signore”. La ringraziai e mi voltai per raggiungere l'ascensore, con aria sconsolata, dato che non avrei potuto parlare con Kayla proprio in serata. “Se le interessa così tanto” mi interruppe la dipendente, per poi continuare “La signorina Mitchell è nel suo stesso corridoio, alla 167”. Sorrisi.

: - 167 -, mi ripetei, per memorizzarlo.
“Non so come ringraziarla”.

“Si figuri. Deve farle una sorpresa per il suo compleanno, forse?”. Molto probabilmente doveva essere nuova ed anche parecchio distratta, per non aver notato l'enorme scritta all'entrata, che annunciava le nozze del proprietario dell'hotel con questa famigerata Kayla Mitchell.

Assentii, sorridendo ancora.

“Esattamente”. Sembrò entusiasta, come se toccasse a lei ricevere una visita inaspettata. Si aggiustò il nodo che teneva legati i capelli rossi e tornò a sistemare dei fogli, sbadigliando e coprendosi la bocca con la mano sinistra.

Mi preparai a salutare Maya, Hilary e chissà quali altre ragazze che stavano festeggiando la vigilia del matrimonio, cercando di prepararmi mentalmente un discorso, che, alla fine, avrei stravolto completamente nella realtà.

Respiro profondo, pugno contro il legno della porta bianca. Ormai ci ero abituato.

: - Ricordati che è comunque mezzanotte e che, se non c'è nessuno o se non ti sentono perché Morfeo sta lavorando, hai comunque un po' di tempo domani, prima della cerimonia -.

E, infatti, non ricevetti nessuna risposta. Per niente sconsolato, mi diressi verso la mia camera. Riposare mi avrebbe fatto bene e la mente di entrambi sarebbe stata più sveglia l'indomani.

Mi lasciai cadere sul letto e mi addormentai, come un bambino tra le braccia della madre.

 

Nota dell'autrice:

E siamo giunti fin qui.. Lo so che mi state odiando perché ho interrotto il capitolo sul più bello e che vi rimarrà un peso sullo stomaco finché non descriverò questo incontro prima delle nozze, ma.. Ma non ho giustificazioni, sono sadica *risatina malvagia, con tanto di tuoni, fulmini e chi più ne ha, più ne metta*.

Direi di non indugiare ulteriormente e di passare ai ringraziamenti.

Uno particolare a Valentina, Diletta, Marzia, Ilaria e Angelica.

 

Uno alle persone che seguono questa storia:

_Angel BJ

_BrianneSixx

_Chiaretta78

_DadaOttantotto

_DodoBJ

_Fra_Rose

_KeepSmiling

_Lady Phoenix

_ _ILoveRnR_

_ _Runaway_

_ _Vicky_

 

Uno a quelle che l'hanno inserita tra le preferite:

_Angel BJ

_barbara83

_CarrieLaRocker

_DodoBJ

_GioTanner

_ValeTrilli

E chi ha recensito uno o più capitoli:

_Lady Phoenix
_GioTanner
_ Vale Trilli
_Angel BJ
_CarrieLaRocker
_DadaOttantotto
_ _Vicky _
_chiaretta78


Ci leggiamo al prossimo - e penultimo, sigh - capitolo.

Un bacione,

Rosie
  
Leggi le 5 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Fanfic su artisti musicali > Bon Jovi / Vai alla pagina dell'autore: Rosie Bongiovi