Di muffin, stelle e discorsi importanti
L'Orsa Maggiore, l'Orsa
Minore. Più in là c'era la Costellazione del Carro e, spostando il capo,
poteva vedere anche un mucchietto di stelle a cui non sapeva dare un nome o una
forma.
Lì, proprio lì, poteva scorgere il Triangolo
Estivo: Deneb, Altair
e Verga. Sua nonna le diceva sempre che lei e i suoi fratelli erano proprio
come quelle stelle, unite da un filo invisibile che li avrebbe uniti per
sempre.
Poi la accarezzava e le sorrideva,
aggiungendo che un giorno avrebbe trovato qualcun'altro capace di legarsi a lei
con quello stesso filo, in maniera così stretta da essere impossibile da
spezzarsi anche in mezzo a mille o più strattoni.
Helena aveva undici anni, adesso. Era in
quell'età in cui non è ufficialmente finita l'infanzia ma nemmeno è cominciata
l'adolescenza, in cui il mondo continua a sembrare bello e infinito come un
tempo. Le piaceva sognare di mondi che probabilmente esistevano solo nella sua
fantasia, con draghi addomesticati da una principessa coraggiosa e tremende
battaglie; ma già cominciava ad affacciarsi in lei una certa serietà, una
compostezza che molte sue coetanee non possedevano.
Molto spesso era malinconica e cercava
il silenzio, benché spesso ne venisse inquietata; allora cercava il rumore, ma
ne rimaneva turbata.
Aveva dentro di sé un senso
d'insoddisfazione continua, che non riusciva nemmeno a spiegarsi. Erano
sensazioni confuse che la stordivano, sebbene per poco tempo, lasciando poi il
posto all'allegria tipica di una ragazzina di undici anni.
Era una quieta serata estiva, quella,
solo una lieve brezza a mitigarne il calore. Dopo cena aveva trascinato fuori
una coperta, stendendola sul prato, un libro che suo padre le aveva regalato a
Natale, Red Eyes, il cellulare e una
bottiglietta d'acqua. Il medaglione che sua nonna le aveva regalato giaceva
freddo contro la pelle del petto.
Si strofinò un occhio, il cellulare che
aveva poggiato sulla pancia si alzava e si abbassava al ritmo tranquillo del
suo respiro; la cartella dei messaggi strabordava, ma
non ne aveva aperto nemmeno uno.
«Stelle, cellulare inutilizzato e un
libro che conosci a memoria. Depressione mode on?»
Sussultò, alzandosi a sedere di scatto.
Il cellulare le scivolò dolcemente in grembo mentre si voltava e alzava lo
sguardo verso la provenienza della voce.
Sua madre le sorrise luminosa, un
vassoio d'argento tra le mani, con sopra un piatto contenente dei muffin, una
brocca e due bicchieri.
«Mi hai spaventata» osservò Helena,
aggrottando le sopracciglia quando sua madre alzò gli occhi al cielo -e aveva
degli occhi bellissimi sua madre, di un verde acqua che cambiava sotto le luci,
come gli occhi di un gatto- e sbuffò.
«Ma dai? Pensavo che il saltello facesse
parte di una coreografia» ribatté sarcastica la donna, facendole cenno di
spostarsi. Hel ubbidì, rotolando da una parte della
coperta e chiudendo il libro; lo pose da parte, insieme al cellulare e alla
bottiglietta d'acqua.
Lilian Huggens si accomodò con grazia sulla coperta, posando la
brocca sull'erba prima di poggiare il vassoio sul tessuto ruvido. Offrì un
dolcetto alla figlia che le sorrise di rimando, afferrandolo.
Helena morse il muffin, sentendo la
dolcezza della pasta diffondersi nella sua bocca, contrastata dall'amaro del
cioccolato: solitamente non poteva dirsi grande fan del cioccolato fondente,
diciamo che lo detestava proprio, ma per far piacere a sua madre avrebbe
mangiato di tutto. Non c'erano altre persone capaci di farle mangiare una fetta
intera di torta al cioccolato fondente, dopotutto. Valeva pur qualcosa.
«Com'è?» le chiese sua madre, con un
sorriso che andava da un orecchio all'altro e una tazza di cioccolata in mano.
E Helena sorrise, perchè il dolce era buonissimo, perchè sua madre era sempre
brava; ma l'amaro sapore del cioccolato non sapeva proprio cancellarlo.
«Buonissimo» le rispose, afferrando la
tazza. «Come al solito sei un'ottima cuoca, mamma.»
La donna le sorrise raggiante,
portandosi alle labbra la tazza di cioccolata.
«Ho un solo dubbio... Perchè mi chiedi
sempre come ti è venuto questo o quello? Insomma, sei una chef e un'ottima
pasticcera.»
Lilian Huggens ridacchiò.
«Tesoro, a me onestamente non frega un
accidente di ciò che i critici pensano dei miei piatti o della mia persona. Si,
la Torre Dorata non andrebbe avanti senza i loro quattro o cinque commentini compiacenti, ma per me i pareri della mia
famiglia sono molto più importanti. E' molto meglio vedere la luce negli occhi
di tuo padre, quando gli dico di aver cucinato il suo piatto preferito, che la
faccia annoiata di una persona qualunque che si complimenta con me per come ho
cucinato le crepes.»
Restarono in silenzio per un po’, ognuna
immersa nei propri pensieri.
«Non sei venuta a parlare solo di muffin
e cioccolata.»
«No, direi di no» confermò Lilian con un sospiro. Afferrò un muffin e se lo portò alla
bocca, mordendolo e masticandolo con calma; alla fine sorrise. «Però, hai
perfettamente ragione. Sono la migliore!»
«E anche la più modesta.»
«Non dovresti smontare così il mio
momento auto celebrativo!» si lagnò la donna, finendo di mangiare il muffin. Si
pulì le labbra con un tovagliolo e batté una mano sulle sue gambe, facendole
cenno quindi di sdraiarcisi sopra.
Helena obbedì senza pensarci due volte,
affondando il viso nelle pieghe della gonna della mamma. Inspirò a lungo il suo
profumo, beandosi della sensazione di pace che le donava. Poi, senza preavviso,
iniziò a parlare.
«Le avevo promesso che non avrei più
giudicato le persone superficialmente» sua madre tacque, di un silenzio
pensieroso, accarezzandole i capelli. Un gesto che l'aveva sempre fatta
rilassare.
Forse non c'era bisogno di specificare
chi fosse quella lei, ma Helena respirò ancora, prima di sussurrarlo.
«La nonna. Ed è strano, perchè molti
ricordi di lei stanno scomparendo. Ma quella volta rimane: non vuole andarsene
e non posso cancellarla. Lei è lì e io... Sento quasi di averla delusa. O forse
l'ho già fatto. Io non lo so...» ammise, mentre la mano di sua madre continuava
a muoversi tra i suoi riccioli neri.
Rimasero in silenzio ancora per un po’.
«Che è successo?»
Helena sospirò.
«Tu cosa sai?» le chiese di rimando. Sua
madre fece un sorrisetto divertito, iniziando ad arrotolare i capelli della
figlia tra le dita.
«In effetti è una storia abbastanza
divertente. Sai, stamattina mi ha chiamata la mamma di Maddison.»
Maddison.
Helena strinse le labbra, abbassando lo
sguardo; Lilian non fece commenti, continuando a
parlare con dolcezza.
«Beh, all'inizio voleva convincermi del
fatto che tu avessi fatto chissà che cosa contro sua figlia, gettandola in...
No, aspetta, com'era? Ah si: uno stato di profonda depressione e
prostrazione. Quando le ho chiesto che cosa fosse successo non mi ha
risposto e mi ha chiesto insistentemente di svegliarti e di costringerti a
parlare con Maddy e Sery.
Al che mi sono chiesta che cosa avesse nel cervello questa donna quando ha
scelto questi soprannomi. Maddy, Sery e Helly. Sembrano i nomi
di tre Barbie!»
Helena si concesse una risatina.
«Comunque ho riattaccato quando ha
accusato i nostri geni di nefandezza congenita. Mi chiedo quale donna
del ventunesimo secolo parli così...» Lilian scosse
brevemente il capo, mentre Helena si girava in modo da guardarla in faccia, pur
rimanendo sdraiata sulle sue gambe. «E ora, seriamente, io mi sto chiedendo che
cosa tu abbia fatto per scatenare l'ira funesta di Shakespeare in gonnella e
figlia. E cagnolino, come dimenticarlo.»
La ragazzina
rise ancora, strofinandosi una mano sull'occhio.
Sarebbe stato un
racconto interessante, tutto sommato.
****
2 Mesi prima
«Helena?»
La bambina in questione alzò lo sguardo
dal copione che stava ripassando per guardare la giovane maestra che le stava
davanti.
Da quando il vecchio maestro Leonard
aveva avanzato la proposta di allestire una piccola recita per celebrare la
fine dell'anno, in aggiunta alla solita festa con dolciumi casalinghi e tanti
schiamazzi, nella scuola non c'era stata più pace: era un continuo via vai di
persone, tra le maestre che tentavano di dirigere i lavori degli alunni e
contemporaneamente allestire al meglio il palco su cui si sarebbe svolta la
recita.
«Sì, signorina Taylor?»
«Potresti andare con Kim a prendere dei
costumi di scena nel ripostiglio? Lucy ha strappato il terzo vestito di
Cenerentola.»
Perchè sì, la scuola elementare della
loro piccola cittadina aveva deciso che sarebbe stato carino mettere in scena
una recita conosciuta. E, chissà perchè, Helena si era vista assegnare la parte
della sorellastra Genoveffa.
Lanciò un'occhiata alla bambina, dietro
l'esile figura della maestra, che ricambiò astiosa. A differenza di ciò che Hel aveva pensato nei dolci anni, si fa per dire,
dell'asilo, Kim si era rivelata un'anima piuttosto combattiva e ribelle,
tutt'altro che compiacente all'idea di sottomettersi ad altri. E lo aveva
dimostrato staccandosi dal gruppo di Alexis e compagnia bella per diventare
amica delle gemelle Blonds: le balbettanti, timide e
riservate gemelle Blonds.
Quando Alexis le aveva chiesto la
ragione di questo suo comportamento, Kim aveva alzato le spalle e aveva
semplicemente risposto che la regola del loro gruppo, quella che recitava ''non
avrai altre amiche al di fuori di noi'', le era sembrata un tantino esagerata
e, quindi, aveva deciso semplicemente di ampliare il giro.
Doveva ammetterlo, l'aveva ammirata.
E si era resa conto che, per quanto
l'avesse derisa per quello, anche lei si era sottomessa a qualcuno. A Serenity e Maddison, quelle che
aveva considerato sempre le sue migliori amiche, quelle due bambine che aveva
giudicato uniche, le sole capaci di capirla.
E, beh, si era sbagliata. Alla fine
poteva capitare, certo, ma bruciava. Bruciava in modo orribile,
corrodendola dall'interno ogni giorno con intensità sempre maggiore,
proporzionale al tempo che scorreva.
Per questo aveva iniziato ad
allontanarsi da loro, sebbene non avesse proprio il coraggio di staccarsene del
tutto. Erano sue amiche, dopotutto.
«Perchè sei così silenziosa?»
Helena si voltò verso Kim, le
sopracciglia corrugate, genuinamente perplessa. Va bene, da quando avevano
lasciato la sala delle prove non aveva detto una parola ma non pensava che la
cosa le desse fastidio.
«Scusa?»
«Mi hai capito. Insomma, non mi stai
prendendo in giro e nemmeno stai facendo commenti acidi sulle Blonds.»
«Quello tecnicamente è l'hobby di Maddison» la corresse Helena, ma Kim la ignorò.
«Quindi mi stavo chiedendo se questo, in
realtà, non fosse un piano per rinchiudermi da qualche parte» aggiunse,
lanciandole uno sguardo sospettoso.
E a quel punto Helena si chiese quali
strani sostanze fossero state aggiunte al latte mattiniero di Kimberly Clarke. O semplicemente se la suddetta Kim fosse
già nata con qualche rotella al contrario.
«O vuoi picchiarmi e rubarmi il pranzo?
Confessa!»
« n realtà il mio piano segreto è quello
di cucirti la bocca con ago e filo mentre uno hobbit
ti solletica i piedi con una piuma... Ma che discorsi fai?!»
Kim le rivolse ancora uno sguardo non
del tutto convinto e Helena preferì lasciar perdere.
Ma quanto era lontano quello
sgabuzzino?!
Poi sentì due voci e si bloccò in mezzo al
corridoio, zittendo Kim con un gesto quando questa tentò di protestare; poté
quasi sentirla alzare gli occhi al cielo, ma non ci badò, mentre si
appiattiva contro la parete e sbirciava dentro quella che era la sala
d'ingresso della scuola.
«Spostalo un po’ più in là. Hai preso
gli adesivi dallo zaino di Alexis?» era la voce di Maddison,
quella, e in sottofondo si sentiva un rumore attutito, come quello di carta
strappata.
«Sì sì, tranquilla. Non si è accorta che
li ho presi» la rassicurò una seconda voce, quella di Serenity,
mentre il rumore continuava.
«Perfetto, Helena deve essere la sola a
capirlo. Con questo saremo certe che tornerà a essere nostra amica come una
volta. Del resto è davvero troppo fifona per ribellarsi o per dirlo alle
maestre» dichiarò soddisfatta Maddison. «Nessuno
sfugge al mio controllo, deve ricordarselo. E questo è solo l'inizio...»
Helena, dal canto suo, sentì il proprio
corpo irrigidirsi: aveva sentito bene oppure...?
Lanciò una breve occhiata verso Kim,
pietrificata accanto a lei.
No, aveva sentito proprio bene.
L'incredulità divenne rabbia e la rabbia
divenne una furia divampante, mentre Helena si affacciava sulla soglia della
stanza e vedeva Maddison, con il suo diario segreto
-in realtà un semplice quaderno su cui aveva appiccicato un'etichetta con un
teschio e scritto il proprio nome-, strappare pagine e passarle a Serenity che si preoccupava di appiccicarle al muro.
«Sì, Helena è troppo scema» ridacchiò
quest'ultima, preoccupandosi che la carta si appiccicasse per bene alla parete.
«Tipo quella volta dello scherzo alle Blonds, te lo
ricordi? Quando abbiamo spalmato di colla le loro sedie e le maestre hanno
pensato che fosse stata lei e...»
E poi Serenity
s'interruppe perchè era stata colpita da qualcosa di gelido, un liquido che le
colava tra i capelli, sul viso e le andava a finire sulle labbra. Urlò
terrorizzata, mentre lo stesso liquido aranciato finiva addosso a Maddison la quale lanciò un urletto,
lasciando cadere il diario che si era, inevitabilmente, macchiato di piccole
goccioline arancioni.
Entrambe si voltarono verso Helena e Kim
che, con in mano due bicchieri -c'era, all'ingresso,
una brocca colma d'aranciata a beneficio dei bambini e dei visitatori, con
accanto diversi bicchieri di plastica-, le guardavano con due identici ghigni
sulla faccia.
«Ma siete sceme?» strillò Maddison, inferocita.
Helena la guardò calma.
«Scema a non essermi accorta prima chi
eravate? Probabile. E so che me ne pentirò tutta la vita» gettò il bicchiere
nel cestino con una tranquillità che lei per prima non si sarebbe mai aspettata
da se stessa. Si guardò le mani. Tremavano leggermente. «Beh, almeno so che non
devo più fidarmi di voi.»
«Hellie...»
«Non stavolta» e Helena andò
semplicemente fuori da quella stanza, uscendo, e lo sapeva bene, dalla vita di
quelle che aveva considerato le sue migliori amiche.
Fu quando Kim l'affiancò che si concesse
di piangere.
****
La mamma era rimasta in silenzio per
tutta la durata del racconto, cosa di cui Helena fu grata. Era molto più
semplice parlare senza essere interrotti di continuo con domande o
considerazioni.
Sua madre le accarezzò i capelli,
sorridendo quando tacque.
«E poi?» chiese dopo qualche attimo
ancora.
Helena si umettò le labbra.
«Credo che lo abbiano capito. Hanno staccato
i fogli, ma hanno buttato il diario» rispose, ripensando alle parole di Kim che
le diceva di avere visto il suo diario nel cestino dell'aula di arte. Non era
andata a riprenderlo.
Raccontare, a dispetto di quanto si
sarebbe aspettata, le aveva fatto bene: era come se le avessero tolto un grosso
masso dal petto. Sentì la carezza calda di sua madre tra i capelli e sospirò,
passandosi una mano sulla pancia.
Aveva imprecato contro le sue ex amiche,
si era rimpinzata di muffin e aveva bevuto la cioccolata.
L'aria si era fatta decisamente più
fredda ma nessuna delle due sembrava aver intenzione di rientrare. Lilian si limitò a sospirare e annuire.
«Capisco» commentò semplicemente.
«Per un po’» Helena si leccò il labbro
inferiore, tentando di trovare le parole giuste «ho quasi pensato che fosse
colpa mia. Però dopo...»
«Hai capito che dovevi aspettartelo»
completò Lily, accarezzandole dolcemente il capo. «E, analizzando i
comportamenti di Maddison e Serenity,
ti sei resa conto che la prima è una spocchiosa reginetta viziata e che la
seconda è un cagnolino che ama sottostare agli ordini del più forte. Posso
dirti una cosa? Un giorno anche tu avrai la tua rivincita su Barbie e il suo
cagnolino di fiducia» Lily ebbe un sorriso tenero.
Sapeva che sua figlia stava maturando in
fretta, ma era consapevole del fatto che, sotto quella serietà, sotto quel modo
di fare quasi accademico, c'era solo tanta fragilità, la stessa che si poteva
aspettare da una bambina di undici anni.
«Un giorno arriverà qualcuno che sarà
degno della tua fiducia e della tua lealtà. E saranno quelle le persone che
chiamerai ''amici'', le sole con cui ogni ricordo bello o brutto sarà qualcosa
da ricordare. Perchè vedi, piccola mia, amicizia non è mai falsità, né
menefreghismo: amicizia è essere disposti a dare tutto per un'altra persona,
condividere con quella i tuoi migliori ricordi e ridere insieme anche quando si
fa una brutta figura. E se mai un giorno ti trovassi a tradire quegli amici
sarà solo per proteggerli».
«Ma... Il tradimento non è una brutta
cosa, mamma? Non vuol dire...»
«A volte non si tradisce una persona
solo per cattiveria o per sacrificarla ai nostri desideri o perchè vogliamo
farci amici di altri, Helena» controbatté sua madre. «A volte puoi tradire
qualcuno semplicemente per proteggerlo. Io e tuo padre lo faremmo, per te e i
tuoi fratelli».
Helena si prese qualche minuto per
assimilare il peso di quelle parole e Lilian lo
rispettò. Quando la bambina riaprì bocca sembrava quasi più sicura.
«E com'è davvero essere amici? Tu me lo
sai dire mamma?»
«Tesoro, questa è una cosa che devi
capire da sola. Ma posso dirti che l'amicizia in sé è…
beh, non vorrei ridicolizzare la faccenda, ma essere amici di qualcuno vuol
dire sacrificarsi per l'altro senza pensarci due volte. E che a volte i silenzi
non hanno bisogno di avere un significato ma sono solo... Silenzi. In generale
credo che l'amicizia sia tutto e niente. E che sia un po’ come le radici della
quercia di nonna Sarah».
«Forte e robusto?»
Le labbra di Lilian
si piegarono in un sorrisetto.
«Ma anche capaci di far inciampare
chiunque voglia mettersi in mezzo. E possibilmente, non dico rompergli l'osso
del collo, ma fargli prendere una bella storta».