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Autore: cenerella    29/10/2012    7 recensioni
Storia prima classificata al contest "Si sarebbero amati in qualsiasi storia fossero andati a finire" indetto da Postergirl sul Forum di EFP.
Penisola Olimpica 1860. Isabella Cullen, sposa annoiata, non immagina quali sorprese le riserveranno le sue passeggiate nella foresta.
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Edward Cullen, Isabella Swan, Jacob Black | Coppie: Bella/Edward, Bella/Jacob
Note: AU | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessun libro/film
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- Questa storia fa parte della serie 'Giorni'
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Maggio 1861

 

Tornai ogni giorno sulle rive del lago.

Sedevo sulle pietre lisce e aspettavo, non facevo nulla, stringevo le braccia alle gambe raccolte contro il mio petto e appoggiavo la testa sulle ginocchia, restando ferma, in ascolto.

Non si era fatto più vedere ma io in qualche modo sapevo che era lì, nel buio del bosco. Ne percepivo la presenza come un fremito lungo la mia schiena, lo sentivo arrivare quando all'improvviso gli uccelli tacevano tutti assieme, come quando arriva la tempesta.

Un pomeriggio tardi, la luce che si faceva più opaca attraverso le fronde, capii che la mia attesa era finita.

Stavo seduta immobile, succhiando la linfa dolce e fresca di un filo d'erba.

Lo sentii arrivare alle mie spalle, sentii i battiti del mio cuore accelerare ma non mi mossi, mi fidavo di lui come se lo conoscessi da tanto tempo.

Si inginocchiò dietro di me, le sue braccia mi avvolsero morbide, spiai quelle mani che mi accarezzavano il ventre spostarsi sui miei fianchi, sentivo il loro calore mentre mi sfioravano, mi piaceva osservarle, sentirle addosso così leggere, così calde.

Si appoggiò col petto alla mia schiena e io presi le sue mani fra le mie.

Il nostro respiro cresceva, rumoroso, affrettato, mi voltai verso di lui e le sue labbra mi tolsero l'aria, respiravo con lui, col suo stesso ritmo spezzato.

Disse qualcosa a bassa voce, in quella sua lingua a me incomprensibile, mentre ancora mi baciava.

Mi voltai e alzai lo sguardo, tutto mi pareva avvolto dal silenzio della foresta, non udivo altro che i nostri battiti affannati.

Chiusi gli occhi e mi lasciai andare, poggiando le labbra sulla sua spalla, leggere. Cercò ancora la mia bocca e, prima di abbandonarmi al suo bacio, potei sentirlo forte e solido contro di me.

Improvvisamente sentii il tocco caldo delle sue dita sulla mia pancia spostarsi sotto la camicia, raggiungere infine la schiena.

Ringhiò profondamente, più lupo che uomo, fino a farmi rabbrividire, si mise in ginocchio e io lo imitai continuando a baciarlo.

Mi sollevò per adagiarmi su un soffice letto di muschio e posò le mani sulle mie ginocchia, schiudendole appena.

Improvvisamente mi sentii travolgere dalla paura. Che cosa stavo facendo?

Nella mia testa si affollavano le immagini della vita che mi aspettava.

Vedevo gli anni passare, la porta chiusa, lo specchio appannato, la neve che vorticava furiosa conto il vetro della mia finestra e ricopriva tutto densa, compatta.

Poi, distintamente, sentii il calore che scioglieva tutto quel gelo.

Alzai lo sguardo e i miei occhi inondati di lacrime incontrarono i suoi. Tra i singhiozzi mormorai un sì e nascosi il viso sul suo petto.

Strisciò lento tra le mie gambe, risalendo lungo le cosce, le dita impazienti.

Gli afferrai le natiche e lo sentii ridere tra i sospiri, mentre mi baciava il seno, poi scese ancora, sfiorandomi l'inguine con il naso e con la lingua umida.

Mi sfuggì un grido e lui, smarrito, ringhiò forte, quasi spaventandomi. Rallentò e mi accarezzò il viso, sorridendo. Affondò nei miei capelli sussurrandomi ancora all'orecchio quelle parole sconosciute.

Poi si girò, spostandomi sopra di sé.

Dimenticai tutto, cominciando ad ondeggiare sopra di lui, gli occhi nei suoi, i palmi aperti sopra il suo petto, le sue mani sui miei fianchi che mi spingevano decise contro il suo bacino.

In un attimo il mondo scomparve.

Niente foresta.

Niente lago.

Niente cielo.

Solo lui ed io.

 

Quando mi svegliai e alzai lo sguardo a cercare il cielo tra i rami degli alberi, la luna era già tramontata.

Mi aveva coperta affinché non pigliassi freddo ma, sotto lo scialle, la mia pelle nuda bruciava a contatto con la sua.

Lo guardavo dormire, scuro e tranquillo, così simile nel sonno ad un animale selvatico. Mi rannicchiai al suo fianco per sentirlo vicino. Tra il sonno e la veglia mi strinse a sé e io potei sentire ancora quanto mi voleva.

Ancora un abbraccio, un altro bacio e poi mi chinai a infilare gli stivali in modo da percorrere a ritroso, a testa alta e senza inciampare, il sentiero che mi aveva portata nel profondo della foresta.

Quando aprii la porta mio marito era seduto vicino al camino, assorto nella lettura. Sollevò appena la testa e non disse una parola.

Ma al mattino tutti i miei bagagli erano pronti sotto al portico.

Nessuno venne a salutarmi quando salii in carrozza con il volto rigato di lacrime.

Tornata a San Francisco i miei non fecero domande.

Una lettera di Edward mi aveva preceduta. Una lettera nella quale diceva loro che il rigido clima della Penisola Olimpica non mi si confaceva.

Edward mi amava, forse più di quanto io avessi cercato di amare lui. A modo suo mi ha resa felice, lasciandomi libera di scegliere, ma il mio cuore è sempre appartenuto ad un’altra persona.

Anche se brevemente, egli fu per me un rifugio, un'oasi, il mio mondo perfetto. Avrei rinunciato a tutto pur di stare per sempre con lui, mi dovetti accontentare di un'unica fuga in un mondo parallelo. Un mondo dove le convenzioni sociali non avevano nessun significato, un mondo perfetto abitato soltanto da lui e da me.

 

Epilogo

 

Certe notti, quando non riesco a prendere sonno, fantastico di percorrere il sentiero nella foresta guidata dal rumore dell'acqua che scorre.

Se chiudo gli occhi mi sembra di sentire il profumo delle erbe acquatiche, credo di avvertire sulla lingua il ruvido sapore dei lamponi e delle more.

Fingo di adagiarmi sul muschio soffice, e di sentire ancora sulla mia pelle la fresca carezza del vento.

Nel buio immagino di scrivere la storia che fisserà i ricordi sulla carta.

La storia assomiglia ad un sogno.

Mi addormento per sognarlo.

E per ricordarlo per sempre.

 

Crediti, note e ringraziamenti.

 

Succede che qualcuno affermi che l'Alternative Universe sia “L'ultima frontiera” delle FF.

Succede poi che qualcun altro, in preda all'entusiasmo, indica un contest.

Succede imfine che il mio cervello cominci ad elaborare collegamenti... AU... Ultima Frontiera...ultima frontiera... frontiera...

Così nasce questa storia, un racconto del Grande Nord, un tentativo di racconto del Grande Nord ad essere precisi, cercando di immedesimarsi nei narratori americani dell'ottocento e sperando (ohibò!) di riuscire a pensare con la testa e ad esprimermi nella lingua di una Bella catapultata ai confini delle terre esplorate dai pionieri.

Il Jacob (...ops, non l'ho chiamato per nome nemmeno una volta? Mannaggia, che viziaccio che ho!) di questa storia è un pochino più adulto di quello letterario e cinematografico, vabbè che i ragazzi della Riserva sono precoci e mascalzoni ma, per una volta, non mi andava che fosse proprio un ragazzino.

Le prime righe del prologo sono il solito omaggio alla mia Musa, Faber De Andrè.

Chi conosce la mia fissazione per Gabriel Garcia Marquez avrà riconosciuto le “pietre lisce e bianche come uova preistoriche” che Bella vede sul fondo del lago.

La neve densa, che ricopre ogni cosa arriva dritta dal finale di “Gente di Dublino” e gli “Sciocchi di merli e frusci di serpi” da “Meriggiare pallido e assorto”, poesia amatissima di Eugenio Montale.

Infine, perché perché nessuno dica che sono un'inguaribile snob e che frequento solo Premi Nobel per la Letteratura, l'espressione “Più lupo che uomo” l'ho rubata a Martin e alla sua “Canzone del ghiaccio e del fuoco”.

Grazie a Postergirl, che ha guardato nel futuro e ha visto “l'ultima frontiera della fanfiction”, indicendo questo contest.

(*)Ai tempi dell'uscita della versione cinematografica di New Moon, queste parole rivolte da Jacob a Bella, spiazzarono un po' tutti quelli che, come me, conoscevano a memoria il romanzo. Si tratta di una frase in lingua Quileute che significa “Resta sempre con me”. Grazie a Kagome_86 , che me ne ha fornito l'esatta trascrizione.

cen.

   
 
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