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Autore: Doe    01/11/2012    9 recensioni
DAL TESTO:
Ho continuato a sfiorarmi le labbra arrossate e il collo per interi minuti, dopo che è andato via. Quando il mio corpo è stato completamente sovrastato dal suo, mi sono sentita perduta. Avevo perso ogni speranza, mi ero quasi arresa senza lottare, credendo che questa volta non sarei riuscita a cavarmela. Non avevo però smesso di pregarlo di lasciarmi stare e, non so se sono riuscita a impietosirlo o se semplicemente qualcuno, lassù, mi vuole bene, ma lui ha indietreggiato all’improvviso, si è rassettato i vestiti ed è uscito dalla stanza, subito dopo avermi ricordato che, volente o nolente, prima o poi sarei stata sua.
Ho paura! Sto ancora piangendo da allora. Dice che vuole farmela pagare per essermi presa gioco di lui, ma non era davvero mia intenzione. Dice che dovrei essere lusingata dalle attenzioni che un nobile come lui ha nei confronti di una serva come me.
(Prologo - La bestia)
!SOSPESA! - La storia non viene più aggiornata dalla sua autrice
Genere: Romantico, Sentimentale, Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Damon, Salvatore, Elena, Gilbert, Mikael, Rebekah, Mikaelson, Stefan, Salvatore | Coppie: Damon/Elena
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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No, non state sognando.

No, questo non è un miraggio.

Sì, ho effettivamente aggiornato la storia.

Sì, l'ho fatto con due mesi di ritardo.

Ma, EHI! L'importante è che l'ho fatto, no? :3

Siccome sono sicura che il 99,9% di voi ha istinti omicidi nei miei confronti, al momento, facciamo che ci risentiamo in basso, alla fine del capitolo.

Così che (magari) con la lettura riesco ad addolcirvi un po', ecco.

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Capitolo V

L'orgoglio di una (non più) serva



Torino, 27 Settembre 1764

Mio Caro Diario,

Una settimana. È trascorsa una settimana, dal mio arrivo a Torino, e quasi mi meraviglio di essere sopravvissuta fino ad ora. Non è tanto recitare il ruolo della nobile di per sé, ad essere complicato, quanto guardarmi allo specchio, la sera, una volta che mi sono ritirata per la notte, dopo aver trascorso un’intera giornata a mentire. Ho la bile su per la gola praticamente sempre e ormai provo quasi disgusto per me stessa, rendendomi conto che sto diventando un’attrice sempre più brava.

Nonostante tutto, devo ammettere che fingersi la dama di compagnia della Marchesa è molto meno faticoso che fare la serva. Almeno, quando siamo in pubblico, mi risparmia insulti e schiaffi.

Il Conte Stefan si rivela, ogni giorno che passa, sempre più gentile, galante e infinitamente premuroso. Ha superato persino le mie aspettative. Ma è tanto buono quanto ingenuo, visto che è l’unico in tutto Palazzo Veritas a non aver ancora intuito lo scopo della cugina e il perché essa passa la maggior parte del suo tempo a ronzare attorno a lui e al fratello. Ancora non mi è chiaro chi Rebekah abbia scelto tra i due, e chiederlo alla diretta interessata è escluso. Ma non mi meraviglierei se non avesse ancora preso una decisione. Civetta come se non avesse fatto altro nella vita.

Sarebbe tutto di gran lunga più facile, per me, senza la presenza del Conte Damon. Lui è… Incredibile. Ma non in senso buono, proprio no. È dannatamente imprevedibile e il suo essere lunatico mi fa girare la testa. Un attimo prima mi punzecchia spudoratamente, mettendomi in imbarazzo di fronte a chiunque, e sembra godere del mio disagio. Poi mi ritrovo qualche minuto da sola con lui ed eccolo smascherato, privo di difese, tanto vero e sincero, quanto irreale, irraggiungibile e terribilmente affascinante. Ho paura di me stessa, quando sono con lui, perché rende imprevedibile anche me. Perdo ogni forma di controllo, le parole mi escono dalle labbra prima ancora che abbia terminato di pensarle, ho lo stomaco sempre stretto in una morsa, il respiro ansante, la pelle d’oca… Il batticuore.

Oh, Diario! È proprio come nei miei romanzi, forse anche più intenso. Solo che è diverso, vissuto sulla propria pelle. Non è una sensazione sempre bella. La maggior parte del tempo vorrei non provare nulla. Ho fantasticato un’infinità di volte su come sarebbe stato provare queste sensazioni per qualcuno, ma nessuna fantasia si è mai avvicinata a questo. C’è una parte di me che mi urla di stare alla larga da quell’uomo, un’altra che invece mi sprona a scoprire di più di lui, a non arrendermi, a passare sopra a questa sua facciata capace di dare sui nervi a chiunque e ai suoi irritanti giochi di parole, e che mi sussurra che ne varrà la pena. Vorrei che quest’ultima parte non fosse più forte dell’altra.

 

 

Elena scostò le tende color glicine con un unico, energico scatto – gesto che ormai le era praticamente familiare, visto che si ripeteva ogni mattina da una settimana. Anche quel giorno, il sole era alto in cielo e la ragazza dovette portarsi una mano sugli occhi per evitare di venire accecata dai suoi raggi. Un’altra consolazione del trovarsi implicata in quell’ingarbugliato complotto messo in atto dalla Marchesa, erano proprio le costanti belle giornate della campagna torinese a settembre: c’era sempre il sole, ma mai afa, il che rendeva passeggiare intorno a Palazzo Veritas una delle sue attività preferite.

Ma quella mattina, l’idea di scarpinare nuovamente con Rebekah arpionata al suo braccio come un parassita e di sopportare il suono stridulo della sua risata ad ogni tentativo di battuta del Conte Stefan, non la allettava neanche un po’, quindi si lavò e vestì svogliatamente, perdendo volutamente tempo, per niente impaziente di scendere di sotto per la colazione.

Era stata silenziosamente grata alla Marchesina per averle consentito più tempo libero e per averle detto che non era più necessario che si muovessero sempre per il palazzo insieme – anche se il reale volere della nobildonna non era quello di compiere un gesto solidale nei confronti della sua ex serva, adesso promossa a tempo indeterminato a dama di compagnia, ma bensì pensava che, se si fosse trovata sola più a lungo, avrebbe avuto più occasione di stare in intima compagnia con almeno uno dei fratelli Salvatore. Tutto sommato, quindi, le strategie di conquista di Rebekah non erano, per Elena, sempre una tragedia, e la giovane aveva deciso di adottare la filosofia del bicchiere mezzo pieno, almeno finché si fosse trovata in quell’assurda situazione.

Quando si sedette di fronte la toletta e osservò il suo volto allo specchio, le sfuggì un gemito. Avrebbe di sicuro perso tempo senza doversi sforzare, per cercare di nascondere al meglio le orribili mezze lune scure che sfoggiava sotto gli occhi. Andavano peggiorando ogni giorno che passava.

Ormai si era rassegnata: sapeva che la sua insonnia non poteva più trovare una spiegazione nel fatto che si trovasse lontana da casa, ma che era dovuta a ben altro, tipo un certo Conte che, oltre a torturarla durante il giorno coi suoi dispetti da preadolescente, aveva la bizzarra capacità di riuscirci anche durante la notte, visto come popolava la sua mente e i suoi sogni.

Lo detestava. Detestava con tutta se stessa quell’uomo e i suoi modi di fare, ne era certa. E odiava il fatto di odiarlo forse più di quanto odiava lui, perché gli attribuiva un’importanza che di certo non meritava, che era impensabile che avesse.

Elena era sempre stata brava ad ignorare i comportamenti altezzosi ed arroganti dei nobili, che l’avevano guardata da sempre dall’alto in basso. La pazienza e lo spirito di sopportazione facevano, in un certo senso, parte della sua educazione. Le altre cameriere che lavoravano per i Mikaelson, in passato, le avevano sempre chiesto come facesse a sopportare di buon grado tutti gli sfoghi della Marchesina su di lei, guardandola sempre con una certa dose si rispetto nello sguardo, il che col tempo aveva portato Elena a considerare quella sua infinita remissività e condiscendenza come un pregio di cui andare orgogliosi.

Ma, con lui, questo non era più possibile e ciò torturava il suo orgoglio. Non riusciva a non perdere le staffe, quando era lui a trattarla così, anche se, fino a quel momento, era stata brava a non farlo notare, nonostante le capitasse frequentemente di gonfiare le guance come un criceto, per trattenere la rabbia.  Damon Salvatore la mandava davvero fuori dai gangheri, e lei questo non riusciva ad accettarlo.

Con un sospiro rassegnato – forse perché aveva ormai esaurito le forze per innervosirsi a dovere – afferrò il suo piumino, lo sporcò di farina di riso e si tamponò palpebre e fondo. Quando ottenne un risultato pressoché accettabile, passò ad acconciarsi i capelli, limitandosi a raccogliere solo i riccioli intorno al viso e annodarli insieme dietro la testa, visto che adesso stava facendo anche troppo tardi. Non voleva per nessuna ragione al mondo far spazientire la Marchesina. Non l’aveva mai vista tanto di buon umore quanto quella settimana.

Fortunatamente, quando fece il suo ingresso nella sala dove d’abitudine era servita la colazione, trovò Rebekah talmente immedesimata in una conversazione col maggiore dei fratelli, da non notare nemmeno il suo arrivo. Non fu lo stesso per Stefan e Damon. Il primo l’aveva accolta con il sorriso più caloroso che Elena avesse mai visto, mentre il secondo aveva distolto l’attenzione da Rebekah nello stesso istante in cui aveva varcato la soglia della stanza, aveva puntato il suo sguardo penetrante su di lei e adesso continuava a fissarla in quel modo che la faceva tanto sentire un indifeso coniglio finito nella trappola del lupo. A disagio, si sforzò di concentrare la sua attenzione sul minore dei fratelli, che ormai aveva imparato a vedere come la sua ancora di salvezza, il suo porto sicuro.

«Buongiorno, Signorina Elena! Mi auguro abbiate dormito bene, questa notte. Avete un aspetto radioso», la salutò, alzandosi per un attimo, come il bon-ton imponeva.

Non seppe mai cosa, trattenne Elena dall’emettere un risolino nervoso e sarcastico. Non era radiosa neanche un po’, e sapeva che la cosa era palese. Ma, un attimo dopo, si ritrovò a provare tanta gratitudine per quel giovane, le cui intenzioni, anche se un tantino pietose, erano solo quelle di farla sentire più a suo agio, la benvenuta.

Sorrise di rimando. «Oh, sì, ho dormito davvero bene, caro Conte Stefan, vi ringrazio.»

«Mi fa un immenso piacere.»

La coda dell’occhio di Elena, ribellandosi ad ogni proposito della stessa, andò a sbirciare alla sua destra, dove anche Damon Salvatore e Rebekah si erano alzati in piedi per salutarla - l’ultima perché la sua farsa glielo imponeva.

Elena si voltò in direzione della Marchesa, incurvando il collo esile in un timido inchino. «Buongiorno, Signora Marchesa.» Questa accennò ad un inchino di rimando.

Poi, fu il turno di Damon. La giovane si voltò nella sua direzione con le guance, suo malgrado, già imporporate. Una reazione umiliante che, sperò, passasse inosservata. Il suo sguardo si soffermò su quello di lui giusto un istante. Si costrinse a guardarsi le mani, mentre si inchinava per la terza volta quel giorno, intimorita dal potere che quei gelidi cristalli nelle orbite oculari di lui avevano sul suo raziocinio.

«Conte Damon»

«Buongiorno, Signorina Elena. Mi soffermerei a domandarvi come avete dormito e a commentare il vostro aspetto, ma sembra che ci abbia già pensato il mio fratellino

E ti pareva se poteva limitarsi semplicemente ad augurarle un buon giorno. Oramai, i suoi punzecchiamenti avevano inizio ancor prima che avesse bevuto una tazza di latte.

Elena arrossì maggiormente, già rabbiosa, oltre che imbarazzata, ma non disse nulla. Si sedette al suo posto, mantenendo lo sguardo basso e il sangue freddo. Una parte di lei – cui ordinò mentalmente di tacere – si stava chiedendo se anche lui la trovasse, per qualche assurda ragione, radiosa, quel mattino, o se invece avesse notato quanto poco in forma fosse e si stesse prendendo gioco di lei.

Riusciva quasi a percepire il veleno inviatole dagli sguardi della rigida Marchesina a lei di fianco, che non era mai entusiasta quando la sua servetta diventava oggetto delle attenzioni dei due fratelli anche per pochi istanti.

«Cara cugina, io e mio fratello avevamo pensato di approfittare di quest’altra splendida giornata per fare una passeggiata a cavallo. Fin’ora ci siamo limitati ai dintorni del palazzo, ma c’è ancora tanto che ameremmo mostrarvi, solo che a piedi ci si impiega molto più tempo. Cosa ne pensate? Ovviamente l’invito è rivolto anche a voi, Signorina Elena.»

La ragazza sorrise cordialmente al Conte Stefan, mentre Rebekah osservava: «Ma non possedete solo tre cavalli?». Dal suo tono, sembrava che l’idea di quella gita non le fosse molto gradita, e Elena rifletté sul fatto che, a casa Mikaelson, non l’aveva mai vista andare a cavallo, nonostante ne possedessero più dei Conti Salvatore. Forse non ne era capace.

«Oh, di questo non preoccupatevi. Ho chiesto a Tyler di scendere in paese a prenderne in prestito uno. Sarò lieto di cedervi Amleto».

La Marchesa non aveva più specchi ai quali aggrapparsi. «Preferirei di no, caro cugino, se non ti dispiace. Non è il genere di svago che fa per me, capisci?»

Sia Stefan che Elena se ne dispiacquero, e entrambi cercarono di non dare a vedere la loro delusione.

«Oh, ma certo, cara cugina. Certo che comprendo. Se lo avessi saputo prima non l’avrei neanche proposto, vi prego di scusarmi. Non importa, sono certo che troveremo qualcos’altro di altrettanto divertente da fare», sorrise convincente. «A meno che, mio fratello e la Signorina Elena non vogliano andare ugualmente senza di noi.»

A Elena si paralizzarono i muscoli del corpo, fatta eccezione per quelli del viso, che consentirono ai suoi occhi di spalancarsi quasi disumanamente.

«Nessun problema per me», asserì Damon, aprendosi in un mezzo sorriso compiaciuto.

Adesso, tre sguardi curiosi puntavano Elena, nervosa e imbarazzata, in attesa di una risposta.

No, che non voleva. Per nessuna ragione al mondo voleva allontanarsi dal palazzo insieme al Conte Damon. Da sola, col Conte Damon. Era escluso.

Si voltò in direzione della Marchesa in una muta richiesta di aiuto, mentre balbettava qualcosa di sconnesso. Sperò con tutta se stessa di scorgere anche una sola ruga di disapprovazione sul bel volto d’alabastro, ma persino le sopracciglia d’oro erano perfettamente rilassate. «Perché no, cara? È una splendida idea. Non voglio che restiate a casa ad annoiarvi a causa mia. E poi non avrò bisogno di Voi, avendo la compagnia di Stefan». Voltandosi, sorrise civettuola al cugino minore.

Elena doveva ancora abituarsi al fatto che in pubblico la padrona le desse del Voi. Ma non furono certo quelle tre lettere a farle improvvisamente crollare il mondo addosso. Ovvio che la Marchesina non vedesse l’ora di trascorrere un po’ di tempo sola con Stefan – anche se era ancora presto per poter affermare che fosse la sua scelta. Ma non poteva farle questo. Non poteva, non era giusto.

«I-Io…»

«Oh, avanti, Signorina Elena. Non siate timida», mormorò provocatorio il Conte Damon. La ragazza, dimentica dei suoi precedenti propositi, si voltò istintivamente a guardarlo e fu la fine, quando incontrò i suoi occhi. «Fatemi questo piacere».

Deglutì, rassegnata. Si sentiva una condannata a morte che andava al patibolo. Sorrise, veramente poco convincente, e fece il verso alla Marchesa: «Perché no?».

 

 

Calma, Elena. Sta calma, si ripeté per quella che era, forse, la trecentesima volta in neanche un’ora, senza ottenere i risultati sperati. Non c’era verso di rallentare il suo battito cardiaco. Per lo meno, era riuscita a smettere di ansimare.

Quando fece il suo ingresso nelle stalle, il Conte Damon era già lì, e aiutava Matt a sellare i cavalli. Si accorse della sua presenza, senza neanche alzare gli occhi dal suo lavoro. «Ben arrivata, Signorina Elena. Mi sono preso la libertà di far sellare Romeo, per voi. Spero di aver scelto bene. Mi sembrava che ci fosse stata dell’intesa, l’ultima volta, tra di voi.»

L’ultima volta. Come dimenticarla. Vedere Matt ancora lì, al suo posto di lavoro, la sollevò parecchio. «Avete fatto benissimo, vi ringrazio.»

Una volta che anche la bella Mezzanotte fu pronta, il Conte le si accomodò sopra e uscì. Elena lo vide aspettarla appena fuori dalla stalla.

Matt prese Romeo per le redini e lo condusse fuori, sorridendo ad Elena al suo fianco. «Finalmente Romeo avrà il piacere di passeggiare con voi. L’ho visto più spento, negli ultimi giorni, non vedendovi. Gli siete davvero piaciuta molto.»

Elena ricambiò il sorriso. «Ne sono onorata», scherzò, facendo ridere il ragazzo.

Quando li vide arrivare, ridendo con una complicità che non riusciva a spiegarsi, Damon si irrigidì e l’abituale mezzo sorriso scomparve dal suo volto.

Elena si rese improvvisamente conto di quanto fosse alto Romeo – molto di più dei cavalli che era abituata a cavalcare – e si chiese se sarebbe riuscita a montarlo da sola. Ma non dovette preoccuparsene tanto a lungo, perché il fedele Matt le fu nuovamente accanto: «Mi conceda di aiutarla a salire, Signorina. Permette?», chiese muovendo i palmi delle grandi mani da lavoratore verso la sottilissima vita di lei, ma senza osare sfiorarla, in attesa del suo permesso.

Il viso di Elena divenne paonazzo – e non riuscì a spiegarsi se fosse dovuto alla richiesta del giovane stalliere o al pensiero che il tutto stava succedendo davanti agli occhi del Conte – ma annuì comunque. Le possenti braccia del biondo la sollevarono senza il minimo sforzo, concedendole di raggiungere facilmente col piede sinistro il suo obiettivo e di slanciare la gamba destra per circondare il dorso dell’animale. Si accomodò su Romeo con maestria, senza perdere minimamente l’equilibrio e, in segreto, se ne compiacque.

«Tutto bene?»

«Sì, ti ringrazio Matt», gli sorrise. Il ragazzo ricambiò all’istante il sorriso. «A vostro completo servizio, Signorina.»

«Sì, grazie Matt», tuonò burbero un inacidito Damon Salvatore, facendo voltare entrambi nella sua direzione. Non si preoccupò di nascondere il sarcasmo che trapelava tranquillamente da quel suo “grazie”. Non che l’avesse mai fatto. Elena cominciava a pensare che quell’uomo non si preoccupasse mai di niente che non lo riguardasse direttamente. Indolente e egocentrico come tutto il resto della nobiltà.

Ma c’era dell’altro, rinchiuso in quelle sei lettere, e non era certo gratitudine. Possibile che il Conte Damon Salvatore fosse, effettivamente, infastidito? La stizza e l’astio, mentre fissava l’innocente Matt Donovan, erano molto più che palesi.

«Ci muoviamo, quindi?», mormorò ancora, mentre strigliava il cavallo e si incamminava, dandole le spalle.

L’orgoglio di Elena ricevette una bella alimentata. Che fosse lei o Matt, il motivo di tanta seccatura, vedere per una volta il Conte raccogliere ciò che seminava fu una soddisfazione impareggiabile.

 

 

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Angolo di un'autrice che ha molto da farsi perdonare

 

Ooookay, ditemi che vi è piaciuto abbastanza da farvi tornare sui vostri passi e deporre le armi, perché, anche se non potete vedermi, io sto sventolando bandiera bianca già da un po'. ._.

Tornata dalla Francia dovevo riprendere i ritmi, rimettermi in pari con le lezioni e le interrogazioni, con gli allenamenti e, beh, col resto della mia vita, che ultimamente è stata più "movimentata" del solito - e non in senso buono.

Ho voluto approfittare di questi pochi giorni di vacanza per terminare ciò che avevo "in cantiere" da un po' e pubblicarlo :) Spero  non vi siate dimenticati di me e di questa storia, nel frattempo.

Ah, piccola novità: ho aggiunto i titoli ai capitoli. Se scorrete i precedenti potrete leggere gli altri.

Passando al capitolo, due parole in croce e a voi l'ardua sentenza: lo so che può sembrare che quel famoso momento notturno in biblioteca del quarto capitolo sia stato completamente rimosso da Elena, in questo capitolo, ma non è così, davvero. E' solo la Elena testarda che conosciamo nella serie tv, che quando si tratta di Damon e dei sentimenti che prova per lui è pronta a negare anche di fronte all'evidenza -.-' Ci tenevo a essere IC. Però si può notare come non riesca a mentire al suo diario, in un certo senso il vero protagonista della storia. Al momento, troppi sentimenti contrastanti dimorano in lei, e questo non fa che creare confusione, che a sua volta la irrita e, di conseguenza, l'irritazione prende il sopravvento sul resto. Inoltre, Damon stesso, coi suoi soliti giochetti (che a noi piacciono tanto :3), non è particolarmente d'aiuto per fare chiarezza.

Fine. End. Stop. Tocca a voi.

Un bacione, lettrici adorate!

Lisa

   
 
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