Libri > Harry Potter
Segui la storia  |       
Autore: Gageta    29/10/2012    1 recensioni
Anno 1960.
Nella poco conosciuta cittadina di Snape, Inghilterra, nasce Sophie Stones.
All’apparenza una strega come tante altre, Sophie cresce insieme alla madre, aspettando il momento in cui potrà finalmente riunirsi a suo padre e fare ciò per cui è stata preparata fin da bambina: conquistare il mondo magico.
Tra magia, amicizie, amore e battaglie Sophie continuerà ad andare avanti per la via più buia finché qualcuno non la cambierà per sempre, riuscendo a smascherare il suo oscuro segreto.
«Non vi saranno altri Smistamenti alla scuola di Hogwarts» annunciò Voldemort. «Non vi saranno più Case. Lo stemma e i colori del mio nobile antenato, Salazar Serpeverde, basteranno per tutti, non è vero, Neville Paciock?»
«Non credo che siano tutti d’ accordo con voi su questo punto». […]
Sophie avanzava verso di lui, la folla che si faceva da parte per lasciarla passare. Aveva gli occhi arrossati come di chi aveva appena pianto molto e il viso stanco di chi non dormiva da giorni. Ma era tranquilla e determinata. Alzò lo sguardo verso di lui e lo guardò, fiera.
«Forse, prima di prendere decisioni affrettate, dovreste considerare alcune cose. Non credete… padre?»
Genere: Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Albus Silente, Nuovo personaggio, Severus Piton, Voldemort
Note: nessuna | Avvertimenti: Incompiuta | Contesto: Malandrini/I guerra magica, II guerra magica/Libri 5-7
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Figlia della Notte

Capitolo VI

La casa sulla collina

I

l cimitero era immerso nella tranquillità.

La luce del sole, alto nel cielo azzurro, illuminava gioiosa la collina della cittadina di Potton, nel Bedfordshire. Ma nel cimitero non c’era niente di gioioso.

Le uniche presenza di vita era una piccola famiglia di tre persone: madre, padre e la figlia di dodici anni. Si stringevano l’un l’altro, come se avessero freddo. E forse in quel cimitero sulla collina il freddo c’era, ma non nell’ambiente, bensì nel cuore di quella famiglia. Era il freddo della tristezza, del dolore e anche della paura.

Era estate. Il sole brillava, illuminava le lisce e bianche lastre di pietra che spuntavano in file ordinate dal terreno.

Se ci si fermava, anche solo un momento, a guardare quel cimitero, lo si trovava molto più allegro di qualunque altro. I fiori colorati spuntavano qua e là tra le lapidi, ognuna con la sua forma, le sue statue e le sue immagini sbiadite di vite passate. Tutto questo, però, uniti al sole di mezzogiorno, non riuscivano a rallegrare il luogo.

Nel cimitero regnava costante il silenzio.

La brezza soffiava, leggera, e scompigliava i capelli della giovane ragazza. I mantelli dei tre svolazzavano vitali nell’aria, avviluppando le loro alte figure.

Un sbuffo di vento più forte degli altri soffiò tra gli alberi a ridosso del cimitero, e qualche foglia prematuramente ingiallita si staccò da un ramo di essi, svolazzando poi nell’aria, attratta dal terreno erboso. Poco prima che toccasse terra, un nuovo sbuffo la risollevò alta nel cielo, per poi lasciarla ricadere lentamente.

Gli occhi della ragazza vennero attirati da quel lieve turbamento nell’oziosità del luogo, e si soffermarono sulla foglia fino a quando essa non si depositò definitivamente a terra, a pochi metri dalla lapide che stava esaminando fino a poco prima.

Era strano pensare come qualcuno si fosse potuto sentire così, come quella foglia, molto tempo addietro. Anche quell’apparentemente insignificante parte di albero aveva avuto la sua vita. Da un germoglio era nata, da quel sole che stava in quel momento alto nel cielo, cresciuta. Aveva avuto i suoi giorni di splendore. Aveva brillato con il suo intenso colore verde chiaro, tipico delle foglie più giovani, e poi, lentamente, si era spenta. Aveva passato tutte le possibili tonalità di verde fino ad appassire definitivamente e a staccarsi infine dal tronco che le aveva donato l’esistenza.

Gli occhi della ragazza scorsero ancora una volta, un’altra infinitesima volta, quelle parole tristi e terribilmente vere, incise nella dura pietra. I nomi in nero dei Robert spiccavano in contrasto con il colore bianco della lastra. Ognuno di loro aveva una data di nascita, la propria data di nascita. Le date di morte, invece, erano uguali per tutti. Forse era proprio quello a dare ancora più tristezza alla lapide, ancora più della foto in cui i tre membri della famiglia sorridevano felici all’obbiettivo.

Anche loro avevano avuto una nascita, esattamente come la foglia ai suoi piedi. Avevano avuto il loro periodo di splendore, la loro giovinezza, che era lentamente scivolata nell’età adulta.

L’unica differenza che avevano con la vita di quel piccolo organo vegetale, era che loro non avevano potuto avere le loro tonalità: non avevano potuto appassire, lentamente, e staccarsi infine dall’albero, coscienti della loro vecchiaia. La loro vita era stata spezzata precocemente. La piccola bambina, poi, non aveva neanche avuto il suo periodo di splendore.

La ragazza strinse i pugni, mentre lacrime di rabbia e frustrazione le scivolavano lungo le guance rosee.

Era stato terribilmente ingiusto. Ancora non riusciva a capire come qualcuno avesse anche potuto pensare di spezzare la vita di quella famiglia, ancora alle radici della sua storia.

Guardò la foto, ancora resistente alle intemperie, e i suoi occhi cercarono di colmarsi di quella felicità, che in quel momento le mancava del tutto. Il sorriso di quei volti, inconsapevoli del destino che spettava loro, le si stamparono nella mente.

Avrebbe voluto strappare la foto da quel luogo, così privo di allegria, e sbatterla davanti agli occhi di quelle persone che avevano osato distruggere la vita della famiglia Robert. Avrebbe voluto dimostrare loro quanto fossero stati egoisti e crudeli.

Possibile che non si fossero resi conto della brutalità delle loro azioni? Possibile che l’idea del male che avevano inflitto non avesse neanche sfiorato i loro animi?

Aveva un’agghiacciante voglia di trovare quegli assassini e di infliggere loro lo stesso male che avevano causato loro. Voleva fargli provare il dolore che aveva provato mesi prima, e che provava tutt’ora al pensiero di quell’orrore. Perché quello era stato un orrore, niente di più.

Sua madre le si avvicinò e le cinse le spalle. Anche lei aveva il volto rigato da lacrime ormai seccate dall’aria ventosa di quel giorno. La strinse in un abbraccio, cercando di infondere un po’ di calore in quel gesto.

L’aria era già di per se calda, in quell’estate afosa. Quel calore sommato all’abbraccio però non seppe raggiungere il cuore della ragazza.

«Quelle persone non la passeranno liscia, mamma» mormorò. «Se non riusciranno gli altri, sarò io a portarli ad Azkaban, indipendentemente di chi si tratti».

La madre sorrise, fiera della sua unica figlia. «Se puoi, fai tutto il possibile, tesoro».

***

 

In una delle cupe notti di mezza estate la placida cittadina di Little Hangleton riposava tranquilla. Solo la luna e qualche stella solitaria riuscivano a illuminare fiocamente le intricate strade del paese.

Una collina dominava incontrastata sul piccolo villaggio, e sopra questa collina si stagliava la spettrale e sinistra figura di una casa abbandonata. L’edera cresceva incolta sulla sua facciata, le finestre erano inchiodate e al tetto mancavano alcune tegole.

Tutti gli abitanti del paese si tenevano alla larga da quella casa. Anni prima era successo qualcosa di terribile e spaventoso là dentro, qualcosa che nessuno era mai riuscito a spiegare.

Ormai la casa era disabitata da molto tempo. Nessuno che fosse mai passato dal paese aveva mai voluto anche solo dargli un’occhiata. Nessuno, dopo la misteriosa morte dei suoi vecchi abitanti, aveva mai voluto comprarla.

Eppure, un tempo la villa era stata una delle più allettanti di Little Hangleton. Era solita essere una delle attrazioni più in voga del paese. Spesso, i passanti si fermavano lungo il cammino e la additavano con curiosità e interesse.

Un tempo, la facciata della villa era stata di un bianco sgargiante e le piante più belle avevano adornato il grande giardino che la attorniava. I fiori colorati avevano brillato alla luce primaverile, punteggiando vivacemente le folte chiome degli alberi.

Ora solo qualche tronco secco spuntava dal terreno e qualche albero, ancora straordinariamente in piedi, riversava i rami flosci verso il terreno pieno di erbacce.

Quella che un tempo doveva essere stata un’imponente fontana ora giaceva erosa dalle intemperie tra l’erba alta. Dagli aloni calcarei che aveva lasciato, si poteva facilmente intuire che una volta in essa era scorsa vivacemente dell’acqua limpida.

Nel perfetto quadro di quella notte, improvvisamente un lampione all’angolo di una delle strade principali del paese, si spense di colpo.

Non passò che qualche secondo, quando il silenzio notturno fu spezzato da un sonoro schiocco. Nel bel mezzo della via, dove fino a pochi secondi prima non si trovava niente, ora si ergevano due figure d’uomo, strette nei loro lunghi mantelli neri.

Dopo essersi guardati freneticamente intorno, le due figure avanzarono velocemente lungo la via, facendo attenzione a non fare il minimo rumore. I loro sforzi, però, servirono a ben poco: i passi dei due rimbombavano cupamente tra i muri delle case che si affacciavano sulla strada acciottolata.

Seguirono un percorso ben preciso e dopo alcuni minuti che sembrarono interminabili sboccarono in un ampio piazzale dalla quale partiva un sentiero, costeggiato da alti cipressi. Non si persero in troppo indecisioni e partirono alla svelta, calpestando velocemente il terreno che si faceva a mano a mano sempre più tortuoso e difficile da percorrere, per via di alcune pietre mancanti nell’ordine apparentemente perfetto della strada.

La salita non fu lunga. Quando girarono l’ultima curva i due uomini si ritrovarono di fronte a un alto cancello di ferro arrugginito dal tempo. Al di là di esso si stagliava la netta e imponente figura della spettrale casa sulla collina.

Il più giovane dei due uomini represse un brivido di paura. Nonostante le ripetute descrizioni del padre, dal vero la casa risultava essere molto più lugubre e spaventosa. Si fece coraggio e seguendo l’uomo più anziano si accinse ad entrare.

I suoi occhi grigi individuarono un campanello manomesso, poco lontano da dove si trovava. Si aspettava che il padre si avvicinasse ad esso e lo premesse, per poter accedere alla casa, ma con suo grande stupore l’uomo ignorò del tutto quello che era il normale modo per avvisare il padrone di casa del loro arrivo. Al contrario si avvicinò al cancello e alzò il braccio sinistro con un gesto secco.

Il ragazzo non poté che rimanere sorpreso, mentre le inferriate si aprivano con un acuto cigolio, lasciando loro libero accesso al cortile.

Il padre si avviò con passo deciso verso la casa e il ragazzo lo seguì. Attraversarono il giardino dismesso e si ritrovarono di fronte a un portone di grandi dimensioni. Nonostante fosse molto vecchio, nell’oscurità si riuscivano ancora a distinguere le intricate intarsiature nel legno di quercia quasi marcio. Al contrario del cancello d’ingresso, qui i due uomini furono costretti a spingere con forza sul legno finché questi non si aprì, emettendo dai cardini uno strano rumore, come se non venisse aperto da secoli.

Si ritrovarono in un ampio atrio d’ingresso. Il pavimento di marmo bianco era ricoperto da un sottile strato di polvere, dove altre scarpe avevano lasciato le loro impronte. Davanti a loro si innalzava una scalinata che portava ai piani superiori mentre le pareti della stanza, colorate di un azzurro scurito dal tempo, mostravano in diversi punti alcune forme rettangolari di un azzurro leggermente più chiaro, traccia sicuramente lasciata da qualche antico quadro, recentemente spostato in chissà quale altra stanza della casa. Il ragazzo, abituato al lusso in cui viveva agiatamente, fece una smorfia di disgusto.

I due non salirono le scale ma imboccarono un corridoio alla loro destra, nel quale, al contrario dell’atrio d’ingresso, le pareti erano completamente spoglie e davano un strana sensazione di desolazione. In alcuni punti l’intonaco si era staccato e lasciava dei buchi irregolari nella parete. Alla fine del corridoio i due uomini si bloccarono di fronte a una nuova porta. Il respiro del ragazzo cominciò ad accelerare: erano arrivati a destinazione.

L’uomo si voltò verso il figlio e lo osservò dall’alto verso il basso. Per un attimo i loro sguardi si incrociarono e il ragazzo vide un lampo attraversare gli occhi del padre. Non seppe dire se di orgoglio o di paura.

L’uomo annuì piano e il ragazzo capì cosa doveva fare. Tese una mano tremante e abbassò la maniglia della porta, che si aprì silenziosamente rivelando una vasta sala immersa nell’oscurità.

Rimasero un attimo sull’uscio, osservando attentamente il luogo intorno a loro.

Tutto il mobilio che prima doveva aver adornato la nuova sala era stato accatastato alle pareti, lasciando così spazio al centro della stanza dove in quel momento si trovava un gruppetto di persone incappucciate, avvolte in lunghi mantelli neri. La sala risuonava del brusio delle loro voci, ridotte quasi a un sussurro. Verso il fondo della stanza si trovava un ampio caminetto, nel quale crepitava del fuoco che illuminava le pareti di cupi bagliori.

Quando la porta si aprì e i due uomini fecero il loro ingresso, la sala piombò nel silenzio. Quasi all’unisono tutti i presenti si voltarono verso i nuovi arrivati e alcuni cominciarono a bisbigliare animatamente con il loro vicino.

Una figura alta e snella si staccò dal gruppo e si avvicinò ai due uomini, con passi lenti e cadenzati. Si fermò esattamente di fronte a loro e alzò leggermente il capo, scrutandoli attentamente da sotto il cappuccio. «Mostrati» mormorò.

Il padre fece gli fece un cenno, e il ragazzo ubbidì all’ordine, afferrando i lembi del cappuccio con le dita e tirandolo indietro. La luce emanata da un lampo di fuoco più forte degli altri raggiunse il punto in cui si trovavano i nuovi arrivati, e per un attimo la chioma biondo platino del ragazzo brillò di una strana luce.

La figura incappucciata lo esaminò attentamente ancora un attimo, poi annuì lentamente e portando anche lei le dita al cappuccio lo abbassò, rivelando il pallido volto di una donna di bell’aspetto. Un lieve sorriso increspò le sue labbra, poi si voltò con uno scatto verso il gruppo di persone, che spaventato dall’improvviso movimento si zittì completamente. La donna avanzò velocemente nella stanza, verso il caminetto, e il gruppo di persone si divise in due parti per lasciarla passare.

Lo spazio che si liberò nel mezzo della stanza, permise al giovane Malfoy di vedere una poltrona di pelle poco lontano dal caminetto, che dava le spalle ai presenti.

La donna si avvicinò ad essa e dopo un attimo di esitazione si chinò in avanti. Malfoy la vide parlottare concitatamente per qualche minuto e poi zittirsi. Si risollevò e si girò verso i presenti.

Come in risposta a un muto ordine, tutte le persone incappucciate che presiedevano nella stanza si riunirono in cerchio.

Abraxas Malfoy spinse in avanti il figlio e poi si unì alla cerchia, prendendo posto di fianco a un uomo tarchiato.

Lucius aspettò pazientemente, mentre l’ansia cominciava a crescergli nel petto, continuando a fissare curioso la poltrona in fondo alla stanza. La donna lo osservava silenziosa, le braccia dietro alla schiena. Non seppe perché, ma nella mente di Lucius qualcosa collegò l’immagine che aveva davanti con quella di qualche mese prima, a Hogwarts. Ebbe la strana e angosciante sensazione di averla già vista da qualche parte. Aveva lunghi e lisci capelli neri, che quasi andavano a confondersi con il mantello del medesimo colore, e due occhi scuri che brillavano intensamente. La curva delle labbra era leggermente incurvata, dandole un aspetto saputo e orgoglioso.

Una figura si erse dalla poltrona, stagliandosi contro il baluginare del fuoco, e si voltò verso di lui.

Lucius deglutì.

Davanti a lui si ergeva un uomo alto ed emaciato, ma non per questo privo di bellezza. Il volto pallido donava all’uomo una nota di solennità, mentre le labbra pine e carnose si piegavano in un ghigno sprezzante.

L’uomo avanzò nella stanza mentre la donna si univa al cerchio, serrandolo. Si fermò esattamente al centro e con un cenno della testa, gli fece segno di avvicinarsi.

Lucius lanciò uno sguardo veloce al padre, poco lontano, ma non riuscì a cogliere niente nei suoi occhi. Riprese a fissare l’uomo davanti a lui e con passo titubante si avvicinò.

Un bagliore illuminò per un attimo il volto dell’uomo e Lucius notò un lampo di trionfo baluginare nei suoi occhi. Fu quasi con spavento che si accorse che erano di un rosso lugubre e allo stesso tempo scintillante.

Si bloccò a pochi passi dall’uomo e respirò profondamente cercando di darsi un aspetto dignitoso.

«Bene, bene, bene…». La voce dell’Oscuro Signore risuonò gelida e distante, quasi un sibilo.

Lucius rabbrividì.

«Vedo che tuo padre ti ha convinto ad unirti a noi, caro Lucius».

Il ragazzo annuì.

Il sorriso sul volto pallido dell’uomo si spense di colpo e la sua espressione si fece dura. «Stai per fare una scelta dopo la quale non potrai più tornare indietro» mormorò, talmente piano che Lucius fece quasi fatica a sentirlo.

«Io…» esitò il ragazzo.

Gli occhi dell’uomo si dilatarono contrariati, ma a parte questo, non fece nient’altro, aspettando invece una nuova reazione del ragazzo.

Agitato, Lucius annuì velocemente, affrettandosi poi a rispondere «Certo, signore».

«Mio signore» lo rimbeccò l’altro, mentre un nuovo sorriso tornava a incresparli le labbra. «Unendoti a me potrai avere tutto ciò che vuoi. Gloria, potere e molto altro ancora, se ti dimostrerai un servo fedele potrai avere tutta la mia fiducia».

Lucius chinò il capo, riconoscente. «Non vi disubbidirò, mio signore».

L’uomo si passò la lingua sulle labbra, pensieroso. «Non ammetto tradimenti» ribadì.

Lucius alzò di nuovo lo sguardo e fissò i suoi occhi grigi in quelli vermigli dell’Oscuro Signore. «Non lo farei mai».

Qualcuno, nel cerchio, si lasciò sfuggire un risolino sommesso, che però non sfuggì all’acuto orecchio dell’uomo. «Ci trovi qualcosa di divertente, Dolohov?» sibilò, nient’affatto divertito.

Lucius vagò con lo sguardo fino a posarsi su un uomo poco lontano da lui, che all’avvertimento del padrone si era ricomposto e aveva abbassato lo sguardo, penitente.

«Ti ho fatto una domanda!» ribatté Voldemort gelido.

Dolohov si inginocchiò di colpo. «Mi scusi, mio signore».

L’uomo sbuffò annoiato e si rivolse a Lucius. «Inginocchiati» ordinò.

Il giovane Malfoy obbedì e si abbassò, fino a toccare terra con una gamba.

«Dammi il tuo braccio sinistro» sibilò nuovamente l’uomo.

Lucius si slacciò velocemente il polsino della camicia e tirò poi su la manica della veste, scoprendo la pelle pallida e lucida dell’avambraccio.

L’oscuro signore tirò fuori la propria bacchetta che, forse per l’atmosfera del luogo, a Lucius sembrò emanare un’aura di potere e grandezza. «Mormosdre» disse in un soffio.

Un intenso bruciore partì dalla bacchetta dell’Oscuro Signore e si dipanò per tutto l’avambraccio, facendo sfuggire al giovane ragazzo un gemito di dolore. Lucius abbassò lo sguardo, mentre sulla sua pallida pelle si allargava velocemente una macchia nera, che mano a mano prese forma, trasformandosi in un teschio dalla cui bocca usciva un serpente.

Non ci volle molto. Circa un minuto dopo la bacchetta si staccò dalla pelle del giovane e tornò nella veste dell’uomo, lasciando un Lucius vagamente stordito ai suoi piedi.

Voldemort si girò e si allontanò, tornando al suo posto davanti al caminetto.

Lucius si affrettò a rimettersi a posto la manica della veste e ad alzarsi. Rimase in piedi al centro del cerchio, aspettando un nuovo ordine.

A parlare, però, non fu l’Oscuro Signore, ma bensì la donna alla sua destra. «Prendi posto affianco a tuo padre, giovane Malfoy» disse, e la sua voce risuonò molto più calda di quella dell’uomo.

Malfoy, obbedì ancora una volta, unendosi alla cerchia, e si rimise il cappuccio.

«Benvenuto nei Mangiamorte» sibilò la donna e un sorriso increspò nuovamente le sue labbra, seguito poco dopo da quello, anche se molto tirato, dell’uomo. Un applauso si levò dai presenti e Lucius abbassò la testa, lievemente imbarazzato.

Poco distante da Voldemort, invisibile agli occhi di tutti grazie al mantello dell’invisibilità, un altro sorriso si unì a quello dei due adulti.

Sophie Stones, osservava in silenzio la scena.

 

Note:

Ci tengo a dire che sono presenti alcune citazioni dal libro “Harry Potter e il Calice di Fuoco”.

 

Angolo autrice:

Prima di dire qualsiasi cosa mi scuso enormemente per il ritardo. Purtroppo è stata una settimana un po’ difficile, e, lo ammetto, ho iniziato a scrivere questo nuovo capitolo solo venerdì pomeriggio. Per questo non sono riuscita a finirlo per sabato e neanche per domenica, dato che ho dovuto studiare una trentina di pagine per la verifica di storia dell’arte (che, tra parentesi, incrocio le dita perché sia andata bene). Domani ho una verifica di scienze e dopodomani di latino. Per fortuna ci sono le vacanze e spero di non dover tardare molto per il prossimo capitolo. Purtroppo, però, anche la settimana prossima sarà un vero delirio (una verifica al giorno). Se arrivo in ritardo e solo per questo. D’altronde, la scuola prima di tutto! ;)

Tornando al capitolo. Prometto che questa è l’ultima volta che sentirete nominare i Robert. Lo so, forse sono un po’ ripetitiva, però non credo che Rose lascerebbe la cosa così a metà. Di certo un giretto al cimitero lo farebbe.

Ci ho riflettuto su a lungo e alla fine ho deciso che Lucius conclude qui la scuola. Ringrazio dark_nemesis per avermi chiarito un po’ le idee, però mi torna più comodo farlo finire ora la scuola. Di conseguenza, Rabastan Lestrange non è più un coetaneo di Lucius, ma bensì ha un anno in meno.

Devo dire che scrivere questo capitolo è stata una vera e propria fatica. Se notate, ci sono molte descrizioni, cosa che non sono abituata a fare.

Il capitolo, se non lo aveste capito, si svolge nell’estate del 1972. Quindi Sophie & Co. hanno finito il loro primo anno. Comunque non vi preoccupate, spiegherò tutto meglio nel prossimo.

Ok. La finisco qui con le note. Ringrazio sempre tutti coloro che seguono questa storia (non sapete quanto mi fate felice) e un grazie soprattutto a Ginny_17 che fin’ora si è preoccupata di recensire tutti i capitoli. Un vero grazie di cuore :D

Alla (si spera) prossima settimana,

Gageta98

 

P.S. mi trovate qui: http://www.facebook.com/Gageta98

   
 
Leggi le 1 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Libri > Harry Potter / Vai alla pagina dell'autore: Gageta