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Autore: lalla    21/06/2004    6 recensioni
In realtà erano quattro. E l'ultimo giunse all'appuntamento con trentatre anni di ritardo...
Genere: Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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IL QUARTO RE

IL QUARTO RE

Non  riusciva a capire come mai si sentisse così  strano, Siddartha: da  qualche tempo,aveva  preso a porsi, da solo, domande senza risposta. "Siamo al mondo  per qualcosa. Ma se è così, a che serve la mia vita?" Una vita inutile e dorata, come il gingillo di un bambino ricco. Una vita riempita di cibi prelibati, partite di caccia e odalische di tutti i colori che regalavano piaceri proibiti alle  sue inutili notti: le principesse più belle dell'India nel suo harem, i gioielli  più preziosi nei suoi scrigni...Eppure, gli mancava qualcosa. Il dolore? Ma il dolore è brutto e cattivo, e Siddartha non doveva conoscerlo. Però a volte la  felicità può diventare prigione. E quel desiderio struggente di Dio...

Voglio  conoscere  Dio, vederlo in faccia. S'era ripetuto  in  quei  giorni. Dove posso  cercarlo? Tra le pareti troppo scintillanti del mio palazzo tutto  d'oro non riesco a trovarlo. E nemmeno in mezzo ai mostri di pietra del tempio: chissà dove  si nasconde. Che anche Dio sia dolore?Dio è l'infinito. E quale  peso   c' è, al mondo, più grande del dolore?

Cercalo nella volta del cielo, nel calore del sole e nell'acqua che feconda  la terra, cercalo  negli occhi ridenti delle tue donne, nei sorrisi dei  principini tuoi figli, gli avevano consigliato i saggi. Saggi, perché? Per i loro anni, i loro lunghi capelli e le barbe canute? Forse, solo per quello. Ma dov'era, Dio?

 

Quello   che cerchi è nella volta del cielo, gli aveva detto  l'astrologo. Segui la  stella con la coda e forse troverai Dio, principe Siddartha. Ma perché  vuoi abbandonare  le tue dorate certezze per andare incontro  all'ignoto? Contentati degli  dei  di pietra del tempio, principe poco saggio. Oltre le  mura  del  tuo palazzo tutto d'oro, il dolore sta in agguato, come una tigre appiattata  dietro un canneto.

 

Non  avrebbe  osato  sostenere il suo sguardo e si sarebbe  prostrato  con  la faccia nella polvere, chiedendogli di dare un senso alla sua vita. Che cos'è  il dolore, Dio? Voglio  conoscere il sapore amaro della  tristezza, il  colore  cupo della paura, il peso infinito delle lacrime, per questo ti ho cercato, per questo ho seguito la stella. Fai di me quello che vuoi: questo diamante,il più grande e il  più prezioso mai estratto dalle miniere di Golkonda, è puro  e  trasparente come  la  fiducia che ripongo in Te. Voglio offrirti anche uno  smeraldo  e  un rubino: il verde delle foglie degli alberi, dell'erba che rinasce, della  speranza. E  darei  la mia vita, il mio sangue per Te, così come ora  ti  offro  questa pietra che ha il suo colore. Sono nelle tue mani, Dio.

 

La carovana aveva  seguito la stella, passo passo per deserti e per foreste, per città dalle cupole  dorate e per piste gialle di polvere, nella luce accecante del giorno, nel buio inquieto  della  notte, punteggiato di ululati di sciacalli e di voli  silenziosi  di mostruose creature. Il corso della stella andava verso occidente, ma piano, come l'incedere  del cammello mongolo e dell'elefante bengalese. Chissà  quanto  era lontano, Dio. Chissà quando avrebbe avuto le risposte che cercava, Siddartha.

 

La   voce del dolore il più delle volte non grida ma piange lacrime silenziose e  tanto  amare  da bruciarti nel cuore, prima ancora che nella  gola  e  negli occhi.

"Tu  non  puoi  conoscere quello che prova una madre a  veder  morire  i  suoi figli"gli aveva detto alzando su di lui gli occhi rossi, il volto senza bellezza, la mendicante. "I miei bambini si torcono per la fame e non hanno più nemmeno la forza per piangere: ma a te ricco, a te potente, a te sazio, che cosa importa di quelli come noi? Che puoi fare? Niente, e anche qualora potessi, non faresti niente  lo stesso. Fosse almeno venuta la morte, invece di te, sarebbe  stata  la liberazione..."

La tristezza sapeva di quel pianto e di quel rimprovero, aspro e   bruciante come   sale sopra una ferita. Aveva il colore smorto  di  quella faccia dolente,era il marciume di quelle piaghe: le lacrime di chi muore di fame pesano come il mondo. Ma Dio aveva risposto alle sue domande. Ora  toccava a lui rispondere a ciò che  gli  domandavano gli  occhi cisposi e la bocca sdentata della sofferenza. Scese  da cavallo, aprì lo scrigno. Un raggio di sole trafisse la trasparenza purissima del diamante, frantumandosi in una miriade di iridescenze multicolori.

"Vado   in cerca di Dio e la mia anima dev'essere pura. Non  posso lasciare  che muoiano. Se questo diamante, donna, può  asciugare  le tue lacrime, salvare la vita dei tuoi figli, Dio mi perdonerà."

 

"Sacrilegio, sacrilegio! Il  diamante più bello mai estratto dalle viscere della terra era per il trono di Dio, non per asciugare  le lacrime di una nullità repellente e maleodorante come  quella, non per calmare i morsi delle ributtanti pance vuote di creature  che hanno più solo la pelle sulle ossa!" "La maledizione di Dio  sarà presto su di noi!"

Così  avevano   parlato   dignitari e  servi, prima  di  lasciarlo solo: ma  il  chiarore lontano della stella, nel cielo  che  andava oscurandosi, sembrava    dirgli: "L'hai    trovato, principe    Siddartha, quello  che cercavi: Dio è nelle lacrime che  riuscirai  ad asciugare." "Andate, ipocriti   maledetti! Non   ho   paura    della notte, ora che Dio mi è vicino".

 

Quante   volte il principe Siddartha incontrò Dio  nelle  lacrime che riuscì ad asciugare? Regalò il rubino rosso come il sangue  in cambio della libertà di un piccolo schiavo: anche il pianto di uno schiavo  pesa  come il mondo. Lo smeraldo verde come  la  speranza diventò  la dote nuziale di una ragazza povera, le perle  del  suo turbante divennero pane per gli affamati che incontrava lungo  la strada, le gemme che  ornavano l'elsa della sua scimitarra ristoro a    pianti   che   da   tanto, troppo    tempo, non    conoscevano conforto. Regalò il suo cavallo, il suo mantello, i suoi abiti  alla miseria  in cui si imbatteva lungo il suo cammino. E,man mano  che donava, diventava più  povero, ma sentiva Dio  vicino, finalmente: il Dio che fa la notte giorno, che è conforto nella solitudine.

La   stella  si  era  spenta, il  cammino  era  lungo,  il   tempo passava, inesorabile. Ma   Siddartha  continuava  a   camminare,nel giorno  e  nella notte, sempre più vecchio,sempre  più  provato  e misero, chiedendo  a  Dio soltanto di non  farlo  morire, prima  di averlo guardato in volto.

 

Quanto  aveva camminato, trascinandosi sulle gambe  malferme? Trentatre   anni, aveva   contato  con  pazienza   lo   scorrere   del tempo, giorno  dopo giorno. E del bel principe  partito  dall'India alla ricerca di Dio, non era restato nient'altro che un  miserando relitto  dal  corpo  piagato e mal  coperto  da  quattro  stracci  sudici e puzzolenti, che   avanzava, a passi incerti, verso le mura di  Gerusalemme, sbocconcellando un tozzo di pan secco avuto in elemosina.

Un povero  cane spelacchiato gli si avvicinò e alzò su di lui gli occhi  grandi, imploranti: i cani piangono senza lacrime, ma  anche il  pianto di un cane è dolore. E Siddartha arrancò verso  Gerusalemme, seguito dal povero cane con cui aveva diviso il suo  ultimo boccone di pane.

 

La    città, presidiata   dai   miliziani   del   tiranno, era   in subbuglio: c'era  odore  di  festa e di  ribellione, per  le  strade. Siddartha  si scelse un angolino tranquillo, a ridosso  di  due muri, per   passarci   la   notte. Il   cane   gli   avrebbe   dato compagnia, calore, e  avrebbe impedito ai monelli  di  molestarlo: i monelli  molestano sempre gli accattoni, lui l’aveva imparato a sue spese, ma ormai si sentiva  troppo vecchio  e stanco per reagire a quelle angherie vigliacche. Le membra gli si erano fatte  fiacche, le palpebre pesanti, gli occhi volevano chiudersi. La fine  era vicina, ma  Dio? Scacciò con la mano un nugolo di mosche. Dal  fondo della   strada, il    suo  debole  udito  percepiva   rumore   di folla, cozzo di armi che si urtavano sferragliando.

Che  cosa stava succedendo? Trascinavano tre delinquenti al  patibolo, tra  gli insulti della gente. Due ladri dalle  facce  torve. E l'altro...Qualcuno diceva che fosse innocente: era un bel  giovane dalla  carnagione olivastra e dai lunghi capelli neri  imbrattati di  sangue. I suoi occhi, nella faccia scavata  e  sofferente, erano gonfi di lacrime amare.

"Non    ho  più  nulla. Non  posso  fare  più  niente  per   te: mi dispiace".

Sussurrò Siddartha con  la voce che si spegneva, mentre  la nebbia gli  velava gli occhi.

"Non   importa." sembrò    rispondergli   il   silenzio     del condannato, il  faticoso  sorriso delle sue labbra  gonfie "Il  tuo niente vale più di tutto l'oro del mondo."

 

Lo  trovarono l'indomani, appoggiato al muro: sembrava  dormisse,il suo  volto era sereno e come illuminato da un lontano sorriso  di gioia;  era riuscito a guardare Dio negli occhi prima di lasciare il mondo, Siddartha.

                        Lalla

                                 

  

                                 

 

   
 
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