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Autore: AnnabelleTheGhost    28/10/2012    3 recensioni
In una pianura isolata del Nord California si trova il collegio della Luna Nuova, visto come riformatorio dai genitori dei "ragazzi cattivi" o come scuola d'élite per i ricconi.
In realtà la scuola nasconde nel lato Ovest una cinquantina di ragazzi fuori dal comune, dai poteri demoniaci, e l'unico scopo per gli umani sarà essere lo spuntino dei demoni.
Dal capitolo 6:
"Tutto nella sua vita era cambiato, capovolto irreversibilmente. Niente era stato prima approvato da Albert: al destino non era mai importata la sua opinione. Aveva sempre cercato di stare in piedi in qualsiasi situazione ma poi era crollato e non era più riuscito ad alzarsi.
Albert aveva perso la speranza."
Genere: Dark, Mistero | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Crack Pairing
Note: nessuna | Avvertimenti: Incest
Capitoli:
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1. Addii e bentrovati                                     

 

Albert guardò nuovamente la pila di vestiti ordinati nella grande valigia, e sospirò. Lui non voleva proprio andare via. Amava la sua stanza con i poster di Bob Marley; le peonie che coltivava in giardino da quando sua zia era morta; Argo, che ogni giorno gli veniva incontro leccandogli la faccia e, anche se doveva ammetterlo con malincuore, anche quella peste di sua sorella più piccola. E cosa avrebbe fatto senza i suoi amici, che conosceva da una vita, e con i quali non si era mai separato? Ma sua madre era stata irremovibile: se ne sarebbe andato in California, avrebbe respirato aria nuova, diversa e più sana; ciò che non aveva aggiunto, però, era stato “rimarrai rinchiuso tutto l’anno ventiquattro ore su ventiquattro in uno sperduto collegio in campagna”. Questo era il modo più rapido per sbarazzarsi di lui e il più economico per farlo maturare e cambiare la sua visione del mondo. Sua madre non poteva permettersi di mandarlo da uno psicologo o in qualche strano centro, perciò il collegio della Luna Nuova avrebbe cambiato suo figlio e l’avrebbe reso come voleva lei.
Albert attraversava periodi di depressione, follie e ribellioni, per poi tornare mansueto come una pecora. Era instabile e anche molto inaffidabile – mai rispettava un impegno. E fumava, da anni, e non era normale per un sedicenne, agli occhi dei suoi genitori.
Albert si guardò in giro, alla ricerca di qualche oggetto dimenticato. C’era l’ultimo modello di PSP ma era certo che sua mamma non gli avrebbe consentito di portarla. E tutti i suoi videogiochi, i suoi CD… Sarebbero rimasti alla polvere per chissà quanto tempo!
Tastò gli indumenti e fece scorrere le dita tra le fibre dei pullover e delle magliette sintetiche. C’era ancora un po’ di spazio e i suoi non si sarebbero accorti di una piccola aggiunta…
Prese un quaderno da uno scaffale e frugò nei cassetti per trovare il modello di Play Station Portable più vecchio, la cui assenza non sarebbe stata notata da nessuno. Infilò entrambi nel fondo della valigia, stropicciando una maglietta, ma rendendoli così impossibili da vedere.
In quel quaderno, Albert aveva annotato tutti i progressi nella sua vita, i problemi, i momenti di felicità e, con nastro adesivo, erano state aggiunte foto di luoghi o persone importanti, del quale non poteva fare a meno. Quel quaderno era un pezzo di lui, qualcosa che non gli avrebbe fatto dimenticare le sue origini.
Mise le mani sui fianchi e, con quel gesto, si accorse che c’era qualcosa che ingrossava la tasca dei pantaloni. Vi infilò la mano e trovò una foto stropicciata, che raffigurava lui e Ketty. La dispiegò sul palmo con cura, cercando di togliere le pieghe più profonde. Se l’erano scattata qualche giorno prima, quando si dissero addio.
«Allora non tornerai più?»
La sua gonna leggera vorticava seguendo la direzione del vento e si scontrava contro le gambe nude. Le dita dei piedi si strinsero sotto la sabbia e lui le afferrò le mani.
«Tornerò tra un anno. Non significa mai più».
Col calar della sera gli occhi di Ketty parevano più azzurri del cielo stesso mentre lo osservava con tristezza. Abbassò lo sguardo e tolse una mano dalla stretta per aggiustare i capelli, che le erano finiti sul viso, ma anche per nascondere le lacrime.
«È troppo per me. Da quando avevamo otto anni non ci siamo mai separati!» sussurrò.
Lui le afferrò la mano e vide le lacrime che sgorgavano dagli occhi.
«Non piangere. Sei la mia migliore amica e siamo come due gemelli. Anche se saremo uno lontano dall’altra non cambierà niente nella nostra amicizia!»
Lei si morse il labbro e usò entrambe le mani per pulirsi gli occhi e sbavare un po’ l’ombretto.
«Le cose cambieranno. È ovvio. Incontrerai belle ragazze, ti divertirai… Ti dimenticherai di me!» Le mani, chiazzate di azzurro a causa del trucco sbavato, si strinsero sui fianchi e si mossero su e giù per riscaldare il corpo infreddolito.
«Come potrò dimenticarmi di te? Ti conosco da quando portavi quell’orribile apparecchio e le codine da Pippi Calzelunghe!»
Le sfuggì un sorriso. «Non era poi tanto orribile quell’apparecchio. È grazie a quello che ora ho i denti dritti!»
«Ciò non ti toglieva il soprannome di denti di ferro!» scherzò lui.
Il malumore tornò nel viso di Ketty. «Stai cambiando discorso. Ti conosco. Vuoi che pensi ad altro così che non torneremo a parlare della tua partenza, vero? E invece no! Io non posso sopportare il pensiero che non ti vedrò per trecentosessantacinque giorni. Tu devi rimanere qui. Manda al diavolo i tuoi e continua a frequentare la tua scuola!»
Albert deglutì. Il nervosismo e la stessa paura che attanagliava lei lo colpirono. Il suo modo di distrarsi e combatterli era prendere una sigaretta dalla tasca e inspirare quel fumo tanto dannoso per i suoi polmoni. Non appena la sua mano afferrò il pacchetto nella tasca a marsupio della felpa, Ketty sollevò il capo e lo trafisse con lo sguardo.
«Puoi non fumare, per favore? Non è il momento». Allungò un braccio e gli tolse dalle mani le sigarette. «Dovresti smetterla con questa roba, lo sai. Ti fa male».
«Tutti fumano e stanno ancora in piedi» replicò in tono acido.
«Non è solo questo il punto, sapientone. Credi che in quel college d’élite ti lasceranno fumare questa spazzatura? Entrerai in crisi d’astinenza: è meglio che inizi fin da subito a ridurre le sigarette o a fare scorta di quei cerotti alla nicotina» disse, indietreggiando di un passo e tenendo strette le sigarette tra le dita.
Albert la guardò con una smorfia contrariata e riuscì a strapparle dalle mani il pacchetto.
«Sei un idiota!» strillò lei, riprendendo possesso delle sigarette e stritolandole tra le mani. Le gettò a terra, pestò lo scatolo con i piedi nudi e gli gettò sopra della sabbia.
Crollò a terra e si portò le mani al viso mentre singhiozzava. «Ti odio. Sei così stupido!»
Albert sospirò: si era comportato da stronzo, lo sapeva, ed era prevedibile che lei avrebbe avuto una delle sue crisi e sarebbe scoppiata a piangere. Si chinò accanto a lei e le passò il braccio sopra le spalle. Ketty si accoccolò sul fianco di lui e riprese a piagnucolare contro la sua felpa.
«Su, su, non sarà una tragedia» la consolò, accarezzandole i capelli.
«Sì che lo sarà. Tu te ne andrai e non saprai niente. E…» Ma la frase seguente venne interrotta da un singhiozzo e tante lacrime.
«Non è importante. Qualsiasi cosa dovrò sapere, la imparerò dopo. Rimarremo sempre in contatto, te lo prometto. Riuscirò a scriverti di tanto in tanto, mandarti messaggi, gufi…»
Ketty rise. Albert le sollevò la testa: aveva gli occhi rossi, il viso umido e uno sguardo sorpreso.
«Ti preferisco quando ridi che quando piangi. Ti si illumina il viso».
Lei sorrise e si passò le mani sulle guance per togliere le lacrime. «Mi giuri che non ti scorderai mai di me, della tua migliore amica di sempre?»
«Mai».
Il suo sorriso divenne più ampio. Portò le mani accanto ai fianchi e si sollevò. Albert la guardò dal basso verso l’alto mentre lei camminava in direzione del suo zainetto. Si accovaccio, lasciando che l’azzurro del suo costume fosse intravedibile sopra la gonna, e mise le mani nel suo Eastpack. Si rialzò e tornò accanto ad Albert con una Polaroid.
«Questa dove l’hai presa?»
«Era di mio padre. Ci tiene come a una figlia, ma io gliel’ho presa di nascosto. Questa era un’occasione speciale!» spiegò lei.
«Sai come si utilizza?» la prese in giro amichevolmente.
Lei gli fece una linguaccia e accese la macchina fotografica. Era così strana, quasi un aggeggio che proveniva dal futuro, piuttosto che dal passato.
«Sii pronto a sorridere, se ti riesce con quel muso lungo che ti ritrovi, brontolone!»
Estese il braccio, per comprendere entrambi i visi nella foto.
«Brontolone a chi?» Finse un cipiglio offeso, ma subito dopo prese a farle il solletico sulla pancia, il suo unico punto debole.
«No, lasciami! Devo scattare…» Si rotolò dalle risate e cercò di allontanare il ventre dalle mani di lui. «ALBERT!»
Per sbaglio il suo indice andò sul tasto per scattare la foto e il flash li abbagliò. Una carta sottile uscì dalla macchina fotografica. Era una foto buffa: l’inquadratura era storta, non messa a fuoco del tutto e il viso di lei riempiva buona parte dell’immagine con la sua risata, mentre il volto di Albert appariva dietro la sua spalla e le sue mani erano sul bacino di lei.
«Per colpa tua ho rovinato l’unica foto che potevamo farci insieme!» brontolò.
Albert gliela tolse di mano. «Non è vero: è fantastica!»
Gli occhi di Ketty brillarono, e sorrise. «Bene, allora tienila tu. Voglio che ce l’abbia sempre con te, così mi vedrai sempre!»
Lo baciò sulla guancia e si strinsero stretti stretti per riscaldarsi l’un l’altro in quella fresca sera estiva.
Era passato del tempo da quel giorno e il momento della partenza era giunto. Albert non credeva possibile che sarebbe partito, era questione di poche ore! Guardò nell’altra tasca dei pantaloni e trovò delle sigarette. Decise di nascondere anche quelle nella valigia, nei momenti in cui l’astinenza l’avrebbe fatto impazzire. Non aveva preso alcun cerotto alla nicotina perché non era intenzionato a smettere. Quelli che li comprano vogliono lottare per non toccare mai più una sigaretta in vita loro ma lui non aveva questi pensieri: era deciso a proseguire quel meccanismo interno di autodistruzione che gli portava, però, un minimo di sollievo.
«Allora? Sei pronto?» urlò sua madre dal piano di sotto. «Tuo padre è fuori con la macchina che ti aspetta!»
Albert chiuse gli occhi e strinse i denti. Ce l’avrebbe fatta! Quella fottuta scuola non avrebbe fatto un sol boccone di lui, perché sarebbe stato forte e avrebbe affrontato tutto a testa alta!
«Arrivo!» urlò in risposta.
Chiuse la valigia, facendo scorrere la zip fino a incastrarla nel lucchetto, e se la trascinò per le scale. Sua madre era al centro del salone, in vestaglia e con i bigodini nei capelli. Aveva le lacrime agli occhi. Albert pensò che fosse molto ipocrita da parte sua.
«Andrà tutto bene. Vedrai che te la caverai!»
Se non avesse pensato che suo figlio fosse tornato incolume, non l’avrebbe di certo mandato dall’altra parte degli Stati Uniti in una scuola sperduta!, si ritrovò a pensare Albert, che non sapeva se lasciare a sua madre un’ultima immagine di sé arrabbiata e disprezzante, o una affettuosa, mentre l’abbracciava.
«Sopravviverò» si limitò a dire.
Non ci furono abbracci e Albert non la guardò con odio. Si era mantenuto nel centro esatto: senza andare dalla parte dell’affetto incondizionato né al disprezzo più puro. Prese la valigia dal manico e la trasportò oltre la porta, ove una enorme jeep lo aspettava messa in moto.
Lui e sua madre si scambiarono un ultimo cenno di saluto con la mano, poi lui saltò in macchina.
Il padre lo guardò e si toccò i baffi, attorcigliando dei peli tra loro. «Sei cresciuto dall’ultima volta. È incredibile quanto voi ragazzi riuscite a crescere».
«Ho ancora sedici anni. È normale che cresca» ribattè, sistemando la valigia in modo tale che non gli urtasse il ginocchio.
«Credo tu abbia ragione…» Tolse le mani dai baffi per metterle sul volante e schiacciare il pedale dell’accelerazione.
Colonna sonora di quel lungo viaggio fino all’aeroporto fu American Pie e, mentre Don McLean intonava Drove my chevy to the levee but the levee was dry,Albert chiuse gli occhi e entrò nel mondo dei sogni, dove crostate al lampone ballavano in cerchio a Kairi, personaggio del suo videogioco preferito, che, stranamente, gli ricordava tantissimo Ketty e i suoi dolci occhi innocenti.


Nota dell’autrice: ma ciao, cari lettori! Ho notato con piacere due recensioni e che la storia è stata inserita tra le preferite e le seguite. Sono davvero contenta; non credo di aver mai avuto così rapidamente tanto seguito. Okay, “tanto” è una parola grossa, ma in un solo giorno, per me, è un gran risultato! *Sorrisetto soddisfatto*
Allora, lo stile in questo capitolo è leggermente diverso: sono passata da uno abbastanza oggettivo e descrittivo (vedi il primo capitolo), a uno più personale, entrando nella sfera emotiva del nostro nuovo protagonista, Albert! So di non averlo ancora descritto, ma immaginatevelo carino, ecco. Non faccio anticipazioni, altrimenti nei prossimi capitoli perderò tempo a disseminarvi indizi qua e là per farvi capire il suo aspetto. Almeno, però, caratterialmente, le cose sono un tantino più chiare: i suoi problemi in famiglia, personali… (Spero).
Ho preso una piccola “pausa” dal mondo sovrannaturale; credo che in questa storia alternerò il punto di vista umano a quello demoniaco. Questa è la mia intenzione, poi, però, dipenderà tutto da come si evolverà la trama!
Aggiungo due cose che alcuni di voi potrebbero non sapere: la canzone citata è questa ( http://www.youtube.com/watch?v=Lu7hxguhFfI
) e Kairi è il personaggio femminile di Kingdom Hearts, la ragione per cui il protagonista, Sora, viaggia da un mondo all’altro. Io adooooro KH; se avete una Play Station, giocateci – non ve ne pentirete!
Riguardo il prossimo capitolo, verrà introdotto un nuovo personaggio un po’ particolare… Non so quando lo posterò perché ne ho scritto solo una pagina finora. Se riesco a terminarlo entro oggi, lunedì verrà aggiunto, altrimenti lo inserisco martedì. Be’ si vedrà...


ATG 

  
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