Figlia della Notte
Capitolo VI
La
casa sulla collina
I |
l
cimitero era immerso nella tranquillità.
La
luce del sole, alto nel cielo azzurro, illuminava gioiosa la collina della
cittadina di Potton, nel Bedfordshire.
Ma nel cimitero non c’era niente di gioioso.
Le
uniche presenza di vita era una piccola famiglia di tre persone: madre, padre e
la figlia di dodici anni. Si stringevano l’un l’altro, come se avessero freddo.
E forse in quel cimitero sulla collina il freddo c’era, ma non nell’ambiente,
bensì nel cuore di quella famiglia. Era il freddo della tristezza, del dolore e
anche della paura.
Era
estate. Il sole brillava, illuminava le lisce e bianche lastre di pietra che
spuntavano in file ordinate dal terreno.
Se
ci si fermava, anche solo un momento, a guardare quel cimitero, lo si trovava
molto più allegro di qualunque altro. I fiori colorati spuntavano qua e là tra
le lapidi, ognuna con la sua forma, le sue statue e le sue immagini sbiadite di
vite passate. Tutto questo, però, uniti al sole di mezzogiorno, non riuscivano
a rallegrare il luogo.
Nel
cimitero regnava costante il silenzio.
La
brezza soffiava, leggera, e scompigliava i capelli della giovane ragazza. I
mantelli dei tre svolazzavano vitali nell’aria, avviluppando le loro alte
figure.
Un
sbuffo di vento più forte degli altri soffiò tra gli alberi a ridosso del
cimitero, e qualche foglia prematuramente ingiallita si staccò da un ramo di
essi, svolazzando poi nell’aria, attratta dal terreno erboso. Poco prima che
toccasse terra, un nuovo sbuffo la risollevò alta nel cielo, per poi lasciarla
ricadere lentamente.
Gli
occhi della ragazza vennero attirati da quel lieve turbamento nell’oziosità del
luogo, e si soffermarono sulla foglia fino a quando essa non si depositò
definitivamente a terra, a pochi metri dalla lapide che stava esaminando fino a
poco prima.
Era
strano pensare come qualcuno si fosse potuto sentire così, come quella foglia,
molto tempo addietro. Anche quell’apparentemente insignificante parte di albero
aveva avuto la sua vita. Da un germoglio era nata, da quel sole che stava in
quel momento alto nel cielo, cresciuta. Aveva avuto i suoi giorni di splendore.
Aveva brillato con il suo intenso colore verde chiaro, tipico delle foglie più
giovani, e poi, lentamente, si era spenta. Aveva passato tutte le possibili
tonalità di verde fino ad appassire definitivamente e a staccarsi infine dal
tronco che le aveva donato l’esistenza.
Gli
occhi della ragazza scorsero ancora una volta, un’altra infinitesima volta,
quelle parole tristi e terribilmente vere, incise nella dura pietra. I nomi in
nero dei Robert spiccavano in contrasto con il colore bianco della lastra.
Ognuno di loro aveva una data di nascita, la propria data di nascita. Le date
di morte, invece, erano uguali per tutti. Forse era proprio quello a dare
ancora più tristezza alla lapide, ancora più della foto in cui i tre membri
della famiglia sorridevano felici all’obbiettivo.
Anche
loro avevano avuto una nascita, esattamente come la foglia ai suoi piedi.
Avevano avuto il loro periodo di splendore, la loro giovinezza, che era
lentamente scivolata nell’età adulta.
L’unica
differenza che avevano con la vita di quel piccolo organo vegetale, era che
loro non avevano potuto avere le loro tonalità: non avevano potuto appassire,
lentamente, e staccarsi infine dall’albero, coscienti della loro vecchiaia. La
loro vita era stata spezzata precocemente. La piccola bambina, poi, non aveva
neanche avuto il suo periodo di splendore.
La
ragazza strinse i pugni, mentre lacrime di rabbia e frustrazione le scivolavano
lungo le guance rosee.
Era
stato terribilmente ingiusto. Ancora non riusciva a capire come qualcuno avesse
anche potuto pensare di spezzare la vita di quella famiglia, ancora alle radici
della sua storia.
Guardò
la foto, ancora resistente alle intemperie, e i suoi occhi cercarono di
colmarsi di quella felicità, che in quel momento le mancava del tutto. Il
sorriso di quei volti, inconsapevoli del destino che spettava loro, le si
stamparono nella mente.
Avrebbe
voluto strappare la foto da quel luogo, così privo di allegria, e sbatterla
davanti agli occhi di quelle persone che avevano osato distruggere la vita
della famiglia Robert. Avrebbe voluto dimostrare loro quanto fossero stati
egoisti e crudeli.
Possibile
che non si fossero resi conto della brutalità delle loro azioni? Possibile che
l’idea del male che avevano inflitto non avesse neanche sfiorato i loro animi?
Aveva
un’agghiacciante voglia di trovare quegli assassini e di infliggere loro lo
stesso male che avevano causato loro. Voleva fargli provare il dolore che aveva
provato mesi prima, e che provava tutt’ora al pensiero di quell’orrore. Perché
quello era stato un orrore, niente di più.
Sua
madre le si avvicinò e le cinse le spalle. Anche lei aveva il volto rigato da
lacrime ormai seccate dall’aria ventosa di quel giorno. La strinse in un
abbraccio, cercando di infondere un po’ di calore in quel gesto.
L’aria
era già di per se calda, in quell’estate afosa. Quel calore sommato
all’abbraccio però non seppe raggiungere il cuore della ragazza.
«Quelle
persone non la passeranno liscia, mamma» mormorò. «Se non riusciranno gli
altri, sarò io a portarli ad Azkaban, indipendentemente di chi si tratti».
La
madre sorrise, fiera della sua unica figlia. «Se puoi, fai tutto il possibile,
tesoro».
***
In
una delle cupe notti di mezza estate la placida cittadina di Little Hangleton
riposava tranquilla. Solo la luna e qualche stella solitaria riuscivano a
illuminare fiocamente le intricate strade del paese.
Una
collina dominava incontrastata sul piccolo villaggio, e sopra questa collina si
stagliava la spettrale e sinistra figura di una casa abbandonata. L’edera
cresceva incolta sulla sua facciata, le finestre erano inchiodate e al tetto
mancavano alcune tegole.
Tutti
gli abitanti del paese si tenevano alla larga da quella casa. Anni prima era successo
qualcosa di terribile e spaventoso là dentro, qualcosa che nessuno era mai
riuscito a spiegare.
Ormai
la casa era disabitata da molto tempo. Nessuno che fosse mai passato dal paese
aveva mai voluto anche solo dargli un’occhiata. Nessuno, dopo la misteriosa
morte dei suoi vecchi abitanti, aveva mai voluto comprarla.
Eppure,
un tempo la villa era stata una delle più allettanti di Little Hangleton. Era
solita essere una delle attrazioni più in voga del paese. Spesso, i passanti si
fermavano lungo il cammino e la additavano con curiosità e interesse.
Un
tempo, la facciata della villa era stata di un bianco sgargiante e le piante
più belle avevano adornato il grande giardino che la attorniava. I fiori
colorati avevano brillato alla luce primaverile, punteggiando vivacemente le
folte chiome degli alberi.
Ora
solo qualche tronco secco spuntava dal terreno e qualche albero, ancora
straordinariamente in piedi, riversava i rami flosci verso il terreno pieno di
erbacce.
Quella
che un tempo doveva essere stata un’imponente fontana ora giaceva erosa dalle
intemperie tra l’erba alta. Dagli aloni calcarei che aveva lasciato, si poteva
facilmente intuire che una volta in essa era scorsa vivacemente dell’acqua
limpida.
Nel
perfetto quadro di quella notte, improvvisamente un lampione all’angolo di una
delle strade principali del paese, si spense di colpo.
Non
passò che qualche secondo, quando il silenzio notturno fu spezzato da un sonoro
schiocco. Nel bel mezzo della via, dove fino a pochi secondi prima non si
trovava niente, ora si ergevano due figure d’uomo, strette nei loro lunghi
mantelli neri.
Dopo
essersi guardati freneticamente intorno, le due figure avanzarono velocemente
lungo la via, facendo attenzione a non fare il minimo rumore. I loro sforzi,
però, servirono a ben poco: i passi dei due rimbombavano cupamente tra i muri
delle case che si affacciavano sulla strada acciottolata.
Seguirono
un percorso ben preciso e dopo alcuni minuti che sembrarono interminabili
sboccarono in un ampio piazzale dalla quale partiva un sentiero, costeggiato da
alti cipressi. Non si persero in troppo indecisioni e partirono alla svelta,
calpestando velocemente il terreno che si faceva a mano a mano sempre più
tortuoso e difficile da percorrere, per via di alcune pietre mancanti nell’ordine
apparentemente perfetto della strada.
La
salita non fu lunga. Quando girarono l’ultima curva i due uomini si ritrovarono
di fronte a un alto cancello di ferro arrugginito dal tempo. Al di là di esso
si stagliava la netta e imponente figura della spettrale casa sulla collina.
Il
più giovane dei due uomini represse un brivido di paura. Nonostante le ripetute
descrizioni del padre, dal vero la casa risultava essere molto più lugubre e
spaventosa. Si fece coraggio e seguendo l’uomo più anziano si accinse ad
entrare.
I
suoi occhi grigi individuarono un campanello manomesso, poco lontano da dove si
trovava. Si aspettava che il padre si avvicinasse ad esso e lo premesse, per
poter accedere alla casa, ma con suo grande stupore l’uomo ignorò del tutto
quello che era il normale modo per avvisare il padrone di casa del loro arrivo.
Al contrario si avvicinò al cancello e alzò il braccio sinistro con un gesto
secco.
Il
ragazzo non poté che rimanere sorpreso, mentre le inferriate si aprivano con un
acuto cigolio, lasciando loro libero accesso al cortile.
Il
padre si avviò con passo deciso verso la casa e il ragazzo lo seguì.
Attraversarono il giardino dismesso e si ritrovarono di fronte a un portone di
grandi dimensioni. Nonostante fosse molto vecchio, nell’oscurità si riuscivano
ancora a distinguere le intricate intarsiature nel legno di quercia quasi
marcio. Al contrario del cancello d’ingresso, qui i due uomini furono costretti
a spingere con forza sul legno finché questi non si aprì, emettendo dai cardini
uno strano rumore, come se non venisse aperto da secoli.
Si
ritrovarono in un ampio atrio d’ingresso. Il pavimento di marmo bianco era
ricoperto da un sottile strato di polvere, dove altre scarpe avevano lasciato
le loro impronte. Davanti a loro si innalzava una scalinata che portava ai
piani superiori mentre le pareti della stanza, colorate di un azzurro scurito
dal tempo, mostravano in diversi punti alcune forme rettangolari di un azzurro
leggermente più chiaro, traccia sicuramente lasciata da qualche antico quadro,
recentemente spostato in chissà quale altra stanza della casa. Il ragazzo,
abituato al lusso in cui viveva agiatamente, fece una smorfia di disgusto.
I
due non salirono le scale ma imboccarono un corridoio alla loro destra, nel
quale, al contrario dell’atrio d’ingresso, le pareti erano completamente
spoglie e davano un strana sensazione di desolazione. In alcuni punti
l’intonaco si era staccato e lasciava dei buchi irregolari nella parete. Alla
fine del corridoio i due uomini si bloccarono di fronte a una nuova porta. Il
respiro del ragazzo cominciò ad accelerare: erano arrivati a destinazione.
L’uomo
si voltò verso il figlio e lo osservò dall’alto verso il basso. Per un attimo i
loro sguardi si incrociarono e il ragazzo vide un lampo attraversare gli occhi
del padre. Non seppe dire se di orgoglio o di paura.
L’uomo
annuì piano e il ragazzo capì cosa doveva fare. Tese una mano tremante e
abbassò la maniglia della porta, che si aprì silenziosamente rivelando una
vasta sala immersa nell’oscurità.
Rimasero
un attimo sull’uscio, osservando attentamente il luogo intorno a loro.
Tutto
il mobilio che prima doveva aver adornato la nuova sala era stato accatastato alle
pareti, lasciando così spazio al centro della stanza dove in quel momento si
trovava un gruppetto di persone incappucciate, avvolte in lunghi mantelli neri.
La sala risuonava del brusio delle loro voci, ridotte quasi a un sussurro.
Verso il fondo della stanza si trovava un ampio caminetto, nel quale crepitava
del fuoco che illuminava le pareti di cupi bagliori.
Quando
la porta si aprì e i due uomini fecero il loro ingresso, la sala piombò nel
silenzio. Quasi all’unisono tutti i presenti si voltarono verso i nuovi
arrivati e alcuni cominciarono a bisbigliare animatamente con il loro vicino.
Una
figura alta e snella si staccò dal gruppo e si avvicinò ai due uomini, con
passi lenti e cadenzati. Si fermò esattamente di fronte a loro e alzò
leggermente il capo, scrutandoli attentamente da sotto il cappuccio. «Mostrati»
mormorò.
Il
padre fece gli fece un cenno, e il ragazzo ubbidì all’ordine, afferrando i
lembi del cappuccio con le dita e tirandolo indietro. La luce emanata da un
lampo di fuoco più forte degli altri raggiunse il punto in cui si trovavano i
nuovi arrivati, e per un attimo la chioma biondo platino del ragazzo brillò di
una strana luce.
La
figura incappucciata lo esaminò attentamente ancora un attimo, poi annuì
lentamente e portando anche lei le dita al cappuccio lo abbassò, rivelando il
pallido volto di una donna di bell’aspetto. Un lieve sorriso increspò le sue
labbra, poi si voltò con uno scatto verso il gruppo di persone, che spaventato
dall’improvviso movimento si zittì completamente. La donna avanzò velocemente
nella stanza, verso il caminetto, e il gruppo di persone si divise in due parti
per lasciarla passare.
Lo
spazio che si liberò nel mezzo della stanza, permise al giovane Malfoy di
vedere una poltrona di pelle poco lontano dal caminetto, che dava le spalle ai
presenti.
La
donna si avvicinò ad essa e dopo un attimo di esitazione si chinò in avanti.
Malfoy la vide parlottare concitatamente per qualche minuto e poi zittirsi. Si
risollevò e si girò verso i presenti.
Come
in risposta a un muto ordine, tutte le persone incappucciate che presiedevano
nella stanza si riunirono in cerchio.
Abraxas
Malfoy spinse in avanti il figlio e poi si unì alla cerchia, prendendo posto di
fianco a un uomo tarchiato.
Lucius
aspettò pazientemente, mentre l’ansia cominciava a crescergli nel petto, continuando
a fissare curioso la poltrona in fondo alla stanza. La donna lo osservava
silenziosa, le braccia dietro alla schiena. Non seppe perché, ma nella mente di
Lucius qualcosa collegò l’immagine che aveva davanti con quella di qualche mese
prima, a Hogwarts. Ebbe la strana e angosciante sensazione di averla già vista
da qualche parte. Aveva lunghi e lisci capelli neri, che quasi andavano a
confondersi con il mantello del medesimo colore, e due occhi scuri che brillavano
intensamente. La curva delle labbra era leggermente incurvata, dandole un
aspetto saputo e orgoglioso.
Una
figura si erse dalla poltrona, stagliandosi contro il baluginare del fuoco, e
si voltò verso di lui.
Lucius
deglutì.
Davanti
a lui si ergeva un uomo alto ed emaciato, ma non per questo privo di bellezza.
Il volto pallido donava all’uomo una nota di solennità, mentre le labbra pine e
carnose si piegavano in un ghigno sprezzante.
L’uomo
avanzò nella stanza mentre la donna si univa al cerchio, serrandolo. Si fermò
esattamente al centro e con un cenno della testa, gli fece segno di
avvicinarsi.
Lucius
lanciò uno sguardo veloce al padre, poco lontano, ma non riuscì a cogliere
niente nei suoi occhi. Riprese a fissare l’uomo davanti a lui e con passo titubante
si avvicinò.
Un
bagliore illuminò per un attimo il volto dell’uomo e Lucius notò un lampo di
trionfo baluginare nei suoi occhi. Fu quasi con spavento che si accorse che
erano di un rosso lugubre e allo stesso tempo scintillante.
Si
bloccò a pochi passi dall’uomo e respirò profondamente cercando di darsi un
aspetto dignitoso.
«Bene,
bene, bene…». La voce dell’Oscuro Signore risuonò gelida e distante, quasi un
sibilo.
Lucius
rabbrividì.
«Vedo
che tuo padre ti ha convinto ad unirti a noi, caro Lucius».
Il
ragazzo annuì.
Il
sorriso sul volto pallido dell’uomo si spense di colpo e la sua espressione si
fece dura. «Stai per fare una scelta dopo la quale non potrai più tornare
indietro» mormorò, talmente piano che Lucius fece quasi fatica a sentirlo.
«Io…»
esitò il ragazzo.
Gli
occhi dell’uomo si dilatarono contrariati, ma a parte questo, non fece
nient’altro, aspettando invece una nuova reazione del ragazzo.
Agitato,
Lucius annuì velocemente, affrettandosi poi a rispondere «Certo, signore».
«Mio signore» lo rimbeccò l’altro, mentre
un nuovo sorriso tornava a incresparli le labbra. «Unendoti a me potrai avere
tutto ciò che vuoi. Gloria, potere e molto altro ancora, se ti dimostrerai un
servo fedele potrai avere tutta la mia fiducia».
Lucius
chinò il capo, riconoscente. «Non vi disubbidirò, mio signore».
L’uomo
si passò la lingua sulle labbra, pensieroso. «Non ammetto tradimenti» ribadì.
Lucius
alzò di nuovo lo sguardo e fissò i suoi occhi grigi in quelli vermigli dell’Oscuro
Signore. «Non lo farei mai».
Qualcuno,
nel cerchio, si lasciò sfuggire un risolino sommesso, che però non sfuggì
all’acuto orecchio dell’uomo. «Ci trovi qualcosa di divertente, Dolohov?»
sibilò, nient’affatto divertito.
Lucius
vagò con lo sguardo fino a posarsi su un uomo poco lontano da lui, che
all’avvertimento del padrone si era ricomposto e aveva abbassato lo sguardo,
penitente.
«Ti
ho fatto una domanda!» ribatté Voldemort gelido.
Dolohov
si inginocchiò di colpo. «Mi scusi, mio signore».
L’uomo
sbuffò annoiato e si rivolse a Lucius. «Inginocchiati» ordinò.
Il
giovane Malfoy obbedì e si abbassò, fino a toccare terra con una gamba.
«Dammi
il tuo braccio sinistro» sibilò nuovamente l’uomo.
Lucius
si slacciò velocemente il polsino della camicia e tirò poi su la manica della
veste, scoprendo la pelle pallida e lucida dell’avambraccio.
L’oscuro
signore tirò fuori la propria bacchetta che, forse per l’atmosfera del luogo, a
Lucius sembrò emanare un’aura di potere e grandezza. «Mormosdre» disse in un soffio.
Un
intenso bruciore partì dalla bacchetta dell’Oscuro Signore e si dipanò per
tutto l’avambraccio, facendo sfuggire al giovane ragazzo un gemito di dolore.
Lucius abbassò lo sguardo, mentre sulla sua pallida pelle si allargava
velocemente una macchia nera, che mano a mano prese forma, trasformandosi in un
teschio dalla cui bocca usciva un serpente.
Non
ci volle molto. Circa un minuto dopo la bacchetta si staccò dalla pelle del
giovane e tornò nella veste dell’uomo, lasciando un Lucius vagamente stordito
ai suoi piedi.
Voldemort
si girò e si allontanò, tornando al suo posto davanti al caminetto.
Lucius
si affrettò a rimettersi a posto la manica della veste e ad alzarsi. Rimase in
piedi al centro del cerchio, aspettando un nuovo ordine.
A
parlare, però, non fu l’Oscuro Signore, ma bensì la donna alla sua destra.
«Prendi posto affianco a tuo padre, giovane Malfoy» disse, e la sua voce
risuonò molto più calda di quella dell’uomo.
Malfoy,
obbedì ancora una volta, unendosi alla cerchia, e si rimise il cappuccio.
«Benvenuto
nei Mangiamorte» sibilò la donna e un sorriso increspò nuovamente le sue labbra,
seguito poco dopo da quello, anche se molto tirato, dell’uomo. Un applauso si
levò dai presenti e Lucius abbassò la testa, lievemente imbarazzato.
Poco
distante da Voldemort, invisibile agli occhi di tutti grazie al mantello
dell’invisibilità, un altro sorriso si unì a quello dei due adulti.
Sophie
Stones, osservava in silenzio la scena.
Note:
Ci tengo a dire che sono
presenti alcune citazioni dal libro “Harry Potter e il Calice di Fuoco”.
Angolo
autrice:
Prima di dire qualsiasi cosa mi scuso enormemente per il
ritardo. Purtroppo è stata una settimana un po’ difficile, e, lo ammetto, ho
iniziato a scrivere questo nuovo capitolo solo venerdì pomeriggio. Per questo
non sono riuscita a finirlo per sabato e neanche per domenica, dato che ho
dovuto studiare una trentina di pagine per la verifica di storia dell’arte
(che, tra parentesi, incrocio le dita perché sia andata bene). Domani ho una
verifica di scienze e dopodomani di latino. Per fortuna ci sono le vacanze e
spero di non dover tardare molto per il prossimo capitolo. Purtroppo, però,
anche la settimana prossima sarà un vero delirio (una verifica al giorno). Se
arrivo in ritardo e solo per questo. D’altronde, la scuola prima di tutto! ;)
Tornando al capitolo. Prometto che questa è l’ultima volta che
sentirete nominare i Robert. Lo so, forse sono un po’ ripetitiva, però non
credo che Rose lascerebbe la cosa così a metà. Di certo un giretto al cimitero
lo farebbe.
Ci ho riflettuto su a lungo e alla fine ho deciso che Lucius
conclude qui la scuola. Ringrazio dark_nemesis per
avermi chiarito un po’ le idee, però mi torna più comodo farlo finire ora la
scuola. Di conseguenza, Rabastan Lestrange non è più un coetaneo di Lucius, ma
bensì ha un anno in meno.
Devo dire che scrivere questo capitolo è stata una vera e
propria fatica. Se notate, ci sono molte descrizioni, cosa che non sono
abituata a fare.
Il capitolo, se non lo aveste capito, si svolge nell’estate del
1972. Quindi Sophie & Co. hanno finito il loro primo anno. Comunque non vi
preoccupate, spiegherò tutto meglio nel prossimo.
Ok. La finisco qui con le note. Ringrazio sempre tutti coloro
che seguono questa storia (non sapete quanto mi fate felice) e un grazie
soprattutto a Ginny_17 che fin’ora si è preoccupata di recensire tutti i
capitoli. Un vero grazie di cuore :D
Alla (si spera) prossima settimana,
Gageta98
P.S. mi trovate qui: http://www.facebook.com/Gageta98