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Autore: AxXx    28/10/2012    2 recensioni
Anno 1918. Dopo la fine della prima guerra mondiale le forze Bolschviche di Lenin stanno affrontando una guerra incredibilmente violenta per affermare la loro ideologia.
Gli assassini hanno una missione da compiere in questo pericoloso territorio.
Con i templari da una parte e un gruppo di assassini traditori dall'altra, un giovane assassino discendente di Ezio Auditore si dovrà confrontare con le forze in campo e soprattutto con il suo stesso credo per portare in salvo l'ultima discendente dei Romanov.
Questa è la mia prima storia unicamente di Assassin's creed. Non mi aspetto un capolavoro, ma vorrei davvero avere delle recensioni che mi permettano di migliorare, grazie a chi leggerà e dirà la sua anche se è una rcensione negativa.
Genere: Guerra, Romantico, Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti
Capitoli:
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             L’ accampamento Rosso
 
 
 
La mattina arrivò rapida e fui costretto a svegliare Anastasia, dato che sentivo i passi delle forze rosse in ritirata.
Dalle vibrazioni sul terreno sarebbero state in vista entro un’ora, ma era meglio muoversi.
Dovevano muoversi rapidamente.
Il piano originale era quello di raggiungere Perm, il centro abitato più vicino.
Se avessimo fatto in fretta ci avremmo messo meno di una settimana.
Da lì ci saremmo mossi per raggiungere Kirov, e da lì prendere un treno che ci conducesse a Mosca.
Era pericoloso avvicinarsi così tanto al centro di potere di Lenin, ma era l’unico modo per non perdere due mesi di marcia tra i villaggi e le nevi.
Inoltre era l’unico modo per poter giungere in tempo ragionevole qualunque zona del paese, anche se ci avessimo comunque messo molto.
Con Dimitri ed i suoi due compagni, gli assassini traditori al soldo di Lenin non potevo permettermi di rimanere troppo a lungo su territorio Russo.
Mi massaggiai un attimo il braccio notando che le irritazioni e le scottature erano diminuite.
Anastasia aveva fatto un ottimo lavoro.
La scossi leggermente svegliandola.
“Dobbiamo andare.” Le dissi mentre preparavo il cavallo per il viaggio.
In pochi minuti fummo di nuovo in marcia.
Cavalcammo rapidi bruciando kilometri su kilometri di terreno, ma il territorio che stavamo attraversando era molto grande e quello che per noi erano distanze grandi erano in realtà molto piccole.
Il nostro cavallo era abbastanza fresco e riposato e quindi ci permise di fare molte miglia.
A mezzogiorno ci issammo su una collina e ci guardammo indietro.
In lontananza si vedeva l’armata rossa di Torckij che si ritirava rapidamente mentre le forze dei bianche continuavano la loro avanzata.
“Dobbiamo fare in fretta.” Disse Anastasia osservando preoccupata i rossi che si avvicinavano molto rapidamente nonostante fossero a piedi.
Mangiammo rapidamente un po’ di pane e formaggio, giusto quel tanto per non morire di fame senza neppure alzarci dalla sella e ci rimettemmo in marcia.
In poco tempo ci ritrovammo a cavalcare disperatamente mentre ci guardavamo intorno alla ricerca di un luogo dove nasconderci.
La strada su cui viaggiavamo era abbastanza grande, ma non era una principale, dato che non c’era nessuno.
Il tempo passò senza grandi avvenimenti. Più che altro cercavamo di non lasciarci abbattere dalla noia, sapendo che, se mi fossi distratto saremmo stati facilmente vittima di agguati ed altro.
Ci lasciammo alle spalle foreste, colline e pianure ed io sapevo che a meno di tre ore da noi un esercito pronto ad ucciderci era in marcia forzata, inseguito come un cane braccato.
Noi ci muovemmo senza fermarci fino a notte fonda, quando l’oscurità ci impedì di vedere la strada.
“Ci fermiamo?” Chiese Anastasia cercando di vedere qualcosa nell’oscurità.
Aiutato dall’occhio dell’aquila che mi permise di vedere meglio anche nell’oscurità, portò il cavallo un po’ fuori dalla strada in mezzo ad alcuni cespugli.
Accesi un piccolo fuoco per potermi vedere meglio la ferita e lei si accostò a me.
“È migliorata.” Disse cambiandomi la fasciatura. “ora dovresti stare meglio, finalmente.”
Io la osservai al lavoro.
Anche oggi nessuna lamentela né discussione, era stata in silenzio ad osservare il paesaggio intorno a noi come se niente fosse.
Forse pensava alla sua famiglia o ad altro, ma la sua compagnia mi faceva piacere.
Ero sempre stato ‘solo’.
Cioè, mettiamolo subito in chiaro, solo in senso figurato.
Il fatto era che non avevo amici. Avevo avuto dei compagni con cui parlavo o con cui mi confrontavo, ma non erano state mai delle vere e proprie amicizie.
La notte rendeva il paesaggio incredibilmente affascinante.
La neve perenne della Russia più profonda diventava praticamente uno specchio argentato che rifletteva i raggi lunari.
L’aspetto candido della neve veniva arricchito da quella luce adamantina che dava al paesaggio una specie di preziosità, come una gemma che, alla luce, sprigiona tutta la sua bellezza.
“Parlami di tuo fratello.” Mi disse ad un certo punto Anastasia mentre si stava per coricare.
“Non c’è molto da dire. Era mio fratello. Gli volevo bene.” Risposi io abbassando lo sguardo.
“Ma chi erano i vostri genitori? Come avete vissuto?”
Insistette lei.
Ecco la cosa peggiore.
Come fai a spiegare a qualcuno al di fuori della confraternita come sei cresciuto.
Come si poteva capire il fatto che gli assassini davano ai loro figli un addestramento così rigoroso da poter essere paragonato alla tortura, nelle sue parti più estreme.
Certo, mediamente durava poco durante il giorno, solo cinque ore erano dedicate all’addestramento fisico, il resto della giornata era dedicato al tempo libero.
Non che fosse meglio.
La maggior parte del tempo per gli adepti era dedicata allo studio ed al perfezionamento.
Il fatto era che, gli assassini non volevano trasformarli in macchine da guerra sanguinarie, ma in individui pensanti in grado di combattere.
Era un bene, perché la nostra non era un ideologia fatta per sottomettere le menti, ma un credo, da cui estrapolarne il significato.
‘Nulla è reale, Tutto è lecito.’  Un credo che dovevamo interpretare.
Spesso questo portava a contraddizioni ed a conflitti interni, ma l’idea di fondo era la libertà.
Libertà che era l’unico punto fermo della nostra filosofia.
Libertà di parola. Di pensiero, di stampa.
La libertà di tutti gli uomini dovevano avere.
Ma era una vita che in pratica, vivevi da solo senza vere amicizie.
“Diciamo che io sono ciò che ho vissuto, le cose sono un po’ difficili da spiegare, ma, posso dire che per quel che mi riguarda io ed i miei genitori ci tramandiamo un compito che discende da tempi molto antichi.” Dissi cercando di esser chiaro senza rivelare troppo della nostra confraternita.
Lei continuava ad osservarmi attenta, senza perdere una parola.
“Mio padre è morto durante la grande guerra, ed io avevo sedici anni, non mi ricordo nemmeno molto di lui, la persona che mi era più vicina era in effetti mio fratello.” Continuai affondando nei ricordi.
“Sembra quasi che tu abbia vissuto in una caserma.” Affermò lei cercando, probabilmente di intuire il mio stato d’animo.
“Si può dire anche così, ma il fatto è che io ho vissuto per ciò che faccio adesso, come ha fatto mio padre e come ha fato mio fratello. Noi siamo nati per quello che facciamo.” Dissi coricandomi e mettendomi a dormire con quel sogno leggero che distingueva gli assassini.
Era un metodo per individuare possibili minacce prima che ci fossero addosso, così da poter rispondere per tempo.
Alcuni di noi scherzavano sul fatto che non dormivamo mai in realtà.
Be’ vero solo in parte: il nostro corpo è vigile, ma non è sveglio; la maggior parte dei suoni non ci arriva, solo quelli molto vicino a noi si allertano e comunque quando veniamo allertati da qualcosa non ci svegliamo.
È come stare in quel torpore che ci abbraccia durante il dormiveglia prima di alzarsi la mattina, ma se un pericolo non si presenta ricadiamo nel sonno senza mai svegliarci completamente.
Fu proprio questo che mi allertò durante la notte.
La mia pelle a contatto con il terreno percepì delle vibrazioni, ritmiche e continue che duravano parecchio con pochissimi intervalli.
All’inizio la loro lontananza non mi preoccupò, ma quando le sentii vicine, mi resi conto che poteva essere un pericolo.
Mi svegliai completamente e mi avvicinai al sottobosco che ci separava dalla strada.
All’inizio non vidi niente, ma dopo pochi minuti, i fari abbaglianti delle camionette mi accecarono.
Anche se non ce l’avevo in faccia, era comunque molto fastidioso e dovetti ricorrere a tutta la mia concentrazione per non far muovere le foglie, in modo sospetto.
A poca distanza dai veicoli c’era una colonna di soldati dell’armata rossa che correva in maniera un po’ scoordinata, ma senza caos.
‘I bianchi devono aver messo la loro corsa.’ Pensai dato che i soldati bolscevichi non correvano in maniera così disordinata come ci si aspettasse da un esercito in rotta.
Lasciai che passassero tutti e ci vollero solo pochi minuti, ma qualcosa mi preoccupò.
Se avevano cessato la marcia forzata significava che presto il luogo dove si trovavano sarebbe diventato terra di nessuno, inoltre doveva esserci un comando dei rossi lì vicino.
‘Meglio andare a dare un occhiata.’ Pensai.
Tornai indietro e svegliai Anastasia.
“Che succede?” Chiese con la voce impastata dal sonno.
“Ascolta, tu devi rimanere sveglia, una colonna di soldati bianchi è appena passata di qui e credo che abbiano un comando qui vicino.” Disse mentre lei si faceva attenta.
“Devi rimanere nascosta e fuggire se vedi pattuglie, non preoccuparti per me, io saprò ritrovarti, ma tu non ti devi addormentare.” Conclusi io in maniera un po’ brusca, mentre mi allontanavo.
Ritornai sulla strada e seguii, grazie all’occhio dell’aquila le tracce dei soldati.
Anche se potenzialmente pericoloso, potevo scoprire qualcosa sui movimenti dei rossi in modo da poterli anticipare.
Dopo dieci minuti di cammino nella neve mi ritrovai ad una decina di metri da una recinzione in filo spinato che circondava alcune tende ammassate alla rinfusa su di una bassa collina.
Non era certo il posto più favorevole dal punto di vista militare, ma era abbastanza efficace.
Tra le tende c’erano decine di camionette che facevano salire e scendere soldati, soprattutto feriti, ma in alcuni punti la zona era calma.
L’intero accampamento era ampio almeno un kilometro quadrato ed ospitava decine di soldati.
A quanto pareva dovevano essere lì da quando ci eravamo accampati io ed Anastasia, ma non c’era da stupirsi, dato che loro avevano usato vie secondarie.
Loro probabilmente avevano usato la strada principale che gli aveva permesso di superarli.
L’intero accampamento circondava un edificio alto due piani, probabilmente quella che un tempo era la dimora di un gran signore, ora utilizzata come quartier generale delle truppe della regione.
Con calma e pazienza striscia lungo il filo spinato approfittando dei cespugli e degli alberi per evitare i riflettori che illuminavano la zona.
Misurai ogni passo con cautela e mi avvicinai al filo spinato evitando le luce che illuminavano la zona.
Al limitare dell’accampamento il filo era molto spesso, ma, essendo stato eretto in fretta e furia, presentava alcuni punti sollevati in cui si poteva passare.
Strisciai rapido, ignorando il freddo della neve che mi entrava sotto le vesti da assassino e mi accostai ad una tenda.
Aspettai che alcuni soldati passassero e mi infilai sotto una camionetta osservando la distanza che mi separava dalla villa che, probabilmente era il loro quartier generale.
Uscii dal mio nascondiglio strisciando mentre mi muovevo dietro le tende per evitare le pattuglie rosse.
Ogni dieci metri dovevo nascondermi, usando tende, casse e camionette per evitare di essere visto dai soldati, ma nessuno mi vide, quindi, dopo diversi minuti riuscii a raggiungere la villa senza che venisse dato l’allarme.
La villa aveva tre piani, compreso il pian terreno ed era in muratura con spesse colonne di pietra, una delle quali era avvolta da edera secca.
Dato che la porta sul davanti era sorvegliata da alcune guardie usai la rampicante per raggiungere la finestra aperta del secondo piano.
Arrivato all’altezza del piano prestabilito usai un cornicione per camminare fino alla sua entrata strisciando con la schiena attaccata al muro.
Mi ci volle solo un minuto, per arrivare a destinazione.
Guardai velocemente all’interno per assicurarmi che la stanza dove stessi per entrare fosse deserta e forzai la serratura con la lama celata.
L’interno del luogo era spazioso e ricco: mobili di legno pregiato e tappezzeria di alta qualità erano stati accatastati o distrutti.
Questo mi fece capire che doveva essere la tenuta di qualche nobile che, durante la guerra civile era morto o era semplicemente fuggito.
Attraversai la stanza senza fare rumore ed aprii la porta per osservare la sala adiacente.
Quella era illuminata.
All’interno c’erano cinque uomini in divisa da alti ufficiali.
Solo uno era vestito in modo diverso: aveva una specie di mantello bianco con il cappuccio e sotto una specie di giubbotto antiproiettile.
Uno degli assassini traditori.
Cessai praticamente di respirare e mi misi ad ascoltare la loro conversazione.
“Abbiamo dovuto ritirarci da Ekaterimburg, ma non so quanto potremo resistere qui. Le forze del generale Kolcak sono molto vicine e noi siamo inferiori di numero.” Disse un generale puntando il dito su una mappa probabilmente della zona.
“Non importa, il Commissario della Ceka Jurovskij mi ha appena informato che il nostro compito nella città è stato svolto, quindi possiamo ritirarci a Kirov per riorganizzarci.” Disse l’assassino.
‘Jung Toyo.’ Pensai riconoscendo la voce dell’assassino cinese che ci aveva tradito.
Non era un bene averlo così vicino.
Quando ancora era della confraternita era noto come: colui che uccideva senza lama celata.
Questo per la sua incredibile abilità nelle arti marziali.
‘Quindi devo stare molto attento.’ Pensai mentre ascoltavo la conversazione.
“Proprio così.” Rispose il diretto interpellato: un uomo alto magro dalla folta barba marrone scuro che sembrava creare un triangolo perfetto in linea con il suo magro viso spigoloso e triangolare.
“Allora dovremmo lasciare ai bianchi l’intero territorio tra qui e Rostov?” Chiese un terzo generale.
“Sì, questi sono gli ordini.” Decretò in fine l’assassino traditore.
Non avevo scoperto poi molto se non ciò che potevo benissimo intuire da solo: le forze dei rossi in ritirata e i filo zaristi che avanzavano.
L’unica cosa veramente preoccupante era la presenza di Jung Toyo, che rappresentava una grossa minaccia.
Dubitavo fortemente di poterlo battere da solo.
Con lenti movimenti per non creare rumori sospetti tornai indietro e uscii dalla finestra.
Feci il percorso a ritroso, passai sotto il filo spinato e tornai da Anastasia.
“Sono qui.” Sussurrò lei nascosta dietro un albero.
“Successo qualcosa?” Chiesi preoccupato.
“No, solo una pattuglia, ma nient’altro.” Mi rispose.
Io annuii e la condussi più in profondità nella boscaglia dove il rischio di essere scoperti era minimo.
 
 
 
 
 
Altro cap. un po’ più lungo del precedente forse.
Gli avvenimenti qui descritti sono tutti reali e posso dire che sono abbastanza fedeli.
Tra tutti i personaggi qui descritti uno è particolarmente reale: Jurovskij.
Era un alto commissario della Ceka, la polizia segreta del partito Bolscevico e fu l’organizzatore dell’esecuzione dei Romanov descritta nel primo capitolo.
AxXx

  
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