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Autore: U N Owen    25/10/2012    1 recensioni
Dieci ragazzi si riuniscono a Dreadpeak Lodge, una lussuosa baita di montagna, ma non tutto andrà come previsto.
A cena, una voce rievocherà l'oscuro passato che li accomuna, per poi recitare un'inquietante filastrocca:
"Dieci piccoli indiani andarono a mangiar,
uno fece indigestione, solo nove ne restar
[...]
Solo, il povero indiano, in un bosco se ne andò,
ad un pino s’ impiccò e nessuno ne restò"

Ispirata a "Dieci Piccoli Indiani" di Agatha Christie, questa storia è scritta a quattro mani da U N Owen e Belfagor, il cui profilo è qui consultabile: http://www.efpfanfic.net/viewuser.php?uid=51754
Genere: Mistero, Suspence | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo 5
 
Scoppiò il finimondo. Alexis, già parecchio pallida per lo shock appena subito, quasi svenne e non cadde solo grazie a James che ancora la sorreggeva; Isabel scoppiò in una fragorosa risata, mentre Eveline, che, rossa in volto, si era alzata di scatto facendo cadere la sedia, e Desmond cominciarono a sbraitare praticamente in contemporanea; Dover era sbiancato in volto, e sembrava avere tutta l’intenzione di seguire Alexis nella sua divertente attività. L’unico a non essersi scomposto troppo era Robert, che osservava con il suo solito ghigno irritante. Tutto ciò venne bruscamente interrotto da James, che, battendo un pugno sul tavolo, gridò: «State zitti!»
Quando finalmente fu tornata la calma, continuò «In questo modo non risolviamo nulla, ve ne rendete conto?! Se vogliamo avere una qualche speranza di sopravvivere, dobbiamo mantenere la calma.»
«Mantenere la calma?!» sbraitò Eveline, ancora parecchio congestionata «Mantenere la calma?! Come pretendi di mantenere la calma, sei completamente impazzito? Seduto a questo tavolo c’è un assassino, qualcuno che sembra essere del tutto intenzionato ad ucciderci tutti! E io dovrei stare calma?!»
«Esatto, Eveline, hai capito bene, per una volta, devi stare calma.» intervenne Robert, con fare seccato. «Urlando e agitandoci come dei pazzi psicotici non risolveremo un bel niente. Quindi fai un favore a tutti, siediti e datti una controllata.»
«Anche perché, per quanto ne sappiamo, potresti anche essere tu, Onym» aggiunse Isabel, che ancora ridacchiava.
«COME TI PERMET…» Eveline venne tuttavia interrotta da Desmond, che disse, o meglio, gridò «E tu cosa ci trovi di divertente?! Stanno morendo delle persone, e tu potresti essere la prossima! O chissà, potresti anche essere tu, l’assassina!»
Al che, Isabel, per tutta risposta, afferrò un coltello poggiato sul tavolo, palesemente non per farsi una fetta di pane e marmellata. Questo scatenò la reazione di Dover, che era ancora seduto al suo posto, come pietrificato. «Basta, smettetela!» urlò. Ma dopotutto in quel momento stavano gridando un po’ tutti. «Ma vi vedete?! Sembrate impazziti tutti quanti! E tu, Isabel, metti giù quel coso, non vorrai fare il gioco di quel pazzo assassino!»
«Ha ragione,» intervenne James «smettetela immediatamente e cerchiamo di usare la testa, non possiamo farci travolgere così. Cerchiamo piuttosto un modo per tirarci fuori … Alexis, stai bene?!» Si interruppe poi all’improvviso, poiché si era accorto che la ragazza aveva ripreso conoscenza e stava fissando con uno sguardo pieno di terrore le rimanenti sette statuine poste al centro del tavolo. Tutti cominciarono a fissarla. Dopo un po’ lei alzò gli occhi segnati verso James e, con voce flebile, chiese «Non avevi detto di avere una rice-trasmittente per le emergenze? Sarebbe davvero il caso di usarla, no?» Gli occhi di James si illuminarono. «E’ vero, ne abbiamo una! Sei un genio, come ho fatto a non pensarci?»
«Forse perché, a differenza sua, tu sei un completo idiota!» replicò acidamente Robert. Era forse la prima volta che lo vedevano veramente alterato dall’inizio di quell’incubo «A questo punto mi verrebbe da pensare che tu te lo sia “dimenticato” apposta. Forse perché l’assassino sei tu. Dopotutto questa è casa tua, chi meglio di te?» Se avessero potuto, i suoi occhi avrebbero scagliato fulmini.
«Ma sentitelo!» esclamò Desmond «Parli tu, che proprio insospettabile non sei. Insomma, mi viene da chiedermi, come è possibile che sapessi tutte quelle cose? Tutte quelle brillanti deduzioni, quegli infallibili ragionamenti, mi insospettiscono parecchio. Magari quelle cose le sapevi perché sei stato tu a farle, non è forse vero?»
«Il motivo è molto più semplice di quel che credi, caro il mio Sherlock Holmes dei poveri! Io, a differenza tua, ho un cervello che funziona! Se provassi a tirare il tuo fuori dalla naftalina, ogni tanto, vedresti che qualche lampadina si accenderebbe!» Robert era fuori di sé. Ma la rispostaccia che Desmond stava per sputargli in faccia venne preceduta dall’intervento di Dover.
«Rice-trasmittente, rice-trasmittente!» esclamò, come se stesse parlando ad un gruppo di bambini scalmanati. «Se andiamo avanti così, finiremo davvero per ucciderci a vicenda! Piuttosto, cerchiamo quel maledetto affare, e vediamo se riusciamo a tirarci fuori da quest’inferno, invece di accusarci l’un l’altro.»
Finalmente tornò un minimo di tranquillità, nonostante le occhiate inferocite e sospettose che saettavano da una parte e dall’altra.
«Forza, da questa parte.» li guidò James, che si offrì nuovamente di sostenere Alexis, ancora parecchio pallida e tremante. E così, la tetra compagnia si avviò tra le grandi sale di Baita Dreadpeak, superando saloni e camere lussuosamente arredati, ma che ormai davano una sensazione di freddezza e morte ai presenti ancora in vita. Infine si fermarono davanti ad una porta di legno alta e stretta. Lasciata Alexis, che aveva finalmente ripreso un po’ di colore, James aprì la porta e si addentrò nell’angusto sgabuzzino. Dopo aver acceso una lampadina che pendeva dal soffitto si poterono intravedere vari aggeggi e cianfrusaglie impilati disordinatamente. Il ragazzo si mise a cercare e dopo parecchi minuti, che a dire il vero parvero un’eternità, riemerse trionfante, stringendo un grosso e chiaramente vecchio aggeggio nero, con parecchie manopole e una specie di radiolina attaccata.
«Ma tu … sai come si usa, vero?» fu l’incerta domanda di Desmond.
«Lo spero.» intervenne Eveline «Per il tuo bene.»
James deglutì. «Ecco … effettivamente … non l’ho mai usata. E non ho idea di come si usi.» disse con una vocina flebile.
«Ma bene! Ottimo! Chapeau, davvero, sono senza parole.» commentò sarcastico Robert.
«Per una volta.» ribattè Isabel «Beh, proviamoci comunque. Magari ce la facciamo lo stesso.»
«Non ci restano molte opzioni» constatò James, sconsolato. «Beh, per prima cosa, accendiamola.»
Dunque, con un gesto deciso, il ragazzo premette il pulsante di avvio. Ma non accadde nulla. Riprovò. Stesso identico risultato. Imprecò sonoramente, ma la rice-trasmittente non si accese neanche così.
«E’ rotta.»
«Grazie, Isabel, di avermelo fatto notare, non c’ero proprio arrivato.»
«Prego, James, ma siamo nei casini comunque.»
«Ah, perché prima eravamo messi bene.»
«Di certo non grazie a te.»
«Perché tu invece …»
«Bambini, smettetela, su!» li interruppe Eveline «Plutôt, che fine avrebbero fatto i nostri beneamati Alexis e Robert?»
I cinque si guardarono in un lampo di comprensione e cominciarono a chiamare i due compagni a gran voce, non sapendo quale dei due fosse l’assassino. Tanto ormai erano certi che fosse uno dei due.
«Aspettate, aspettate, com’è che faceva? Sette piccoli indiani …» chiese Dover, col viso contratto nello sforzo di ricordare.
«Sette piccoli indiani legna andarono a spaccar, un di lor si infranse a mezzo, e solo sei ne restar!» completò James, con il respiro affannoso per l’agitazione.
«Cosa potrebbe essere, un coltello?» intervenne Isabel.
«O un’accetta!» Esclamò Desmond, che decise di prendere in mano la situazione. «Dividiamoci! Eveline, Isabel, Dover, correte in cucina! Io e James andremo verso la cabina degli attrezzi, forza!»
Tutti accolsero la proposta immediatamente, colti dal panico, e cominciarono a correre nelle rispettive direzioni.
 
Dopo meno di un minuto da quando si erano divisi, Desmond cominciò a rallentare la sua corsa, fino a fermarsi. Accortosene, James si bloccò a sua volta e si voltò a guardare l’amico, con fare stupito.
«Beh, perché ti sei fermato?!»
Desmond era serissimo.
«Perché di qualcuno devo pur fidarmi. E perché ho dei sospetti.»
«In che senso?» chiese James, cauto. Dopotutto anche lui aveva dei sospetti, ma andarli a spifferare in giro così gli sembrava sciocco. E Desmond non lo era.
«Nel senso che Alexis era da sola con Kurt, quando abbiamo trovato il suo cadavere. Ed erano in coppia assieme.»
«Intendi dire che lei potrebbe …»
«Esatto.»
James era pensieroso.
«Però, mi verrebbe da chiedere, perché farlo?»
«Beh, la domanda potrebbe essere girata a chiunque di noi. Anche a te. Potrebbe essere rimorso. O paura, dopotutto è lei la maggiore responsabile, mi pare, no?»
«Potrebbe anche non esserci un vero e proprio motivo.»
James osservava attentamente ogni mossa di Desmond.
«Perché ti fidi di me? Perché proprio io? E dammi una buona motivazione del perché io dovrei fidarmi di te. Dopotutto sei stato tu ad aver deciso i gruppi. Potresti anche aver deciso di uccidermi.»
«Beh no, sarebbe folle. Un suicidio. Se tu morissi la colpa ricadrebbe quasi immediatamente su di me. E lo stesso verrebbe per te. Mi sento relativamente al sicuro, e non penso che tu sia Onym. Dobbiamo fidarci di qualcuno se vogliamo sopravvivere.»
Dopo un ulteriore pausa, James rispose.
«Penso tu abbia ragione. E a questo punto, non credo che la situazione potrebbe peggiorare poi tanto. Allora, ti rivelerò quali sono i miei sospetti. Prima, quando stavamo perlustrando la casa, Dover …»
Ma improvvisamente il ragazzo si bloccò, teso come una corda di violino, all’udire un rumore di passi che si stavano rapidamente avvicinando.
 
«Dite che questa ricerca ha un senso?»
Dover era alquanto dubbioso. Nonostante la situazione, i tre non stavano affatto correndo. Anzi, avanzavano abbastanza cautamente, come se qualcuno stesse per piombar loro addosso da un momento all’altro. Eventualità piuttosto probabile, in realtà.
«Mais non.» rispose Eveline «Come potremmo mai accorgerci se qualcuno ha rubato un coltello dalla cucina? Non li abbiamo mica contati.»
«Effettivamente.» constatò Isabel.
«E poi» aggiunse Eveline, estraendo una lama da sotto la veste «io e Robert stessi ne abbiamo preso uno a testa, durante la ricognizione.» Dopodichè, con lentezza calcolata, lo ripose al suo posto.
Dover la guardava con orrore.
«Ma, ma, ma … tu! Posa subito quella roba! Non penserai che ci fidiamo di te se sei armata!»
«Oh, non ti scaldare troppo, caro, non è necessario. Non mi sporcherei mai le mani con voi, e comunque, è solo per autodifesa. Non mi fido di Robert. Credo di avere le mie ragioni, insomma, si comporta in modo strano, non pare neanche spaventato dalla situazione. E ora è sparito assieme ad Alexis. Chissà come l’avrà uccisa. E comunque, non credo che neanche lui si fidi di me. Non credo di aver fatto … ma cos’è quest’odore si terrible?!»
«E’ Kurt che si decompone. E’ morto.» osservò Isabel. «E c’è anche la sua colazione da qualche parte, o almeno ciò che ne resta.»
«Potrei vomitare.» commentò Eveline, con una smorfia disgustata.
Il gruppetto, infatti, si era avvicinato alla sala principale, dove ancora giaceva il cadavere del loro compagno.
«Io quello non lo tocco.» Continuò la ragazza.
«Tranquilla, si era capito.» rispose Dover «Comunque, non possiamo lasciarlo lì.»
«Dunque, portiamolo su noi. No, non tu Eveline, tranquilla.» Propose Isabel.
Lei e Dover si scambiarono un’occhiata rassegnata e si avviarono in direzione del corpo. Con aria afflitta, cominciarono a trascinarlo su per le scale.
«Lo portiamo nella sua camera, no?» chiese il ragazzo.
«No, lo mettiamo nel W.C.» rispose sarcastica Isabel. Dopodichè, vedendo che Eveline non si schiodava dalla base delle scale, aggiunse «La principessina non viene con noi?»
«No, grazie, preferisco aspettarvi qui, non mi avvicino a quel coso.»
«Se ti fidi.»
Continuarono dunque la loro ardua scalata, e, quando furono giunti in cima, ovvero ad una distanza di sicurezza dalle orecchie di Eveline, Dover sussurrò, ovviamente non rivolto a Kurt «Cosa ne pensi? Intendo, della situazione attuale. Robert. E Alexis.»
«Insomma, se ho dei sospetti?» La ragazza, dal canto suo, non pareva molto turbata.
«Beh sì. Intendevo quello.»
«Mi pare ovvio che ora come ora i maggiori indiziati sono Robert e James. Credo di poter escludere Carl, Erin e Kurt, comunque.»
«Grazie tante.» mormorò Dover stringendo i denti per lo sforzo e l’irritazione che la ragazza tendeva a provocare con le sue osservazioni. «Comunque sono d’accordo riguardo Robert e James. Soprattutto James. Insomma, non si può negare che abbia tutte le capacità per mettere in atto questo abominio.»
«Direi di no. Beh, c’è altro? O era solo un piacevole scambio di opinioni?»
«Inoltre» continuò Dover, ignorandola. «prima, durante la ricerca di Onym, anche James si è armato. Con un fucile.»
«Non male.»
«Come sarebbe non male …?! Va beh. Comunque, quello che vorrei proporti, in breve, è un modo per scombinare i piani di chiunque si nasconda dietro Onym.»
 
 
«Ma cosa? Tu!»
«Vieni Alexis, abbiamo trovato James e Desmond.» Robert si voltò e fece segno di avvicinarsi con la mano.
«Si può sapere dove eravate finiti?» Desmond era furioso.
«A fare la stessa cosa che presumo stavate per fare voi.»
«Che cosa, a cercarvi?!» James era sul punto di insultarlo, Robert e quella sua espressione saccente.
«No. A prevenire.» Alexis spuntò da dietro l’angolo del corridoio, con una grossa accetta in mano.
  
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